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(2590)

SOLDATI B.- La coda di Gerione. (Nel Giorn.
st. d. Lett. ital., XLI, 1).
STERZI MARIO. Sulla dimora di messer
Cino in Perugia. (Nel Bullet. st. pist., IV). |

Riprendendo in esame i docc. pubbl. nel 1884 da T. Casini, il quale, sulla scorta di essi, negava che Cino fosse stato lettore in Perugia, conchiude che da que' docc. non risulta la prova inconfutabile della affermazione del C. e che quindi non si può ancóra togliere questa notizia dalla biografia del grande Pistoiese.

(2591)

SUTTINA LUIGI. Bibliografia dantesca: rassegna bibliografica degli studi intorno a Dante, al Trecento e a cose francescane. Anno I, ser. 1a, quad. I-IV. In Cividale del Friuli, presso Gio. Fulvio ed. propr., 1902, in-8, pp. 100.

Dà conto di 160 pubblicazioni dantesche, venute in luce ne' primi sei mesi del 1902, e aggiunge molte informazioni di scritti relativi a D., al Trecento e a cose francescane. Secondo noi, sarebbe bene che il S. si limitasse alla bibliografia pura e semplice, facendo seguire ai titoli delle cose registrate solo brevi e necessarie illustrazioni ed omettendo le notizie in fine d'ogni fascicolo, le quali, oltreché inutili perché rancide, son d'impaccio alle ricerche una volta che il volume sia completo e le sue parti rilegate in un sol corpo. Anzi vorremmo che questa Bibliografia, perduto ogni aspetto di rivista, si pubblicasse in un solo volume a fin d'anno, che accogliesse la notizia del piú grande numero possibile di pubblicazioni, in modo da formare un vero e proprio annuario dantesco fornito di buoni indici per materie, che riferisse l'indicazione delle recensioni notevoli sotto ai titoli delle opere registrate, indicando anche se quelle recensioni son favorevoli o no. Solo in questo modo il S., che è giovine di buona volontà e di una operosità promettente, potrà fare cosa davvero

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TOZER —

Tozer H. F. An English Commentary on Dante's "Divina Commedia,. Oxford, At the Clarendon Press, 1901, in-16, pp. VI[2]-628.

Il commento è fatto per gli Inglesi; sobrio, generalmente molto esatto, e per la classe di lettori cui deve servire, compiuto, poiché dà quelle notizie, passo per passo, o parola per parola, che occorrono alla retta intelligenza del testo. Recens. di M. Pelaez, Bull. d. soc. dant. ital., IX, 122; in The Athenaeum, 3853, 31 ag. 1901; in Evening Post, 22 ott. 1901, ecc. (2595) VOLPI GUGLIELMO. Note di varia erudizione e critica letteraria (secoli XIV e XV). Firenze, B. Seeber edit. (Pistoia, Stab. tip. lit. di G. Flori), 1903, in-8, pp. 73.

Tra altro: Intorno a una ballata di Guido Cavalcanti; Poesie popolari dei secoli XIV e XV. (2596)

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COMUNICAZIONI ED APPUNTI

Il chiarissimo prof. Antonio Zardo ci manda queste sue lettere che volentieri pubblichiamo:

Firenze, 7 maggio, 1903.

Illustre signor Direttore,

Il prof. L. Bartolucci m'invia, con una lettera gentilissima nella quale domanda il mio parere, copia del suo scritto Una nuova chiosa al III Canto dell'Inferno, pubblicato nel quaderno XII, anno X del Giornale Dantesco da Lei egregiamente diretto. In quello scritto egli cita me, come l'ultimo che ha seguito l'interpretazione comune dei versi:

Per altre vie, per altri porti verrai a piaggia, non qui per passare; piú lieve legno convien che ti porti.

Quell' interpretazione egli ritiene erronea, e perciò ne propone una nuova, che, se è ingegnosa, non mi pare del tutto convincente.

Io gli ho risposto con la lettera seguente, che vedrei volentieri pubblicata nel suo Giornale. Mi creda col maggiore ossequio

suo devotissimo ANTONIO ZARDO.

** **

Firenze, 7 maggio, 1903.

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-

Nel seguire l'interpretazione comune io mi sono fondato su un concetto ben diverso da quello ch'Ella suppone. Per me e qui, forse, ho avuto il torto di non essermi spiegato più chiaramente Caronte coi versi Per altre vie, per altri porti ecc. intende non già che il Poeta debba, nel suo viaggio, passar l'Acheronte, ché anzi non vorrebbe lo passasse in niun modo, essendo egli ancor vivo: Partiti da cotesti che son morti; ma che, dopo morto, sarà trasportato ne' regni eterni da piú leggera barca il vasello snelletto e leggiero sul quale l'angelo trasporta le anime al Purgatorio essendo egli destinato a salvazione.

Non sarà nemmeno questo il concetto che il Poeta ha voluto esprimere; ma chi potrebbe dire, nell'interpretazione dei passi oscuri del Poema, di aver còlto nel segno? Veniam damusque petimusque vicissim. Mi creda con piena stima

suo devotissimo ANTONIO ZARDO.

Egregio signore,

Trovo ingegnosa, sotto molti rispetti, la sua interpretazione. Ma di una cosa essa non mi dà ragio

NOTE E NOTIZIE

L'almanacco di Dante. In un codice della Laurenziana di Firenze, della fine del sec. XIII o del principio del XIV, il prof. Giuseppe Boffito barnabita dell'Istituto alla Querce in Firenze, ha scoperto recentemente un almanacco dell'anno 1300 che reca per disteso le posizioni degli astri per quell'anno e per quelli immediatamente seguenti. La posizione di Venere è nel marzo-aprile del 1300 mattutina, appunto come dice Dante (Purg., I, 19) e vela i pesci; Saturno si trova sotto il seno del Leone, ecc. Resta cosí confermato anche astronomicamente il 1300 come anno della visione dantesca. L'almanacco sarà pubblicato quanto prima dal p. Boffito che lo lustrerà dal lato storico e dal p. Melzi milanese, che lo illustrerà dal lato astronomico.

Del Dizionario dei Dantisti e Dantofili dei sec. XVIII e XIX, sono sotto stampa i fascicoli 5 e 6, con le biografie e le bibliografie dello Strocchi, del Parenti, del Selmi, del Turris, del Moore, del Casini, ecc.

Il prof. Vittorio Spinazzola ha pubblicato, in elegante edizione pe' tipi del Trani di Napoli, la bella sua lettura del XVII Canto d'Inferno fatta recentemente in Napoli nella Sala della "Dante Alighieri „.

Un commento inedito alla "Divina Commedia, fonte dei più antichi commentatori, è l'argomento di una importante comunicazione fatta dal prof. F. P. Luiso al Congresso internazionale di scienze storiche, ed ora pubblicata per le stampe di G. Carnesecchi di Firenze.

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Proprietà letteraria.

Città di Castello, Stabilimento Tipo-Litografico S. Lapi, aprile-maggio-giugno 1903.

G. L. Passerini, direttore Leo S. Olschki, editore-proprietario-responsabile.

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AF

GIORNALE DANTESCO

SU LE RIME PIETROSE, DI DANTE ALIGHIERI

"Se, dati giú gli entusiasmi officiali e dismesso il vezzo di crearci a nostra posta un cotal Dante che reputiamo il solo vero e il solo grande, cercheremo quanto è da noi, di ricollocare nella propria luce dell'età sua questo grande portato del seco. lo XIII, la critica, la storia e la persona stessa di Dante ci guadagnerà un tanto,.

G. CARDUCCI, Studi Letterari, 1874, Livorno, pag. 154.

Mi preme di avvertire, prima di ogni altra cosa, che questo lavoretto avrà un' indole critica essenzialmente negativa. Né potrebbe averne altra: giacché le cosi dette Rime Pietrose di Dante Alighieri sono ed offrono un bel caso letterario! Un caso in cui, apertissimamente, si manifestano le cattive conseguenze del metodo critico, seguito dalla maggioranza dei Dantisti: arzigogolano essi perfino sulla data e il tempo e il luogo della composizione di esse Rime, quando neppure una sola parola nor troviamo che ci induca a concludere deliberatamente in proposito. E lo stesso Vittorio Imbriani, lo studioso più accurato e spesso più acuto delle Rime Pietrose, è costretto per molte e molte pagine a lavorare di ipotesi, non starò, ora, a dire quanto e come giuste ed accettabili, per risolvere il più difficile quesito che presentino le Rime in discorso: chi è la donna cantata in una forma cosi originale. Sin da quando, nel 1565, Anton Maria Amadi, parlando incidentalmente di una delle Rime Pietrose (quella che comincia "Amor tu vedi ben che questa donna,), disse che la donna, per amor della quale Dante poetò cosi rudemente, fu, ai suoi bei tempi, madonna Pietra, della nobile famiglia de' Scrovigni, padovana, tutti coloro

1 Studio sulle "Rime Pietrose" di Dante. Studi danteschi (pag. 427-528), Firenze, Sansoni, 1890.

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i quali, di proposito o no, si sono occupati di tali poesie, anche se non accettano codesta identificazione, o si sono limitati ad analizzare i vari componimenti poetici senza darsi la pena. di rintracciare nome e cognome della "bella pietra, ovvero si sono sforzati di sostituirne all' identificazione dell' Amadi altre, sia lecito affermare, altrettanto, o quasi, infelici e sfortunate. Con ciò, però, non si creda come del resto è noto che, in realtà, le Rime Pietrose siano state e siano, fra i componimenti poetici danteschi, definitivamente e sicuramente vagliate e studiate. Eppure, checché ne dica lo Scartazzini, esse sono un importantissimo

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1 G. CARDUCCI, Delle Rime di Dante Alighieri, in Studî letterari, pag. 139-237, Livorno, Vigo, 1874. - A. BARTOLI, Storia della Letteratura., vol. IV, pag. 292-306, Firenze, Sansoni, 1881. A. GASPARY, Storia della Letteratura Italiana, vol. I, pag. 230-33, Torino, Loescher — G. L. SCARTAZZINI, Dantologia, pag. 72-160 passim., Milano, Hoepli, 1894; e Prolegomeni della “ Divina Commedia „, Introduzione allo studio di Dante Alighieri e delle sue opere, Lipsia, Brochaus, 1890. Vari articoli, sparsi qua e là per le Riviste, nei quali alle Rime Pietrose si accenna di sfuggita, saranno riferiti a lor luogo; e, infine, si terrà conto delle osservazioni contenute nel Canzoniere di Dante Alighieri commentate da G. B. GIULIANI, Firenze, Barbèra, 1868; da P. FRATICELLI, ibidem, 1873; da G. STIAVELLI, Roma, 1888; da SERAFINI, ecc.

2 IMBRIANI, op. cit. S. DE CHIARA, La Pietra di Dante e la Donna Gentile studio già pubblicato nel 1888 pe' tipi dei Fratelli Marino in Caserta e che rivide la luce "in grandissima parte rifatto, nell'Alighieri, Rivista di cose dantesche diretta da F. PASQUALIGO, an. III.

A. ZENATTI, Rime di Dante per la Pargoletta in Rivista d'Italia, 15 gennaio 1899, pag. 122-132; cfr. su di esso studio D'ANCONA in Rassegna Bibliografica della Lett. Ital., an. VII, pag. 53-4.

3 Dantologia, loc. cit.

documento della spiccata individualità di Dante Alighieri.

Non foss'altro perché, a parte la questione, da moltissimi ritenuta capitale, chi sia stata la donna.... pietrosa, rimane ancóra da stabilire, quante e quali sono le Rime Pietrose.

I.

Quante e quali sono le " Rime Pietrose

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G. Carducci1 conclude l'osservazione che "fra le rime di Dante àvvene segnatamente alcune, le quali, e pe' concetti e per la forma, si rassomigliano talmente fra loro, ch'io non esito a punto a tenerle per composte sur un soggetto solo e di séguito in non lungo spazio di tempo 99 .... ecc., ritenendo si debbano mettere insieme le seguenti poesie, dall'Imbriani poi battezzate con il titolo di Rime Pietrose: le tre canzoni “ Cosi nel mio parlar voglio esser aspro, "Amor tu vedi ben che questa donna, - "Io son venuto al punto della rota ; la sestina "Al poco giorno ed al gran cerchio d'ombra, le due, che la seguitano, se fossero autentiche, "Amor mi mena tal fiata all'ombra, - "Gran nobiltà mi par vedere all'ombra,; il sonetto "E' non è legno di sí forti nocchi,, e gli altri tre sonetti "Io son sí vago della bella luce, - Nulla mi parrà mai piú crudel cosa, "Io maledico il dí ch'io vidi in prima „, che il C. "desidererebbe autentici, tanto son belli,. Il Carducci, però, procede all'esame delle su détte Rime senza occuparsi affatto di mettere bene in sodo: esse sono proprio tutte da mettersi in und stesso gruppo; cantano tutte il medesimo amore; e, da ultimo, quel che più importa, si possono, tutte, attribuire a Dante? Il Giuliani, in gran parte motivando con fini osservazioni la sua scelta, crede di dubbia autenticità sia le canzoni " Amor mi mena tal fiata all'ombra, "Gran nobiltà mi par vedere all'ombra,, sia anche tutti i sonetti che il Carducci "desidererebbe autentici, all'infuori di quello che comincia "E' non è legno di si forti nocchi,. Il Fraticelli, invece, ritiene autentiche tutte quante le détte Canzoni, e però tutte riporta nel Canzoniere

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1 Op. cit., pag. 203-4.

dantesco da lui commentato. Il Bartoli, "dando l'elenco di altre Rime di Dante che si riferiscono ad un amor vero e sono quelle dove trovasi il nome di pietra ripetuto molte volte,, riporta le tre canzoni testé riferite, le sestine cui accenna il Carducci, e i due sonetti: "E' non è legno di sí forti nocchi, "Deh! piangi meco tu dogliosa pietra Egli, pur riconoscendo che nei son.: “Io son sí vago della bella luce, - "Nulla mi parrà mai piú crudel cosa, - "Io maledico il dí ch'io vidi in prima, si parli di un amore sensuale, reale, non crede di poterli mettere nel gruppo delle Rime Pietrose propriamente détte, specialmente perché "parecchi sonetti non si possono né attribuire né negare con sicurezza a Dante, stando al criterio dei manoscritti. Di ma. niera che egli conclude, di tutte le poesie dal Carducci mésse insieme come quelle che cantano uno stesso argomento, rimangono inattaccabili dal dubbio di apocrifità le tre prime canzoni testé détte, e la sestina "Al poco giorno ed al gran cerchio d'ombra,.

L'Imbriani.... ma consideriamo seriamente la questione. E cominciamo a sbrigarci delle due sestine "Amor mi mena tal fiata all'ombra, Gran nobiltà mi par vedere all'ombra,. Delle numerose ragioni apportate per infirmare l'autenticità della prima, mi basti riferire le più significative: del Witte, 1 che osserva e lo segue il Giuliani - 2 dissentendo dal Fraticelli: ".... entrambe le sestistine ("Amor mi mena. "Gran nobiltà mi par vedere....,) rispetto al pensiero ed alla forma essendo un'eco, una ripetizione delle prime sestine, è impossibile sieno di Dante, il quale non avrebbe sprecato il tempo

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copiare sé stesso. Inoltre, nelle ben costrutte sestine, debbono, alla fine del verso, non solo comparire omografe parole che ritornano in tutte e sei le strofe, ma queste parole stesse hanno un valore essenziale. Cosí ha fatto Dante nelle sestine che gli appartengono; nelle due imitate, invece, ricorre colli, come plurale di "colle, e come congiuntivo di cogliere ; e poi “pietra, ricorre come sostantivo e insieme come terminazione verbale da impietrare,. Finalmente, mancano in entrambe le chiuse delle strofe, le desinenze ricorrenti al mezzo del verso. L'Imbriani, poi, avverte che per negarne la au

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1 EX IMBRIANI, op. cit., pag. 448. 2 Op. cit., pag. 383-'4-'5.

3 Op. cit., pag. 449.

tenticità può aggiungersi alcuna ripugnanza fra il contenuto di essa sestina e quello dell'autentica "Al poco giorno...., e delle altre tre canzoni pietrose. E il D'Ancona 1 (in risposta allo Zenatti che si ostina a ritenere fino a prova in contrario autentica la sestina Amor mi mena.... „) un po' piú chiaramente: "neanche ci sentiremmo disposti ad ammettere come autentica la sestina 'Amor mi mena....' che non ha per sé testimonianza di codici autorevoli, e che manca, come l'altra Gran nobiltà mi par vedere all'ombra' di uno degli artifici usati da Dante in tale artificiosissima forma di poetare; cioè del raggruppare nei tre versi del commiato tutte le sei parole che si alternano come fine di verso nelle strofe

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2

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Dunque, è stato detto, dalla semplice lettura súbito si deduce che la sestina in parola fu posteriormente rifatta, rabberciata sull'altra, dantesca Al poco giorno..... E, su per giú, ragioni simili si apportano per stabilire che anche la sestina “ Gran nobiltà mi par vedere | all'ombra Di belle donne c'han puliti colli, è un rifacimento, formalmente e sostanzialmente raffazzonato, delle autentiche Rime Pietrose. In sostegno di questa tèsi si sono arrecati argomenti simili a quelli adoperati per infirmare l'autenticità della precedente sestina. Osserva il Giuliani: ".... dobbiamo ritenere per disconvenevole a Dante l'altra sestina, dove si pretende farcelo conoscere fermo nel suo amor, come in mur pietra'; e che anzi ei sarebbe stato piú vil che pietra', se non fosse, che la sua donna gli valse 'com'erba'. Ed or nuovamente ci vien ricantato, che, al partirsi da lei, gli pareva che uomo lo mettesse alla colla; e come inoltre ei si sentisse di verde, dacché tanto gli era in grado vederla per donna. Aggiungasi le stesse rime sformate e varie di colore, tanto che colli riuscirebbe nientemeno, che a dinotare il medesimo che salga, traendosi collare a significazione di salire il colle. Come poi la celebrata donna, che Valuto ha già in drizzar monti e colli, conversasse coi pensieri del nostro Poeta, non saprei darne argomento di ragionevole conghiettura. E il Bergmann3 più brevemente: esse (le due sestine pretese spurie) sono ricalcate materialmente sulla prima sestina dantesca. I pensieri e le I pensieri e le

....

1 Op. e loc. cit.

2 Op. e loc. cit.

3 Ex IMBRIANI, op. e loc. cit.

espressioni che vi si trovano non sono quelle adoperate da Dante. A quel che pare, le forme linguistiche sono proprie del secolo XV, e colui che ha cosí imitato le sestine di Dante, non le ha gran che comprese; infine, considerandole attentamente, queste sestine sembrano composte da frasi di poesie amorose contrapposte a caso per le necessità della

versificazione

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Dunque, anche la sestina "Gran nobiltà mi par vedere all'ombra, è spuria. Ma, tra tra il Fraticelli, che afferma ".... nell'una e nelle altre sestine è la stessa orditura, le stesse voci finali, la stessa disposizione, lo stesso tono, lo istesso andamento e lo stesso stile. Nell'una e nelle altre, va il Poeta trattando l'argomento medesimo, ch'è quello non tanto di parlare d'una donna, giovine e gentile, la quale, vestita a verde ed avente in testa una ghirlanda d'erba, giva danzando per piani e per colli, quanto di far lamento della durezza e insensibilità di lei, protestando il Poeta, che il suo amore non sarà mai per venir meno, ed esprimendo la speranza di riuscire alla perfine ed averne gioia e piacere. Pertanto, se l'una [sestina: "Al poco giorno et al Gran cerchio d'ombra,] è (com'è di fatto) opera dell'Alighieri, debbono essere pure le altre due ("Amor mi mena. "Gran nobiltà mi par...,] a meno che non si provi, che un anonimo, fin dal secolo XIV, perciocché Bernardo Giunti, che viveva nel 1527 disse antichissimo il codice nel quale trovò le due sestine in questione), si proponesse di imitare lo stile del nostro sommo Poeta, e che ei fosse cotanto abile e virtuoso nel modo, che in queste due sestine si vede ; e tra l'Imbriani che osserva come testé abbiamo detto che può aggiungersi alcuna ripugnanza fra il contenuto di esse [sestine spurie] e quello dell'autentica e delle altre tre canzoni pietrose di Dante, ; fra il Witte e il Giuliani, i quali recano in mezzo i soliti argomenti assolutistici di contenuto estetico in forza di che le due sestine in discorso non si possono ritenere dantesche; il Bergmann, che ritiene, inoltre, l'infelice imitatore non abbia neppure ben compreso i modelli delle sue raffazzonate poesie, e il D'Ancona, che, come si è visto, ne impugna recisamente l'autenticità, allegando la mancanza nelle due sestine

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1 Op. e loc. cit.: Habemus reum confitentem! perché nelle sestine spurie il non tanto diventa cosa principale, e il quanto cosa secondarissima.

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