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in qualche modo, saziato l'ardente sete d'amore. [Ora il Poeta si rivolge alla Canzone, che invita ad] andarsene difilato dalla crudele che l'ha di sé innamorato, e che non gli è mai cortese di uno sguardo; e a scagliarle nel cuore insensibile una saetta, ché bell' onor s'acquista in far vendetta!

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Cosí, con questo concetto che si stenta un po' a credere sia del cantore gentile della celestiale Beatrice, si chiude il ciclo delle Rime Pietrose. Esaminate singolarmente le quali, possiamo venire alle seguenti conclusioni: I.) Esse furono certamente composte avanti l'esiglio: questo non già per quell'argomento futile che il De Chiara, seguendo l'Imbriani, adduce, che, cioè, non si può ammettere siano state composte durante l'esiglio, non essendovi una sola allusione a quel fatto: e Dante non avrebbe certamente tralasciato di ricordarlo, anche per rendersi, come suol dirsi, più interessante agli occhi dell'amata,. A questo argomento, infatti, contra. stano in ispecie due importanti ragioni; la prima è certamente quella apportata dal Carducci, che cioè ripugna ammettere nella sventura sua e della sua parte, nell'ardore delle speranze novamente concepite e nell'amarezza pei disinganni sopravvenienti, in quella vita cosí operosa ed agitata, in quegli errori d'uno in altro paese, con in mente e in cuore la Divina Commedia, trovasse tempo e tenesse degno di sé il latrar nel caldo borro.... d'una passione veementemente sentita e sensualmente significata La seconda ragione, finora forse non abbastanza apprezzata, è la seguente; il contenuto, l'indole generale delle Rime cosí dette Pietrose, l'occasione che spinse il Poeta a comporle e, in ispecial modo, i motivi ricorrenti in esse, tutti sostanziati di una sensualità acuta, quasi direi morbosa, e di una noncuranza delle convenienze sociali anche allora pur troppo esistenti, inducono nella persuasione che e canzoni e sonetti, composti in onore della bella Pietra, cadano appunto in quel periodo deila vita di Dante, non privo neanch'esso di una certa attività letteraria, ricco, poi, di amori e di avventure, direm oggi, galanti; nel periodo, voglio dire, forse non a torto chiamato del Traviamento „.

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Questo tempo, il tempo critico della vita di Dante, caratterizzato in maniera peculiarissima

1 Op. cit., pag. 210.

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dalla Tenzone con Forese Donati, e che stanno a testimoniare il sonetto che a Dante rivolse Guido Cavalcanti, quelli che a Dante stesso indirizzarono Cecco Angiolieri e Cecco d'Ascoli, e gli accenni che il Poeta stesso ne ha lasciati in piú luoghi della sua Commedia, io ritengo abbracci un lasso di tempo un po' più breve di quel che comunemente si crede. Ne hanno fissati i termini estremi fra gli anni 1290 e 1300; io propenderei a credere migliori le date del 1290 e del 1296, come quelle che son delimitate da due avvenimenti ben certi: il 1290 muore Beatrice, l'amore per la quale aveva potuto infrenare nel Poeta il violento scoppio delle giovanili passioni; e il 12965 muore Forese Donati, il compagno della vita assai godereccia e moralmente sgregolata, che Dante visse negli anni che seguirono dappresso la morte di Beatrice. Orbene, sbaglieremo noi ascrivendo a tale tempo il furoreggiare passionale, dal quale il Poeta è tutto preso e che egli ci rivela appieno nelle Rime Pietrose? Le su dette testimonianze non formano forse una degna cornice, un adeguato ambiente, in cui l'amore per la bella Pietra nacque, visse e forse morí? Per parte nostra, confessiamo che non sapremmo in quale

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BI M., Della pretesa incredulità di Dante in Giornale storico della Lett. Ital., vol. XIII SUCHIER, Über die

Tenzone Dante's mit Forese Donati in Miscellanea di Filologia e linguistica in memoria di N. Caix e U. Canello, 1886, Le Monnier, Firenze, pag. 289 e seg. CHINI M., Un'ipotesi su Alighiero di Bellincione estr. dai quad. IV-V, an. VIII (serie III, vol. II) del Giornale dantesco, diretto da G. L. Passerini, Firenze, 1900.

2 Per quest'ultimo, vedi in TALLARIGO e IMBRIANI, Nuova Crestomazia Italiana ecc., vol. I, pag. 161-162, parecchi luoghi dell'Acerba, in cui lo STABILI mette in caricatura le canzoni erotiche di Dante, e spesso felicemente, e gli rimprovera di aver millantato con le donne.

3 Purg., XXIII, 48 e seg., 115 e seg.; XXX, 121 e seg.; XXXI, 22 e seg.; 49 e seg.

4 Rammentiamo i versi (Purg., XXX, 121 e seg.).
Alcun tempo il sostenni col mio volto;
mostrando gli occhi giovinetti a lui,
meco il menava in dritta parte volto.
Sí tosto come in su la soglia fui

di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui ecc.

5 Forse è preferibile il 1295, nel quale anno Dante sposò Gemma Donati, e, forse, per quell'anno e il seguente, fu un uomo virtuoso.

6 BARBI, loc. cit.

7 Ritorneremo su questo importante argomento, quando verremo a parlare dell'ipotesi dello Zenatti,

altro periodo della vita di Dante meglio collocare queste poesie giovanili, questi versi di chi non ha altro in capo che la passione. II.) Queste poesie furono composte di inverno, come si scorge chiaramente da piú luoghi di esse, e propriamente di gennaio; in una campagna montuosa; per un amore che, ben osserva il De Chiara in opposizione all' Imbriani, si dovette accendere di estate; e non già di primavera, specie per via di quel desiderio d'ombra, che troviamo spesso rammentato nella sestinaAl poco giorno ed al gran cerchio d'ombra,. III.) Sono dirette ad una donna, e non ad una fanciulla; ad una donna, con la quale il Poeta dovette essere in una certa familiare dimestichezza: altrimenti non ci sapremmo spiegare come egli potesse tanto insistere nelle sue domande d'amore dopo le sdegnose ripulse di lei. Tutto questo viene ad essere confermato non già dalle speciose ragioni apportate dall' Imbriani, sibbene dall'intonazione generale delle Rime. - IV.) Infine, io credo che non molto bene finora siano state chiamate Pietrose queste Rime, per la semplicissima ragione che il ritornello della Pietra, dove piú dove meno frequente in esse, nulla prova da solo; cioè non prova affatto che la parola pietra sia da ritenersi fermamente come un nome proprio. È vero: ci è stato G. M. Amadi, il quale al nome ha aggiunto anche il casato; ed è vero anche che V. Imbriani ha dimostrata del tutto inconsistente la corrispondenza del nome e del cognome della donna amata da Dante Alighieri: madonna Pietra degli Scrovigni, padovana, che i documenti ci mostrano essere vissuta in quel tempo, e ci è dipinta come studiosa e coltissima fra le sue contemporanee. Ma è altrettanto vero che, non ostante ciò, si è continuato, chi più chi meno, a credere nell'esistenza di una donna amata e cantata da Dante nelle presenti Rime, a nome Pietra; anzi, come è noto e come meglio vedremo fra poco, l'Imbriani stesso sostituisce alla Pietra degli Scrovigni una piú reale e, secondo lui, verace Pietra di Donato di Brunaccio, cognata del Poeta!

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Ma, non discutiamo ora la bontà della sostituzione; di questa e di altre cose parleremo a suo tempo; l'importante, ora, è assodare che, assolutamente, la donna cantata nelle Ri

1 IMBRIANI, op. cit., pag. 487.

2 IMBRIANI, op. cit., pag. 427-45, 485-90.

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me, chiamiamole pure Pietrose, non può da noi essere chiamata Pietra. Giacché, in mancanza di altre prove, sta il fatto indiscutibile che, spessissime volte, il Poeta teme non si capisca quale sia il vero nome della donna che l'ha ammaliato con la sua insensibile, grande bellezza. Di maniera che, ogni volta che egli adopera la parola pietra, questa si deve ritenere come un nome comune, non già come un nome proprio. Ammetto benissimo anche io, come vuole l'Imbriani, 3 che Dante si compiace di bisticci, servendosi appunto della parola pietra; bensi, salvo che non si voglia tenere conto alcuno delle esplicate affermazioni del Poeta, noi non possiamo recisamente concludere che Pietra si chiamasse la donna che Dante canta in queste sue poesie. Le quali diciamo pure, come finora si è fatto, Pietrose; ma si avverta che cosí le definiamo tenuto conto del loro contenuto piú che relativamente alla persona ispiratrice di esse. Se in tal modo intenderemo il titolo, ormai invalso, delle presenti Rime, avremo tolto un equivoco leggero sí, ma inutile e forse dannoso: ché gli equivoci, in verità, sono sempre dannosi! E tanto piú dannoso in quanto che, nel nostro caso, nessuno, che io sappia almeno, ha creduto utile rinfrescare l'opinione del Bartoli a proposito appunto del titolo dato a queste canzoni, desunte dalla parola Pietra, della quale il Poeta fa un uso abbastanza frequente. Osserva giustamente il Bartoli: ".... non è Pietra il nome vero della donna amata, ma bensí un nome esprimente al solito le qualità, che diremo predominanti in lei. E poi, egli continua," non potrebbe essere per un'altra ragione più forte ancóra: cioè per esplicita dichiarazione del Poeta, il quale nella quarta canzone insiste nel non volere che altri conosca chi sia la donna ch'egli ama; dunque non è supponibile ch'egli abbia gittato là, aperto a tutti, il nome vero della donna. Infine, domando io, che cosa. veramente vuole il Poeta, scrivendo queste canzoni? Nient'altro che rimproverare all'amata l'eccessiva crudeltà a suo riguardo, e pregare Amore che interceda in suo favore; quindi a ragione all'aspro parlare della quarta canzone, ad es., dove ribolle tanto fu

1 Cfr., specialmente, la Canzone "Cosí nel mio parlar voglio esser aspro „.

2 Cfr. pag. 115, nota 2 del presente lavoro.
3 Op. e loc. cit.

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rore e tanta sensualità, non si poteva adattare nome piú acconcio che quello di Pietra. E ora, passiamo ad esaminare la ipotesi di V. Imbriani.

III.

La ipotesi di V. Imbriani'

Dai pochi accenni che vi ho fatto durante l'esame delle canzoni, i lettori avranno capito, se pur già non ne fossero informati, in che cosa consista la novità dell'ipotesi messa fuori dall' Imbriani. Secondo lui, Dante avrebbe innestato nella Divina Commedia l'episodio di Paolo e Francesca, perché in quella misera storia d'amore vedeva rispecchiato un triste periodo della sua vita; si sarebbe commosso dinanzi ai due sfortunati amanti, perché il loro caso gli faceva ricordare l'amore da lui portato alla cognata sua, Pietra di Donato di Brunaccio moglie del fratello Francesco; a questa donna egli volle alludere nelle Canzoni Pietrose. Come ipotesi sia pure tirata con gli argani, va; e, ipotesi per ipotesi, a molti è piaciuta piú questa dell'Imbriani che quella dell'Amadi; tanto è vero che, finora, almeno per quanto io sappia, nessuno se n'è occupato se non per dire che è una ricostruzione stramba e cervellotica; ma di argomenti in contrario.... neppur l'ombra! Giacché, quanto poi al prestarvi fede, è un altro paio di maniche! Del resto, si chiamava Pietra l'una e l'altra donna; e Dante può avere alluso, nelle Canzoni Pietrose, tanto all'una quanto all'altra, come, molto probabilmente, può non avere alluso a nessuna delle due! Se non che, giova al mio assunto considerare più particolareggiatamente l'ipotesi dell'Imbriani, e assodare, una buona volta, se merita di essere tenuta in considerazione, oppure se, anch'essa, debba fare il paio con quelle mésse fuori dagli altri studiosi. L'A., innegabilmente, fin dalle prime pagine si sforza di apparecchiarsi il terreno e di aprirsi la via alla sua ipotesi che poi, in fine, vien fuori in tutta la sua bizzarra stranezza. Il principale difetto di essa risiede in questo: piú che sulle conclusioni alle quali si viene dopo un esame spregiudicato delle canzoni, si fonda sull'in

1 Op. cit., pag. 490-528.

terpretazione dell'episodio dei duo cognati, Paolo e Francesca. Tutte le opinioni dei commentatori antichi e moderni sono da lui riferite, anche quando non giovano al suo assunto; bensí, l'argomento principale addotto è quello, per cui l'A. vuole, ad ogni costo, dimostrare che Dante, non solo ha giustificato, ma ha punito piú leggermente i lussuriosi e, fra questi, i rei d'incesto. Dunque, conclude l'Imbriani, il Poeta si trovò in un pericolo simile córso da Paolo e da Francesca. E perciò egli si dilunga a rifare la storia dell'amore dei duo cognati; paragona l'episodio della Ravennate a quello della Pietra, e, fatte alcune buone considerazioni sulle opinioni manifestate dai varî commentatori, conclude che la donna cantata da Dante nelle "Rime Pietrose, è Pietra di Donato Brunaccio, sua cognata e mogliera del suo fratello consanguineo Francesco.

Un primo argomento contro questa ipotesi (lo sviluppo assai complicato della quale sarebbe troppo lungo star qui ad esporre) potrebb'essere, se non mi inganno, il dubbio or ora espresso, sulla scorta del Bartoli e sulla testimonianza di parecchi passi delle canzoni stesse: che cioè Pietra non sia il nome della donna cantata. Quanto poi all'argomento che, come ho detto, serve di pietra angolare all'edificio innalzato dall'Imbriani, già A. Lubin ' osservò che, tra il Dionisi che tutto negò e il Fraticelli che afferma Dante non essere mai stato un libertino, sebbene avesse altri amori, c'è da andar d'accordo con quest'ultimo, e che il viaggio del Poeta per i tre regni può dirsi una continua confessione di peccati. Dice acutamente il Lubin: "Ricordiamoci che i per suoi peccati e gli errori suoi, egli stava per perdersi eternamente, quando nel mezzo del cammin di sua vita, si risvegliò in una selva Oscura e tentò ritornare sulla diritta via. Dunque egli non era interamente perduto e, per grazia celeste, per l'eterno cammino della morta gente, ei poté redimersi, perché non aveva peccato ancóra mortalmente. Ma Dante è uomo e mortale, e quale uomo, sia pure d'ingegno altissimo, non ha una volta in vita sua peccato d'ira, di superbia,.... e via dicendo, senza però lasciarsi dominare affatto. da uno di questi vizî capitali? Le pene dell'Inferno non lo toccano personalmente se non

1 Giornale dantesco diretto da G. L. PASSERINI, 1895, pag. 368 e seg.

in quanto agli affetti, e secondo che vi è tocco più o meno vivamente, piange e si sdegna, e quando il segno trapassa, è rimproverato da Virgilio....; ma egli ci fa sapere che più grave fu in lui il peccato d'amore. Pervenuto al ripiano settimo ed ultimo del Purgatorio, alla spirituale qui s'aggiunse la pena corporale...., mentre nulla ebbe a soffrire dalla bufera infernale che travolge Francesca e Didone; anche in questo dunque egli non peccò mortalmente, ma aveva peccato gravemente da meritare pena piú forte „.

Pare strano, poi, che nel corso della sua argomentazione, l'Imbriani non abbia ben tenuto a mente un fatto. Dopo aver detto che le canzoni furono scritte in campagna, tra l'inverno e la primavera; che i fratelli Alighieri avevano una villa tra i colli fiesolani; e che, perciò, il Poeta aveva modo d'importunare la cognata quand'egli volesse, la quale, per amor della pace, per non fare scandali, pur non potendo allontanare il Poeta, gli resisteva, ecc.; vien fuori con questa considerazione: "allora comprenderemmo tanto studio di occultare il subietto dell'amor suo e la paura, che altri potesse indovinarlo o sospettarlo..., Come? ma se Dante, appunto secondo l'Imbriani, che crede sia Pietra il nome della donna, questa parola ripete fino alla noia! come mai, pertanto, in questo caso si può dire che il Poeta si sforza di nascon dere il subietto dell'amor suo? se Dante dice esplicitamente e a più riprese: "Pietra si chiama la donna, la quale cosí crudelmente meco si comporta!, E andiamo innanzi. E troviamo che, anche quando l'Imbriani osserva che il novum aliquid et intentatum delle Rime Pietrose di che Dante tanto vantavasi, deve intendersi non solo del ritmo, ma del contenuto, giacché qui è l'incesto messo in rima per la prima volta, a ragione A. Lubin obbietta che l'Imbriani dimenticò altri poeti che avevano cantato di peggio; e a questo proposito cita il turpe (e a me pare si dica poco) sonetto di L. Farinata degli Uberti in risposta alla ballata di G. Cavalcanti " In un boschetto trova' pasturella,; ballata e sonetto che è bene riportare: 2

In un boschetto trova' pasturella:
piú che la stella è bella al mi' parere:

Op. e loc. cit.

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2 Si trovano in Rime di Guido Cavalcanti, pubbl. dal prof. N. ARNONE, Firenze, Sansoni, 1881, pag. 81-82.

chauelli avea biondetti e ricciutelli,

e gli occhi pien d'amore, cera rosata. con sua verghetta pasturau' angnelli; scalça, di rugiada era bangnata, cantaua come fosse 'namorata, er' adornata di tutto piacere. D'amor la salutai 'ncontenente, e domandai s'auesse compagnia. Ed ella mi rispuose dolcemente, che sola sola per lo boscho gia, e disse: sacci, quando l'augel pia, allor disia 'l me chor drudo auere. Po' chemmi disse di sua condicione, e per lo boscho augelli audío cantare, framme stesso dissi: or' è stagione di questa pasturella gio' pilghiare. Mercé le chiesi sol che di basciare e d'abbracciare se le foзse 'n uolere. Per man mi prese d'amorosa uoglia, e disse che donato m'avea 'l chore, menommi sott'una freschetta folgla, là dou'io uidi fior d'ongni colore, e tanto mi sentío gioia e dolçore, che die d'amor[e] paruemi vedere.

Guido, quando dicesti pasturella, vorre' che auessi dett' un bel pastore: chessí conuen ad om che uogl'onore se uol cantar uerace sua nouella. tuttor auea uerghetta piacent' e bella; pertanto lo tu' dir non à fallore; ch'i' non conoscho re né, mperadore, che no l'auesse agiata camerella. Ma di un, che fu tuh' al boschetto, il giorno che si pasturan gli agnelli che non s'auide se non d'un ualletto, che caualchaua ed era biondetto, ed auea li suo' panni corterelli; però rasetta, se uuo', tuo motetto!

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Se non che, è tempo, oramai, di addentrarci nell'esame vero e proprio della nuova ipotesi di V. Imbriani. Questi non fa conto alcuno di un fatto importantissimo. Francesca, sia pure suo malgrado, riamò Paolo. Possiamo noi dire, con alcun fondamento di veesista rità, che nel caso che ci occupa questa corrispondenza della donna all'amore dell'uomo di lei fortemente innamorato? E pure l'Imbriani, il quale non sa trovare la ragione che determinò Dante ad inventare e a dipingere con tanta efficacia i particolari dell'innamoramento di Paolo e di Francesca, con grande disinvoltura cerca di appianare ogni difficoltà, supponendo che "Dante senta, 1 dalla bocca della Francesca, la propria storia; che la Francesca, raccontando quanto si finse accaduto fra lei e Paolo, venga a dirgli quanto, suppergiú, era avvenuto, anche fra la

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Pietra e lui Dante.... Quella scena con cui Dante ha scusato innanzi alla posterità, per tanti secoli, e scuserà, in eterno, le sozzure (?!) della coppia di Arimino, scusava agli occhi suoi il proprio errore; si discolpa con le attenuanti, con le scusande. Era colpa sua d'avere il cor gentile? Era colpa, nella Pietra, se amore a nullo amato amar perdona (?!),

....

"

Né le sue contraddittorie supposizioni si fermano qui; l'Imbriani continua ad osservare: ‘........ né, quando fossero vere [queste sue ipotesi], potrei determinare fino a che punto giungesse la tresca di Dante con la cognata....1 Alla quale osservazione si potrebbe obiettare, in primo luogo, che la tresca di Dante con la cognata è logico non sia potuta arrivare fino al punto al quale arrivò la tresca di Paolo e Francesca, perché, altrimenti, Dante non avrebbe scritte le Rime Pietrose, ovvero non le avrebbe scritte tali quali noi le abbiamo. In secondo luogo, poi, se non m'inganno, la parola tresca significa: relazione corporale illecita fra uomo e donna che si amano vicendevolmente. Ora, è chiaro che, nel caso nostro, uno dei due elementi necessarî ed indispensabili viene a mancare, giacché la Pietra non amò mai il Poeta. Di maniera che è lecito fin d'ora affermare che tutta la congettura dell'Imbriani, che per lui, cammin facendo, diventa quasi una realtà, sin dal principio si mostra destituita di stabili fondamenta.

Noi vediamo, infatti, che nello studio dell'Imbriani, pregevole sotto molti aspetti, non mancano contraddizioni e gravi inesattezze, nelle quali l'A, incorre, in gran parte, per sostenere la sua nuova ipotesi. nuova ipotesi. Lasciando stare le inopportune osservazioni concernenti la famiglia degli Scrovegni, e le parole tendenziose (a pag. 445): " mi pare inoppugnabile

che le Canzoni Pietrose fossero scritte in patria e prima dell'esilio,, non posso fare a meno di rilevare la falsità delle parole ".... le frasi a doppio senso, equivoche, bisticciose, bastano ad indicare, che tante pietre alludono ad un nome di donna, il quale quindi non può non essere se non pietra, ;3 e ancóra: 4 "sarebbe mala fede e preconcetto caparbio il negare che le tante pietre di alcune Can

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zoni Pietrose alludano ad un nome muliebre; e cosí facendo rimarrebbero senza valore e senza sapore molte frasi, come, ad es., mi torrei dormir su pietra Tutto il mio tempo.... есс. La quale questione, per avervi già accennato abbastanza largamente, non sto piú a considerarla; solamente osservo che, anche in questo caso, l'Imbriani si limita a studiare e ad esporre le ragioni negative, e non fa conto alcuno degli argomenti positivi che si possono apportare contro la sua tèsi. Del resto, poco più oltre, egli vuol dare per dimostrata una cosa che addirittura è da dimostrare, quando afferma che le canzoni "furono scritte in un medesimo tempo, in una stessa disposizione d'animo,; e vuole spacciare per profonda psicologia amorosa queste considerazioni affatto soggettive e inadatte a spiegare un fenomeno, che trova la sua vera spiegazione nella propria natura passionale, morbosa: 3 "sembra innegabile, che le Canzoni Pietrose siano documenti di una passione vera, prodotto d'una vernata tempestosa...., in cui per calmarsi, per distrarsi (!), quasi imponendosi de' rompicapi, tentò metri ardui e complicati, novità di rime intrecciate e ripetute, nel badare alle quali si calmava alcun poco il sangue bollente (!). La sestina semplice e la canzone del 'parlare aspro furono problemi artistici (!), ch'egli si propose, per isvagare il pensiero dall'idea fissa e dominante,,. 4

E, gira e rigira, l'Imbriani torna sempre a battere sullo stesso chiodo della pretesa identificazione tra la cognata del Poeta e la donna cantata nelle Canzoni, e, pertanto, continua a fare il Cicero pro domo sua.... piú vero e maggiore! Dice l'Imbriani, a proposito del verso “Ed ella ancide, ecc.... della canz. "Cosí nel mio parlar voglio essere aspro „: " Certo, una lunga lontananza e compiuta ed attiva cancella ogni passione amorosa per quanto salda..... Il non trovar luogo che nasconda e ripari l'amante, sebbene dai poeti si dica generalmente, in modo enfatico, nella realtà vuol dire, non già che non ci sia luogo alcuno

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