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poetica, posteriore alla compilazione del giovenile libello, il Fornaciari stabilisce, per prima cosa, che il ritorno di Dante a Beatrice, cioè l'abbandono, narrato nella Vita nova, della donna pietosa, fu passeggiero, e che egli si rimise poco appresso con maggiore ardore agli studî filosofici (simbolo del nuovo amore) e alla fine, vinto ogni contrasto col vecchio amore, dopo circa trenta mesi, decise di darsi stabilmente alla filosofia, nonostante i propositi fatti alla fine dell'adolescenza. Cosí, gli alquanti giorni di malvagio desiderio accennati nella Vita nova non contrastano coi trenta mesi del Convivio, perché non sono che un breve periodo di questi, un periodo del nuovo amore, allora sospeso, ma ripreso ben presto con piú fermezza. In secondo luogo, pare al Fornaciari un errore capitale il voler vedere nell'amore per la donna pietosa qualche cosa di malvagio o di lascivo, e credere che il Poeta la condanni per tale. Il concetto di questa donna è unicamente quello di una nobil signora, tutta intenta a consolare il Poeta del suo affanno; e tale continua a dimostrarsi nelle Canzoni del Convivio, che pure escludono ogni indizio di amore sensuale. Ciò ammesso, per potere intendere i rimproveri di Beatrice, convien supporre che nella Vita nova siano, come nella Commedia, entrambi i sensi: il letterale e storico da una parte, l'allegorico dall'altra, e che questo solo vedesse confusamente il Poeta quando la scrisse, e in gran parte volesse attribuirglielo dopo. Sia pur vero e storico adunque l'amor di Dante per la Portinari, e vero il secondo onestissimo amore per la donna pietosa, e il rimorso che Dante ne provò, e, fors'anche, il riaccendersi per essa, ma deve esserci pure un senso allegorico per ambedue le donne e non può essere che di scienza, se è vero che Beatrice nel Poema è simbolo della teologia e la donna pietosa nel Convivio della filosofia. In conclusione, Beatrice, cioè la scienza del cielo, è guida alla felicità eterna, e quindi nemica d'ogni bene, anche lecito e onesto, di questo mondo: l'altra, regina della vita attiva, presiede alle cose umane, per modo che l'amor di Dante per essa rappresenta il suo allontanarsi dalla vita contemplativa e religiosa per avviarsi verso quella vita attiva e civile nella quale raccolse soltanto male abitudini morali e dolori. Quindi, il rimprovero di Beatrice al Poeta che avea rivolto i passi per via non vera, vagheggiando le cose fallaci, le vanità, le falsi imagini di bene, rivolgendosi, in una parola, alle cure del mondo e torcendo gli occhi da quelle del cielo. Questo amore del Poeta per la Filosofia, nel quale consiste il primo passo alla colpa, è dunque rappresentato dalle Canzoni del Convivio e da quelle altre simili destinate ad entrarvi, alle quali, secondo l'opinione del Selmi, egli dovette intraprendere ben presto il commento, continuato poi fino all'incalzare delle brighe politiche; e condotto al punto in cui ci resta, prima del 1300, benché alcuni anni dopo l'esiglio l'Autore vi facesse delle aggiunte, forse coll'idea di finire il lavoro; idea che mai non mise ad effetto, occupato in altre opere di maggior rilievo. All'interruzione del Convivio o delle Canzoni amorose per la donna pietosa, riferisce anche il F. il sonetto Parole mie, che per lo mondo siete, con cui il Poeta pentito del suo soverchio amore per la Filosofia manda le rime composte per essa a presentarsi e congedarsi da quella e le esorta ad andare attorno in abito dolente a guisa delle loro antiche suore, e quando trovino donna di valore le si gettano a' piedi umilemente Dicendo: a voi dovem noi fare onore. Questo lento ritorno a Beatrice, cioè alla vita contemplativa, è rappre

sentato appunto nel Poema, in cui, accanto al divino entra, come mezzo, l'umano, e ne rende più bello il concerto, tanto da potersi chiamare quella del Poeta una felix culpa. Il ritorno dall'abisso, dove era caduto, alla cima dov'egli era un tempo, deve farsi per lo stesso cammino percorso la prima volta, con non altra differenza che della direzione: cioè, dal basso in alto, dal male al bene, riprendendo, adunque, le stesse guide della vita attiva che, per volere di Beatrice, riassumono, sotto miglior direzione, l'opera loro: Virgilio, Stazio e la filosofia cristiana o la Scolastica, rappresentata da Matelda. Cosí il F. si riduce all'opinione del Goeschel, del Picchioni, del Notter e, può anche dirsi, del Witte, che la Matelda sia la donna pietosa della Vita nova e del Convivio, infine la Filosofia, nel senso piú alto della parola, E qui l'A. raccoglie, brevemente, le generali ragioni di convenienza, che ad onta di poche particolari difficoltà sembrano a lui rendere questa la piú probabile fra tutte le opinioni]; -8° Sulle pene assegnate da D. alle anime del "Purgatorio „. [Cfr. Giorn. dant., I, 366, dove questo scritto fu pubblicato]; 9 Sui peccati e le pene nel"Inferno, dantesco. [Recensioni di due scritti del Filomusi-Guelfi e del Trenta, in Giorn, dant., I, 429 e 513]. (2550)

FRANCHI ANNA.

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Ancóra un ritratto di Dante. (Nel Secolo XX, II, pp. 198).

A proposito del ritrovamento di un supposto ritratto di D. in Santa Maria Novella (cfr. Giorn, dant., XI), l'A. fa una superficiale e disordinata rassegna de' ritratti di Dante a noi noti, per concludere che non abbiamo nessun vero ritratto, del Poeta "dopo quello giottesco", e per esortare gli eruditi " alla ricerca di un Dante con la barba „! (2551) GERBONI L.-L'amore nella vita e nell'opera di Dante. (Nella Rass. naz., 16 ott. 1902). (2552)

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GRANDGENT C. H. Cato and Elyah: a study in Dante. (In Publications of the Modern lang. assoc. of America, XVII, 1, vol. X, fasc. 1° della n. s., pp. 71).

Ha dato occasione a questo studio una recensione di O. Bacci di uno scritto di F. Cipolla (Intorno al Catone nel "Purgatorio, dantesco), nella quale il nostro egregio amico, richiamandosi a uno studio, secondo lui esauriente, del compianto prof. A. Bartoli (St. d. Lett. it., VI, parte I, p. 193) augurava che "anche del Catone non si ritorni a parlare troppo presto!" Cfr. Bull. d. Soc. dant. it., II, 74. (2554)

GUITTONE [FRA] D'AREZZO. - Le rime, a cura di Flaminio Pellegrini. Bologna, presso Romagnoli-Dall'Acqua, (tip. A. Garagnani), 1901, vol. I, in-8, pp. vп-871-(1). In questo primo volume ci sono offerte (conservando il presente Editore l'ordine de' componimenti qual è os

servato nel cod. Laur.-Red. IX, che ne resta per noi il piú fidato depositario) tutte le poesie di amore di Guittone aretino, destinandosi le altre ad un secondo volume che il Flamini promette fra breve, preceduto da quella necessaria introduzione generale, che studî a fondo le principali questioni relative alla tradizione manoscritta guittoniana ed affronti, tra altro, il grave problema riguardante i Sonetti, attribuiti a Guittone nella edizione giuntina ventisettana. Cfr. intanto la recens. a questo primo volume di E. G. Parodi, in Bull. d. Soc. dant. it., IX, 273. HONIG RODOLFO. Guido da Montefeltro: studio storico. Bologna, Zamorani e Albertazzi, 1901, in-8, pp. vIII-119.

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(2555)

"Il noto episodio di Dante, sul quale si sono affaticati i commentatori e che darà certo luogo ad altre disquisizioni, ha consigliato l'A. del presente studio, a ricostrurre la personalità storica del montefeltrano esaminandolo sotto tutti gli aspetti che emergono dalle testimonianze contemporanee. La fama di quest'uomo aveva ricevuto nocumento dai giudizî dell'Alighieri, e nessuno si era di proposito occupato ad indagare, donde il Poeta avesse derivati que' giudizî, a qual parte della vita e delle imprese di Guido si riferissero, in qual guisa infine avessero ad intendersi senza che la macchia e la condanna avesse a coinvolgere tutta quanta la vita di lui. Da queste pagine, in cui il buon metodo critico va di pari passo con molta serenità ed imparzialità, vien fuori la figura di un prode, di un abile capitano, il quale a tempo e a luogo sa mostrarsi strenuo e valoroso condottiero, sí come giovarsi di quelli avvedimenti e strattagemmi consigliati dalla condizione del momento; ma in ciò non è da riconoscere animo malvagio o deliberato proposito di tradimento. Purgato Guido, secondo nostro parere vittoriosamente, dalla taccia di uomo volpino, cosí rispetto alle conseguenze della disfatta di Tagliacozzo, come alle fortunate imprese di San Procolo e di Forlí, si intrattiene l'H. sul periodo importantissimo nel quale lo strenuo romagnolo ebbe in Pisa la suprema balía, e per quali modi e vie gli riuscí, in condizioni assai gravi e miserrime, non solo di difenderla, ma di rialzarla e rianimarla dall'abbassamento in cui era caduta. E qui si pare veramente l'accortezza del Capitano, che con forze disanimnte e immensamente inferiori tien testa e s'impone ai nemici, i quali, lo dicono i contemporanei, gli ebbero appiccato il nomignolo di volpe. Ed ecco trovata la spiegazione piana e adeguata al noto verso di Dante; nel quale se è da vedere l'impressione non priva d'amarezza del partigiano che fu presente a que' fatti, non può riconoscersi un biasimo assoluto e incondizionato, porgendoci elementi l'episodio stesso per credere che il Poeta aveva di Guido un'opinione assai piú severa di quel che a prima giunta potesse apparire. Ma il punto piú controverso sta nel vedere se Dante nel ritenere Guido autore del frodolento consiglio per cui venne distrutta Palestrina, si è rifatto ad una voce corsa e tenuta vera a' suoi dí, oppure a prove di fatto; e se d'altra parte queste prove esistevano a suffragare quel che si andava dicendo. Qui l'A., esaminando imparzialmente le narrazioni dei cronisti posti in relazione con gli avvenimenti, se ritiene esservi ragioni intuitive per credere che il malo consiglio non fosse dato né chiesto, confessa che non è possibile giungere ad una conchiusione risolutiva e fuor d'ogni

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Vita di Luca SignoMANCINI GIROLAMO. relli. Firenze, Carnesecchi, 1903, in-8 fig., pp. xvш-259-[1].

In questo bel libro, che illustra con molto amore la vita e l'opera del grande Cortonese, si accenna a D. alla p. 117, dove, illustrandosi il congregamento dei reprobi dipinto nel Duomo di Orvieto, il Mancini crede che "l'idea del gruppo col diavolo e la donna perduta poté germogliare nel Signorelli dal possesso che, a malgrado dell'intervento di san Francesco, un de' neri cherubini prese dell'anima di Guido da Montefeltro, e dallo scherno che il diavolo rivolse al dolente dicendogli forse tu non pensavi ch' io laico fossi! „ (Inf., XXVII, 111). Alla p. 123 son riprodotti l'effigie di Dante e i medaglioni rappresentanti episodî del Poema, descritti nelle pp. 127-128.

(2559)

MARCELLINO [P.] DA CIVEZZA. - San Francesco d'Assisi oriundo dei Moriconi di Lucca: suo ritratto, sua indole, sua benedizione. Firenze, A. Venturi, editore (tip. E. Ariani), 1902, in-8, pp. VII-118-[6].

Ricerca se possa storicamente tenersi che il santo Patriarca discenda nella sua famiglia dai Moriconi lucchesi, per conchiudere che " negare a san Francesco d'Assisi l'originaria provenienza dai Moriconi di Lucca è difetto di studio o d'intelligenza in fatto di storia". Segue alla ricerca un discorso intorno all'Indole di san Francesco letto dal p. Teofilo Domenichelli nella tornata di Religione cattolica a Roma il 5 giugno 1898, e un'appendice in cui son raccolte alcune indicazioni bibliografiche e iconografiche francescane, e poesie in onore del Santo. (2560)

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tip. Coop. sociale), 1899-1902, voll. tre, in-8, pp. IV-262; [2]-380; 436.

Annunziammo già (Giorn. dant., IX, 24) il primo volume di questo Manuale, con la debita lode: e il nostro giudizio siamo lieti di confermare, estendendolo a tutta l'opera ora compiuta. La materia è ben distribuita in questo libro, nel quale gli esempî sono scelti con giusto discernimento, e illustrati con precise notizie sulle vicende della Letteratura italiana dalle origini ai giorni nostri, e con note sobrie e opportune. (2561) MARTINOZZI GIOVANNI. Dante conobbe personalmente Pilato? (Nel Marzocco, VII, 30).

Riferisce una osservazione della propria moglie, che udita la lettura dello scritto di G. Pascoli (Marzocco, VII, 27; e cfr. no. 2569) intorno a Colui che fece il gran rifiuto domandò sorridendo: "Ma D. conobbe Pilato personalmente? Perchè chiunque sia stato - continuò la signora Martinozzi - Colui del rifiuto, a una condizione certa deve esso soddisfare: a quella di essere stato per. sonalmente conosciuto da Dante, almeno in effigie se non in carne e ossa. Difatti la terzina comincia: Poscia che v'ebbi alcun riconosciuto, e continua immediatamente: Guardai vidi l'ombra di colui, ecc., Alle obiezione risponde i Pascoli in questo stesso no. del Marzocco.

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Della figura orcagnesca nella quale il Chiappelli (Marzocco, VII, 52, e cfr. i ni. 2531, 2533 di questo Bull.) ha riconosciuto l'imagine di Dante non resta degno di nota che il profilo in sé stesso, pel suo colorito, per l'occhio, pel labbro eminente, per la bazza forte: un profilo certamente di maniera, perché non vi è nessuna ricerca profonda di espressione, di significato; un profilo che poté essere bene ispirato dal ritratto giottesco del Bargello, o dall'altro, perduto per sempre, di Taddeo Gaddi in Santa Croce; un profilo che si può dire dantesco, per quanto imberbe, poiché il suo aspetto maturo si può essere venuto delineando spontaneamente sotto il pennello del pittore, che aveva bene impressi gli altri due esemplari ricordati „. (2568)

PASCOLI GIOVANNI.

Colui che fece il gran

rifiuto. (Nel Marzocco, VII, 27 e 30). Nel no. 27 sostiene che "È Pilato, colui...„; nel no. 30 risponde alla obiezione mossagli da qualcuno: "Se colui è Pilato, come spiegare il verso: Fama di loro il mondo esser non lassa? e come intendere, se colui è Pilato, l'emistichio: vidi e conobbi?" Alla secònda obiezione rispose il D'Ovidio (Studii, ecc., p. 420): il D'Ovidio che pur sostiene che colui è Celestino V. Ma quella obiezione, osserva il P., varrebbe non per Pilato soltanto, ma per i piú de' coloro proposti, compreso forse Celestino; la prima poi vale per tutti i proposti e i proponibili. Il gran rifiuto è certo una insigne rinunzia e quindi è certo famoso colui che la fece, di cui pure il mondo non lascerebbe esser fama. Colui non può essere che un famoso non-famato. D. non dice che colui non ha fama; dice di lui come degli altri: Fama di loro il mondo esser non lassa, cioè, tollera mal volontieri, o che so io. Cfr. no. 2562.

PASSERINI GIUSEPPE LANDO.

(2569) Toscana e

Liguria ai tempi di Dante. (Nella Medusa, I, 1).

Intorno al Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, di A, Ferretto. Cfr. Giorn, dant., X, 8. (2570) PASSERINI GIUSEPPE LANDO. · Dietro le poste delle care piante.(Nel Marzocco, VII,14).

-

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La spiega- chessa vedova di Sermoneta sta preparando la pubbli(2577)

PASSERINI GIUSEPPE LANDO. zione di un "enimma. (Nel Marzocco, VII, 38).

A proposito di una nuova spiegazione del verso del piè fermo (Inf., I, 30) presentata dal sign. E. Sicardi (Riv. d'Italia, V, fasc. S) difende la interpretazione da lui accolta nel suo commento a Dante (Firenze, 1897) e secondo la quale il Poeta, nel verso oramai famoso, avrebbe voluto farci sapere ch' egli camminava in piano. Cfr. Bull. d. soc. dant. it., X, 188. (2573) PASSERINI GIUSEPPE LANDO L'abbazia di San Godenzo e i provvedimenti ministeriali. (Nel Marzocco, VII, 46).

Cf. Giorn. dant., X, 175. (2574) PASSERINI GIUSEPPE LANDO. Per un ritratto di Dante. (Nel Giorn. d'It., III, 20, 27 e 33).

In una prima lettera dichiara di non credere affatto che in quel fiorente e giovenil sembiante di chierico che l'Orcagna ha dipinto nel suo Paradiso, possa riconoscersi, come stima il Chiappelli (cfr. il no. 2531) la grave e pensosa figura del Poeta, né che sia molto facile riconoscere Cino e il Petrarca nelle altre due imagini che le stan vicine,. Non gli pare, ad ogni modo, "prudente parlare addirittura di scoperta, prima di aver con ogni agio esaminato il dipinto che appena si scorge fra la misteriosa penombra del tempio, e prima che alle ragioni del C. in favore della sua opinione, i critici non abbiano opposte le loro „. In una seconda lettera ribatte alcune osservazioni fatte alla prima dalla direzione del Marzocco (VIII, 4); in una terza si compiace della dichiarazione fatta dal C., con la quale richiamandosi al carattere originale della sua prima comunicazione (Marzocco, VII, 52; VIII, 5) chiede che sia giudicata soltanto come " una ipotesi grandemente verosimile, e promette di dimostrar meglio le sue affermazioni in una prossima piú estesa comunicazione scientifica Cfr. il no. 2533

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(2575)

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PASSERINI GIUSEPPE LANDO. Dante Literatur. II. (In Literatubl. f. Germ. u. Rom. Phil., XXIV, 63).

Vi si parla di M. Barbi (La fort. di D. nel sec. XVI, Pisa, 1890); A. Torre (Le Lettere virgiliane, ecc. Cfr. Giorn, dant., IV, 145; V, 97); G. Zacchetti (La fama di D. in Italia nel sec. XVIII, Roma, 1900); F. Sarappa (La critica di D. nel sec. XVIII, Nola, 1901); M. Zamboni (La critica dant, a Verona nella seconda metà del sec. XVIII, Città di Castello, 1901); F. Bouvy (La critique dant, au XVIII siècle, Bordeaux, 1895); H. Oelsner (Dante in Frankreich bis zum Ender des 18 Jahr., Berlin, 1898); G. L. Passerini (Dantisti e dantofili dei secc. XVIII e XIX, Firenze, 1901-1902); A. Fiammazzo (Lettere di Dantisti, Città di Castello, 1901) e delle lettere dantesche del Duca di Sermoneta, di cui la Du

cazione.

PEDRON ETTORE. - Due saggi critici. Cassano, tip. Raff. Mentella, 1902, in-8, pp. 22.

Tra altro: Perché Dante pone Cesare nel Limbo e Bruto in bocca a Lucifero.

PELLEGRINI FLAMINIO.

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(2578)

Il ritratto di Dante. (Nel Secolo XIX, an. XVIII, no. 4).

A proposito della comunicazione di A. Chiappelli (Marzocco, VII, 52), osserva: 1° esser difficile ravvisare una fisionomia sopra una descrizione a parole, non ricca di particolari per giunta, come è quella lasciataci dal Boccaccio; 2° poiché il dipinto orcagnesco, a confessione del C. stesso, appartiene alla metà del 1300, non è facile stabilire su quali dati un pittore di quell'età, quando lo scrupolo della esattezza fisionomica era ben lungi dall'essere rigorosa, avrebbe potuto delineare un " vero ritratto di D. E conchiude che, pure ammettendo che avesse attinto ad ipotetici archetipi, lo avrebbe poi contraddistinto con un qualsiasi attributo di riconoscimento, affinché non si fosse confuso con le altre numerose figure dinanzi allo sguardo stesso dei contemporanei. il no. 2531.

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Cfr.

(2579)

PELLEGRINI FLAMINIO. - Ancóra sul ritratto

di Dante. (Nel Secolo XIX, XVII, 22).

Coglie l'opportunità offertagli " da un'assennata lettera del conte prof. G. L. Passerini, (Giorn. d'Italia), per fare un'ultima giunta alle considerazioni precedenti, e rilevare qualche punto d'una lettera a lui diretta dal C. nella quale il Professore dell' Università di Napoli, sulla fede di alcuni critici d'arte, non escluderebbe che i freschi della Cappella Strozzi possano essere anteriori al 1340 e che il Paradiso sia opera non di Andrea, ma di Nardo suo fratello maggiore. Ma in tal caso, osserva il P., si va incontro a maggiori ostacoli: ché se davvero il dipinto appartiene al primo trentennio del secolo, l'artista non poteva certo elevare in esso agli onori celesti il Petrarca, nato nel 1304, vissuto fin allora quasi sempre fuori d'Italia, ignoto ai Fiorentini ne' suoi tratti fisionomici e troppo giovane per godere gran fama. Un P. di tipo assai giovanile avrebbe forse potuto trovar luogo presso D. dopo il 1341, valė a dire dopo la sua incoronazione in Campidoglio; quantunque non è nemmeno molto credibile che in questi anni la sua persona fosse nota in Firenze, dove si trattenne alcun tempo soltanto nel 1350, passando di Toscana per recarsi a Roma a celebrare il Giubileo. (2580)

PELLEGRINI FLAMINIO, Cfr. no. 2555.

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intelligenza può essere assai agevolata dal sussidio di
una figura. L'A., molto modestamente, avverte che " es-
sa non è fatta per i dantisti, ma solo per le persone
semplicemente cólte e per gli studenti. Noi crediamo
invece di non esagerare affermando che questo com-
mento potrà giovare oltre che agli scolari anche ai mae-
stri, e sarà spesso utile guida eziandio a coloro che han
fatto oggetto speciale delle loro cure amorose e costanti
lo studio di Dante. Cfr. il no. 2421.
(2581)

nili del libello dantesco, che sono le figure donnesche alle quali è rivolto il culto di tutti i poeti del novo stile, " non può non ravvisare nella Francesca del D'Annunzio una sorella carnale di esse. La stessa indeterminatezza di contorni, la stessa sembianza pressoché mistica della bellezza, la stessa soavità impareggiabile. Francesca in mezzo alle sue damigelle dai dolcissimi nomi, dalle quasi infantili movenze, Francesca innamorata della sorella, Francesca entusiasta dei fiori e del mare, è quello che di piú sopraffino l'idealismo artistico medievale seppe fare della donna, nei freschi di Giotto come nei versi dei rimatori toscani. E se ben si guarda è il tipo

PORENA MANFREDI. Delle manifestazioni plastiche del sentimento nei personaggi della "Divina Commedia,: lavoro premiato psichico che spunta ben di frequente nella stessa Comcon premio di primo grado nella Gara dantesca fra i professori di scuole secondarie dell'anno 1900. Con due appendici. Milano, Ulrico Hoepli, editore (tip. U. Allegretti), 1902, in-16, pp. x-[2]-190.

Le Appendici contengono: Matelda allegorica e sulla descrizione dei caratteri fisici de' personaggi nei "Promessi Sposi „. Ottimi lavori tutti, pei quali rimandia

mo alla notevole recensione di F. Romani, ricca di utili
osservazioni (Bull. d. Soc. dant. it., X, 8) e a quelle del
Wiese (Deutsche Literatuzeitung, no. 46) e di G. Mar-
chioni (Bulletin italien, III, 60).
(2582)
POZZOLINI-SICILIANI CESIRA. Una settima-
na in Casentino. I Camaldoli e la Verna.
Firenze, Stab. tip. G. Rangoni, all'ins. di
san Giuseppe, 1902, in-16 picc., pp. (8)-
159-(1).

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Affettuose pagine inspirate alla signora Cesira Pozzolini-Siciliani dalle bellezze naturali del Casentino e da' ricordi francescani e danteschi di quella deliziosa terra toscana. (2583)

PRUDENZANO FRANCESCO. - Francesco d'Assisi e il suo Secolo considerato in relazione con la politica, cogli svolgimenti del pensiero e della civiltà: studi. Nuova edizione riveduta ed ampliata dall'Autore. Napoli tip. del Diogene, 1901, in-8, pp. 490, con tavole.

SOMMARIO: 1° Tempi barbari e di tradizioni pagane; 2o La società civile e la Chiesa; 3o La luce della scienza e del genio; 4° Conclusione. (2584)

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media, non solo in Francesca dannata, ma nella Pia che
attende l'espiazione, e nella Piccarda beata e in Cunizza
radiante, a cui tutto fu perdonato perché tanto amò; a
tacere delle donne trasumanate, come Beatrice e Ma-
telda, nelle quali per altro il simbolo non giunge a of-
fuscare del tutto le figure umane
(2585)

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RENIER RODOLFO. Danto filia, dantologia,
dantomania. (Nel Fanf. d. dom., XXV, 15).
È un lungo sfogo vòlto massimamente contro la
pubblica lettura multipla, di Dante: cioè contro la
lettura fatta non da un solo ma da piú espositori. Il
secondo il R.
qual sistema non può servire ad altro
che a dilettare le signore cosí dette intellettuali e i non
meno intellettuali sfaccendati della buona società, "che
in quel campionario, di eletti conferenzieri, svolgentesi
innanzi agli occhi loro, con qualche non mediocre gusto
anche dell'orecchio, sceglieranno colui che per qualità
fisiche, o per lenocinî d'oratore, o per graziette d'istrio-
ne sembrerà loro il piú accettabile Se nel fondo il R.
ha ragione, lo sfogo ci pare eccessivo, e poco persuasivi
gli argomenti che l'amico nostro reca contro la moder-
nità di Dante, la cui arte maravigliosa, per quanto si
dica e si faccia, è veramente la prima e maggior causa
della sua gloria immortale e del conseguente amore e del
culto che hanno per lui gli Italiani. Certamente in que-
sto culto c'entra, un po', la moda, e tra' sacerdoti buoni
e sinceri si son mescolati da un certo tempo gli arruf-
foni e i guastamestieri e gli intriganti: ma che importa?
Costoro torneranno a casa quando la moda sarà restata,
e il presente danteggiare, sarà ridotto ne' suoi giusti e
naturali confini; e allora il culto del Poeta sarà piú com-
posto, men rumoroso, meno materiale, piú serio. Ma
non vogliamo, per carità, esagerare da un'altra parte:
lasciamo questa missione agli antropologhi e a' sociologhi
e conveniamo nel pensiero di Alessandro D'Ancona:
Dante non è né antico né moderno: egli è perenne, e
il Poema suo è specchio perpetuo della coscienza ita-
liana, è voce che suona nei secoli, e mai non illangui-
disce, perché erompe dal cuore stesso della Nazione སྙ*
Cfr. no. 2576.
(2586)

"

REPORTS [Eighteenth and Nineteenth] Annual of the Dante Society (Cambridge, Mass.) 1899-1900. Boston, Ginn and Company, 1901, in-8, pp. xvш-[3]-67-[3]-54.

Contiene, oltre le solite notizie: A list of Danteiana in American Libraries: Supplementing the Catalogne of the Cornell Collectoni (cfr. no. 2557) compiled by T.

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