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I due Papi nati "tra Feltro e Feltro è il titolo di uno scritto di Isidoro Del Lungo nel Giornale d'Italia del 23 agosto. L'insigne dantista, a proposito della elezione al Ponteficato di Giuseppe Sarto, la cui nazione tra feltro e feltro "accetta del misterioso verso dantesco non meno la interpretazione geografica che la letterale rievoca molto abilmente e opportunamente la mansueta figura di Benedetto XI " pur trevisano, che solo dei Papi convissuti con Dante poté per brev'ora suscitare le speranze di lui e della sua parte proscritta, e che un altro Benedetto di gloriosa ricordanza, il XIV, giudicò meritevole dell'onore degli altari „

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impiccolirla, sperare di rappresentarcela viva in modo qualunque sulla scena? Qual bisogno c'è di rischiarare il mistero che avvolge la sua vita materiale? Al disopra di quelle tenebre c'è lo spirito di lui che splende d'una luce inesauribile e di quella luce s'irraggiano nei secoli le immortali creature del suo spirito. È quel che basta alla piú pura gioia del nostro intelletto e della nostra anima. Egli è ad un'altezza nella quale l'uomo appar come cinto di un'aureola sacra; richiamarlo quaggiú a trascinar la sua veste vagus per pulpita è, anche in tempi di libero pensiero, un atto di profanazione „.

Di un altro dramma che s'intitola da Dante e da Beatrice, pubblicato in questi giorni a Londra da D. Rees e G. Jones, si occupa G. S. Gargano nel no. 34 del Marzocco. Descritta la debol trama sulla quale è intessuto il lavoro de' due scrittori inglesi, la cui intenzione "appare súbito dalla dedica del libro a tutti quelli che preferiscono la historical truth alla hystorical trash e la purity alla pruriency, il Gargano osserva giustamente che non basta aver conoscenza di Dante per far rivivere la gigantesca figura di lui nelle forme de l'arte, e che questa conoscenza val molto meglio adoperare nei semplici e piani libri di divulgazione o, meglio ancóra, servirsene per sé a sentire e a comprendere l'opera del Poeta, immensa e profonda. Infine, scrive il Gargano, "perché non lasciar in pace questa gigantesca figura? Chi potrà mai, senza

Annunziamo con piacere la pubblicazione del primo volume di notizie de Le Chiese di Firenze dal secolo I' al secolo XX, per cura del sig. Arnaldo Cocchi, e facciamo i più caldi voti perché l'opera si compia presto e bene. Riserbandoci di parlare ampiamente di questo lavoro, quando avremo sott'occhio i quattro volumi, uno per quartiere, che devon comporlo, dobbiamo fin d'ora compiacerci dell'ottimo pensiero che ha mosso l'Autore a raccogliere per l'Archivio di Stato, l'Arcivescovile e il Capitolare di Firenze, e negli Archivî Vaticani, le memorie delle chiese fiorentine e de' monumenti d'arte e di storia, pur troppo in parte perduti. che sono o furono in esse. Ci duole però di vedere che qualche volta il raccoglitore non vaglia con quell'attenzione che in questi lavori è, piú che desiderabile, necessaria, le notizie date da altri, prima di lui: e, per darne un esempio, continui cosí ad affermare che in Santo Stefano ad Pontem "Giovanni Boccaccio lesse e illustrò la Divina Commedia„.

Riceviamo dalla direzione dello Stabilimento Scipione Lapi questa comunicazione:

Nell'annunciare la morte del benemerito Ing. Comm. SCIPIONE LAPI, proprietario della Casa editrice S. Lapi di Città di Castello, si assicurano tutti i clienti e corrispondenti dello Stabilimento da lui fondato e che ne conserverà il nome, che esso non subirà interruzioni nella trattazione degli affari e della corrispondenza, e che nulla sarà innovato al complesso dei servizi, degli obblighi assunti.

E perchè l'Azienda possa sempre ispirarsi alle nobili tradizioni a cui l'ha portata il Fondatore, il defunto ha nominato esecutore testamentario il prof. cav. Silvio Serafini, rettore di questo Collegio-convitto Serafini, il quale da molti anni era suo affezionato collaboratore nell'Azienda tipografica. Lo stesso prof. Serafini è chiamato dal testatore a presiedere l'istituenda Cooperativa, sua vita naturale durante.

Proprietà letteraria.

Città di Castello, Stabilimento Tipo-Litografico S. Lapi, luglio-agosto-settembre-ottobre 1903.
Leo S. Olschki, editore-proprietario-responsabile.

G. L. Passerini, direttore

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I PRIMORDI FRANCESCANI

Né gli gravò viltà di cuor le ciglia
per esser fi di Pietro Bernardone,
né per parer dispetto a maraviglia;
Ma regalmente sua dura intenzione

ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
primo sigillo a sua religione.
Poi che la gente poverella crebbe
dietro a costui, la cui mirabil vita
meglio in gloria del ciel si canterebbe,
di seconda corona redimita

fu per Onorio dall'eterno Spiro

la santa voglia d'esto archimandrita.

suo Innocenzo, che pur tenendosi al di sopra di re e d'imperatori, scrisse un mistico trattato sul dispregio del mondo, comprende l'alto valore di questo cavaliere, che ha per donna la povertà, per arma il cordone del pellegrino (l'umile capestro), e non su rapidi cavalli, ma coi piè nudi divora e miglia e miglia per spandere da per tutto la religione della pace e dell'amore. E concede la sospirata licenza (da lui ebbe primo sigillo a sua religione) a lui ed ai primi compagni suoi, quali Bernardo, Silvestro, Egidio, che si scalzano anch'essi per correre insieme le vie del Signore.

In queste terzine, se non tutto, dice abbastanza il divino Poeta intorno all'origine del moto Francescano. Fin dal primo verso fa notare la difficoltà, che doveva incontrare san Francesco per far approvare da Innocenzo il rude apostolato, che voleva intraprendere. Egli non era per altro conosciuto se non come figlio di un ricco negoziante, figlio che sinora nulla aveva fatto se non isciupare tra gozzoviglie la sudata ricchezza del suo genitore. quel modo dalla prima regola si trapassò

E se, mutato metro, appare ora alla presenza del Papa non nelle vesti del cavaliere improvvisato, ma nei cenci del mendico, doveva destare, piú che interesse, meraviglia se non disgusto. Se non che Francesco, consapevole della sua alta missione, convinto che all'onda dell'eresia non altra diga era da opporre se non l'amore e l'entusiasmo delle masse popolari, dissipa i sospetti del Papa; e benché sfornito di titoli per l'apostolato non teme di manifestare gl'intendimenti suoi (non gli gravò villà) e, con tutta la riverenza dovuta al Santo Padre, tratta con lui come da pari a pari (regalmente), convincendolo della bontà del l'ardua impresa (dura intenzione). Dal canto

In séguito il Poeta fa bene intendere, che quando i seguaci di san Francesco crebbero a dismisura, l'antica regola, approvata da Innocenzo, non potendo piú bastare, una nuova occorreva, che l'archimandrita dettò e fece solennemente approvare da Onorio. Ma in

alla seconda e quali differenze corsero tra le due? Su questo faticoso problema si affaticarono parecchi scrittori e pareva ormai che un accordo si stabilisse tra gli studiosi a qualunque parte o confessione appartenessero. Se non che recentemente una nota discordante fece udire il Goetz in un notevole scritto apparso non ha guari. Sarà bene per gli studiosi di Dante riassumere la quistione.

Il primo a mettersi per una nuova via, come riconosce il Goetz medesimo, fu Carlo Müller, il quale fin dal 1885 aveva scritto

1 WALTER GOETZ, Die ursprünglichen Ideale des heiligen Franz von Assisi. (Histor. Vierteljahrschrift, 1903, I Heft).

"Nulla ha contribuito a mettere sotto falsa luce la storia della fondazione di san Francesco, quanto l'opinione che ci volesse dal principio fondare un Ordine, e che la sua confraternita un Ordine fosse che tra il 1209 e il 1223 abbia avuto a lottare per essere riconosciuto dal Papa, (Die Anfänge des Minoritenordens, 1885, pag. 32).

Né diversamente il Sabatier opina che nel nome di società e fraternità Francescana, quale al principio era voluta dal suo fondatore, non si debbano intendere quei pochi frati, che a simiglianza di Francesco medesimo s'imponevano i piú duri sagrifizî per andare intorno predicando l'evangelo di Cristo, ma si la grande massa dei convertiti a quella religione d'amore, che poteva essere praticata anche senza lasciare la propria casa. "Ce que on a appelé plus tard d'une manière trop arbitraire le troisième Ordre, est évidemment contemporain du premier. François et ses compagnons ont voulou être les apôtres de leur temps, mais pas plus que les apôtres de Jesus, ils n'ont souhaité que tous les hommes entrassent dans leur association, forcément un peu restreinte, et qui, suivant la parole évangelique, devait être le levain du reste de l'humanité. En consequence, leur vie était la vie apostolique suivie au pied de la lettre, mais l'idéal qu'ils prêchaient etait la vie evangelique, (Vie de st. François, pag. 305-306).

Piú risolutamente si mette per questa via il padre Mandonnet nella memoria sulle origini dell'Ordo de Poenitentia (Compte rendu du quatrième Congrès scientifique international des catholiques, Fribourg, Suisse, 1898). Egli crede bensí che i suoi predecessori, il Müller e il Sabatier, non abbiano fatto il debito conto del carattere penitenziale della prima istituzione francescana, ma d'accordo con loro stima un grosso abbaglio "concevoir le groupement religieux auquel donna lieu l'action de François d'Assise comme un Ordre religieux proprement dit, c'est-à-dire, comme une société nettement organisée. Ce qui caractérise l'oeuvre de François pendant ses dix premières années environ, jusque vers 1219, c'est son état rudimentaire, a peu près amorphe, car elle ne possede ni linéaments fermes, ni organes généraux ou particuliers. La raison en est dans ce fait que la pensée de François d'Assise, à sa première étape, ne visait pas a constituer un Ordre religieux a

l'instar des anciennes et nombreuses corporations existant déjà dans l'Eglise. Son projet fut de réunir dans une vaste Fraternité toutes les âmes de bonne volonté qui voudraient accepter la pratique stricte de l'Evangile comme règle et forme de vie, (pag. 22-23). E di qui levandosi il nostro autore a considerazioni più generali, riguarda queste larghe associazioni a scopi penitenziali come una delle tante forme di quel moto di aggregazione, che affaticava gli uomini nell'uscire dall'isolamento feudale; moto che qui riusciva a formare le corporazioni di arti e mestieri, lí a scopo di cultura dava origine alle università e agli studî, più in là stringeva tutte le classi sociali intorno alla bandiera del Comune. Né diversamente si formavano le confraternite per opera di carità o di religione, come quelle degli umiliati in Lombardia, e sullo stesso tipo sorge ora la nuova società francescana, che "forme d'abord une masse sociale indivise dans laquelle les éléments, par suite d'aptitudes et de tendancens inégales, et sous l'influence d'une action externe se constituent en groupes spécifiques distincts, (pag. 4).

Il padre Mandonnet adunque conferma le opinioni dei suoi predecessori. Forse dà all'opera di san Francesco un carattere troppo esclusivo; poiché è ben certo che il grido. di poenitentiam agite, che più volte nel secolo XIII fu sentito risonare per le nostre terre, aveva il significato piú profondo di un rinnovamento di vita, o di una sostituzione della pace, della carità e dell'amore, agli odî, alle guerre, alle gelosie anche di quelli che "un muro ed una fossa serra „. 1 Ma per compenso le sue vedute sull'origine dei Terziari, se potranno essere compiuti da ulteriori ricerche principalmente intorno agli Umiliati, sono quanto di meglio si sia pensato e scritto sinora. 2

Ben diverso giudizio porta il Goetz, un acuto e dotto ricercatore delle antiche fonti francescane, che nella citata memoria cre

1 Dice egregiamente il MÜLLER, Die Busse, die sie der Welt predigen, ist einfach die Besserung des Lebens Die Anfänge, pag. 31.

2 Più tardi il padre Mandonnet scrisse un acuto studio sull'antica regola dei Terziarii del 1221, scoperta dal Sabatier in un codice del convento di CAPESTRANO, Opuscules de critique Historique, fasc. I: Regula antiqua fratrum et sororum de poenitentia edid. P. SEBATIER; fasc. IV: Les régles et le gouvernement de l'Ordo de poenitentia par P. MANDONNET, Paris, 1902.

de le vedute del Sabatier e del Mandonnet essere non d'accordo ma in contrasto con quelle del Müller. Poiché mentre il Müller accennava alle differenze che correvano tra le confraternite penitenziali e il cerchio che intorno a Francesco si cominciava a formare, per Sabatier invece questa differenza s'attenua, e sparisce del tutto nel Mandonnet, secondo il quale l'istituzione di san Francescano è una confraternita laica a carattere schiettamente penitenzale. A tali deviazioni il Goetz s'oppone non per tornare al Müller, ma per stabilire anche contro di lui, che san Francesco fin dal principio volesse un Ordine non identico per fermo agli altri, ma non del tutto dissimile da essi. E nel metodo ancora il nuovo scrittore vuole di proposito deliberato allontanarsi dagli antichi. Perché questi non si servono se non delle antiche fonti francescane, specie di quelle sul cui valore ancóra si discute tra gli studiosi; egli invece vuole fare uso di autorità non sospette e superiori ai dissidî di parte, come sono appunto le notizie che si possono attingere a Giacocomo da Vitry, o agli scritti medesimi di san Francesco. La lettera del Vitry, scritta nell'ottobre 1216, è molto importante perché racconta quello che il famoso predicatore vide coi suoi occhi a Perugia nel tempo che stette alla Curia pontificia, quando morto Innocenzo III fu levato al trono pontificio Onorio III, scelto il 17 e incoronato il 24 luglio 1216. E discorre dei frati Minori, come di persone ritirate dal secolo (omnibus pro Christo relictis seculum fugientes), il che non avrebbe senso se la vera società francescana fosse il terzo Ordine. Né meno importante è un'altra lettera dello stesso Vitry e non posteriore all'agosto 1220, dove ci racconta che un Rainero, priore della Chiesa di san Michele, insieme con un Colino ed altri due, a cui egli aveva commessa la Chiesa di Accon, entrarono nella religione dei Minori. E che la parola Religione non sia diversa da Ordine, si può argomentare dalla terza testimonianza del Vitry, che in un capitolo della Storia occidentale usa le parole religio e ordo come sinonimi, e non dubita di affermare che la nuova religione dei Minoriti è un quarto Or

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dine da aggiungersi agli altri tre degli eremiti, dei monaci (benedettini) e dei canonici (agostiniani).

Da queste testimonianze il Göetz raccoglie: "quello che più tardi si disse primo Ordine fu il centro di tutto il moto francescano, moto che già sin dal principio e secondo l'intendimento del fondatore era vólto alla fondazione di un Ordine monacale, benché non accuratamente organato. Ciò che Francesco voleva, la letterale imitazione della vita degli apostoli, la povertà assoluta, l'affidarsi alla preghiera, la predica per l'edificazione delle anime, tutto ciò nelle Cristianità del XIII secolo non si poteva attuare se non nella forma di un Ordine, (pag. 33). Al primo Ordine Francesco indirizza il suo testamento, dove al disopra di ogni altra cosa raccomanda quello che è il fondamento stesso di ogni regola; la piena, l'incondizionata obbedienza.

Queste conclusioni, cosí recise e discordi dalle opinioni sin oggi prevalenti, a me sembrano poco accettevoli, e tutta la dimostrazione del Goetz non serve a rimuovermi dai miei antichi convincimenti. In primo luogo debbo notare che nessuno ha negato come sin dal principio erano contenute nel moto Francescano i germi della tripartizione, che più tardi ebbe a manifestarsi. Ho riportato piú su le parole del Sabatier, che non lasciano nulla a desiderare per chiarezza ed evidenza. Del Mandonnet mi piace riportare questo luogo in aggiunta ai precedenti: " nous sommes donc pleinement autorisés à conclure que le mouvement religieux créé par François d'Assise s'est étendu, à ses origines, à un premier élemént constitué par les disciples qui se sont groupés autour de lui et ont imité sa forme de vie et d'apostolat, à un second élemént représenté par des femmes qui se sont vouées à la continence; et enfin à un troisième qui comprenait les personnes mariées. Ce triple élement, matériellement distinct, ne formait juridiquement qu' un seul groupe, une Fraternité, ayant une seule règle, (pag. 22). È dunque un artifizio polemico questo del Goetz di mettere in opposizione il Müller da una parte e il Sabatier e Mandonnet dall'altra. Tutti questi scrittori sono d'accordo nelle idee fondamentali, che cioè l'intendimento di san Francesco non era di fondare un Ordine nuovo, ma di predicare con nuovo ardore l'antica parola di Cri

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