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II. Materia.

BENVENUTO.

Materia, sive subiectum huius libri, est status animae humanae tam iunctae corpori quam a corpore separatae; qui status universaliter est triplex, sicut autor tres facit partes de toto opere.

ANTICO.

Fu la materia overo subietto de la presente opera lo costume de li uomini, o vero vizii e virtú; o.... lo stato delle anime dopo lo temporale mondo; la quale universalmente è di tre condizioni, si com' egli fa tre parti del suo volume.

E séguita cosí a elaborare e ampliare piú liberamente la duplice chiosa accennata dall'Antico.

III. Intentio autoris.

IV. Utilitas.

V. Cui parti philosophiae supponatur.

Sempre seguendo l'Antico, Benvenuto svolge o costringe a suo modo il pensiero di lui. Si confronti, ad esempio, il paragrafo V, sul" genere di filosofia quello dell'Antico (che è il 6o).

BENVENUTO.

Liber iste supponitur omni parti philosophiae; et primo Ethicae, in quantum tractat de actibus humanis, puta de viciis et virtutibus: Metaphysicae et Theologiae, in quantum tractat de Deo et substantiis separatis, sive angelis: et interdum Physicae, quoniam scilicet interserit quaedam naturalia; tamen proprius et principalius supponitur Ethicae, ut per se patet.

ANTICO.

1

con

Puossi dire che questa opera sia sottoposta a morale filosofia, in quanto ella ha per suo subietto atti umani, e puotesi dire che a nulla speziale parte di filosofia sia sottoposta, in quanto in essa si tratta della divina essenzia che appartiene alla supereccellentissima teologia, e cosí quando tratta della natura angelica e de li corpi sopracelesti e de le altre scienzie.

VI. Libri titulus est talis: "Incipit prima cantica Comoediae D. Aldigherii poetae florentini, in qua tractatur de Inferno. E poi: "In hoc titulo, primo tangitur ordo sive causa formalis,; e cosí Benvenuto s'apre la via a parlare della causa formale, sempre aderendo all'Antico, da cui traduce liberamente qualche frase. Confronta :

BENVENUTO.

Forma tractatus est compositio rhythmica, suavitate eloquentiae et gravitate sententiae condita.

ANTICO.

La forma del trattato è da considerare in due modi, l'uno quanto alla forma di versi ritimichi.... pieni di soavità e di loquenza e di gravitadi e maturezza sentenziosa.

Benvenuto però corregge il pasticcetto che v'è nella fonte a questo punto, aggiun gendovi i molteplici modi del trattare," scilicet diffinitivus, divisivus, probativus, improbativus et exemplorum positivus „, e la spiegazione di ciascuno, che manca in altri Proemi. Tornato poi al titolo del libro, spiega la denominazione di cantica (argomento toccato dal Boccaccio, ma in diverso modo), e quindi di commedia, che naturalmente si porta con sé l'accenno ai varî stili, che sono tragedia, satira, commedia. Qui Benvenuto si allontana dall'Autore seguíto finora (ove gli stili son quattro e non tre, e di ciascuno si fa molto povera menzione, come vedremo), e tratta di essi con maggior sicurezza e piú larga dottrina (si noti nella frase "facta ruralium plebeiorum et humilium personarum „ l'eco delle parole

1 Nel testo dello Scarabelli "spezialmente,. Correggo questi e altri errori sul cod. Riccard. 1023.

di Papia1 intorno alla Comedia: "Comedia est que res privatarum et humilium personarum,, etc.), concludendo con un pensiero che ricorre, a mia conoscenza, solo in Guido da Pisa:

BENVENUTO.

Si quis velit subtiliter investigare, hic est tragoedia, satyra et comoedia. Tragoedia quidem, quia describit gesta pontificum, principum, regum, baronum et aliorum magnatum et nobilium, sicut patet in toto libro. Satyra, idest reprehensoria; reprehendit enim mirabiliter et audacter omnia genera viciorum, nec parcit dignitati, potestati vel nobilitati alicuius. Ideo convenientlus posset intitulari satyra, quam tragoedia vel comoedia.

GUIDO.

Dantes autem potest dici non solum comicus propter suam comediam, sed etiam poeta lyricus propter diversitatem rithimorum et propter dulcifluum et mellifluum, quem reddunt, sonum; et satyricus propter reprehensionem vitiorum et commendationem virtutum, quas facit; et tragedus propter magnalia gesta, que narrat, sublimium personarum (p. 155).

E séguita: "Potest etiam dici quod sit comoedia; nam, secundum Isidorum, Comoedia incipit a tristibus et terminatur ad laeta. Et ita liber iste incipit a tristi materia, scilicit ab Inferno, et terminatur ad laetam, scilicet ad Paradisum sive ad divinam essentiam. Sed dices forsan, lector: cur vis mihi baptizare librum de novo, cum autor nominaverit ipsum Comoediam? Dico quod autor potius voluit vocare librum Comoediam a stylo infimo et vulgari, quia de rei veritate est humilis respectu litteralis, quamvis in genere suo sit sublimis et excellens „; dove mi pare che l'A. abbia presente le parole del Boccaccio: ".... lo stile comice è umile e rimesso....; quantunque in volgare scritto sia.... egli è ornato e leggiadro e sublime" (p. 85): dell' Epistola, non pare abbia alcuna notizia,

Conclusione. Anche Benvenuto da Imola, uomo dotto e autore di piú opere dotte, amico del Petrarca, del Boccaccio, del Salutati, scrivendo il Proemio, si vale di quello dell'Antico, senza citarlo; lo megliora però e arricchisce di più larghe notizie, attingendo direttamente alle fonti comuni del sapere medievale. Ricorre, per la parte biografica, alla Vita boccaccesca; e forse conosce anche i Proemi di Guido da Pisa e del Boccaccio.

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V.

BOCCACCIO. Come Pietro di Dante si fa il segno della croce prima di cominciare, il Boccaccio invoca l'aiuto divino, virgilianamente, siccome a materia poetica, conviensi: poi imposta lo schema della trattazione, con elementi desunti dal medesimo Pietro.

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avanti che alla lettera del testo si venga, estimo Porro in praesenti nostro opere, ut in quolibet alio sieno da vedere tre cose, le quali generalmente si so- actuali, quadruplex erit causa intimanda: scilicet, causa

Citato nel Catholicon di Giovanni da Genova, che mi sembra sia la fonte di Benvenuto per questa parte. Cfr. le parole di Benvenuto "Tragedia describit gesta pontificum.... et aliorum magnatum.... Satyra idest reprehensoria „ con quelle di Giovanni “Tragedia regum et magnatum.... comedia humili stilo describitur.... Satyra carmen reprehensorium „.

gliono cercare ne' principj di ciascuna cosa, che appartenga a dottrina: la primiera è di mostrare quante e quali siano le cause di questo libro; la seconda, qual sia il titolo del libro; la terza, a qual parte di filosofia sia il presente libro supposto. Le cause di questo libro son quattro: la materiale, la formale, la efficiente e la finale.

efficiens, materialis, formalis et finalis. Magistraliter solet addi quis sit libri titulus, et cui parti philosophiae supponitur (p. 3).

Il modo nuovo, in cui Pietro, allontanandosi dai suoi predecessori, enumera e aggruppa i sei concetti generici, induce il Boccaccio a fare un passo avanti: ad accentuare più decisamente quella enumerazione, fino a ridurre a tre capi lo schema dottrinale. Egli segue però nello svolgimento delle cause un ordine piú razionale, toccando prima della causa materiale, poi della formale; traduce, quasi letteralmente, tutta questa parte dall' Epistola a Cangrande.

BOCCACCIO.

La materiale è, nella presente opera, doppia, cosí come è doppio il suggetto, il quale è colla materia una medesima cosa.

EPISTOLA.

... manifestum est quod duplex oportet esse subiectum, circa quod currant alterni sensus.

(Si noti l'avvolgimento e la ripetizione che è in questo primo periodo. Messosi sulla falsariga dell' Epistola, era necessario conciliare la denominazione già adottata di causa materiale, con l'altra di subiectum, che occorre nella nuova fonte).

È adunque il suggetto, secondo il senso letterale, lo stato dell'anime dopo la morte de' corpi semplicemente preso; perciocché di quello, e intorno a quello, tutto il processo della presente opera intende.

Est ergo subiectum totius operis, literaliter tantum accepti, “status animarum post mortem simpliciter sumptus Nam de illo et circa illum totius operis versatur processus (paragr. VIII).

E cosí tutto il brano intorno alla causa materiale, formale e finale, è traduzione letterale dei paragrafi VIII, IX, parte del XIV, e XV dell' Epistola. (Si osservi nel periodo citato lo spostamento del totius, che nell' originale è riferito con logica convenienza a operis, e nella traduzione diventa inutile determinazione di processo).

Esaurita la prima parte, l'Autore passa alla seconda, cioè al titolo del libro: rileva la differenza che è nei diversi testi, spiega il significato di cantica e poi di commedia, indugiandosi su le obiezioni da altri già mosse a un titolo siffatto; il qual titolo, sotto ogni rispetto (preso nel significato classico di azione teatrale), sconviene alla contenenza del Poema. E poi conclude: "Né si può dire non essere stato della mente dell'Autore che questo libro non si chiamasse commedia ...; conciossiacosaché esso medesimo nel XXI canto di questa prima Cantica il chiami commedia .... Che adunque diremo alle obiezioni fatte? Credo, conciossiacosaché oculatissimo uomo fosse l'Autore, lui non avere avuto riguardo alle parti che nelle commedie si contengono, ma al tutto, e da quello avere il suo libro dinominato ecc. Or qui vien fatto di domandare: se il Boccaccio avesse conosciuta l'Epistola (che è sua fonte, e in questo e in altri luoghi) come opera di Dante, non si sarebbe forse rimesso alle autentiche dichiarazioni dell'oculatissimo Autore, invece di perdersi a discutere le opinioni degli altri, e poi concludere con un timido "credo ecc.? E si noti, di piú, che tra le opinioni altrui, contro le quali, per rispetto alla convenienza del titolo, si fanno obiezioni, ve n'è una che appartiene per l'appunto all' Epistola:

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ВОССАССІО.

Dicono adunque primieramente.... Oltre a questo, lo stile comico è umile e rimesso, acciocché alla materia sia conforme; quello che della presente opera dire non si può. Perciocché quantunque in volgare scritto sia, nel quale pare che comunichino le femminette, egli è nondimeno ornato e leggiadro e sublime.

EPISTOLA.

Si ad modum loquendi, remissus est modus et humiis, QUIA locutio vulgaris, in qua et mulierculae communicant.

Il QUIA dunque dell' Epistola, cosí vigorosamente oggi impugnato dal D' Ovidio, avea già incontrata la riprovazione del Boccaccio. E questo solo, se altre considerazioni non vi fossero, a me basta per affermare: 1° che il manoscritto dell' Epistola, di cui il Boccaccio si serviva e dal quale desumeva, questa del volgare, come opinione corrente, non portava certo l'enfatica intitolazione che attribuisce l'opera a Dante; 2o che il Boccaccio ritenne e sfruttò l'Epistola come opera appartenente a uno dei tanti commentatori del Poema.

Alla dichiarazione del titolo, seguono notizie intorno alla vita e ai costumi di Dante. Parve al Boccaccio, fosse questo il luogo piú adatto a parlare distesamente di un soggetto, a cui egli aveva inclinazione speciale: sotto la rubrica della causa efficiente, dove i suoi predecessori, toccano di questa materia, forse gli sembrò di non potersi dilungare a suo piacere, senza ecceder troppo dai termini schematici fissati dalla consuetudine. Quanto al significato del nome Dante, ei trascura l'opinione di Pietro, e spiega con ricchezza di parole e nuove osservazioni l'idea toccata per primo da Guido da Pisa.

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"La terza cosa principale, la quale dissi essere da investigare, è a qual parte di filosofia sia sottoposto il presente libro; il quale, secondo il mio giudicio, è sottoposto alla parte morale ovvero etica Si noti che l'Epistola ha "sub quo hic... proceditur,; e Guido: sub quo genere philosophye ista comedia decurrat.... comprehendatur,,. L'espressione boccaccesca con il ripetersi del verbo e, sembrami anche, con la formula di circospezione "secondo il mio giudicio,, tradisce la sua fonte, che è Pietro di Dante: "Nunc videndum cui parti philosophiae supponatur. Unde dico quod supponitur ethicae, idest morali philosophiae Qui Pietro fa punto;

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ma il Boccaccio continua e traduce il secondo periodo del parag. XVI dell' Epistola. Il quale, nel testo latino (e ciò anche va notato, per metter sempre più in rilievo la poca scrupolosità con cui il Boccaccio attinge a questo documento epistolare) è periodo dichiarativo di quel che precede, che finisce con le parole: “quia non ad speculandum sed ad opus incoeptum est totum et pars,; nel Boccaccio invece si attacca alla frase sovra citata con un "perciocché,,: traduzione materiale del nam che, soppresso il periodetto a cui esso nella fonte è strettamente legato, finisce col perdere il suo preciso valore logico.

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Si chiude il Proemio generale, o meglio si preludia alla seconda parte della prima lezione introduttiva (che tocca dell'Inferno secondo lo schema accennato a p. 60, e poi delle ragioni per cui Dante prescelse il volgare), con una dichiarazione d'insufficienza e di sommessione alla Santa Chiesa: dichiarazione venuta già di consuetudine dai più antichi espositori.

Il Boccaccio per primo fa dell'allegoria una speciale trattazione, che segue al commento letterale di ogni Canto. È dunque da cercare nella prima di queste trat

tazioni intorno all'allegoria il discorso sui quattro sensi, che nei commentatori precedenti è sotto il concetto di "subiectum,. La convenienza, e diciam pure, necessità di questa posposizione, fu già avvertita dal Vandelli in una bella nota, in cui si mostra che anche per i quattro sensi la fonte del Boccaccio è l'Epistola, trattata con la solita disinvoltura. Cito una parte della nota a piè di pagina, perché il lettore abbia qui sott'occhio tutti gli elementi del nostro discorso.

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E ora concludiamo. Più ricco di quelli finora esaminati dal lato biografico, piú libero nell'aggruppamento di alcune parti, il Boccaccio, tranne qualche elemento attinto al Proemio di Pietro, in complesso toglie il contenuto dottrinale del suo discorso dall' Epistola a Cangrande. Considera l'Epistola come opera di un commentatore qualsiasi, e se ne serve, al pari degli altri, come materia di ius comune, sia traducendola a parola, sia riducendola con poca scrupolosità.

(continua)

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F. P. LUISO.

1 Bullettino, ecc, vol. VIII, p. 156: "Che anche qui il latino sia fonte del Boccaccio e non viceversa, parmi evidente. Si confrontino questi due passi nei due testi: 1° Epistola: .... significatur exitus animae sanctae ab huius corruptionis servitute ad aeternae gloriae libertatem.' Boccaccio: .... vedremo esserci dimostrato l'uscimento dell'anima santa dalla corruzione di questa servitudine alla libertà della gloria eternale.' L' ad libertatem vuole, mi par chiaro, come suo precedente l'a servitute del testo latino: il Boccaccio o fraintese, o tradusse liberamente senza badare al contrapposto, o usò un testo latino scorretto; 2° Epistola: Et quomodo isti sensus mystici variis appellantur nominibus, generaliter omnes dici possunt allegorici.' Boccaccio: E cosí come questi sensi mistici sono generalmente per vari nomi appellati, tutti nondimeno si possono chiamare allegorici.' Il generaliter nel suo senso di 'con espressione generale' quadra benissimo nel posto dove ce l'offre l'Epistola, al principio cioè della seconda parte del periodetto; in tutt'altro senso e luogo ci presenta il Boccaccio il suo 'generalmente.' Ora che i due testi siano in diretta relazione è indiscutibile, ed altrettanto sicuro parmi la derivazione dell'italiano dal latino; perché, se non era difficile attaccare il generaliter' alla prima parte anziché alla seconda parte della frase e intenderlo o fraintenderlo, per conseguenza, come fa il Boccaccio, non era possibile, mi sembra, che uno, avendo sotto gli occhi il testo boccaccesco, nel tradurre in latino, spostasse a quel modo il 'generalmente e mutasse cosí il significato di esso,. Non vale aggiungere che il Vandelli mira a togliere, a vantaggio dell'autenticità, ogni fondamento all'opinione di coloro, secondo cui l'Epistola sarebbe una manipolazione della seconda metà del secolo XIV.

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