PER LA VARIA FORTUNA DI DANTE NEL SECOLO XIV DR SECONDO SAGGIO * 1 concetti generici dell'ermeneutica dantesca nel secolo XIV II. 2 ANONIMO FIORENTINO. 1 Non si hanno dati precisi per la cronologia di questo commento. Ma appartenga esso ai primi anni del Quattrocento, o sia anche più vecchio di qualche decennio, 3 torna bene prenderlo in esame qui, tra il Villani e il Buti, che segnano approssimativamente i limiti cronologici indicati. Le prime parole ci richiamano súbito al Boccaccio: ANONIMO. Nel mezzo del cammin, ecc. Avea cominciato l'autore questa sua tripartita Commedia in questi versi latini: Ultima regna canam etc.; et già distesa la materia alquanto inanzi, quando mutò consiglio, avendo rispetto che i signori et gli altri uomini et potenti avean quasi del tutto abbandonati gli studj liberali et filosofichi, et quasi veruno era che a scienzia attendesse; et se pur veruno v'attendea, facea i libri degli autori traslatare in volgare. Et l'Autore, disiderando onore, ch'era il premio ch'egli aspettava della sua fatica: et i Signori et gli alti uomini ab antico erano quelli che avevono tratto inanzi et dato fama a Poeti che altro non desideravano (Quid queritur sacris nisi tantum fama poetis. Et che s'addimanda altro se non fama da Poeti ?); et l'Autore della presente opera quella meritamente aspettando, pensò fare questo suo trattato et maravigliosa meditazione, almeno nella corteccia di fuori conforme agl' ingegni et agli studj loro: e lasciando i versi latini, la ridusse et compose in rittimi volgari. BOCCACCIO. Cominciò il presente libro in versi latini, cosí: Ultima regna canam, etc. E già era alquanto proceduto avanti, quando gli parve da mutare stilo: e il consiglio che il mosse, fu manifestamente conoscere i liberali studj e' filosofici essere del tutto abbandonati da' principi e da' signori e dagli eccellenti uomini, i quali solevano onorare e rendere famosi i poeti e le loro opere: e però veggendo quasi abbandonato Virgilio e gli altri, o essere nelle mani d'uomini plebei e di bassa condizione, estimò cosí al suo lavorío dovere addivenire, e per conseguente non seguirnegli quello, perché alla fatica si sottomettea. Di che gli parve dovere il suo Poema fare conforme, almeno nella corteccia di fuori, agl'ingegni de' presenti signori; de' quali se alcuno n'è che alcuno libro voglia vedere, e esso sia in latino, tan. tosto il fanno trasformare in volgare: d'onde prese argomento, che se vulgare fosse il suo Poema, egli piacerebbe; dove in latino sarebbe schifato. E perciò, lasciati i versi latini, in ritmi volgari scrisse, come veggiamo (p. 102). Dopo questa introduzione, l'Anonimo tratta in primo luogo dell' Inferno, "dove elli sia et che cosa sia, e "quello che n'hanno sentito i santi et gli antichi autori et poeti „. I primi tre periodi contengono citazioni, che non rinvengo * Continuazione, vedi p. 20. 1 Commento alla "Divina Commedia, d'Anonimo fiorentino, Bologna, 1866, vol. I, p. 6 e seg. 2 Giornale storico della letter. ital., vol. IV, p. 57. 3 G. CARDUCCI, Opere, vol. VIII, p. 34 e seg. ne' commentatori precedenti, da Papia, da s. Gregorio, dal Salmista, da s. Giovanni; poi, per tutto il resto della trattazione, egli compila o trascrive o parafrasa il Boccaccio. Notevole è il mutamento fatto subire alla citazione dell'Odissea, che nella fonte è in discorso obliquo, e l'Anonimo volge in discorso diretto: ANONIMO. Omero poeta, ch'è de' più antichi che di ciò menzione faccia, scrive nel XI libro della sua Odixia: "Per nave, dicea, mandate per lo mare, verranno allo 'nferno, per sapere da Tiresia tebano i suoi futuri accidenti „. A proposito della forma d'Inferno, quel che al Boccaccio appare come un corno (p. 98), l' altro pone per vaso, e conseguente all'immagine nuova rimpasta e atteggia il discorso dell' originale. Ancor più notevole è il fatto che, mentre nei singoli capi della trattazione l'Ottimo segue strettamente il suo autore, aderendovi in piú luoghi fin alla lettera; quanto all'ordine, s'abbandona al proprio genio. Che abbia voluto sviare il sospetto di plagio, o abbia creduto di far cosí opera nuova ? Ecco lo schema del discorso in entrambi : ANONIMO. Il titolo del libro è Commedia, detto da comos greco che è a dire villa, et odos che è a dire canto, quasi canto di villa. Et quattro sono li stili del poetico parlare: ciò sono commedia, tragedia, satira et elegia. Commedia è quello stile poetico per lo quale si scrivono i fatti delle private persone et basse con stilo mezzano, et alcuna volta tratta storie di persone autorevoli. Tragedia è quello stilo de' poeti nel quale si trattano le magnifiche cose ecc. BOCCACCIO. Omero, il quale pare essere de' più antichi poeti che di ciò menzione faccia, scrive nel libro XI della sua Odissea, Ulisse per mare essere stato mandato da Circe in oceano per dovere in inferno discendere a sapere da Tiresia tebano i suoi futuri accidenti (p. 97). ANONIMO. La forma del trattare è di sette guise, siccome di sette guise lo intendimento che usa il nostro Autore in questa sua poesia: cioè litterale, superficiale e parabolico, cioè che scrive alcune cose che non importono altro intendimento, se non come suona la lettera ecc. Enumerati i diversi nomi d'Inferno, egli segue: "Et è ancóra da sapere che 'l modo del trattare del nostro autore è ritimico, distinto per libri overo cantiche, et per capitoli overo canti,. Con queste parole, anche di boccaccesca reminiscenza, si passa bruscamente alla seconda parte del Proemio, che tratta del titolo del libro e della forma del trattare: il primo punto risale per piú attinenze al paragrafo analogo dell'Antico; il secondo è compilazione letterale da Pietro di Dante. ANTICO. Il titolo del libro è questo: Comedia..., del qual vocabolo è da sapere che quattro sono li stili del poetico parlare, cioè tragedia, comedia, satira e elegia. Tragedia si è lo stile nel quale si tratta magnifiche cose, siccome è Lucano.... Comedia è uno stile che tratta comunemente di cose basse mezzane e alte, o vero che comincia in miseria e termina a la felicitade ecc. PIETRO DI DANTE. auctor. Forma tractandi est septemcuplex, prout septemcuplex est sensus, quo utitur in hoc poemate noster Nam primo utitur quodam sensu, qui dicitur litteralis, sive superficialis et parabolicus: hoc est quod scribit quaedam, quae non importabunt aliud intellectum nisi ut litera sola sonabit etc. (p. 4). 77 1 Designo col nome di " Antico il Proemio pubblicato dallo Scarabelli come opera del Lana (in I. DLLLA LANA, Comedia ecc., Bologna, 1866, vol. I, p. 95 e seg.). Vedi appresso), 2 Notato anche dal Rocca, op. cit., p. 397. In qualche punto fraintende o legge male, come : Et cosí quando l'Autore dice sé essere sceso in Inferno per fantasia et non personalmente, ma essere disceso allo 'nferno allo strazio de' vizj, et quindi essere uscito ; (purché le storture di questo brano non debbano attribuirsi, anziché all'autore, all'ignoranza o distrazione dei trascrittori). E procede cosí, sfrondando e riducendo il testo originale, fino all' ultimo periodo : Anagogicamente si favella, quando si dànno a intendere cose celestiali. Sic et cum auctor iste dicit se descendisse in Infernum per phantasiam intellectualiter non personaliter, prout fecit, intelligit se descendisse ad infimum statum vitiorum, et inde exisse (p. 7); Anagogice quis loquitur, cum datur intelligi quod desideratum est, et cum per terrena dantur intelligi coelestia (p. 7). Il Proemio dell'Anonimo fiorentino, dunque, non è che un centone, di cui la prima parte deriva interamente dal Boccaccio, la seconda è compilata su l'Antico e Pietro di Dante. L'Autore, attingendo liberamente a queste tre fonti, non costringe la trattazione entro linee schematiche: ordina e rimugina la roba d'altri a suo capriccio, e con punta abilità. III. FRANCESCO DA BUTI1 Anche il Buti, cui gli Ufficiali dello Studio di Pisa avean dato l'incarico di legger Dante al popolo, compendiò le sue letture, come il Villani, pei "conforti incitativi delli amici e massimamente delli uditori, ai quali per la continuanza la lezione mostrava essere piaciuta „.2 Il suo Commento era compiuto nel giugno del 1385. 3 Va innanzi all'opera una dotta "escusazione motivata su il tèma " Poca favilla gran fiamma seconda,, (verso già tolto nello stesso senso e cogli stessi intendimenti dal Lana); il Proemio poi comincia cosí: "Sí come dicono tutti li esponitori nelli principî delli autori, si richiede di manifestare tre cose principalmente; cioè le cagioni, et appresso la nominazione, e poi la supposizione dell'opera. E quanto al primo è da sapere che le cagioni, che sono da investigare nelli principî delli autori, sono quattro; cioè cagione materiale, formale, efficiente e finale. Et in questo nominato Poema la cagione prima, cioè materiale, che tanto è a dire quanto il suggetto di che l'Autore parla, si è litteralmente lo stato dell'anime dopo la separazione dal corpo, et allegoricamente o vero moralmente è lo premio o vero la pena a che l'uomo s'obliga vivendo in questa vita per lo libero arbitrio. La cagione seconda, cioè formale, è doppia; cioè la forma del trattato e il modo del trattare, ecc. Si confronti questo principio con quello del Boccaccio, riportato qui innanzi a p. 59; e poi si proceda nel confronto 1 FRANCESCO DA BUTI, Commento sopra la "Divina Comedia ecc. ed. Giannini, Pisa, 1858, vol. I. 2 Ibid., p. 5. sino alla fine del Proemio: il Buti riduce o traduce o esemplifica l'esposizione del Boccaccio, e non isdegna di trascriverlo quasi a parola in alcuni punti, come : BUTI. ....Dante Allighieri, per ischiatta uomo nobile della città di Fiorenza, la vita del quale non fu uniforme, ma di diverse mutazioni infestata; imperò che spesse volte in nuove qualità di studî si permutò ecc. (p. 8). BUTI. e, se mi venisse detto, per materia alcuna che occorresse, alcuna cosa che venisse contra la determinazione detta, infino ad ora la rivoco et òlla e tengola per non detta, sottomettendomi alla correzione di ciascuno valente catolico (p. 11). Poche e brevi aggiunte son qua e là interposte. Le enumero qui tutte: la citazione del Canto XVI (oltre il XXI ricordato anche dal Boccaccio), a proposito del titolo di commedia; la citazione dei Canti XX e XXXIII dell' Inferno, ove i capitoli son chiamati canti; il numero di questi in ciascuna Cantica; l'osservazione che non tutti i Canti sono di una misura, e che tra i versi ve n' ha di dieci, di undici, di dodici sillabe; la divisione dei ritmi "overo ternarî in versi; e le frasi seguenti : “di musica ancóra si può credere, e sí per li sonetti e canzoni morali ch'elli sottilmente compose, che ne fosse assai bene informato,; "com' elli dimostra in alcuna delle sue canzoni morali; dico in alcuna: però che al mio parere in molt' altre ebbe altro intendimento allegorico, come ben si può accorgere chi perspicacemente legge quelle Di piú: l'iscrizione posta sul sepolcro " Iura monarchiae etc. „,; e, a proposito della convenienza del nome: significandosi et appropriandosi questo medesimo per quello che si dice comunemente: "nomina et pronomina sunt consequentia rerum Svolti i concetti generici, il Buti conclude, come il Boccaccio, che non intende "né in questo né in altro dire alcuna cosa che sia contra la determinazione della santa madre Ecclesia catolica,; 66 BOCCACCIO. che se alcuna cosa meno avvedutamente o per igno- Dopo la partizione di tutta l'opera, e la divisione e il contenuto del primo Canto, si espongono i quattro sensi: anche qui con adesione quasi letterale alla fonte consueta. Unica aggiunta sono i noti versi: "Littera gesta refert; quid credas allegoria; moralis quid agas; quid speres anagogia „. Conclusione. Il Proemio del Buti non è che il Proemio di G. Boccaccio sfrondato e compendiato; e benché in un punto si rimandi e si faccia anche il nome dell'espositore fiorentino, 1 il discorso procede come se fosse opera originale. 1 "Le ragioni che si potrebbono far contra, a mostrare che questo nome non si convenía a questa opera, e le soluzioni a ciò, al presente lascio per osservare la brevità, e perché messer Giovanni Boccacci nella sua lettura che cominciò, assai sofficientemente le tocca,, (p. 7). "" BENVENUTO DA IMOLA. Il Proemio di Benvenuto comprende tre parti. Nella prima si celebrano le lodi della famiglia d'Este in generale, e del marchese Niccolò in particolare, a cui l'opera è dedicata. Nella seconda si esalta il Poeta con il detto di Averroe: "Ipse est mare inundans, undique venientium indigentias replens affluenter et copiose „. Le parole ipse est mare inundans significano la maravigliosa profondità del suo sapere ; "hic namque poeta peritissimus, omnium coelestium terrestrium et infernorum profunda speculabiliter contemplatus, singula quaeque descripsit historice, allegorice, tropologice, anagogice, (p. 7). Le parole “undique venientium indigentias replens, significano la grande e molteplice utilità che agli uomini deriva dallo studio del Poema; e le altre "affluenter et copiose, ne indicano la " fertilitas ineffabilis Nella terza parte infine si svolge lo schema dei soliti concetti tradizionali. La fonte di Benvenuto è l'Antico; ma la trattazione è fatta con maggior larghezza di notizie. IV. BENVENUTO. Ad cujus clariorem intelligentiam quaedam evidentialia extrinsecus praelibentur. Et primo quaeratur quis libri autor: secundo, quae materia: tertio, quae intentio: quarto, quae utilitas: quinto, cui parti philosophiae supponatur: sexto, quis libri titulus. .... .... BENVENUTO. Parisius, ubi adeo alte emicuit, quod ab aliquibus vocabatur poeta, ab aliis philosophus, ab aliis theologus. Come nell'Antico, i concetti si seguono in quest' ordine: I. Auctor. Ricorre anche nella fonte, a proposito del nome dell'Autore, la frase "est enim nomen consequens rei, ; manca ivi però la spiegazione della parola "Dante,. Benvenuto tra le due interpretazioni correnti, quella di Pietro di Dante (p. 513) e l'altra, qui innanzi ricordata, di Guido da Pisa, riferisce la prima, e aggiunge la seconda modificandola cosí: "Vel dictus est Dantes quasi dans theos, idest Dei et divinorum noticiam,. Seguono notizie sugli studî, la vita, la famiglia del Poeta, e poi il sogno della madre con l'analoga interpretazione: tutta roba della Vita del Boccaccio, di cui qua e là, tra il discorso svolgentesi con andamento originale, risuona qualche parola. videbatur oriri pavo. Ex qua re tanta admiratio nata est ipsi dominae, quod somnium rupit. Quod ceciderit in ipso conatu, significat casum quem omnes facimus sine resurgere, scilicet casum mortis (p. 12 e segg). แ ANTICO. Ora convene vile cosa è, e anco utile o vero necessaria, primamente fare onore a tanto autore richiedendo del suo nome e del suo essere; che la materia o vero subietto de la sua presente opera; che fu la sua intenzione, per la quale tanta fatica imprese, e la cagione che a ciò fare 'l mosse; quale l'utile dei leggenti; ed al titolo del libro; ed a qual parte di filosofia è sottoposta questa opera: di quelle cose che si sogliono domandare nel cominciamento delle esposizioni dei libri. |