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di Dite. L'A. trova naturalissimo che Dante abbia considerati come più gravi i peccati di frode, che quelli per violenza; e nulla tocca delle questioni a cui ciò può dar luogo, chi confronti le opinioni di Platone, d'Aristotile e di san Tommaso, non che le antiche e le moderne legislazioni, a tale proposito. Per il settimo cerchio, il sottocriterio divisionale sarebbe quello del maggiore o minor danno, misurato dal perturbamento dell'ordine morale: e il diverso perturbamento dell'ordine causato dalle colpe di frode, sarebbe anche il criterio della suddivisione in colpe contro chi non si fida, e colpe contro chi si fida: però, quanto alle bolge, l'A. sospetta che D. non abbia voluto pesare la gravezza delle singole frodi: per esse Dante mostrerebbe di sentire quasi un ribrezzo, che gli vieta di fermarsi a lungo tra tanta lordura; e conclude che in Malebolge le ragioni filosofiche sieno state in parte sacrificate alle ragioni estetiche: in quanto al 9° cerchio, le colpe sarebbero state graduate anche secondo il maggiore o minor danno, misurato però dal perturbamento dell'ordine sociale. Seguono altri due lunghi capitoli, nel primo de' quali l'A. prevede ed esamina alcune opposizioni che potranno farsi al suo sistema; nel secondo esamina i cinque sistemi piú in voga, e, naturalmente, non ne trova alcuno che regga. Per ragion di brevità, noi non lo seguiremo in questa duplice disamina, pur riconoscendo che ci sono, qua e là, molte acute osservazioni, e sempre molta conoscenza dell'argomento e molta erudizione filosofica e teologica: ci limiteremo a fare poche brevi osservazioni ai criterî onde s'informa il libro del Ronzoni, e al sistema da lui proposto per l'Inferno.

In quanto ai primi, perché non darsi alcun pensiero dell'ortodossia o eterodossia di Dante, quando, fortunatamente, un giusto concetto, sull'una e sull'altra, ogni dantista ha potuto farselo; e questo concetto può essere un freno nell'attribuire a Dante cosí un'eccessiva servilità ai dettami teologici, come una libertà eccessiva in punto a teologia? Perché non darsi alcun pensiero dell'intime ragioni dell'arte di Dante, quando è universale il consenso che Dante fu sommo artista; e che attribuirgli alcune gravi offese all'arte non sarebbe buona critica? L'arte, dice il Ronzoni, non è matematica. Verissimo; ma non è men vero che il bello è sempre bello,

per chi ha senso del bello. Infine, perché rinunciare, tranne in pochissimi casi di perfetto parallelismo, all'aiuto che possono dare i teologi in generale, e qualcuno in ispecie, san Tommaso, per esempio? qualche volta, non c'è dubbio, Dante se ne discosta; ma d'ordinario, specialmente con san Tommaso, l'accordo è perfetto; tanto che qualcuno considerò la Commedia come la Somma poetizzata. In quanto poi all'attenersi rigorosamente alla lettera della Commedia, sino al punto di rifiutar qualunque ipotesi, che non trovi nella Commedia un passo che esplicitamente la sanzioni, questo criterio potrà esser giusto in un trattato scientifico, ma è pedantesco in un'opera d'arte; specialmente poi se quest'opera è la Commedia di Dante, il quale ci ha lasciato scritto che a nobile ingegno è bello lasciare un po' di fatica. D'altra parte, se Dante ci avesse fatto, nella Commedia, una precisa, minuta esposizione dell'orditura morale e teologica, sulla quale egli ha tessuta la sua mirabile tela poetica, non avremmo noi, a coro, accusato Dante d'essersi fatto prender la mano alla teologia, con evidente scapito della poesia?

Per ciò che riguarda il sistema proposto dal Ronzoni per l'Inferno, innanzi tutto non siamo convinti che il vestibolo e il Limbo abbiano a far parte da sé, senza rientrare nell'unico criterio divisionale che regola il resto dell'Inferno, sol perché Dante non ne fa motto nel Canto XI: ma nemmeno degli eretici fa motto; eppure il Ronzoni stesso non esclude che rientrino nell'intera struttura morale dell'Inferno, riconoscendo che anche nel Purgatorio il Poeta ha taciuto qualche volta per deliberato proposito. In secondo luogo, non ci pare sufficiente, a spiegar la mancanza di accidiosi, invidiosi e superbi, la ragione addotta dal Ronzoni, cioè che Dante non era obbligato a punire tutte le colpe d'incontinenza, perché non scriveva un trattato di morale: con questo criterio si dovreb· be mandar buona ai poeti qualunque corbelleria in punto a scienza. Parimenti, l'aver Dante classificati i peccati sotto le due categorie dell'incontinenza e della malizia, perché toglie che nell'Inferno vi sieno tutti i vizî capitali? non sono essi tutti peccati d'incontinenza, secondo il Ronzoni; secondo altri, sei d'incontinenza ed uno (la superbia) di malizia? Né vale il dire che "la divisione dei sette vizî capitali era ben lontana dalla

celebrità e popolarità che cominciò a godere qualche secolo più tardi onde Dante non era legato a seguire piuttosto questa che quella norma distributiva: non ha Dante mostrato, nel Purgatorio, quale classificazione dei vizî capitali egli avesse adottata? Infine, non par sufficiente il criterio del danno, per misurare la gravezza delle colpe: per i teologi, il principal criterio è quello desunto dall'oggetto del peccato: s'aggiungono quelli della virtú a cui il peccato s'oppone, della sua carnalità o spiritualità, della sua causa, delle circostanze che lo accompagnano, del danno che ne deriva e della condizione della persona che pecca e di quella contro cui si pecca: quanto al danno, anzi, lo stesso san Tommaso, nel passo riportato dal Ronzoni, scrive che il danno in tanto aggrava il peccato in quanto rende l'atto più disordinato. Insomma, questo del danno è un criterio secondario; e non è presumibile che alla mente filosofica di Dante potesse parer sufficiente a misurar la gravezza di tutte le colpe punite nell'Inferno. E che non sia un criterio sufficiente, ce ne dà una prova il Ronzoni stesso, rinunciando ad applicarlo alle nove bolge: a proposito delle quali, è poco felice la trovata, che Dante, per il ribrezzo che in lui destavano quegli orribili peccati, rinunciasse a graduarli: diciamo piuttosto che non abLiamo ancora trovato il criterio con cui Dante graduò quegli orribili peccati; e che, forse, anche se lo avessimo trovato, non sarebbe facile impresa, per riconoscerne l'applicazione ai singoli peccati, il gareggiar con Dante in acume e in iscienza teologica.

esso. Ed è l'allegoria che l'allacciò alle altre parti del Poema „. Come si vede, piú discreti di cosí non si potrebb'essere: ma tanta discrezione lascia il lettore vuoto e scoraggiato. Per il Purgatorio, il Ronzoni ha demolito tutto, ma nulla ha ricostruito.

Lo stesso non può, in verità, dirsi per il Paradiso: anche qui, manco a dirlo, il "martello demolitore, abbatte tutte le classificazioni dei beati tentate finora, le astrologiche come le teologiche; ma, se non altro, se ne sostituisce una non cosí scarna, come quella proposta per il Purgatorio. Fermo nel suo proposito, di non desumere altronde il criterio divisionale di alcuno de' tre regni, se non dalla Commedia stessa, il Ronzoni nota che nel Canto III del Paradiso è detto che in Paradiso è necessario essere in carità'; "preziosa sentenza; perché da essa si può dedurre che la carità è il passaporto del cielo; è l'anima della vita paradisiaca.... Posta la carità come principio divisionale, Dante è all'unissono coi teologi, che in questo punto sono concordi, come nell'affermare un domE incominciando da Saturno, il Ronzoni dimostra benissimo la scala discendente della carità, sino a Marte: per gli altri cieli sottostanti, evita prudentemente la disamina, pronunciando cosí egli stesso la condanna del sistema. Passa poi a prevedere alcune obiezioni: dove sia l'Antiparadiso; e perché il Poeta non abbia tenuto conto delle stelle fisse, del primo mobile e dell'Empireo. In quanto alla prima, ha ragione di rispondere che il Poeta non era obbligato a dare un sobborgo alla sua città delle gioie, per il solo fatto che l'aveva dato anche alle città dell'espiazione e del dolore: quantunque anche qui si manifesti nel critico la troppo rigida applicazione del criterio propostosi, di prescindere cioè da tutto che non sia esplicitamente dichiarato nella Commedia: poiché, vo

ma „.

Della struttura morale del Purgatorio il Ronzoni si sbriga in poche pagine: fatta la critica di quanto altri ne hanno scritto, e, s'intende, demolito tutto, cosí conclude: l'Antipurgatorio, come l'Antilimbo, è una fantasia del Poeta, attinta a qualche tradizione o leggenda popolare; e come non entra a farlere o no, il fatto che questo sobborgo c'è parte del Purgatorio, cosí è escluso dal suo sistema penale. Questo fu tracciato dal Poeta abbastanza minutamente e solo resterebbe a chiedere con quale criterio si sia misurata la maggiore o minore gravezza dei singoli vizî; ma lascio il compito a chi studia la filosofia della Commedia.... Viene poi il Paradiso terrestre; ma dal punto di vista morale non ha nessuna relazione col Purgatorio.... è un paese fatato, che al Poeta piacque mettere vicino al Purgatorio, benché l'abbia ben distinto da

nell'Inferno e nel Purgatorio, se non rende necessario, certo rende probabile che abbia ad esserci anche nel Paradiso. In quanto alla seconda obiezione, il Ronzoni risponde che nelle stelle fisse non si hanno che le varie schiere di anime beate, prima incontrate dal Poeta nei vari cieli sottostanti; nel primo Mobile non si hanno anime umane, alle quali sia stata riservata quella sfera di gloria; e nell'Empireo s' incontrano tutti gli spiriti beati, che quasi sotto una larva celestiale

si videro nei primi cieli.... Insomma, due paradisi ci ha descritti il Poeta; l'uno tutto fantastico e che è stato improvvisato per insegnamento al fatale pellegrino; l'altro il paradiso teologico, il paradiso della fede, quale poteva capire nella fantasia d'un Poeta. Questa la realtà: che se altri volesse trovare il perché di questa duplicazione, lo cerchi nella necessità di dare un ordinamento sensibile ai beati, e piú forse nelle esigenze dell'allegoria,. In quanto al cielo delle stelle fisse, non è esatto che in esso il Poeta rivegga soltanto le anime già viste ne' cieli sottostanti: è nel cielo delle stelle fisse che gli appaiono, per la prima volta, san Pietro, san Giacomo, san Giovanni, Adamo, l'arcangelo Gabriele e Ge- | sú. In quanto al primo Mobile, è bensí vero che in esso non appaiono a Dante anime. umane; ma gli appaiono un punto, figura della divina essenza, e nove cerchi di fuoco

concentrici, figura delle tre celesti gerarchie. Infine, nell'Empireo, oltre agli spiriti beati, che già gli sono apparsi nelle sfere inferiori, appare a Dante, per la prima volta, niente meno che la stessa divina sostanza. A spiegare queste tre sfere, o, meglio, queste tre nuove apparizioni, non sembra che basti la magra spiegazione del Ronzoni.

Concludendo, questo libro del Ronzoni è, certamente, uno studio serio e pregevole, come di esso ebbe a dire la Commissione giudicatrice del concorso dantesco tra i professori delle scuole secondarie del Regno; ma che con esso sia stato risolto il problema della struttura morale dei tre regni danteschi, l'A. potrà bene, com'egli dichiara, nutrirne in cuore " una tal quale certezza,; ma, per conto mio, io non oserei affermarlo.

L. F.

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AMADUCCI PAOLO.

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Cfr. no. 2511.

(2511)

Guido Del Duca e la

famiglia Mainardi. (Negli Atti e memorie della r. Deputazione di st. p. per le prov. di Romagna, 3a serie, vol. XX, fasc. 4-6). (2512)

AMBROSINI LUIGI. -Ancóra sulla "Francesca,. (Nella Gazzetta di Saluzzo, XXXIX, 7). Contro il giudizio di R. Renier (v. il no. 2601) vuol dimostrare che l'azione teatrale della Francesca da Rimini di G. D'Annunzio non solo non ha niente di "dantesco,, ma dà talvolta l'illusione di assistere a una rappresentazione di burattini „. E nient'altro? (2513)

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ANDREI VINCENZO. pliamento di una lettura dantesca tenuta nel r. Collegio Cicognini in Prato e nel r. Istituto Nazionale di Firenze, Firenze, tip. Ferdinando Mariani, 1902, in-8, pp. 187. (2514)

ANSELMI ALBERTO. Oltre i confini della storia. Roma, E. Voghera editore, 1901, in-16 picc., pp. 192.

Tra altro: Nello Pannocchieschi e Pia de' Tolomei. (2515)

ARULLANI VITTORIO AMEDEO.

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dell'arte e della critica: nuovi saggi. Torino-Roma, Casa editr. naz. Roux e Viarengo, 1903, in-16, pp. 239.

Tra altro: Il dolore in Dante e nel Petrarca.

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BUTLER ARTHUR JOHN. Dante, his times and his Work. London, Macmillan and Co., 1901, in-16, pp. 1x-[3]-201-[1].

È la seconda edizione, senza alcun ritocco, della ben nota operetta compilata dal B. nel 1895. Ne diamo qui il sommario: 1° The Thirteenth Century; 2° Guelfs and Ghibelines; 3o Dante's Earles Days; 4° Florentine Affairs till Dant's Exile; 5o Dante's Exile; 6° The “Commedia „; 7° The Minor Works. In appendice: 1°

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(2528)

CARLINI ARNALDO. Del sistema filosofico di Dante nella "Divina Commedia,. Bologna, Ditta N. Zanichelli, (Cerignola, tip. R. Cibelli), 1902, in-8, pp. VIII-116.

L'A., che è giovine di forti studî, vuol dimostrare in questo suo libro esser la Divina Commedia un compiuto sistema filosofico: e però, premessa una breve ed elementare introduzione intorno a Gli studi filosofici di Dante e La filosofia nelle opere di Dante, espone ordinatamente la filosofia, che è nel Poema, seguendo questo sistema: raccolti i versi più facili e più noti, li traduce liberamente in prosa, e ricerca quindi di ogni teorica le origini filosofiche principalissime, trascurando la discussione sulle singole fonti dei singoli pensieri e dei singoli versi. Sebbene non tutte le conclusioni alle quali il C. crede di poter giungere ci sembrino accettabili, pure, nel suo complesso, questo studio è degno di atten(2529)

zione.

CASALI R. Della genealogia di san Francesco. (Nel Boll. della r. Dep. di st. p. per l'Umbria, VIII, 279).

I biografi più antichi, parlando della famiglia del Santo, non mai aggiunsero il nome Morico e Moricone, aggiunti a quello di Bernardo da' biografi del secolo XVI per farlo discendere di nobile stirpe. Non lo hanno l'albero genealogico della famiglia, stimato pur da' Bollandisti antico ed autentico (Instrumenta ab an. 1168 usque ad an. 1274, I, 42, Arch. del S. Convento) né gli altri documenti. (2530)

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Novella adorne delle rappresentazioni del Giudizio e del Paradiso sono cosí folte di ritratti contemporanei, da sembrare strano al C. che nessuno si sia di proposito accinto a decifrare, quanto è possibile, la vasta e ricca iconografia orcagnesca; la quale pare tanto piú degna di considerazione e di studio in quanto che gli affreschi della Cappella del Podestà, ove Giotto ritrasse i piú insigni uomini del tempo, sono oramai malconci dal deperimento, dai guasti dell'incendio e dall'abbandono di tanti secoli, e dai mal consigliati restauri,. Deplorando poi che nemmeno il Wood Brown (The Dominican Church of s. M. Novella ab Florence, Edinburg, 1902) abbia creduto di tentare questa ricerca, nota bensí che un primo tentativo (ma cfr. Giorn. dant., XI, 9) ne fece il Mesnil (Zeitschrift für bildende Kunst, n. f., XI, 1900): al quale parve riconoscere la figura di Dante nel gruppo degli eletti nella Storia del Giudizio, che sta nella parete di fondo, a destra di chi guarda. La dimostrazione del Mesnil non ha convinto gli studiosi, perché, secondo il C., "quella figura che, avvolta in un lucco rosato, si leva colle mani giunte in atto di devota supplicazione verso il Cristo giudice, ha bensí dei tratti simili a quelli tradizionali e tipici di Dante, ma non uno dei piú caratteristici, attestato già dal Boccaccio, e visibile in tutte le imagini del Poeta, il labbro inferiore prominente. Dietro questa figura, che ha d'altronde l'aspetto d'un uomo piú che settantenne, sta quella d'un frate domenicano che la raccomanda e quasi la sospinge verso Dio. Il qual particolare, mentre non si vede come convenga al Poeta e al Poema, meglio fa pensare che quella figura orante rappresenti uno degli Strozzi patroni della Cappella, e forse il committente medesimo dell'opera, come usavano fare gli antichi maestri,, (vedasi anche su tutto questo Giorn. dant., XI, 8). E finalmente sarebbe assai poco verosimile che il Pittore avesse posta la figura del Cantore del Paradiso in questa Storia del Giudizio anziché nell'altra vicina che doveva rappresentare il sog. getto stesso di quella terza Cantica, dalla quale Dante sperava non solo la corona di poeta, sí anche il merito dell'eterna beatitudine,. Per queste ragioni è parso al C. naturale cercar Dante nella contigua figurazione del Paradiso e postosi alla ricerca, ha d'un tratto ravvisato una figura, a sinistra di chi guarda il dipinto, al di sopra della danza delle donne elette e a capo della prima linea del gruppo ove sono nei lor diversi costumi ritratte persone, certamente cospicue, del secolo XIV, nella qual figura "è agevole riconoscere la presenza dei ben noti tratti fisionomici di Dante, vigorosamente delineati e rilevati; il naso aquilino, il labbro inferiore avanzato, la mascella grande, il mento proteso „. E gli è parso anche che questa figura avesse "manifesta affinità, col Dante del codice Riccardiano (cf. le due figure, ripr. in questo Giornale, XI, 5). A conforto di questa identificazione il C. ricorda la corrispondenza del luogo ove è posta la figura di Dante nel Paradiso della Cappella del Podestà. "Come in questo - egli scrive- cosí in quello di Santa Maria Novella Dante sta in luogo cospicuo, a capo delle piú alte fila degli eletti, e propriamente allineato alla serie delle sante e delle martiri, quasi ne compendiasse in sé medesimo le virtú „; e rammenta che di questo significato allegorico della disposizione giottesca, esattamente ripetuta in questa dell'Orcagna, "attestava già nella seconda metà del secolo XIV Antonio Pucci, che nel suo Centiloquio (sic!) scriveva: Questo che veste.... È bensí vero che la figura dantesca dell'Orcagna veste, anziché di rosso,

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ecc.

di colore oscuro: ma chi può dire, osserva il C., che la diversità di colore non derivi dal deperimento del colore o da' ritocchi di perfidi restauratori? o perché quella bruna veste non potrebbe indicar l'abito del francescano terziario? È pur vero che nel dipinto la figura sembra portar sul petto una croce rossa (?): ma pur la croce non pare al Chiappelli un ostacolo molto forte, perché o essa non è altro che un'apparenza, formata dal risvolto della cappa, o un fermaglio di essa, o è realtà, e allora potrebbe ben essere la croce rossa del popolo (!) e designare nel Paradiso l'origine fiorentina di Dante,. E qui, a conforto della sua ipotesi, il C. nota che se nella figura da lui identificata "s'ha veramente da riconoscere l'effigie di Dante, come tutto induce a credere, non c'è da maravigliarsi se vicino ad essa, avvolta in un cappuccio rossoscuro, si scorge un'altra imagine che ricorda "palesemente „ la tradizione fisionomica del Petrarca, e un'altra ancóra, vestita, come pare, d'azzurro, che ha " una singolare somiglianza colla figura alta ed eretta di messer Cino Infine, se tutto non trae in errore, si ha qui un gruppo di poeti e di letterati famosi, analogo a quello che porrà piú d'un secolo dopo il Ghirlandaio nella famosa storia del coro. E davvero par difficile immaginare conclude il C. come un poeta-pittore qual era l'Orcagna (?) avrebbe potuto figurare cosí grandiosamente il Paradiso senza apporvi come un segno indicativo di Dante ni. 2538, 2551, 2575, 2579 e 2580.

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Cfr. i (2531)

CHIAPPELLI ALESSANDRO. Dal Valdarno alla Romagna. (Nel Giornale d'Italia, VI, 457).

È la esposizione del Canto XIV dėl Purgatorio fatta dal C. a Roma, nella Sala di Dante e da noi preannunziata (cfr. Giorn. dant., X, 176). A proposito della quale ci si consenta, per la verità, un'osservazione. Il Barbi non aveva aggiunto, come par creda il C. (pag. 457, in nota) nuovi dubbi sull'autenticità dell'epistola Amico fiorentino, ma solamente aveva corretto un vecchio errore pubblicando le provvisioni del 1316 sul ribandimento de' condannati politici. Dopo questa pubblicazione fu generalmente creduto di poter senz'altro escludere dal novero delle epistole dantesche quella all'amico fiorentino, finché Guido Mazzoni, riprendendo in esame gli argomenti prò e contro l'autenticità (Bull. d. Soc. dant. it., V, 97) si pronunziò in favore di essa, con l'approvazione di molti studiosi di Dante, e tra questi appunto anche del Barbi (cf. VOLLMÖLLER, Rom. Fahresbericht, V, parte II, p. 281).

(2532)

Il ritratto di CHIAPPELLI ALESSANDRO. Dante nel Paradiso dell' Orcagna. (Nella Nuova Antologia, an. 38, fasc. 752).

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È la promessa " comunicazione scientifica„ (Marzocco, VIII, 5), in difesa della nota ipotesi del prof. C., il quale, prendendo specialmente occasione da un nobile scritto, di Pasquale Papa (nel Giorn. dant., XI, 1), "il quale, meglio degli altri e con piú serena mente, ha raccolte le ragioni onde è mosso a dubitare della presenza d'un antico ritratto di D. nel Paradiso orcagnesco, ritorna ora sulla “importante controversia e " per dileguare alcuni equivoci „'e "per remuovere possibilmente, le difficoltà recate in campo da' suoi oppositori, e per addurre nuove ragioni,, in favore della

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