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fra mille incertezze, attribuendogli cose che mai, forse, egli si sognò di fare e di dire.

Cosí, noi vediamo, ad esempio, che, incontrando nel Canzoniere la ballata: "Io mi son Pargoletta bella e nuova„, se ne conclude -- la conclusione confortando di importanti raffronti (!) con passi della Divina Commedia che Dante amò una giovinetta cui détte il nome di Pargoletta, e poche parole bastano per abbozzare un romanzo che Dante avrebbe filato con essa; la Pietra, la bella e dura Pietra, non può non essere una signora o (come altri recentemente vuole) una signorina, chiamata Pietra, ecc... Eppure, appunto perché Dante ne tace il nome, non si può, non si deve credere che Pietra si chiamasse la donna, e, pertanto, molto arrischiata è ogni congettura sulla sua personalità. La quale, se non si vogliano fare delle ipotesi sul genere di quelle esaminate nel presente lavoro, dobbiamo rinunziare, per ora, a conoscere, come pur troppo, tante altre cose nella vita di Dante. Salvo che, dico, non si vogliano ridurre i pretesi molti amori di Dante a questo violentissimo per donna viva, ed all'altro per la Donna Gentile;' salvo che, infine, tutte quante le ipotesi concernenti la donna cantata nelle Rime Pietrose, specialmente quelle che tendono a identificare, ad unificare, per dir cosí, le varie donne da lui amate, in una, o, al piú, in due, non portino (e non paia esagerata questa mia opinione!) a credere che, in realtà, Dante, nelle liriche di indole amatoria (giacchè nelle poesie non rientranti nel ciclo beatriciano ve n'ha di quelle assolutamente allegoriche) volle cantare l'unico altro amore che ebbe dopo la morte di Beatrice, in un modo tutto suo particolare. Mi spiego: si può forse ritenere che Dante abbia distribuito, in gradi assai poco uniformi, costituiti dalle varie poesie di argomento prettamente erotico, le fasi dell'amore per l'altra donna, che egli amò oltre a Bea

1 Cfr. LUMINI, La Beatrice di Dante: Suc rivali, suo trionfo in Giornale dantesco, 1895, pag. 368 e segg.

trice. Di guisa che tutte le ipotesi possono farci ammettere: 1° che Dante si sia fortissimamente innamorato di un'altra bellissima donna, dopo la morte di Beatrice, giust'appunto nel cosí detto periodo del traviamento; 2o che egli abbia cominciato a cantarla nelle gentili e soavi poesie "dolce stil nuovo, che costituirebbero il ciclo delle Rime per la Pargoletta; 3° e che poi (qui sta il difficile, veramente) a mano a mano che questa passione, a fondo sempre sensuale, notisi bene (diremmo anzi, con lo Scheffer-Boichorst, animale), aumentava in Dante nella stessa misura che diminuiva, o, meglio, nessun reale progresso faceva nella donna amata, 2 il tono della poesia va diventando dapprima meno delicato, meno "dolce stil nuovo per assumere, infine, l'intonazione feroce, della quale sono piene le Rime Pietrose. Questa, io credo, può essere l'ipotesi che concilia in una giusta armonia le contrarie opinioni. Ma, voglio essere sincero, non sarei forse alieno, io per il primo, dal ritenere che questa ipotesi conciliativa, come suole avvenire dei mezzi termini, non regge gran fatto e, in ispecial modo, finisce con lo spiacere a tutti. Cosa naturalissima, d'altronde: tanto piú, poi, naturale per me, che in verità non saprei trovare, nello stato attuale della questione.... pietrosa, parole piú adatte per concludere queste mie pagine sulle Rime Pietrose.

Firenze, 1903.

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ANTONIO Abbruzzese.

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1 Non esclusa, naturalmente, la poesia Deh! Violetta ecc., e quelle altre - compresa, a voler essere di manica larga l'Era tutta soletta ecc. che lo Zenatti afferma esistere in codici del '400 e tali da essere attribuite a Dante, e in onore sempre della solita Pargoletta. 2 La quale - notisi bene anche questo dato di fatto fuor che nella ballata Era tutta soletta ecc., mai accenna esplicitamente all'aver contraccambiato l'amore del Poeta e nelle Rime Pietrose propriamente dette e in tutte quelle che, per l'accennare che fanno ad un amore realistico, possono essere riferite appunto alla donna cosí amata da Dante.

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UNA " CRONACA, DEL TRECENTO

E L'EPISODIO DANTESCO DI GUIDO DA MONTEFELTRO

Il Chronicon fratris Francisci Pipini, su cui intendo richiamare l'attenzione del lettore, non è ignoto a' cultori di storia né agli studiosi di Dante: pubblicato, in parte, nel 1726 dal Muratori, ha reso finora buoni servigi alla storiografia medievale e all'esegesi dan

tesca.

Le scarse notizie dateci dal Muratori intorno alla vita e alle opere di fra Pipino nelle prefazioni al Chronicon e al Liber de acquisitione Terrae sante di Bernardo Tesoriere 2

3

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sono

tradotto dallo stesso Pipino, che ne fece il XXV libro del suo Chronicon state, or non è molto, arricchite dalle industri ricerche di Luigi Manzoni, e vagliate e coordinate da una delle menti piú acute che oggi vanti la critica nostra, da Francesco d'Ovidio; tuttavia non poche sono le lacune da colmare e le ombre da far scomparire.

Francesco Pipino di Rolando, nato a Bologna verso il 1247, abbracciò l'Ordine de' Predicatori nel cenobio di san Domenico, in cui fu archivista dal 1272, e vice-priore nel 1295. Si vuole che nel Capitolo generale del 1302 gli fosse assegnata l'obbedienza di tradurre dal volgare in latino i viaggi di Marco Polo, e anzi il Manzoni crede che questa traduzione sia stata presentata, insieme col Chronicon, al Capitolo generale del 1315; ma sta di fatto che nel Chronicon ricorrono accenni posteriori al '15, mentre nessun documento prova la richiesta capitolare. Egli ebbe ardentissima la passione de' viaggi, e nel 1320 intraprese un lungo giro in Oriente, visitando Costantinopoli, la Siria, la Palestina, l'Egitto.

1 SS., IX, 587-752.

2 Ib., VII, 659-663.

3 L. MANZONI, Frate Pipino da Bologna dei padri Predicatori, geografo, storico e viaggiatore, in Atti e memorie della r. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, Bologna, II! serie, vol. XIII, pagine 256-334, e piú diffusamente nell'estratto a parte.

4 F. D'OVIDIO, Studii sulla " Divina Commedia Salerno, Sandron, 1901, pagg. 67 e segg., 533 e segg.

1

Frutto di questo viaggio è il suo Itinerario in Terra santa, documento assai importante per la storia e la geografia del sec. XIV, che, se non il primo tra i viaggi ai Luoghi santi che sino a oggi sia pervenuto a noi,, come dice il Manzoni, è certo uno de' primi. In un atto a rogito del Notaio bolognese Francesco di Luca Bambagioli, de' 23 luglio 1325, un frate Barnaba interviene come procuratore di Pipino, existempte in dictis partibus oltremarinis; non sappiamo però se il frate viaggiatore vi si trovasse fin dal '20, o vi si fosse recato un'altra volta, quasi ottuagenario. Dopo il 1325 non si hanno piú notizie di lui; ma, quali che siano stati precisamente gli anni della sua nascita e della sua morte, è certo che egli fu contemporaneo di Dante nel senso più stretto della parola.

Il Chronicon fu scritto, o, meglio, compiuto intorno agli anni 1318-19; non prima, perché come ha giustamente osservato il D'Ovidio l'A., accennando a Giovanni XXII, “fa una punta fino al novembre del '17, ed anche con tali termini da farci intendere che egli ne scriveva a una certa distanza di tempo: Avinione ubi et ipse tunc Curiam habebati ma non più tardi del 1320, perché nessun documento ci prova e nessun indizio ci fa supporre che fra Pipino dopo il '20 avesse altre occupazioni all'infuori de suoi viaggi e del suo Itinerario.

2

Edito in parte dal Muratori, il Chronicon è contenuto in un antico codice membranaceo dell'Estense, ritrovato ora dal Manzoni, e comprende un periodo di storia molto lungo, dall'origine, cioè, de' Re franchi sino alla morte di Arrigo VII e di Clemente V. Esso,

1 Op. cit., pag. 280. Il Manzoni dimentica che Marin Sanudo, il vecchio, presentò a Giovanni XXII il Liber secretorum fidelium Crucis super Terrae sanctae recuperatione et conservatione il 1321. Vedi P. AMAT DI S. FILIPPO, Biografie de' viaggiatori italiani, Roma, 1882, vol. I, pag. 81.

2 D'OVIDIO, op. cit., pag. 544

dice il Balzani, "rappresenta una tendenza letteraria dell'Ordine domenicano, il quale, inteso alla predicazione e alle controversie, aveva bisogno di vaste compilazioni che facilitassero una certa erudizione, abbracciando in copia grande avvenimenti tratti dalla Scrittura, dalle storie, dalle tradizioni, propriamente enciclopledie storiche mescolate di vero e di leggende, .'

Per la parte antica quindi il Chronicon ha poco valore, e però il Muratori diede alla luce solo gli ultimi libri, che comprendono circa un secolo e mezzo di storia (1176-1317), e che, riferendosi a' tempi più vicini all'A., hanno in molti luoghi importanza e autorità notevoli. I precedenti non sono che una specie di antologia storica, compilata sulla varie fonti medievali (Eginardo, pseudo-Turpino, Landolfo, Martin Polono, Goffredo da Viterbo, Ricobaldo da Ferrara, Morena da Lodi, ecc.) ora sí, ora no citate da Pipino. Del resto, nemmeno i libri riprodotti dal Muratori sono tutti originali; vi si riscontrano per esempio - brani di Vincenzo Bellovacense e di Marco Polo trasportativi di peso, mentre Ricobaldo ferrarese viene talvolta saccheggiato senza che il suo nome compaia nemmeno in un inciso. 2

Tuttavia, l'ultima parte del Chronicon, per quale il Manzoni promette un'edizione con alcuni documenti importanti che contiene, per l'esposizione di fatti contemporanei o di poco anteriori alla vita dell'A., e per una certa indipendenza coscienziosa che vi alita dentro, fu a giusta ragione divulgata dal Muratori, che la reputò non minus utilitati, quam delectationi legentibus esse futuram „.

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Utile certamente è stata la cronaca di Pipino all'illustrazione di parecchi passi danteschi, sebbene i commentatori l'abbiano conosciuta tardi, e qualche critico odierno abbia

1 Le Cronache italiane del medio-evo, Milano, 1900, pag. 251.

2 Si può avere un'idea de' plagi di Pipino confrontando, p. es., i capitoli che egli dedica alla battaglia di Benevento (I1, 6) e a Celestino V (IV, 40) con quel che scrive Ricobaldo sugli stessi fatti (S. S., 136 e 182). Importante sarà la nuova edizione del Chronicon per cura del CASINI, che si è proposto di rettificare e integrare il codice estense per mezzo delle fonti di cui si serví il Cronista. V. FIORINI, Dei lavori preparatori alla nuova edizione dei "Rerum Italicarum Scriptores „,, Città di Castello, 1903, pag. 11 e seg.

3 S. S., IX, 585.

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anche mostrato d'ignorarne l'esistenza. Se un dantofilo si proponesse d'illustrare la Divina Commedia riportando esclusivamente a pie' di pagina notizie e giudizî contenuti nelle opere degli scrittori che furono all'Alighieri contemporanei, io credo che fra Pipino verrebbe a occupare uno de' posti piú cospicui. Imperatori, Papi, Re, signori, uomini d'armi, o altrimenti conosciuti, immortalati dal genio di Dante e familiari a quanti fanno della lettura di Dante il vital nutrimento del loro intelletto, si ritrovano, vecchie conoscenze, nelle pagine dell'umile Cronista, che inconsciamente illustra, dichiara, commenta, talvolta adoperando perfino qualche locuzione dantesca. E pure nulla ci prova che fra Pi

1 II LAJOLO, nelle sue Indagini storico-politiche sulla vita e sulle opere di Dante Alighieri (Torino, 1893) non mostrò di conoscere il Chronicon, e il TORRACA gli fece a suo tempo quest'appunto (Nuove Rassegne, Livorno, 1895, pag. 414). Fra i commentatori moderni lo conosce meglio e lo cita quattro o cinque volte il Casini; ma a noi pare che le testimonianze di Pipino si dovrebbero tenere in maggior conto, e introdurle ne' commenti un po' piú largamente di quel che non si sia fatto sinora.

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2 Tra' personaggi danteschi che compaiono nel Chronicon, oltre Guido da Montefeltro, ricordo: Federico Barbarossa (Chr., I, 7), Federico II e Pier delle Vigne (II, 39), Alberto d'Austria (IV, 47), Bonifacio VIII (III, 41 e passim), Celestino V (III, 41), Niccolò III (IV, 20), Adriano V (IV, 18), Martino IV (IV, 21), Innocenzo III (II, 6), Clemente V (IV, 49), Manfredi (III, 6), Pietro III d'Aragona (III, 19), Guido da Monforte (IV, 2), Buoso da Dovara (III, 45), Gherardo e Riccardo da Cammino (IV, 30), Michele Scotto (II, 50), l'abate Gioacchino (I, 15; IV, 50), e Taddeo Alderotto (IV, 43). Talvolta il Chronicon ci aiuta a riconoscere alcuni nomi di luoghi citati da Dante; cosí per es., la "Malta (Par., IX, 54) menzionata da fra Pipino come un carcere sul lago di Bolsena, dove Bonifacio VIII fece morire l'abate Cassinese che lasciò fuggire Celestino V. Il prof. V. CIAN, che una diecina di anni or sono sostenne quest'interpretazione (La Malta dantesca, Torino, 1894) senza conoscere forse come suppone il BASSERMANN, Orme di Dante in Italia, trad. di E. Gorra, Bologna, 1902, pagine 653 - il passo di fra Pipino, qualche anno dopo, nella scuola di magistero nell'Università messinese, fermò per primo la mia attenzione su' notevoli rapporti tra il Chronicon e il Poema dantesco. Infine anche gli studî francescani, che per certi rispetti si possano con. siderare come una provincia di quelli danteschi, si sono in qualche modo avvantaggiati dell'opera del Frate bolcgnese. I FALOCI-PULIGNANI (La leggenda di san Francesco di Fr. Francesco Pipino da Bologna, in Miscellanea francescana, VII, 6) riproducendo i capitoli in cui il Cronista riassunse la leggenda, ne ricercò le fonti, che sono per la gioventú del Santo i Tre compagni, per la vita santa e pia il Celanense, per le stigmate san Bonaventura, e notò fra gli altri errori cronologici di Pipino quelli riguardanti le date della nascita e della morte di san France

pino abbia conosciuto il Poema sacro: quando i primi Canti della Commedia cominciarono a uscire dalla cerchia degli amici di Dante e a essere largamente divulgati, fra Pipino aveva forse posto fine al Chronicon e viaggiava in Oriente. Certi atteggiamenti del pensiero erano proprî del tempo, e all'Alighieri spetta il merito di averli illuminati col raggio della sua poesia.

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Si capisce facilmente che non tutti gli accenni di fra Pipino a personaggi e, fatti danteschi hanno la stessa importanza; ma, fra tanti, ve n'ha uno di valore veramente eccezionale; voglio dire quello, ormai molto noto agli studiosi di Dante, che si riferisce alla vexata quaestio del consiglio fraudolento dato da Guido da Montefeltro a Bonifacio VIII.

1

La questione s'agita da circa due secoli, e sarebbe troppo lungo farne una storia particolareggiata; ' ci contenteremo di dirne quel tanto che basti a dichiarare l'importanza che vi ha la Cronaca di Pipino, e a confortare di qualche argomento quella che a noi sem bra la soluzione più accettabile rispetto a Dante. Diciamo rispetto a Dante, perché il quesito si presenta con due facce, una puramente storica, l'altra dantesca. Fu veramente dato da Guido il consiglio fraudolento? Se non lo fu, bisogna credere che si tratti di un'invenzione poetica dell'Alighieri?

Chi sollevò i primi dubbî sulla storicità del fatto fu il Muratori, che giustamente fece

Sco. Ma lo stesso Pulignani cadde in una svista dicendo che fra Pipino anticipa la morte del Santo di due anni: il Cronista invece la posticipa di due anni, ponendola nel 1228.

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1 Ecco qualche appunto bibliografico: FOSCOLO, Discorso sul testo della “ Divina Commedia „ CXIV-CXVII; TOSTI, Storia di Bonifacio VIII, Monte Cassino, 1846, vol. II pagg., 268-281; D'OVIDIO, Guido da Montefeltro nella Divina Commedia, in Nuova Antologia, 16 maggio 1882, pagg. 210-247; 2a ed. in Studii sulla "Divina Commedia, pagg. 27-66, con una Poscritta (pagg. 67-75) e un'Appendice (pagg. 535-545); LAJOLO, op. cit., pagg. 196-205; TORRACA, Nuove rassegne, Livorno, 1895, pag. 332 e seg., e Lectura Dantis, Il Canto XXVII del1'" Inferno letto nella sala di Dante in Orsanmichele, Firenze, 1901; GORRA, Il Soggettivismo di Dante, Bologna, 1900, prof. 39-52; Prof. GIUSEPPE TAMBARA, L'Episodio di Guido da Montefeltro nell'" Inferno dantesco, Palermo, 1900; RODOLFO HONING, Guido da Montefeltro, Studio storico Bologna, 1901, e la nostra recensione in Giorn, stor, d. Lett. it., XXXIX, 422.

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notare come Ferreto da Vicenza, discorrendo di quest'episodio e, in genere, della vita di Bonifacio, attinga a piene mani dal Poema dantesco. Ma chi trattò di proposito la questione fu il compianto abate Tosti, che seppe comporre un'abile difesa di Bonifacio, la quale peraltro ha un difetto capitalissimo, quello cioè di partire da una premessa non dimostrata, affermando, senz'altro, che l'Alighieri fu il primo a dar la notizia del mal consiglio di Guido. E l'illustre prof. D'Ovidio, riconfermando la cosa, citò l'autorità del Tosti insieme con quella del Muratori e del Foscolo, i quali non dimostrarono mai, né bene, né male, la priorità di Dante su Pipino, mentre è appunto questa che vorrebbe essere da prima

accertata.

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Tutto ci fa credere che la Cronaca di Pipino sia stata compiuta tra il 1318 e il '19, poiché come abbiam già detto in essa non vi sono accenni posteriori al '17, né si può ragionevolmente supporre che l'A., dopo il '19, avesse ancóra quest'opera sul telaio; anche l'Amari accetta, presso a poco, questi limiti cronologici. Ora, tra il 1218 e e il '19 il Canto XXVII dell' Inferno era stato diffuso? E Pipino ne ebbe conoscenza? Chi oserebbe affermarlo? Nessuna traccia del Poema sacro si riscontra nella Cronaca del Frate bolognese, e anzi, riguardo all'episodio di Guido, si vede chiaramente che Pipino dovette attingere da altra fonte. Difatti egli come osservarono il Torraca e il Gorra 5- ci riferisce per due volte un particolare nuovo, cioè le sollecitazioni del Papa a Guido, ut deposito habitu, dux belli esset contra Columnenses. Al D'Ovidio tutto ciò sembra un

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La guerra del Vespro siciliano, Milano, 1886, III, pag. 14.

5 TORRACA, Nuove Rassegne, pag. 333; Gorra, op. cit., pag. 49.

TEFELTRO.

--

Ecco i due passi in cui Pipino parla di Guido, collazionati per il Torraca dal dott. C. Frati sul cod. est. VI, H, 9: QUALITER SOLLICITAVIT COMITEM DE MONHic est (Bonifacio) qui Guidonem de Montefeltro strenuum ducem bellorum, cum abdicatis iam seculi pompis ordinem minorum fuisset ingressus, sollicitavit, ut deposito habitu dux belli esset contra columpnenses, et pollicitus fuit ei plurima, allegans ei quod multum mereretur obedientia sui, maxime quod contra haereticos ageret. Qui cum constantissime recusaret id se facturum dicens se mundo

ricamo fatto direttamente da Pipino, o l'elaborazione di una voce uscita dall' Inferno e giunta agli orecchi del Cronista; ma cosí non parve allo stesso Muratori, che, mentre si affrettò a denunziare la fonte di Ferreto, non appose alcuna nota al passo in cui Pipino parla del mal consiglio, nonostante che il Chronicon e l'Historia, sien contenuti nello stesso volume della sua raccolta, e che quello preceda questa. Dunque, anche il Muratori, che in piú occasioni si mostrò tenero della buona fama di Bonifacio VIII, riconobbe indirettamente l'indipendenza del racconto di Pipino da quello dantesco. Inoltre lo ha notato già il Parodi se il Cronista avesse attinto da Dante, non si capirebbe il suo silenzio sull'assoluzione preventiva impartita a Guido dal Papa. Stando cosí i fatti, come si può dire che Dante sia stato il primo a contar la notizia?

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Al Tosti sembra quasi impossibile che Guido abbia potuto dare il mal consiglio a Bonifacio, perché Palestrina si arrese nel settembre del 1298 e Guido morí negli ultimi giorni di questo mese in Assisi. Ma prevedendo la facile obiezione che la resa della città possa esser avvenuta ne' primi giorni del settembre, passa dagli argomenti cronologici a' logici e dimostra con molti sottili ragionamenti che la resa di Palestrina non avvenne a patti, ma a discrezione di Bonifacio, e che quindi il tradimento consigliato da Guido non poté aver luogo. Qualunque valore possa avere l'indagine del Tosti e di altri che si son provati e si proveranno a negare la storicità del fatto, certo è che una voce corrente (l'ammette anche il Tosti) lo dava per vero. "I presenti potettero con gli occhi proprî vedere come una città non marittima, quale Palestrina, e per ciò non posper ciò non possibile a soccorrersi di vittovaglia che per terra, occupata dall'oste crocesegnata, si arrendesse per fame, o per difetto d'armi. I lontani potettero ignorare questa circostanza, e dubitare del perché e del come

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di questa dedizione. Ribellarono di nuovo i Colonna e sparsero voce essere stati traditi da Bonifacio. La miseria di questi fuggiaschi, l'odio de' Ghibellini contro Bonifacio la rese credibile, e i processi francesi contro il medesimo la confermarono. Dante, nimicissimo di quel Papa, accoglie la mala voce, e di questa fa pascolo alla iratissima fantasia nella Divina Commedia. Io non reputo incredibile un qualche consiglio chiesto da Bonifacio a Guido, ove per altro fosse stato vivo e non morente al tempo della oppugnazione di Palestrina, a condurne l'assedio. Poté ciò risapersi, e risapersi da Dante. Sorta la voce del tradimento, era facile congetturare che lo astuto Montefeltrano lo avesse indettato al Papa „.1

1

Ora, per quel che riguarda Dante, la storicità del fatto non ha nessuna importanza : importantissimo è invece assodare, che voci, sia pur false, lo davano per accaduto.

-

Chi all'esistenza di queste non crede assolutamente, sostenendo che il consiglio di Guido sia nient'altro che un pensiero di Dante, è il prof. D'Ovidio. Egli ammette, in via provvisoria, che tra la composizione del Convivio in cui il Poeta loda il nobilissimo nostro latino Guido Montefeltrano per essere entrato nella Religione di san Francesco (IV, 38) - e quella del Canto XXVII dell' Inferno fosse potuta giungere a Dante notizia certa o credibile che Guido avesse finito col lasciarsi, per un momento, rimettere nelle prime colpe. " Sennonché soggiunge, parole sue medesime, cioè l'esordio che mette in bocca a Guido, dicono chiaramente che non si trattava né punto né poco di una notizia pervenutagli, bensí d'un fatto ch'egli, Dante, era il primo ad annunziare, e che sarebbe giunto del tutto nuovo ai contemporanei:

S'io credessi che mia risposta fosse

a persona che mai tornasse al mondo, questa fiamma staría senza più scosse; ma però che giammai da questo fondo non tornò vivo alcun, s'i' odo il vero, senza téma d'infamia ti rispondo.

le

"Guido, qual che ne sia la ragione, non s'accorge che Dante è vivo: lo prende per un'anima dannata al par di sé, e dichiara che solo certezza che il suo interlocutore non potrà svergonarlo nel mondo lo induce a confessar la sua colpa. Il Tommaseo, che su

1 TOSTI, op. cit., vol. II, p. 280.

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