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vita, se tale può chiamarsi quella che hanno i più alti colli, formati della pietra piú secca. Il mio cuore era duro come una pietra, quando vidi questa donna cruda com'erba Nel tempo dolce che fiorisce i colli, [cfr. “Il tempo dolce che riscalda i colli „. - "Al poco giorno et al gran cerchio d'ombra,]; ed ora

ci autorizzi a far rientrare nel gruppo delle Rime Pietrose anche questa sestina? fosse pur una, una sola l'idea che si riescisse a trovare, e si potrebbe rispondere positivamente: ma il guaio è che, a voler cercare con la massima diligenza, noi non troviamo un solo concetto che si svolga per entro tutta la canzone: abbiamo, di contro, mancanze di nessi e insulse, inutili ripetizioni di inopportune figu

te nelle altre poesie pietrose. Dunque, per ora noi affermiamo che la sestina "Amor mi mena tal fiata all'ombra Di donne, c'hanno bellissimi colli, ecc. è spuria, è una misera contraffazione.

mio cuore è molto umile verso ogni donna, soltanto a causa dell'amore che porto a costei, la quale mi fa ombra piú nobile, giam-razioni poetiche, tanto efficacemente adoperamai fatta da alcuna verde foglia (?!). Giacché ogni stagione, fredda o calda, secca e verde che sia mi tien giulivo: questa grazia io ottengo dal gran piacere che provo di stare sempre all'ombra della donna amata; [cfr., per la stupida contraffatta imitazione del primo verso, ... per lo tempo caldo e per lo freddo, in "Amor, tu vedi ben, che questa donna,,]. - Qui, o io m'inganno, seguono dei versi che in nessun modo si possono anche lontanamente mettere in relazione con i precedenti, mancando ogni nesso.

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Oh! quanto

Qualcosa di peggio siamo costretti a dire dell'altra, che comincia "Gran nobiltà mi par vedere all'ombra Di belle donne c'han puliti colli E l'una all'altra va gittando l'erba Essendovi colei per cui son verde E fermo nel suo amor, come in mur pietra O più che mai non fu null'altro in donna È, infatti, una imitazione delle imitazioni!

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fu bello veder la mia donna, sull'erba, andare alla danza assai meglio di nessun'altra, ballando un giorno per pianure e per colline! Sebbene io mi trovi fra montagne e colline, Amore non mi abbandona, ma mi fa concepir verdi speranze come mai a nessuno per amor di una donna [e anche qui, senza nesso alcuno, assai bruscamente da un concetto si passa ad un altro]; mai, infatti, si è visto un intaglio in pietra, o figura, o color d'erba, che possano fare un bel veder cosí come la ombra della mia donna [cfr. "com' una donna Che fosse fatta, d'una bella pietra, Per man di quel, che me' intagliasse in pie-tribuirli al peggiore versaiuolo.... contem

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Comincia con un'andatura affatto simile all'altra sestina (cf. “Amor mi mena tal fiata all'ombra Di donne c'hanno bellissimi colli). Mi par vedere grande nobiltà quand'io sono all'ombra di bellissime donne, che hanno puliti (?!) colli, e scambievolmente si gettano fiori, e vi è colei, per amor della quale io sono pieno di speranza, e fermo nel mio amore come il muro nella pietra, ovvero come nessuno che abbia sentito piú stabile amore per donna alcuna. [Seguono qui sei versi di una bruttezza tale che non si penerebbe ad at

poraneo]. Nessuno si maravigli, mostri ombra nei sembianti per dispiacere, se io porto un amor cordiale alla mia donna (?). Giacché il mio cuore per lei suo bene impetra (ottiene) (?); il mio cuore che, altrimenti, si avvilirebbe e si cangerebbe cosí come la bell'erba, segata che sia, cangia il suo color verde. Ed io posso affermare che la mia donna riesce di adornamento per l'erba, che ella, invece, adopera, per adornarsi, insieme con fiori e con verdi foglie; e la sua dolce ombra risplende siffattamente, che se ne rallegrano vallate, pianure e colline e certamente conferisce virtú alle pietre. (Si noti che il Poeta si prepara a dire le lodi della sua donna con il piú strano accozzamento di parole qualsiasi che facciano rima). Io so che sarei piú vile che una pietra, se la mia donna non ope

"

rasse su di me come opererebbe un'erba salutare; ella che già è stata capace di drizzare monti e colline, perché nessun'altra, eccetto che ella, potrebbe essere donna di me, o donna di ciò, cioè da valermi com'erba; ed io l'amo all'ombra, com un uccelletto sotto verde foglia. [Seguono le tre ultime stanze, difficilissime a capire, tanto i concetti ne sono oscuri; bisogna, perciò, tirare a indovinare!] Io sono fiore, frutto ed erba di quest'umile verde, ma se io fossi identico a questo umile verde, cioè se io fossi erba cosí perfetta e miracolosa, potrei ovrar la virtú d'ogni pietra (?!), senza neuna ascondersi sott'ombra,; ma nessuno può fare ch'ella scenda o salga, siccome ella fa di me, essendo donna delle sue cose. Ogni volta che io mi allontano da lei, mi pare che un uomo mi sottoponga al tormento della corda [cfr. lo stesso.... pensiero espresso nell'altra sestina ], e mi sento pieno di speranza, tanto piacere io provo nel vedere la mia donna. E, quando non la vedo, mi sto come una pietra, e miro fedel l'ombra (la sua figura che ho nella mente) come mira l'erba quell'animale, cui essa piú piace. Nient'altro desidero che serbare sempre nella mente la figura di quella che eccelle su tutte le altre nobili donne, invece che l'ombra di altri fiori o foglie od erba!

Tutto sommato, adunque, oltre alle ragioni apportate per infirmare l'autenticità delle esaminate sestine, rimane quella salda ed incrollabile accennata dal Bergmann, che l'autore di esse sestine non ha capito il modello e l'esemplare che ne aveva nelle Rime Pictrose che noi riteniamo autentiche. Inoltre, e questa io ritengo la ragione decisiva, nessun altro anello, sia pure di minima importanza, aggiungendo alla catena cosí stretta che collega le Rime Pietrose autentiche, anzi il progresso da queste segnato distruggendo o deturpando, indubbiamente si deve aver per dimostrato, per altra via che non fosse stata quella comunemente finora battuta, che le due sestine in discorso sono tutt'altro che roba dantesca, e proprio niente hanno a che fare con le nostre Rime.

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Meno lungo discorso richiederanno, forse, i sonetti. Ho accennato già che io credo, in massima, si possa, mediante un diligente esame, stabilire che dei cinque sonetti almeno tre, probabilmente, fanno parte, non del tutto

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indifferente, del ciclo delle Rime Pietrose. Qualche ragione che mi determina ad avanzare siffatta opinione è stata già precedentemente svolta: ma piú convincenti argomenti verranno fuori, in sostegno della mia ipotesi, dalla disamina di ogni singolo sonetto e dal confronto fra tutti essi e le Rime Pietrose. Cominciamo dallo sbrigarci dei due sonetti ("E' non è legno di forti sí nocchi, "Deh! piangi meco, tu, dogliosa pietra „), i quali hanno minori probabilità degli altri per venir ammessi fra le Rime autentiche. Quello che comincia "E' non è legno di sí forti nocchi Né anco tanto dura alcuna pietra Ch'esta crudel, che mia morte perpètra Non vi mettesse ancor co' suoi begli occhi„, ecc.se non canta la Filosofia, per lo meno contiene una allegoria, con la quale Dante non vuole alludere a una donna in carne ed ossa. A questa conclusione la generalità degli studiosi sono stati indotti a venire, oltre che dall'intonazione generale di tutto il sonetto, specialmente dagli ultimi tre versi "Ed è contro a pietà tanto superba Che, s'altri muor per lei, nol mira pue, Anzi gli asconde le bellezze sue Il Carducci non crede che nemmeno questa terzina possa far attribuire al presente sonetto un significato allegorico, e ritiene invece che esso debba collegarsi al gruppo delle Rime Pietrose. E veramente, sebbene anche al Bartoli la fine di questo sonetto faccia credere si tratti di un'allegoria, si può dimandare perché, qui, non può trattarsi di una donna reale, tanto bella quanto crudele, come quella delle Canzoni Pietrose? Tanto più che gli argomenti, messi innanzi da coloro i quali ritengono qui si tratti della Filosofia, sono deboli, molto deboli.... lo dice anche il Bartoli, pur ri tenendo che il sonetto in discorso abbia un significato allegorico. E v'ha dippiú: l'argomento che il Bartoli (in ciò seguito dall'Imbriani) adduce per provare l'allegoricità di questo sonetto, che cioè "la parola pietra trovasi una volta sola, e posta come incidentalmente, è debole anzi che no e mal si attaglia al caso nostro. Giacché, se si volesse procedere alla disamina di queste Rime con il criterio di osservare quante volte e come la parola pietra sia adoperata dal Poeta, si dovrebbe concludere che neppure la canzone "Cosí nel mio parlar voglio essere aspro „,

RIME PIETROSE

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la quale da tutti giustamente è stata ritenuta quella che canta un amore fortemente sensistico, per dirla col Selmi, è giusto faccia parte delle Canzoni Pietrose. Sicché il numero di queste si verrebbe a restringere solamente alla canzone Amor, tu vedi ben, che questa donna nella quale di pietre ce n'è finché se ne vuole. Ora, a me pare che questo non sia un sano criterio critico; come ho già avuto occasione di dire, nel procedere alla risoluzione della presente questione, si deve osservare e considerare bene in sé stesso ciascun componimento; vederne l'intonazione generale; mettere in relazione tutti quelli che meglio mostrano dovere la loro ispirazione allo stesso argomento, e, quindi, venire, alla conclusione di raggrupparli tutti insieme, ovvero di metterli in categorie diverse. Dica pure l'Imbriani che questo sonetto "contiene una esagerazione caricata che rivela l'animo incommosso dello scrittore,; concluda pure che questo sonetto sembra essere affatto allegorico. La tragica donna e fatale, che innamora perfino l'insensibile, ma, incommossa da qualunque affetto, uccide noncurante i suoi fedeli, loro invidiando persino l'aspetto suo, senza che se ne accenni neppure lontanamente il perché; questa donna senz'anima è un'allegoria mera.'

Noi, per parte nostra, nel dubbio ci asteniamo; o, meglio, ritorniamo a mettere il quesito, altrove accennato: abbiamo cinque sonetti che cantano, qual piú qual meno, un amore reale, sensuale, insomma, giú per su, della stessa natura di quello espresso e cantato nelle quattro canzoni pietrose; è lecito affermare, recisamente, che, dal piú al meno, sono tutti allegorici? è logico, poi, negare, decisamente, essi possano rientrare nel gruppo delle Rime Pietrose? O piuttosto, invece di un siffatto procedimento sommario, non è giusto e logico ripetere anche per essi l'esperimento fatto per le due sestine, alla fine resultate spurie? Perciò è che, discorso brevemente dell'altro sonetto "Deh! piangi meco, tu, dogliosa pietra,, noi ci sforzeremo di stabilire anche per essi sonetti un ordine amoroso-cronologico, e di dimostrare che in gran parte questo corrisponde a quello delle Rime Pietrose autentiche. Per ora, diciamo due parole di quel sonetto che il Carducci dice

1 Op. cit., pag. 452, 453.

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"non sarebbe lungi dal ritenere per autentico, perché, sebbene un po'oscuro e incoerente, si distingue dagli altri, pel ribattere ch'ei fa sul termine pietra e per essere com. posto nello stesso sistema di allusioni e giuochi di parola che la sestina " Al poco giorno et al gran cerchio d'ombra,, e le canzoni Amor, tu vedi ben che questa donna,-“Io son venuto al punto della rota„, non che per una certa energia che anche al Trucchi [fu il primo a pubblicare questo sonetto mutilo. di emistichi ed inintelligibile] parve dantesca. Il Bartoli non nega che il sonetto "atbia qualche cosa che ricordi qua e là il vigore dantesco; ma è questo un criterio troppo fallace per giudicar autentica la poesia. Come a giudicarla assolutamente apocrifa non bastano le cose brutte, i giuochi di parole, le oscurità che ognuno vi nota. Noi dunque sospendiamo ogni giudizio; poniamo, con una leggera correzione, il sonetto sotto gli occhi dei lettori Anche a me pare opportuno riportare per intero il sonetto, cosí come ce lo dà l'Imbriani:

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Deh, piangi meco, tu, dogliosa pietra! Perché sei, Pietra, a sí crudele porta entrata, che d'angoscia il cuor m'impietra? deh, piangi meco, che tu la tien morta.

Ch'eri già bianca; et or sei nera e tetra,
dallo colore tuo tutta distorta.

E quanto piú ti prego, piú s'arretra
pietà d'aprirmi, ch'io la veggia scorta,

Aprimi, pietra; sì ch'io Pietra veggia
come, nel mezzo di te, crudel, giace,
che 'l cor mi dice, ch'ancor viva seggia.
Che, se la vista mia non è fallace,

il pudore e l'angoscia già ti scheggia,
pietra è di fuor chi dentro pietra face.

Il Carducci non riporta i versi 2-3 della prima quartina, né l'ultima terzina; e non crede necessario intrattenersi a considerare l'opportunità di introdurre qualche correzione nel sonetto. La "leggera correzione, del Bartoli consiste nell'introdurre un a nel secondo verso della prima quartina; correzione che l' Imbriani pare non accetti interamente, ché ne toglie via l'e. Ad ogni modo, ciò che è da considerare è il fatto che tutti i piú autorevoli dantisti sono molto restii a dichiarare il sonetto esplicitamente autentico; il Witte confessa: "benché anche cosí inteso, rimanga in parte assai oscuro ; il Carducci stesso fa questa riserva: "Se non che questo sonetto non isdrucciolerebbe nell'allegoria politica? notisi bene la seconda quartina,, ; e, al solito,

piú radicale di tutti, l'Imbriani conclude che " ci vuol stomaco per attribuire di questa robaccia a Dante, e per ritenerla autentica. Piere e Pierine non sono mai mancate! né gente, che farneticasse e scrivesse sonetti!,. Oh! che modo di ragionare è mai codesto? E perché mai non fermarsi un po' a discutere l'ipotesi, enunciata dal Witte e dal Carducci, che, cioè, stando al senso letterale, il sonetto in questione parrebbe indirizzato alla lapide, che cuopre la spoglia della bella donna e crudele, in suo vivente amata da Dante; e che, inoltre, il lamento fu fatto, quando Dante era fuori di Firenze e la città era retta dalla parte Nera?

L'Imbriani, invece, se ne sbriga in quattro parole. Bensí, a dir la verità, anche restituito cosí com'è stato da lui, il sonetto continua ad essere parecchio oscuro, se non addirittura inintelligibile, all' infuori forse della prima quartina; e l'allegoria politica trasparirebbe, secondo me, anche dal resto del sonetto, oltre che dalla sola seconda quartina. Ad ogni modo, io non veggo la ragione per la quale si abbia a dichiarare spurio il sonetto; si dica piuttosto che l'A., in esso, piú che in altro componimento, si è compiaciuto di bisticci di parole e di allegoriche allusioni, e che non si può, su due piedi, affermare che esso sonetto debba o no far parte del gruppo delle Rime Pietrose. Quindi è che, anche per esso, noi sospendiamo il nostro giudizio, in attesa che l'esame degli altri tre sonetti ci dia modo di pronunciarci decisamente.

Dunque, che cosa cantano questi tre sonetti? A me nessuna cosa sembrerà mai piú crudele [comincia a dire il Poeta nel sonetto "Nulla mi parrà mai piú crudel cosa, che va ritenuto il primo per ordine cronologicopoetico, come vedremo meglio in séguito] di questa donna, nell'amor della quale la mia vita consumo, giacché i suoi desiderî si acquetano come in un lago congelatosi, mentre i miei non trovano posa, ma ribolliscono nel fuoco amoroso, ond'io ardo. Pur io son pago di vedere la grande bellezza di una donna cosí crudele e sdegnosa; e mi piace tanto soffrirne il tormento, che un piacere simile a questo non osa offrirmisi agli occhi. Né a colei, che si gira quando vede il sole [è Cli

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1 E notisi la squisita acutezza psicologica: il lago di solito è tranquillo; il cuore della donna simile ad esso, non si lascia increspare ed agitare dal vento della passione; il cuore del Poeta, invece, è un fuoco d'amore!

zia, la quale fu cangiata in girasole], e che, quantunque trasformata in girasole, pur serba costante l'amor suo, è toccata una sorte crudele quanto la mia. Perciò, quando giammai questa superba non vinca, o Amore, abbi pietà di me e unisci un po' i tuoi sospiri ai miei, finché la morte mi colga,.

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Una sensibilissima progressione notasi nel sonetto che viene secondo "Io son sí vago della bella luce; il Poeta non si accontenta piú di sospirare, guardando la bella donna; né di formulare desideri casti e pii; né, tanto meno, chiama in suo aiuto Amore. Sibbene, viene, qui, affermando che, pur sapendo e conoscendo l'indole traditrice dell'amata, non può non amarla pazzamente, quantunque se ne vegga deriso e contraccambiato di nessun guiderdone. Io amo tanto la bella luce che emana dagli occhi traditori che mi hanno ucciso, che solamente a contemplar essa io son ricondotto, e sí che io da essa sono ammazzato e deriso. E quel che pare, e quel che mi traluce, in siffatto modo mi abbaglia la vista degli occhi e quella dell'intelletto, che, privo di ragione e di virtú, io seguo come mia guida solamente il mio desiderio. Il quale mi conduce a morir dolcemente con dolce inganno, e tanta è la fede di cui io sono pieno, che del dolce inganno mi avvedo soltanto dopo che esso mi ha danneggiato. Fortemente io mi dolgo che i miei amorosi affanni diventino argomenti di canahimé! dolore piú gran

zonatura; ma

de io provo nel vedere che l'angoscia, ch'io porto meco, non è rimeritata di alcun guiderdone,.

Un'intonazione calda ed appassionata spira per tutto il sonetto "Io maledico il dí ch'io vidi in prima,; al Carducci pare cosí bello che lo desidererebbe autentico. E bello è veramente, sia per la eleganza e insieme per la spigliatezza del verso, sia per la efficacia delle frasi, sia per il sentimento che lo anima tutto, sia, infine, per quell'aura di realismo che vi aleggia dentro. Pare scritto ieri, tanta è la sua freschezza; e in esso noi troviamo piú realismo o verismo o naturalismo che dir si voglia e piú modernità che non in tutti i versi degli odierni verseggiatori! "Io maledico il giorno, in cui, per la prima volta, contemplai la luce emanante dai vostri occhi traditori, e il momento, in cui veniste in sulla cima del cuore a trarmene fuori l'anima. E maledico anche la lima amorosa con la quale

ho corretto e ricorretto le mie parole, ei bei colori trovati e messi in rima per far che il mondo onorasse mai sempre la luce dei vostri occhi traditori. Ancor io maledico l'ostinata mente mia, che persiste tuttora a serbare intatto il culto alla vostra bella e colpevole figura, che mi uccide. Onde è che spesso Amore io biasimo e bestemmio: sicché tutti si ridono di lui e di me che mi presumo di togliere alla fortuna, che tutto volge e governa, la sua virtú di dominare e cosí volgere a mio talento il cuore di questa donna,.

allora il Poeta ardesse.

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come sprona E come sotto lui si ride e geme, ecc., tra i quali vuol far notare l'esistenza di uno stretto legame, che io ammetterei sol lontanamente, nel senso si ritenga il Poeta dal caso generale, cantato nel son. "Io sono stato con Amcre insieme,, passi al suo particolare nel sonetto che ora ci occupa. Del resto, neppure il Fraticelli nega che il sonetto canti un amore reale, quando osserva: "Probabilmente egli è uno di quei poetici componimenti che Dante, affine di nascondere altrui l'amore suo per Beatrice, scrisse Orbene: o io mi inganno, nei tre sonetti fingendo d'essere innamorato d'altra donna „.' che abbiamo analizzato, in confronto alle Can- E il Bartoli, rincarando la dose, crede che il zoni Pietrose autentiche, di nuovo ci è l'ele- sonetto esprima una passione affatto umana mento della derisione, del gabbo, misto ai e non immune da sensualità; a riprova di ciò, vecchi motivi della freddezza e della cru- cita i versi: "Seguo solo il desio come mio deltà della donna amata; quindi è che, co- duce. E quel che pare e quel che mi trame abbiamo già accennato, noi possiamo non luce M'abbaglia tanto l'uno e l'altro viso.... solo includerli nel gruppo delle Rime Pie-i quali bene dimostrano di quale passione trose ma stabilire anche per essi quell'ordine psicologico, che abbiamo su per giú riscontrato in queste. Però, vediamo brevemente che cosa ne pensano gli altri. L'Imbriani, che pur si dà la briga di assodare l'apocrifità degli altri due sonetti, di questi tre si occupa solamente per riprendere il desiderio manifestato dal Carducci e la critica, che egli chiama, sarcasticamente, barbara. Il Giuliani li ritiene tutti e tre di dubbia autenticità. Il Bartoli, pur non essendo d'accordo con il Carducci nel comprendere i sonetti nel gruppo delle Rime Pietrose, ne riconosce il contenuto di un amore reale e sensuale, e ne discorre a lungo. Comincia col dire che il son. "Io son sí vago della bella luce, non si può attribuire, né negare con sicurezza a Dante, stando al criterio dei manoscritti; ma che, "se ci facciamo ad esaminare questo componimento nel suo contenuto, confessiamo di propendere a crederlo di Dante. E, con ragione, dà addosso al Fraticelli, il quale, per dimostrare l'autenticità del sonetto, se ne viene fuori con uno dei suoi soliti argomenti di critica soggettiva. E il Bartoli cerca di dimostrare la sua affermazione con un non so quanto opportuno raffronto

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tra il sonetto in discorso e l'altro "Io sono stato con Amore insieme Dalla circolazion del Sol mia nona, E so com'egli affrena e

1 Cfr. pag. 98 del presente lavoro.

2 Op. cit., pag. 273-275

3 Ibid., 47, 70-71.

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Del sonetto "Nulla mi parrà mai piú crudel cosa il Bartoli, su per giú ragiona come ha fatto per il precedente: dopo aver detto che è messo in grande perplessità, circa l'autenticità dal trovarlo in un solo manoscritto, 3 afferma di sentirvi "come un'aura dantesca Naturalmente, neanche qui il Bartoli ha torto di riconoscere un contenuto d'amore reale; cosa che appare manifesta e dall'intonazione della prima quartina, e da parecchi altri versi, come, p. es., "tanto son del mio tormento vago,, che il Bartoli acutamente osserva essere un verso esprimente uno stato cosí vero delle vere e profonde passioni; e infine, da una reminiscenza ovidiana ricorrente nella prima terzina, “ la quale, applicata alla Filosofia o ad altro essere allegorico, stuonerebbe, mentre sta benissimo in un vero amore 4 All'istesso modo, però, non la pensa il Fraticelli, che ritiene fermamente (e non è tuttora il solo!) questa donna sia la Filosofia: quistione di gusti, direbbe V. Imbriani!

Infine, quanto al sonetto "Io maledico il dí ch'io vidi in prima „, il Bartoli, d'accordo

1 Op. cit., 114.

2 Cf. FRATICELLI, op. cit. (Dissertazione ecc.), pagina 7 e seg.

3 Ciò dice quasi in risposta al FRATICELLI, il quale ritiene il sonetto infallibilmente dantesco (op. cit., pag. 216). 4 I FRATICELLI (op. e loc. cit.) ha parecchi altri raffronti tra questi sonetti e altri luoghi delle Rime, Pietrose.

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