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RIME PIETROSE

stro emisfero; i colli biancheggiano per la neve; e l'erba, perdendo il suo colore naturale, inaridisce; ma il mio desiderio amoroso non viene meno, tanto fortemente esso è radicato nella dura pietra, che parla e sente come fosse donna. La quale giovane1 donna se ne sta fredda come la neve là dove non batte il sole, perché non riesce a commuoverla nemmeno la primavera, che col sole riscalda i colli e li fa tornare di bianchi che erano [essendo coperti di neve] in verdi, ri-| coprendoli di fiorellini e di erbette.

E quand'ella ha incoronata la testa di una ghirlanda d'erba, mi fa dimenticare ogni altra donna, perché i capelli color d'oro e il verde della ghirlanda si fondono insieme si vagamente che Amore stesso si viene a posare alla loro ombra. Quell'amore che mi ha serrato qui, tra queste collinette piú tenacemente che la calcina non serri una pietra. Le sue bellezze hanno maggiore potenza di qualsivoglia pietra, e le ferite prodotte dai suoi colpi non possono guarire per virtú di nessuna erba. Tanto è vero ció che io sono fuggito per piani e per colli, per tentare di liberarmi dalla funesta passione ispiratami da questa donna. La imagine della quale tanto fortemente e saldamente mi si è fitta in mente, che né poggio, né muro, né albero frondoso mi possono nascondere il suo bel viso.

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Inol

tre, io l'ho anche veduta vestita di un abito verde, che la faceva cosí bella, che ella avrebbe messa in pietra l'Amore, che io porto pure alla sua ombra. E per averla veduta cosí bella, su un vago prato verdeggiante, tutto all'intorno circondato da altissime colline, io le ho chiesto amore, quanto donna

"

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1 Credo che il nuova donna vada inteso letteralmente "donna di novella età, giovane „, oppure nel senso che cosí spesso nuovo assume nella Divina Commedia e in altre opere dantesche non mai visto, straordinario o qualcosa di simile. E a ragione qui il Poeta chiama nuova l'amata, giacché, a differenza delle altre donne, non si lascia commuovere dalle preghiere dell'amante. Non mi pare quindi accettabile l'opinione dell' IMBRIANI (op. cit., 478): "Questa donna che il Poeta chiama nuova, non so se solo perché pargoletta, di picciol tempo, oppure anche perché.... stranamente pudica contro l'uso femminile, Che bisogno c'è di voler vedere in ogni parola un senso riposto? vero è ben che l'Imbriani cerca sempra di tirare l'acqua al suo mulino! se non che, est modus in rebus!

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2 L'Imbriani giustamente osserva: ".... la beltà della mia donna avrebbe potuto rinnovare il caso di Narciso, innamorandola dell'immagine sua stessa (mettendo nella Pietra l'amore che Dante portava anche all'ombra di lei „).

può darne. Ma, prima che ciò avvenga, i fiumi correranno all'insú per i monti: giammai ella si accenderà d'amore per me [come suole avvenire di una bella donna, la quale, per resistenza che possa opporre alle richieste dell'amante, alla fine gli cede] che sarei capace di impormi il sacrificio di dormire sulla cruda terra tutta la mia vita, e di andare mangiando erba, purché mi fosse dato di vedere solamente l'ombra delle sue vesti.? Ogni volta che, in qualunque tempo, le colline proiettano l'ombra piú oscura, la giovine donna la fa prontamente sparire, come una pietra non si mostra piú, coperta che sia dall'erba.

1 A proposito di questo verso Ond'io l'ho chiesta in un bel prato d'erba | Innamorata, com'anco fu donna ecc.", che l'Imbriani dichiara alquanto difficiletto, mi pare che il Gaspary, per il primo, abbia veduto giusto; il Bartoli, il Cesareo e tutti gli altri non fanno che seguirne la retta interpretazione. L'Imbriani, poi, vuole ad ogni costo dimostrare la necessità di opportune emendazioni nel testo, e dà una interpretazione non molto soddisfacente: a torto infatti, io credo, egli cangia l'innamorata in innamorato, e riferisce questo aggettivo al Poeta, oppure, conservando la lezione comune, spiega: "La chiesi come mai non fu chiesta donna innamorata, con piú ressa, con piú ardore, che altra mai non suscitasse E in questo caso si viene, in un certo modo, ad attribuire l'azione espressa dall' innamorato(a) al Poeta, laddove, come io ritengo, a ragione il Gaspary l'attribuisce alla donna. Quanto poi al Giuliani, che spiega: "....ella fosse innamorata, siccome fu, quando era donna e non dura pietra qual mi si mostra al presente ben osserva l'Imbriani che il Poeta non dice che la pietra prima fu innamorata e poi gli diventò rigida. Se non che, l'Imbriani non si

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accor

ge che, con queste parole, egli stesso si dà la zappa sui piedi e arreca un colpo mortale alla sua teoria esplicativa delle Rime Pietrose, come in séguito vedremo.

2 Per parte mia, non riesco a vedercelo qui, l'equivoco osceno che l'Imbriani ci vuol vedere. Mi pare veramente ci si possa accontentare del senso piú ovvio e naturale piuttosto che andar racimolando interpretazioni più o meno bislacche. D'altronde, è vero che tutti e tre questi versi, specie l'ultimo, racchiudono un concetto proprio delle grandi passioni; ma, anche ammesso ciò, è forse necessario, come fa l'Imbriani, avvertire oscenità proprio là dove non ce n'è e dichiarare che la Pietra era una pietra molto soffice, ecc....? Perché mai non intendere pietra non già per il nome e quindi per la persona della donna amata, sibbene per l'oggetto naturale, sul quale il Poeta vuole riposare duramente? Metafora a parte, il Poeta vuole, qui, esprimere i sacrifizi che egli è disposto a fare perché possa godere della vista dell'amata. Anche noi oggi, o io mi inganno, nel momento piú culminante di una veemente sensuale passione, diciamo che siamo pronti ad affrontare ogni sorta, per quanto terribile, di pericolo pur di ottenere, con ciò, un piccolo benefizio dall'amata. Intendiamo dunque pietra per ciò che in realtà essa parola significa, e intenderemo bene.

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Con la terza canzone แ Amor, tu vedi ben, che questa donna „, ci discostiamo alquanto dall'indirizzo poetico riscontrato nelle due precedenti canzoni. È vero che Dante se ne pregiava tanto da recarla in esempio come qualcosa di bello e di non tentato sin allora in risguardo della struttura ritmica; con tutto ciò come è stato ben detto la canzone è parecchio brutta e non molto chiara. E ha ragione il Bartoli, quando esclama: "Tutto qui sembra soffocato sotto il gioco continuo della parola. Però non condivido i dubbî dell'illustre critico circa il contenuto della canzone: il B. infatti si domanda se questa canta lo stesso amore delle altre, oppure se è una pura allegoria. No, non è un'allegoria: è vero che "i lamenti di questa canzone sono lamenti a freddo, che le frasi sono mésse insieme per servire all'inesorabile necessità della rima, e che non sgorgano mai [mai, via, è troppo!] dal cuore: è vero che a volte è troppo chiara la ricerca della difcoltà del metro senza un corrispondente effetto artistico,; che siamo molto lontani dalle strida e del caldo borro della canzone " Cosí nel mio parlar voglio esser aspro, ; ma d'altra parte, non si può non riconoscere che anche questa canzone canta un reale ed umano. Si guardino specialmente la quarta e la quinta strofa: è lo stesso motivo che ritorna anche qui, insistente; è il dualismo fra il Poeta e la donna amata, tra lui che è costante più che pietra in ubbidire Amore per la beltà della crudele, e lei indifferente, insensibile, pietra, " sicché non par ch'ell'abbia cuor di donna Ma di qual fiera l'ha d'amor più freddo!,. È il medesimo motivo che, poi, nella quarta canzone (" Cosí nel mio parlar voglio esser aspro ) ritornerà assumendo un altro atteggiamento: lí il Poeta non intende ragioni; respinto, muove piú feroce di prima all'assalto; e, di nuovo respinto, bestemmia Amore che ha concessa sí grande potenza alla crudele; lí, il Poeta prova quasi un'acre voluttà nel frugare col ferro rovente della rima dentro la piaga del cuor suo sanguinante, e ricorda amaramente i piú minuti particolari della bellezza diabolica di lei, e vaneggia e pur sempre spera; qui, invece, il Poeta pare dica a sé stesso: con i mezzi bru

amore

1 BARTOLI, op. cit., pag. 205; CARDUCCI, op. cit., pag. 279.

tali nulla ottengo; or, guardiamo se, con la mansuetudine, con la preghiera, riusciamo ad indurre Amore ad essermi più cortese; insomma, li è un terribile temporale di estate con i suoi tuoni e i suoi lampi; qui è la calma preannunziante, cosí dappresso, tanta ira.

"O Amore, (comincia a dire il Poeta), tu ormai t'accorgi che costei non fa conto alcuno della tua potenza, che pure è solita signoreggiare tutte le altre belle don. ne; [qui a me pare di scorgere un distacco abbastanza pronunziato fra questo concetto e quello che segue: distacco che si può colmare sottintendendo: tanto è vero questo, che cioè ella in nessun conto tiene la tua potenza che] appena si è accorta per viso, di essere riuscita a impadronirsi totalil raggio tuo (d'amore) che mi risplende in mente del mio cuore, è diventata crudelissima. Di maniera che non pare ella abbia un cuore di donna, per natura tendente all'amore, ma piú insensibile di qualunque fiera. Infatti mi si mostra sempre in atteggiamento di donna che sia formata da una bella pietra intagliata dal migliore artista. E di lei, che ha il cuore duro siccome pietra, io, o Amore, porto nascosti nell'animo mio i forti colpi con i quali tu mi hai ferito sí fortemente, quasi io fossi una pietra che da molto tempo ti desse molestia -- da giungere fino al cuore, rimasto insensibile ad ogni altro amore. Perché sono piú tenace di una pietra in ubbidire te, o Amore, che ormai sei diventato padrone dell'essere mio, servendoti dell'affascinante bellezza di costei. vano circa le molte rare qualità possedute dalle [Qui, adoperando le opinioni che allora si avepietre preziose, le quali attiravano la luce del sole e ne acquistavano facoltà a produrre dei misteriosi effetti, il Poeta esclama]: È impossibile si scuopra mai una pietra che di tale potenza sia dotata da porgermi aiuto a salvarmi da questa donna; epperò, se ella continua a mostrarmisi sempre indifferente, jo temo molto non abbia a morirne. [E, riio volgendo la parola ad Amore, fa un paragone tra gli effetti derivanti dalla cattiva stagione e quelli che derivano dalla vista della bella spietata]: Amore, signore dell'animo mio, tu ben sai che là dove soffia la tramontana e fa molto freddo, l'acqua diventa come di cristallo, tanto è il freddo; ' e, come

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1 Preferisco la lezione del GIULIANI: ingente freddo a quella del FRATICELLI: algente freddo.

i vapori dell'aria, raffreddati, si convertono in acqua, di maniera che in regioni fredde sempre piove, cosí a me, quando sono davanti alla fredda figura di lei, sempre si agghiaccia il sangue nelle vene e rimango come smarrito. E, ripensando a costei che è cagione io abbia a vivere meno del tempo stabilito, scoppio in lagrime che mi escono dagli occhi, attraverso i quali costei entrò a signo reggiare l'animo mio. Ella, come è la più bella di tutte le belle, cosí è la donna piú crudele, perché nel suo cuore il tuo fuoco, o Amore, non riesce a penetrare; dico questo perché, quando io la guardo negli occhi o in altra parte della sua persona, mi pare cosí bella da poterla scambiare con una pietra preziosa tutta intagliata.' Dai suoi occhi vengono fuori quegli sguardi, che riescono a farmi dimenticare ogni altra donna; cosí ella si mostrasse una buona volta pietosa verso di me che desidero sempre mi sia pòrta l'occasione di servire lei, e di vivere solamente a questo scopo. [Ma il Poeta, convinto come. è, che ciò non potrà mai avvenire, si rivolge ad Amore, perché l'aiuti a vincere l'indifferenza della bella crudele]: O Amore, tu che puoi accampare diritti anteriori ad ogni legge

umana, perché sei eterno; tu che muovesti il sole e le altre stelle, dando, cosí, origine, al tempo, muóviti finalmente a compassione di me che verso in sí tristi condizioni, di dover amare senza essere riamato. È tempo oramai che ti impadronisca del cuore di costei, sí che una volta cessi questo suo disdegno che non mi lascia menare una vita tranquilla come gli altri. E ti prego di far questo, perché, se per poco, versando in tali condizioni, la mia ferita si rinnova, allora la gentil pietra mi vedrà sepolto in poca terra, donde non mi alzerò che alla fine del mondo, quando potrò vedere se mai si è dato il caso sia vissuta una donna che, come costei, unisse alla bellezza un cuore freddo ed insensi

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me basta

bile verso chi l'ama. 1 [Al solito, il Poeta si rivolge alla canzone]: O canzone, io porto nella mente, dove Amor mi ragiona, una donna di sí grande bellezza, che, sebbene mi sia dura, quasi avesse cuor di pietra, mi dà baldanza ad ottenerne l'amore, dacché rispetto a lei mi par freddo ogni uomo. Per poco amore che ella mi porti, a sopra ogni altro che possa sorgere in cuor d'uomo; tanta freddezza mi è cara piú, che non qualsiasi caldo amore; (e cioè, un altro uomo desisterebbe da questi tentativi, io no; un altro uomo, trovandosi in queste mie condizioni, sarebbe freddo e non già caldo d'amore, come io sono). E appunto la speranza di poter vincere questa eterna indifferenza mi ha determinato a comporre questo nuovo genere di poesia che si manifesta dalla tua forma, o canzone, e che nessun altro poeta, prima di me, aveva pensato di scrivere,.

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E veniamo, finalmente, alla quarta ed ultima canzone “ Cosí nel mio parlar voglio esser aspro,, la quale degnamente corona il ciclo delle Rime Pietrose. Giacché è tanto

più bella nel suo genere in quanto, senza nessuno artificio di forma, raggiunge lo scopo che il Poeta si prefigge: mettere alla gogna la donna crudele, che, con le sue reiterate ripulse, è venuta torturandone cosí duramente l'animo. E nello stesso tempo, se badiamo a tutta quanta l'intonazione, e al vigore spontaneo di poesia che, in linguaggio ruvido ed

1 Di solito, gli ultimi due versi hanno la seguente interpunzione :

Quando vedrò se mai fu bella donna

Nel mondo, come questa acerba donna.

Io metterei una virgola fra questa ed acerba, sì che il verso resultasse:.... "Nel mondo, come questa, acerba donna,,, e l'aggettivo acquistasse una più sensibile sfumatura di significato.

"

2 È noto il gran valore che la presente canzone ha dal lato metrico: lo stesso Poeta nel De Vulgari Eloquentia (II, 13) pare se ne tenga molto, quando la chiama aliquid novum atque intentatum „. E non a torto, giacché fu egli il primo ed introdurre, dietro l'esempio di Arnaldo Daniello, nella poesia italiana il nuovo genere della sestina, che in questa canzone egli rende doppia (cf. pag. 101-102, n. 1 del presente lavoro). Della struttura ritmica parlano molto a lungo il BARTOLI (op. cit., pag. 291-295) e il GASPARY (op. e loc. cit.). Rimarrebbe quindi da parlare dell'ipotesi di G. M. Amadi; ma di questa parleremo fra poco, quando esamineremo la ipotesi nuovissima dell'IMBRIANI (cf. pag. 122 e seg. del presente lavoro).

energico, balza fuori da tutta la canzone, possiamo affermare che essa segna un motivo differente da quello che riempie di sé le rimanenti tre poesie. Nella terza infatti, il contenuto è interamente soffocato dall'artificio della forma, e la prima, pur avendo belle e naturali imagini accanto ad espressioni del tutto astronomiche, ha un contenuto tutto suo particolare; la sestina. "Al poco giorno, ed al gran cerchio d'ombra, finalmente, riprende, a dir cosí, con un andante misurato, il motivo della presente canzone, atteggiandolo in varia guisa. Sicché a buon Sicché a buon diritto il Carducci, a proposito di essa, osserva che ci voleva anche questa corrente di poesia per compiere nell'estatico amatore di Beatrice il Poeta futuro,.1 Par proprio di vederlo il Poeta, lí, che latra nel caldo borro d'amore, con le vene che gli battono tumultuosamente alle tempie e ai polsi, dimentico di tutto fuor che dell'affascinante e terribile bellezza dell'amata, a supplicare Amore perché tocchi alla crudele la stessa sorte che a lui; a lui, che, come spesso avviene in simili casi, è quasi trascinato a desiderare la morte di lei, che, a poco a poco, egli, quasi, odia. È degno di molto studio questo Dante, che gode della sua stessa piaga, che palesa tutta la sua calda e forte tempra di uomo nei versi terribili, nei quali desidera che Amore dia alla crudele "per lo cor d'una saetta Ché bell'onor s'acquista in far vendetta,. Essa, non solo, come bene osserva il Carducci, ci fa vedere l'uomo del secolo XIII che desidera con violenza, che sente forte l'amore come l'odio,, ma ci fa presentire il l'oeta sdegnoso e vibrante di vera passione umana nell'Inferno suo che tutto riempie di sé stesso; quasi starei per dire che Dante qui ci appare come un uomo del nostro secolo, dalla gigantesca attività mentale congiunta con quella, ancor piú febbrile, del senso. Ma, consideriamo piú dappresso la canzone. Il Poeta comincia col dichiarare che desidererebbe le parole che rivolge ad Amore, per rimproverarlo dell'indifferenza della donna amata, fossero aspre tanto quanto è aspra verso di lui, la bella crudele. La quale va diventando ogni giorno più crudele nel tempo stesso che, rinchiusasi tutta in un diaspro e da questo protetta, non corre mai il pericolo che una saetta lanciatale da Amore

1 Op. cit., pag. 206, 207.

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la colga ignuda (del diaspro), (cioè si innamori). Ed ella uccide anche senza pietà l'uomo che si attenti di amarla, e a niente vale che uno si chiuda nell'armi o si allontani dal tiro dei colpi mortali di Amore, perché questi, quasi fossero provvisti di ali, riescono a colpirlo, come quelli che non trovano resistenza alcuna nelle armi, di cui si è coperto l'amante per difendersi da essi. Egli, il Poeta, non può trovare arma che resista abbastanza ai mortali colpi che Amore, personificato nella bella crudele, gli vibra, né può in nessun modo sottrarsi alla vista di lei, perché sempre gli ritorna alla mente la sdegnosa beltà, che ormai si è impadronita di tutto l'esser suo. 3 Ella si mostra sempre indifferente verso l'infelice amante, dell'amore del quale fa quel conto che una nave fa del mare in bonaccia; epperò l'affanno che opprime il Poeta è tale che non potrebbe adeguatamente essere espresso per parole rimate, quali esse si fossero. [E qui l'amante, al colmo della disperazione, lancia un'invettiva vibrante di forte passione contro la donna amata che] quasi lima, assiduamente gli consuma la vita; e il Poeta le dice: Ordunque, perché mai tu non cessi di rodermi

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lo sguardo, il cuore mi trema per il timore, che nessuno s'accorga di questo mio amore: timore più grande di quello, dal quale io sarei invaso, se mi cogliesse la morte, che con i denti d'Amore già mi consuma ogni facoltà sensitiva. E questo fa sí che le mie virtú, affievolite da questa lotta ineguale, siano tarde ad operare. [Perciò da questa passione il Poeta è ridotto a mal partito] perché l'Amore, da cui egli sempre implora pietà, l'ha sbattuto a terra e gli sta sopra per ferirlo con quella spada della quale si serví per uccidere Didone; 1 l'Amore, il quale persiste nel non arrecare nessun soccorso alle calde invocazioni del Poeta e che, perverso, di tanto in tanto alza la mano armata della spada e mette a cimento di morte la oramai debole vita dell' innamorato; l'Amore che tiene il Poeta giú disteso in terra, dopo averlo ridotto alla impotenza di resistere. [Ora, ridotto in si tristi condizioni, il Poeta alla fine si ribella ad Amore]; nell'animo suo nascono strida e il sangue, che sparso corre nelle vene, fugge in fretta verso il cuore che lo chiama: epperò il viso del Poeta diventa esangue, pallido. L'Amore, infine, che ferisce l' infelice amante sotto il braccio sinistro [dalla parte ov'è il cuore, quindi il cuore] con tanta forza che il dolore prodotto dal colpo si ripercuote nel cuore; e allora l'infelice osserva tristemente: se Amore alza di nuovo la mano per vibrarmi un altro colpo, io sarò morto prima che egli sia riescito a ferirmi. [E qui nascono i "terribili scrosci d'ira contro la crudele donna, il terribile saettare di parole iraconde,]; la morte, a cui oramai io son tratto dalla

1 Fra l'Imbriani che sostiene anche qui Didone sia per Dante il simbolo della lussuria e il Bartoli che osserva: Didone è nominata nei versi affatto per incidenza, anzi per figura rettorica „, io sto con quest'ultimo. Giacché mi pare, che, come Didone perdutamente innamorata di Enea non riesce, per pregare che ella faccia, ad indurre a pietà l'amante crudele che l'abbandona, cosí Dante non riesce a piegare ai suoi desideri la donna sí vivamente desiderata: vi è dunque un riscontro di situazione psicologica, su per giú lo stesso stato d'animo fra il poeta e il personaggio cosí finemente tratteggiato da Virgilio. Del resto, anche il Casini nel suo commento alla Divina Commedia (Inf., V, 85) osserva alle parole "la schiera, ov' é Dido": "la turba dei lussuriosi, o piuttosto la schiera di quelli, che peccano non per brutale sensualità, ma per una violenta passione, di modo che la nobiltà dell'animo loro non fu del tutto corrotta, ; e il Serafini benissimo interpreta il verso dantesco: "Con quella forza di amore violento che spinse Didone ad uccidere sé stessa,.

funesta sua bellezza non mi sembrerebbe crudele se potessi vedere Amore ferire con un suo dardo nel mezzo del cuore lei (questa assassina micidiale e latra), che squarcia continuamente il cuor mio e continuamente attende a vibrarmi le sue mortali saette. ["Oh! se ella.... sentisse il fuoco che brucia il Poeta; se gli lasciasse saziare il desiderio. che lo arde di lei: il lungo desiderio fatto ogni giorno piú acre dalla vista della sua bellezza voluttuosa!'], Ahimé, perché ella non latra nel cocente burrone di Amore per me, come io latro per lei? [e qui vi è un passaggio da questo al pensiero seguente, che tutti i commentatori non hanno bene avvertito e che a me pare sia: ella, cadendo nel burrone amoroso, quasi sottosterebbe ad una sventura, perché sventura si può ritenere quella di essere in preda ad una violenta passione. Perciò il Poeta esclama]: io súbito accorrerei in suo soccorso, e lo farei ben volentieri.... allettato come sono dai biondi capelli [forse, osserva il Poeta, almeno di questa mia sollecitudine ella mi sarà un po' grata!] che Amore per eterno mio tormento rende ogni giorno più belli col farli diventare riccioluti e biondi; e tufferei le mie mani in quella massa vivente, cosí alla fine saziando la mia voluttà. [" E il pensiero di tuffare la mano febbricitante in quelle chiome, di tenersele avvinghiate, di pascersi di voluttà coi proprî occhi vicini e fissi negli occhi di lei; il pensiero, il sogno, l'ebbrezza del trionfo,, fanno vaneggiare il Poeta, e prorompere cosí :] Se io riescissi ad afferrare le bionde trecce, 3 le quali ora mi tormentano quasi fossero scudiscio e sferza, le terrei da mane a sera. E con esse non sarei punto cortese, che anzi mi comporterei come l'orso quando scherza; e, se Amore si serve di essi (capelli) quasi di sferza per infliggermi crudele tormento, io col tenerle in mio potere cosí a lungo, assaissimo di ciò mi vendicherei. E vendetta anche farei degli occhi, dai quali escon fuori gli sguardi (faville) che infiammano il cuor mio ferito mortalmente; degli occhi, che sempre mi sfuggono, mi vendicherei, guardandoli davvicino fissamente, intensamente. Alla fine, la lascerei tranquilla, contento di avere,

1 BARTOLI, op. cit., vol. IV, pag. 204.

2 BARTOLI, op. cit., vol. IV, pag. 214.

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3 Sono i biondi capelli che Amore increspa e dora della strofa precedente, e il crespo giallo della sestina.

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