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ΑΓ

GIORNALE DANTESCO

I RITRATTI DI DANTE IN S. MARIA NOVELLA

gio, del quale qui appresso riproduciamo l'immagine, è vestito di cappa, il cui colore non è con chiarezza definibile.

È bastato che uno studioso vero, un uomo di nobile ingegno e di dottrina lanciasse in pubblico l'ardimentosa ipotesi che un nuovo ritratto trecentesco di Dante era forse acquisito alla scarsa iconografia del Poeta, perché ne fossero immantinenti agitati i desideri e le menti di quanti dantisti e dantofili sono nel mondo civile! Il prof. Alessandro Chiap-e dubitazioni e dinieghi, che di simili no

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pelli, che dai severi campi delle discipline filosofiche scende di tanto in tanto a cogliere fiori nei giardini della letteratura e dell'arte, pubblicò, nel Marzocco del 28 dicembre ultimo, un suo scritto, additando di tra la folla divina che si addensa, nei freschi degli Orcagna, sulle pareti della mirabile cappella strozziana in S. Maria Novella, una figura, nella quale gli parve " agevole riconoscere la presenza di ben noti tratti fisionomici di Dante, vigorosamente delineati e rilevati Il posto, in cui questa figura propriamente si trova, è cosí precisato dall'egregio Professore: "a sinistra di chi guarda la parete ove è figurato il Paradiso, al disopra della danza delle donne elette, a capo della prima linea del gruppo ove sono nei loro diversi costumi ritratte persone, certamente cospicue, del secolo XIV,. Infatti un volto bruno, dall'occhio fisso e pensoso si allunga sotto il grosso berretto o cappuccio, dal quale sfugge sull'orecchio sinistro un lembo della benda bianca, non tanto però da non lasciare visibile una parte della bruna capellatura, che a zazzera scende sul collo. Questo personag

Ho sotto gli occhi la riproduzione grande di questa figura, fatta dall'Alinari: è molto bella e i piú minuti

La fama di questa scoperta, che pure fu annunziata con prudente riserbo dal suo autore, si diffuse rapidamente e varcò anche i confini d'Italia, suscitando quegli entusiasmi

tizie sono effetto naturale ed immediato. Bene sta dunque che in una recente lettera 1 il prof. Chiappelli richiami il pubblico al vero carattere della sua prima comunicazione, nella quale egli non intese di asserire recisamente nulla, ma solo di presentare una ipotesi grandemente verosimile. Come tale io devo e voglio qui esaminarla, poiché non credo lecito, a chiunque discute opinioni altrui, oltrepassarne le intenzioni per avere buon gioco e facile, ma non onesta, vittoria. Sono sicuro d'altra parte, che, se il prof. Chiappelli si lamenta a ragione di quest'onda di improvvide affermazioni e di non meno frettolose denegazioni „, non può non desiderare, nella rettitudine della sua coscienza e per il trionfo definitivo dell'opinione da lui sostenuta, il cimento di ragionevoli dubbi e di ragionate obiezioni. Voglia dunque permettermi l'egregio Uomo, che io assuma per poco la parte dell'Advocatus diaboli nella canonizzazione, dirò cosí, di questo nuovo santo, e che sottoponga al suo giudizio di

particolari sono in essa ricercati e messi in evidenza; i capelli sono visibilissimi.

1 Pubblicata nel Marzocco e nel Giornale d'Italia del 1 febbraio.

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sappassionato, con quella sincerità, che non detrae in nessun modo alla stima che ho profonda per lui, alcuni dubbi, che mi paiono di qualche peso se non fossero, tanto meglio; non io me ne dorrei, anzi ne sarei lietissimo, perché lo scopo nostro è di raggiungere il vero, e maggiore sarà la probabilità di riuscirvi, quanto piú uniti faremo convergere ad essa i nostri sforzi.

L'idea (e vedremo che non è tanto recente) di ricercare per entro la figurazione orcagnesca di S. Maria Novella le fattezze del Poeta non è priva di buon fondamento. Già il fatto che il maestro dei maestri, Giotto, aveva collocato, tra gli eletti del suo Paradiso del Bargello, il ritratto del suo grande amico, costituiva un tal precedente, che non poteva rimanere senza efficacia per Andrea Orcagna, il quale, se non fu scolaro immediato di lui, fu uno dei suoi piú fedeli ammiratori ed imitatori. E di piú egli fu studiosissimo di Dante, come attesta il Vasari e come mostra evidentemente l'opera sua, tanto da potersi affermare che, insieme col fratello Nardo, Andrea sia stato il primo che abbia tentato di tradurre con mirabile ampiezza nel linguaggio pittorico i concetti del divino Poeta, pur non essendo provato che fosse poeta egli stesso. ' Il prof. Chiappelli

Il prof. Chiappelli ha, come altri, accettata l'affermazione del Vasari (Ediz. Milanesi, I, p. 607), che cioè P'Orcagna si dilettasse di far versi, e però lo chiama poeta-pittore. Ma questa opinione del Biografo era fondata su due fatti insussistenti: il primo, le scritte in rima di cui erano sparse le pitture del Camposanto pisano, l'altro, la corrispondenza poetica col Burchiello e i sonetti burchielleschi che ancora ci rimangono col nome dell'Orcagna. Mi sia lecito aggiungere qualche considerazione a chiarimento di questi due punti. Quanto all'attribuzione delle pitture del Camposanto all'Orcagna, mi sembra che oramai la critica l'abbia con buone ragioni negata; né trovo che il Kraus, come dice il prof. Chiappelli, inclini, almeno nella vita di Dante, a restituire quegli affreschi al pittore fiorentino, limitandosi egli (Op. cit., pp. 649-50) alla sola ricerca degli influssi danteschi in quelle pitture, né occupandosi di esprimere la sua opinione nella controversia circa l'autore di esse. Il prof. Supino (Il Trionfo della morte e il Giudizio universale nel Camposanto di Pisa, In Arch, stor. dell'arte, 1894) parmi sia riuscito a dimostrare all'evidenza, che quelle pitture debbano ritenersi di scuola pisana, non senese né fiorentina, e attribuirsi a Francesco Traini," il quale appunto, mescolando la maniera fiorentina a quella senese, e di entrambe giovandosi, riescí a diventare il migliore artefice che abbia fiorito in Pisa nel sec. XVI, e

ha dunque il merito indiscutibile di aver voluto continuare l'indagine, già prima di lui tentata, mettendosi per una via diversa da quella che gli altri hanno seguito finora, e ricercando l'imagine di Dante nell'affresco del Paradiso, dove nessuno aveva ancora supposto che potesse trovarsi.

a superare di gran lunga lo stesso Orcagna, come scrive il Vasari, nel colorito, nell' unione, nell'invenzione L'ultimo che siasi, a mia notizia, occupato degli affreschi pisani, è il Pératé (Un “ Triomphe de la mort, de Pietro Lorenzetti in Mélanges Fabre, Paris, 1902), il quale inclinerebbe ad ammettere, che l'invenzione è del Lorenzetti, accostandosi cosí all'opinione del Crowe e del Cavalcaselle, mentre l'esecuzione sarebbe del Traini. All'Orcagna nessuno piú pensa, o qualche solitario che giura nelle parole del Vasari; ma, fosse pure di lui la figurazione dell' Inferno pisano, non per questo dovremmo concludere che appartengono al pittore anche i brevi rimati che in essa si leggevano, e che ora soltanto in parte si leggono. Il dott. Salomone Morpurgo, che di questo argomento si è occupato con la profonda conoscenza che ha della nostra antica poesia, scrive: Queste dichiarazioni in versi, se non testimoniano affatto, come credeva il Vasari e molti ripeterono dopo di lui, della virtù poetica dei pittori, possono fors'anco risalire piú in su, agli ispiratori primi delle pitture, a coloro che, o per ragione d'ufficio, o altrimenti chiamati a consiglio, presiedevano di regola alla scelta del soggetto, e ne determinavano all'artefice le linee principali: da quei medesimi è ben ragionevole credere che venissero composte o almeno suggerite anche le didascalie.,, (Le epigrafi volgari in Rima del Trionfo della morte, ecc. nel Camposanto di Pisa in L'Arte, II, 53 e seg.). In un'altra sua pubblicazione lo stesso dott. Morpurgo riscrive, a proposito di tali epigrafi rimate: "Che le componessero i pittori stessi a illustrazione delle loro allegorie, come fu creduto da alcuno, si può escludere quasi sempre assolutamente (Un affresco perduto di Giotto nel palazzo del Podestà di Firenze, Firenze, 1898, p. 11 e seg.).

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Quanto poi alla pretesa corrispondenza poetica col Burchiello, basti confrontare le date della morte dell'Orcagna (1368), e della nascita del Burchiello (1404), per far giustizia della inconsiderata affermazione del Vasari, il quale dové confondere Mariotto di Nardo Orcagna, come suppone il Rossi (Il Quattrocento, p. 184) nipote di Andrea, o forse, come io credo, il figlio del grande artista per nome Cione, pittore anche lui, col vecchio Andrea. Il prof. Flamini (La lirica toscana del Rinasc, anter, ai tempi del Magnifico, Pisa, 1891, pp. 21718) che, pur non ammettendo la notizia del Vasari sulla corrispondenza poetica col Barbiere di Calimala, mantiene ad Andrea la paternità delle rime, forse oggi non confermerebbe quella sua vecchia opinione di 12 anni fa.

Non mi sembra difficile del resto sorprendere, per entro le poche rime barchiellesche attribuita al nostro pittore, qualche indizio, per cui non sia possibile farle anteriori al sec. XV.

Su di un'altra inavvertenza del prof. Chiappelli, riguardante il Pucci e rilevata dal signor Mesnil (Miscellanea d'Arte, fasc. 2°, p. 33), non occorre insistere, essendo evidentemente un lapsus calami.

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I ritratti antichi di Dante, che sono giunti fino a noi, tranne forse quello giottesco del Bargello, sono, come tutti sanno, ritratti di maniera, che possono ricondursi, secondo il Kraus, a due tipi nettamente distinti, i quali però non si perpetuano nell'arte con pari fortuna. Il Dante giovane, o, come è stato detto, della Vita Nuova, quale la memore fantasia di Giotto si piacque di ritrarlo in S. Maria Maddalena del Bargello, si può dire che non abbia avuta alcuna filiazione. Agli artisti parve me

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1 Dante, sein Leben und s. Werk. Berlin, 1897. Egli tratta ampiamente questa materia nel cap. X del lib. I, p. 164 e seg. Cfr. anche la dissertazione piú recente di Ingo Krauss, Das portrait Dantes, Berlin, 1901, ripubblicata opportunamente a Monaco, con l'aggiunta delle tavole, nei Monatsberichte über Kunstwissenschaft und Kunsthandel di Hugo Helbing (a. I e II); e il Dante dello Zingarelli, Milano, p. 348 e seg. (in corso di stampa).

2 Una derivazione dal tipo giottesco il Kraus, vorrebbe scorgere nel disegno a penna del Cod. Palatino 320, del sec. XV (Op. cit., p. 177); ma il ravvicinamento, a chi consideri bene le due figure, non persuade troppo, e la giovanilità nei tratti del Dante palatino a me sembra tutt'altro che dimostrata. Qualche dubbio affacciò pure il prof. Zingarelli (Op. cit., p. 350). Tuttavia anche al dr. Ingo Krauss, che rileva i difetti tecnici di questo disegno e attribuisce ad esso pochissimo valore, sembra di scorgervi il tipo del Dante giovane, "sebbene il ritratto non pare si ricolleghi con l'affresco del Bargello, (Op. cit., p. 47). Resta dunque isolata, o quasi, la rappresentazione giottesca di un Dante giovane, che del resto è difficile supporre ritragga dal vero. Acuta mi sembra l'osservazione del prof. Chiappelli, per riportare agli anni piú tardi di Giotto quel dipinto, che cioè Dante nel 1300-1302 non avrebbe potuto raffigurato con in mano il libro della Commedia non ancora composto. E, certo, la Vita Nuova non era tal libro da meritare a lui l'onore di essere accolto in una rappresentazione del Paradiso cosí solenne pel luogo e forse anche per la mano dell'artefice, quando il nome suo ancor molto non sonava „,. Il bel libro, che ora, nel sacrilegio del Marini, vediamo nella mano sinistra del poeta, c'era per davvero, come si può discernere da alcune linee appena percettibili nel calco Kirkupiano, e soprattutto si deve ritenere per l'attestazione del Pucci nel suo sonetto:

Col braccio manco avinchia la scrittura
perché signoreggiò molte scienze.

esser

Se non che, io dubito forte che si trattasse di una Commedia, piuttosto che di una Bibbia, e l'espressione del Pucci mi è grave argomento a questo dubbio. La scrittura, detta cosí assolutamente, non può essere che la Sacra Scrittura, e l'uso ne è tanto comune che non istarò a recarne neppur gli esempi, che Dante stesso potrebbe fornirmi. Se della Commedia avesse voluto intendere il Pucci, mi pare che avrebbe dovuto esprimere almeno il possessivo sua, per evitare ogni possibilità di equivoco sulla interpretazione. Noi sappiamo che Dante da giovane, era non solo dato agli studi letterari, ma anche ai filosofici e ai teologici, anzi, come scrive il Boccaccio,

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glio rispondente al concetto che si erano formato del Cantore della Commedia, di figurarselo e di rappresentarlo fatto per più anni macro, onde il ritratto ideale del poeta vecchio, arcigno, smunto, che troviamo in generale preferito, e che forse deve risalire a quello che Taddeo Gaddi aveva dipinto nel tramezzo di S. Croce. A questo secondo tipo del Dante vecchio, o almeno in là con gli anni, si deve riconnettere, a giudizio anche del prof. Chiappelli, il ritratto del Poeta, che per avventura si trovi tra le figure orcagnesche della Cappella degli Strozzi, poiché, sia qual si voglia dei due fratelli Orcagna l'autore di questi dipinti, essi, tutto al piú, si possono far risalire al 1350 o in quel torno e non possono darci, in conseguenza, che una di quelle

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"acciò che niuna parte di filosofia non veduta da lui rimanesse, nelle profondità altissime della teologia con acuto ingegno si mise, e ciò a Firenze e a Bologna avanti che fosse esiliato. È piú che naturale dunque che il suo amico potesse rappresentarlo con in mano il libro dei libri, che di tutti gli studi era il simbolo e il compendio, prima che il Poeta avesse acquistato celebrità per la Commedia.

1 KRAUS, Op. cit., p. 177.

2 Da una comunicazione de! prof. Flaminio Pellegrini fatta al Secolo XIX di Genova (22-23 gennaio 1903) rilevo che il prof. Chiappelli, sulla fede di alcuni critici d'arte, non escluderebbe che i freschi della Cappella strozziana, possano essere anteriori al 1340, e che il Paradiso sia opera non di Andrea, ma del fratello maggiore Nardo. Non conosco gli argomenti ai quali questa opinione si appoggia; ma ho ragione di credere che il prof. Chiappelli si riferisca, per la data, al Wood Brown (The dominican Church of S. Maria Novella, Edinburgh, 1902, p. 134), il quale l'assegna al 1340 circa, e, per l'autore degli affreschi, alle parole del Ghiberti, il quale, nei suoi Commentari, dice non senza ambiguità, che Nardo dipinse la cappella dello Inferno. Ma queste sono entrambe affermazioni per nulla documentate e però poco attendibili. Ad ogni modo, ammettendo una data anteriore al 1340, si va incontro a una grave obiezione, mossa dal prof. Pellegrini. Nella figura che sta di fronte a quella creduta di Dante il prof. Chiappelli vorrebbe riconoscere il ritratto di Francesco Petrarca. Ora, scrive il prof. Pellegrini, "se il dipinto appartiene davvero al primo trentennio del secolo, l'artista non poteva certo elevare in esso agli onori celesti il Petrarca, nato, nel 1304, vissuto fin allora quasi sempre fuori d'Italia, ignoto ai fiorentini nei suoi tratti fisionomici, e tropUn Petrarca di po giovane per godere gran fama. tipo assai giovanile avrebbe potuto forse trovar luogo presso Dante dopo il 1341, vale a dire dopo la sua solenne incoronazione in Campidoglio; quantunque non è nemmeno molto credibile che in questi anni la sua persona fosse nota in Firenze, dove si trattenne alcun tempo soltanto nel 1350, passando di Toscana per recarsi a celebrare in Roma il giubileo,.

imagini stilizzate e ideali dell'Alighieri, in cui non è possibile dire quanta parte della realtà sia stata rispettata, quanta distrutta e sostituita dalla fantasia degli artisti. Ora, ammesso ciò, e non si può far a meno di ammetterlo, mi pare che sorga una prima e grave difficoltà ad accettare l'identificazione del prof. Chiappelli, giacché (se non è allucinazione la mia) quella faccia, che egli crede si possa attribuire à Dante, non è né di un uomo maturo, né di un uomo provato dai patimenti; non è, per valermi delle sue stesse parole, "l'imagine del poeta pensoso, fatto oramai per le vigilie di molti anni macro, e per la dura esperienza dell'immeritato esilio e dell'aspra povertà invilito agli occhi di molti che forse per alcuna fama in altra forma lo avevano immaginato A me sembra invece il profilo d'un uomo ben portante, fra i trenta e i quarant'anni, ma piú vicino ai trenta, dall'occhio serenamente contemplativo, senza alcuna intensità di espressione,' assorto come in un sogno beatifico, e, soprattutto, senza alcuno di quei caratteri esteriori d'invilimento che al prof. Chiappelli è sembrato di scorgervi. Questo è agevole riconoscere a chiunque volga per poco gli occhi alla testa che

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(Fotogr. Alinari)

Ritratto creduto di Dante nel "Paradiso, dell' Orcagna

qui si riproduce, dacché la visione diretta, in simili casi, è assai piú persuasiva che cento

1 Questa insufficienza di espressione è stata rilevata, nella Nazione del 28 gennaio ultimo, che da un altro critico, dott. R. Pantini, che però sembra inclinato piuttosto ad ammettere che a negare l'ipotesi del prof. Chiappelli,

ragionamenti, inefficaci a dare l'impressione che dalla figura si riceve.

Osservando questo profilo, io devo confessare (e forse avrò torto) che non riesco, neppure con grandissimo sforzo, a ravvicinarlo a quel prototipo del ritratto fisico dantesco, che con tanta compiacenza l'arte ha voluto perpetuare da Michelino a Raffaello, dal miniatore riccardiano al bronzo del Museo di Napoli, prototipo col quale il prof. Chiappelli trova cosí stretta relazione.

Ma veniamo all'esame piú particolare dei tratti caratteristici della fisonomia dantesca, a quelli cioè che troviamo costanti nella tradizione artistica, e che sono d'altra parte confermati anche dal Boccaccio. Il signor Mesnil li ha sapientemente enumerati, ed io mi varrò delle sue stesse parole. "Les traits sont vigoureusement marqués, l'ossature visible, les mâchoires fortes, le visage allongé, le front haut, le menton bien dessiné et énergique, la lèvre supérieure un peu effacée, l'inférieure plus forte et légèrement avançante; mais le nez surtout est typique et on ne l'à point encore caractérisé quand on a dit qu'il est aquilin; il est grand, il offre un renflement bien accusé au dessus du milieu de l'arrête; de là jusqu'à l'extrémité sa ligne est droite, on présente une legère concavité, enfin la pointe descend notablement plus bas que l'insertion des narines. Ce nez est tout à fait spécial, il se retrouve plus ou moins accentué ou adouci dans tous les portraits cités ci dessus (cioè: di Giotto, del cod. Palat. 320, del Riccardiano 1040, di Andrea del Castagno, di Domenico di Michelino, il busto di Napoli e la cosi detta maschera).... Quant aux yeux, qui ne sont pas très nettement caracterisé dans tous les portraits, ils sont généralment en effet plutôt gros et ressortent d'une orbite bien dessinée et assez profondement creusée. Les cheveux sont cachés par la coiffure qui se retrouve sur presque tous les portraits de Dante et qui est trop connue pour que je m'attarde à la décrire,. Questi caratteri costanti del tipo fisionomico di Dante conservatosi nei monumenti figurativi, che il Mesnil enuncia con precisione di scienziato e finezza osservatrice di artista, si possono, se si guarda bene, scorgere in gran parte, come in germe, anche nel profilo giottesco: il naso, il mento, il labbro, la mascella, la fronte, s'intuisce che

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1 Miscellanea d'Arte, fasc. 20, p. 32.

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