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tà. Ora i particolari del disegno riccardiano, cioè l'arco del sopracciglio, il taglio dell'occhio, l'attaccatura del naso alla fronte, la bocca, e soprattutto la curva nasale, la voluta stranamente semitica della narice, la linea quasi diritta della mascella, che nella figura del prof. Chiappelli descrive invece una curva accentuatissima, finalmente la struttura ossea di tutta la testa, sono senza alcun dubbio profondamente diversi da quelli che ci rivela il profilo orcagnesco, e nessun critico o scienziato o artista potrà mai, a mio credere, dimostrarne, non dico l'affinità, ma neppure una somiglianza lontana. Le medesime differenze, poco piú poco meno, si riscontreranno, raffrontando qualunque altro si voglia dei ritratti antichi del Poeta con questa figura dell'Or

cagna.

E dai tratti del volto veniamo all'abito:

(Fotogr. Alinari)

DANTE

Dal cod. Riccardiano 1040.

il mantello di cui questa figura è vestita e che, nella sua incertezza di forma e di colore, ha dato tanta materia alla fantasia degli osservatori, è una semplicissima ed ordinaria cappa, che copre probabilmente una zimarra, come può meglio vedersi in altre figure della medesima cappella, specialmente tra i reprobi del Giudizio a destra di chi guarda la finestra. Quella che qui riproduco, e che occupa la parte centrale del gruppo, accanto a quello strano e truce personaggio mitrato, può valere a toglier via ogni ulteriore incertezza, e a dimostrare che né la croce del popolo, né un fermaglio di panno, né una qualsiasi indicazione dell'abito terziario si deve scorgere su quel mantello, ma semplicemente le rovescie dello sparato, come aveva intravveduto già lo stesso prof. Chiappelli, sviato poi da altre piú fallaci supposizioni, per quanto at

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essere Dante, un'affinità più stretta che non sia quella tutta accidentale del vestito. A me pare, insomma, che i tratti essenziali della fisonomia siano i medesimi in entrambe le figure, fatta la debita differenza della posizione diversa delle due teste, di cui l'una è vista in profilo, l'altra in faccia, e tenuto conto della diversa espressione, dolorosa nell'una e gaudiosa nell'altra, che può farci apparire la stessa persona di età alquanto diversa. Io vorrei che altri, senza preconcetti prendesse in esame questa che a me sembra qualche cosa più che un'impressione soggettiva, la quale se fosse provata rispondente a verità, com'è, a mio parere, probabile, sarebbe un grave argomento contro l'identificazione del prof. Chiappelli.

Restano da esaminare due argomenti nuovi, che il prof. Chiappelli ha voluto aggiungere in una lettera privata ad un amico, della quale il Giornale d'Italia pubblicò il passo più rilevante. Egli scriveva dunque: "Una piú accurata ispezione dell'affresco, che è difficilmente visibile perché posto in alto, ha per ora aggiunto due elementi. I capelli della figura dantesca anziché propriamente neri sono castagno-scuri; il che risponde meglio al famoso luogo delle Ecloghe dantesche, e soddisferà al criterio del Giornale d'Italia, che me ne fece una difficoltà. In secondo luogo, al disotto dei rifacimenti sofferti dal

1 Nella fotografia grande Alinari, se si prescinda dallo sgraffio verticale, è assai agevole riconoscere sul mantello il disegno delle due rovescie che si uniscono in basso a forma di V.

2 23 gennaio 1903.

l'affresco per opera di un restauratore del sec. XVII, appaiono i segni di un libro, che quella figura teneva nelle mani; ciò che conferma tanto più trattarsi di Dante,.

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1

Io non so comprendere, e cosí parve anche ad altri, quale conforto possa aspettarsi alla sua tesi l'egregio Professore da quest'argomento dei capelli, e, si badi, non mica per la piccolezza della ciocca che vien fuori di sotto al berretto, cosicché sia malagevole riconoscerne il colore e la qualità; ma per un'altra ragione. I capelli sono scuri, lisci e prolissi, non v'è dubbio alcuno; chi voglia assicurarsene non ha che a guardare la fotografia dell'Alinari. Abbiamo per questo rispetto indicazioni sufficienti e chiare nella testa in questione. Ma se quello figurato dall'Orcagna è, come il prof. Chiappelli assicura, il Dante che piega al tramonto e il Dante curvo dalle miserie e dagli anni, perché mai il pittore non l'avrebbe fatto invece canuto? Sia stato egli biondo, castagno o nero nella sua gioventú, negli anni maturi fu bianco, come egli stesso afferma in persona di Titiro, nei versi tanto discussi della prima ecloga a Giovanni del Virgilio:

Nonne triumphales melius pexare capillos,

Et, patrio redeam si quando, abscondere CANOS
Fronde sub inserta solitum flavescere, Sarno??

1 Nella prolissità dei capelli di questa figura il prof. Chiappelli potrebbe trovare un certo appoggio alla sua tesi, ricordando le parole di un altro biografo dell'Alighieri, Giannozzo Manetti, che afferma essere stato Dante capillis et barba prolixis, nigris subcrispisque; se non ché la biografia manettiana ha valore esclusivamente retorico e fantastico, dove non copia il Boccaccio. (Cfr. PAUR, Ueber die Quellen zur Lebensgeschichte Dante' s., Görlitz, 1862, p. 24).

2 Ecl. I, v. 40-44: Io credo, che da questo luogo della sua ecloga responsiva al Del Virgilio si debba argomentare, che Dante fu biondo o, se piace meglio, castagno chiaro in gioventú. È vero che egli qui parla in figura di un pastore, e porta, come dice il mio acuto e dotto amico prof. Parodi (Un'ediz. inglese delle poesie di D. e di G. del Virgilio, Firenze, 1902, p. 12, Estr. dal Giornale Dantesco), la maschera di Titiro; ma Titiro è una mera astrazione, per nulla connessa ad un tipo fisico determinato, una forma vuota e retorica che il Poeta riempie della propria personalità. Per quanto adunque parli per bocca di Titiro, Dante, ricordando certe particolarità somatiche, come il colore dei capelli, non può non riferirsi alla sua persona reale. Ora perché non ha egli detto invece nigrescere, se in gioventú era stato nero? Il prof. Parodi risponde che "il biondo è il color tipico del convenzionalismo letterario del medio evo, e a questo convenzionalismo può aver Dante sacrificato. Francamente non sono persuaso di questa ragione: l'ammetterei senz'altro, se si trattasse

Quanto poi al libro che il prof. Chiappelli ha creduto di scorgere sotto ai ritocchi secenteschi, mi rincresce, che, per quanto si sia aguzzato l'occhio, né io né altri siamo riusciti a vederne alcuna traccia. E mi rincresce perché se l'esistenza di un libro, tenuto nelle mani da quella figura, si potesse provare, e chiaramente scorgerne i vestigi, la questione sarebbe più che per metà risoluta in favore dell'identificazione vagheggiata dall'egregio Professore, e molti forse saremmo d'accordo con lui, che ora non siamo.

Ma, ripeto, l'osservazione mia e d'altri non s'accorda con quella del prof. Chiappelli: illuminata debitamente la parete, esaminato scrupolosamente il gruppo dove si trova la supposta figura di Dante, studiata la riproduzione fotografica (spesso la fotofrafia è rivelatrice di particolari che mal si scorgono nell'originale), nessuna traccia di libro si è potuta intravvedere; cosicché, se non è difetto dei nostri organi visivi, non possiamo tener conto di questo elemento di prova, del quale, ove potesse accertarsi, non è chi non veda l'importanza, finché il prof. Chiappelli non avrà espresso piú determinatamente il suo pensiero e non ci avrà mostrati chiari e indiscutibili i segni indicativi di un volume. Tanto piú che le mani del personaggio in parola sono

di una figura tipica o di donna o di angelo; ma non credo (e se sbaglio mi corregga il prof. Parodi) si possa dimostrare, che nel medio evo si rappresentassero convenzionalmente biondi i pastori e gli uomini in generale, se non per eccezione, trasfondendo in essi i caratteri di una femminilità d'origine ovidiana, come piú spiccatamente avvenne poi nel sec. XV (Cfr. VOLPI, Note di varia erudizione e critica letteraria, Firenze, 1903, p. 39). Si è anche detto che Dante, come ha idealizzato Manfredi, facendolo bello e giovane, cosí avrà voluto idealizzare anche sé stesso; ma io non ho idea che il Poeta abbia sacrificato mai a questo convenzionalismo. Infatti due personaggi umani, nella Commedia, egli afferma espressamente biondi, Azzo d'Este (Inf., XII, 110) e Manfredi (Purg., III, 107), ed entrambi, vedi caso, sono d'origine germanica, in cui il biondo è una dei caratteri etnografici piú costanti. Del resto per Azzo non era il caso di idealizzarne la figura, e il color biondo attribuitogli da Dante, dato che non rispondesse alla realtà storica, può bene essere stato messo lí per fare antitesi al nero pelo di Ezzelino. Quanto a Manfredi poi, abbiamo l'esplicita attestazione del cronista contemporaneo Saba Malaspina, che lo descrive cosí: "homo flavus, amoena facie, aspectu placibilis, in maxillis rubeus, oculis sidereis, per totum niveus, statura mediocris „. Dunque nessuna intenzione in D. di idealizzare secondo un tipo convenzionale la figura di Manfredi, anzi la piú assoluta fedeltà alla realtà storica. Perché avrebbe dovuto farlo parlando di sé stesso ?

interamente nascoste dalle figure che gli stanno vicino, e mal si comprende come potrebbero reggere palesemente un oggetto qualsiasi. Questo avevo da opporre all'ipotesi dell'illustre professore dell'Ateneo napolitano, non per ispirito di pirronismo inconsulto, ma per desiderio di esser chiarito di quanto ancora è in ombra nella sua congettura allettatrice. Aspetto la parola, che egli ha già promessa, e che io auguro sia parola di luce intera, meridiana. Ma se egli non riuscirà a rimovere in modo terso e inconfutabile questo non picciol numero di dubbi, che a me sembra investa ed infirmi tutti gli argomenti in sostegno della sua tesi, egli non potrà credere di avere raggiunta la pienezza della dimostrazione, quale occorre perché la sua ipotesi perda ogni carattere di inverosimiglianza e si trasformi in una certezza acquisita alla storia dell'iconografia dantesca, o, almeno, in una probabilità assai verosimile. Ad ogni modo al prof. Chiappelli dobbiamo esser grati di aver risollevata una questione di alta importanza artistica e letteraria, e di averla forse avviata alla soluzione.

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sarebbe propriamente quella figura di orante, vestita di un lucco roseo e col capo coperto dal caratteristico cappuccio, col quale Dante fu quasi costantemente rappresentato, figura | che si stacca e rileva più di tutti gli altri personaggi che formano la fila superiore dei beati.

Il prof. Chiappelli non riscontra in questa testa tutti i caratteri danteschi, e soprattutto uno che è il più costante nella figurazione fisica del Poeta, attestatoci anche dalla tradizione letteraria rappresentata dal Boccaccio, la prominenza cioè del labbro inferiore, (si noti che neppure nel profilo indicato da lui tale prominenza è molto evidente). Ma il signor Mesnil, nell'articolo già ricordato, attribuisce al cattivo restauro subíto dall'affresco, l'alterazione del primitivo contorno.

Questo del restauro è però un argomento di cui mi sembra si abusi un poco, e che quindi finisca col non provar nulla, volendo provar troppo. A me pare invece che la scarsa sporgenza del labbro inferiore possa essere sufficientemente spiegata dalla posizione quasi orizzontale della testa e dall'atteggiamento stesso della preghiera, senza bisogno di addossarne la colpa all'inesperto restauratore. Nella estensione forzata del capo la mascella inferiore naturalmente si sposta indietro, e cosí il labbro inferiore resta quasi nascosto nella cavità della bocca. Perché mai l'Orcagna, cosí attento osservatore del vero, come attesta tutta l'opera sua, non avrebbe dovuto e potuto deliberatamente esprimere questo fatto fisico comunissimo?

E di più un altro dei segni caratteristici, non rilevati dal signor Mesnil, mi sembra di scorgere in questa figura, ciò è la incurvazione notevole delle spalle, ben più evidente qui, che non nel personaggio indicato dal prof. Chiappelli. Questa dell'andatura alquanto curva del Poeta, è, in verità una notizia che ci viene dal solo Boccaccio, la cui Vita di Dante l'Orcagna, come tutti sanno non poteva conoscere, e tanto meno il Commento, che è degli ultimi anni di lui, e dove la notizia è ripetuta; quindi, se la figura indicata è realmente il ritratto dell'Alighieri, il pittore dové attingere questo particolare, come tutti gli altri, alla tradizione orale, o forse, come a me pare piú probabile, ricavarlo dal vero, cioè da una copia viva di ciò che fu il vero. Infatti noi sappiamo, come ho già accennato, per esplicita attestazione del Boc

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caccio, che un nipote del Poeta, Andrea di Leone Poggi, visse in Firenze "e meravigliosamente nelle lineature del viso somigliò Dante, e ancora nella statura della persona, e cosí andava un poco gobbo, come Dante si dice che facea, e fu uomo idioto È piú che probabile adunque, che l'Orcagna, volendo ritrarre le fattezze del Poeta, s'ispirasse a questo suo concittadino e contemporaneo, che del Poeta era fisicamente, e solo fisicamente, una riproduzione fedele. E in tal caso, ove potesse provarsi indubbiamente che questa del Giudizio sia l'immagine di Dante, noi avremmo un ritratto non del tutto di maniera, ma esemplato, per cosí dire, su un apografo molto simile all'originale, e perciò d'incontestabile valore per la identificazione della massima parte dei tratti fisionomici di Lui.

L'ipotesi poi che qui si tratti non di Dante, ma della figura del donatore, suggerita dal vedere un frate domenicano li accanto, e che, come opina il prof. Chiappelli, lo raccomanda al Redentore, è, secondo me, insostenibile. Già il posto è troppo eminente perché il donatore si arrogasse il diritto di occuparlo; piú umile luogo riserbava di solito al committente l'artista; ma quel frate, come mostra il suo atteggiamento, è assorto in una profonda contemplazione, ha gli occhi fissi davanti a sé, non in alto, e apparisce, a chi guardi senza idee preconcette, un personaggio del tutto indipendente da quello che gli sta allato. Chi voglia persuadersene non ha che da paragonare l'espressione e l'atteggiamento della Vergine, che nel polittico dello stesso Andrea, sull'altare della medesima cappella, presenta a Cristo san Tommaso, ed anche l'atteggiamento di san Giovanni che dal lato opposto presenta san Pietro. In queste due figure il pittore ha voluto esprimere ed ha espresso chiaramente il concetto della protezione e della raccomandazione, che viceversa non si lascia scorgere nella figura di quel frate che fa

sembiante

D'uomo cui altra cura stringa e morda.

D'altra parte io credo che sarebbe ben difficile spiegare la presentazione di un eletto, fatta non da un santo, o da un angelo, ma

1 Il Commento alla D. C., Firenze, 1844, vol. II

p. 207.

da un altro eletto, perchè tale è senza dubbio quel monaco, che non ha aureola intorno al capo: quale veste, qual segno speciale di un grado superiore di beatitudine nella gerarchia paradisiaca avrebbe egli per assumere quest'alto ufficio? Ecco un punto che la dottrina del prof. Chiappelli e la sua competenza speciale anche nel campo degli studi teologici non dovrebbero lasciare in ombra.

è assai più antica del Levallois e del Volkmann, e rimonta al 1845, se non forse a un tempo anche anteriore.

Ed eccoci cosí a ciò che è lo scopo principale di questo mio articolo, di stabilire a chi spetti propriamente il merito di aver visto per il primo nell'Orante del Giudizio il ritratto dell'Alighieri. Il vero e primo autore di siffatta indagine per entro i dipinti dell'Orcagna, per quel che a me consta, il vero scopritore di un ritratto di Dante, autentico o supposto, fu il valoroso dantista inglese Enrico Barlow, che annunziò la sua scoperta in un articolo pubblicato il 4 luglio 1857, nell'Athenaeum. Ignoro se egli abbia seguito le tracce di una tradizione orale preesistente nel chiostro; suppongo di no, e credo anzi che la tradizione siasi invece formata dopo la divulgazione della notizia, della quale a nessuno è venuto poi in mente di cercar la fonte nel vecchio giornale inglese. Sia comunque, il Dante del Barlow è appunto il medesimo veduto dal Mesnil e dal Krauss, e poco dopo che fu scoperto fu anche, piú o meno fedelmente, disegnato.

Inoltre il dott. Mesnil ha in suo favore, per quel che possa valere, anche la tradizione, non molto antica, come vedremo, ma che mostra, per lo meno, che altri occhi, fissandosi sulla figura da lui additata, han fatto correre il pensiero al divino Poeta. Egli, nell'articolo dell'agosto 1900, credette, certo in buona fede, di essere stato il primo a scoprire il ritratto dantesco, e poi nel suo scritto recente che abbiamo ricordato sopra, rivendica ancora per sé questa priorità, contro il Dr. Ingo Krauss che vorrebbe attribuirsela e insieme attribuirla al Volkmann. Però nel secondo articolo il signor Mesnil ammette una tradizio, vi si volle cercare, non so da chi, anche zione orale, di cui non sa spiegare le origini; ma sa poi che in un libro francese, stampato nel 1887 a Tours,' la tradizione è già scritta, e, per quanto con poca chiarezza, è riscritta dieci anni più tardi nella Iconografia dantesca, del Volkmann. 2 Il fatto è che la tradizione

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2 Una certa ambiguità c'è realmente nelle parole del Volkmann, ambiguità che è nel testo tedesco, né fu tolta dalla traduzione italiana. Egli dice infatti: "Ist nun die Hölle in S. Maria Novella ganz nach Dante's Worten von Nardo gebildet, so liegt es nahe, auch Andrea Orcagna müsse bei der Schilderung des Gerichtes und des Paradieses an den Dichter gedacht haben. Sein Bildins brachte er allerdings unter den Seligen an, aber sonst ist das Paradies ganz in herkömmlicher Weise aufgefasst.. Ma appunto per la preesistenza della itradizione che riconosceva D. fra i beati del Giudizio, o credo che a quello volesse riferirsi il Wolkmann, e non al Paradiso. Il Signor Mesnil in tutti i modi ebbe

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Ma trovato Dante, nell'affresco del Giudi

Beatrice; forse dal Kirkup, che additò questo ritratto a Lord Vernon, il quale ne fece fare lo schizzo insieme con quello di Dante dal pittore Chambers. Beatrice fu identificata con quella meravigliosa figura femminile, in veste e velo azzurro, atteggiata ad estasi insieme e a preghiera, che viene avanti nel primo piano, a destra, dal gruppo delle donne elette. I disegni del Chambers furono pubblicati nel 1897 dal Morel; ma egli non dice dove

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torto, ed Ingo Krauss gliene muove rimprovero (Op. cit., p. 43), di asserire nel suo primo scritto nella Zeitschrift für bildende Kunst, che nessuno, né dei moderni né degli antichi scrittori di cose dantesche, aveva fatto menzione di questo ritratto, citando espressamente anche il Volkmann, come uno di quelli che l'avevano ignorato. Invece il Krauss, seguendo le indicazioni del Volkmann afferma di aver scoperto lui il ritratto, avanti che il signor Mesnil stampasse il suo scritto. S'ingannavano entrambi, e di questa scoperta si potrebbe cantare, col loro grande poeta: Es ist eine alte Geschichte. Doch bleibt sic immer neu.

1 Les plus anciennes traductions françaises de la Divine Comedie, etc., P.re P. (Textes), Paris, 1897. Il ritratto di Dante sta tra le pp. 192 e 193, quello della pretesa Beatrice tra le pp. 480 e 481, ripetuto poi a tergo della copertina.

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