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commento citato di san Tommaso). Di qui si vede che quelle anime si raggruppano in forma di aquila, ad indicar che furono sul mondo come le membra, ordinate a diversi usi, del corpo della giustizia, di cui quei sei spiriti occuparono i gradi sommi, figurati nell'occhio. Come, dunque, nel mondo quelli spiriti, membri della giustizia umana (simboleggiata dall'aquila), rappresentarono l'ecchio di essa, perché forse meglio degli altri videro e giudicarono; cosí, anche ora, che fanno parte e sono l'occhio dell'aquila immortale, che simboleggia la divina giustizia: con la differenza che ora veggono anche quello, che non videro allora, cioè gli effetti della loro opera di giustizia. Cosí essi compongono l'occhio; e quindi l'insistere sulla conoscenza di ora, che è in relazione alla loro posizione nell'occhio. Perciò, oltre al fatto che nella terzina citata si ha un'abbondanza di o (anche nella rima, che si prolunga nella terzina seguente), quell'or su cui comincia, e quelli ora conosce, con cui insiste sempre l'aquila, potrebbe essere in relazione all'occhio, di cui essi fanno parte e che permette loro di veder cosí chiara la conseguenza della loro opera: e quindi quell'insistenza del medesimo suono potrebbe voler essere un espediente, per tener sempre presente innanzi alla mente la posizione di quegli spiriti nell'occhio: posizione privilegiata, come si è visto. Ma mi affretto a soggiungere che tutto questo è impalpabile; e potrebbe esser quella una ripetizione semplicemente rettorica, come se ne hanno altrove. Ad ogni modo, ha poco che far con l'acrostico: col quale non ha addirittura niente che fare l'altro espediente ricordato dal Santoro nel Canto XVIII del Paradiso, con cui le anime dei principi giusti, prima di mostrarsi membri della giustizia divina, dell'aquila, si erano raggruppati in forme diverse, formando lettere luminose, sí da comporre, in forma visibile, mentre lo cantavano, il versetto biblico: Diligite justitiam qui iudicatis terram. Ma questo dà luogo a piú lungo ed anche (grazie a Dio!) piú proficuo discorso.

È originale di Dante questo pensiero? Finora non mi sembra che si sia detto nulla di positivo sul proposito. Lo Zingarelli' cita l'opinione del Butler che l'idea delle lettere formate da splendori venisse a Dante da Rabano Mauro, il quale nell'opera De Laudibus

IZINGARELLI, Dante, Vallardi, pag. 587.

sanctae Crucis compone serie di lettere con contorni di stelle e di croci. Ma ognun vede come questa ipotesi non spieghi nulla; perché in Rabano Mauro si tratta di formare contorni di lettere con mezzi meccanici; mentre in Dante sono le anime stesse, che si dispongono in lettere, cantando: quindi formano delle vere lettere viventi.

D'onde trasse Dante questa idea bellissima? Prima d'introdurla, egli presenta una similitudiue del comporsi delle anime in va

rie forme:

E come augelli surti di riviera,

quasi congratulando a lor pasture

fanno di sé or tonda or lunga schiera... Gli antichi commentatori ci dicono che quelli uccelli di riviera "fanno in loro volito diverse figure,, e specificano "siccome le grue„: anzi il Falso Boccaccio, riportato dallo Scartazzini, dice: “Si come le grue vanno per aria gratulando, e facendo di loro assai volte una lunga riga, assai volte un tondo, assai volte uno scudo, e in assai altri luoghi s'acconciano, ; e piú preciso il Da Buti: "Imperò che rappresentano varie figure di lettere volando, cioè o O, e V, e cosí dell'altre,. Qui sorge un dubbio: È questa una vera notizia di storia naturale, o non è piuttosto una trovata dei commentatori, che, non sapendo spiegar l'origine dell'idea dantesca, la riversarono sulla comparazione, la quale è assai vaga sul proposito? Indaghiamolo.

Che qui si tratti di gru, appare a prima vista probabile, ricordando che appunto simili uccelli Dante piglia a similitudine altre tre volte: Inf., V, 46-7:

E come i gru van cantando lor lai,
facendo in aer di sé lunga riga;...

Purg., XXIV, 64:

Come gli augei che vernan lungo il Nilo
alcuna volta in aer fanno schiera,
poi volan piú in fretta e vanno in filo.

Purg., XXVI, 43:

Poi come gru, ch'alle montagne Rife
volasser parte e parte in vêr l'arene,
queste del gel, quelle del sole schife...

Compara agli uccelli l'agglomerarsi delle anime anche Virgilio (Acn., VI, 311-12); ma la similitudine delle gru, presa per descrivere eserciti, è vecchia, come si sa: da Omero passa in Virgilio (Aen., X, 264 seg.), in Lucano (Phars., V, 711 segg.), Stazio (Theb.,

V, 11-16; XII, 515-18), Val. Flacco (Arg., III, 359), Claudiano (De bello Gildonico, 47478) ecc. Di questi è chiaro che Dante non poteva conoscere Val. Flacco e Claudiano: ' ma conosceva Virgilio, Lucano e Stazio: e del confronto con questi poeti sappiamo che con gli augei che vernan lungo il Nilo, Dante alludeva espressamente alle gru. Dunque, siamo più che sicuri che anche di gru si tratti nella similitudine del Paradiso. Ora, se passiamo ad un confronto con quei luoghi di quei poeti latini (tralasciando la similitudine di Purg., XXVI, 43, la quale, come si sa, è una mera supposizione di Dante), noi vediamo che la similitudine del canto V dell'Inferno non deriva da nessuno di essi; bensí da una notizia particolare, che Brunetto Latini aggiunge alla fonte di Solino, che traduce. (Tesoro, libr. V, cap. XXVII, trad. B. Giamboni): "Grue sono una generazione d'uccelli che vanno a schiera, come i cavalieri che vanno a battaglia, e sempre vanno l'uno dopo l'altro, sí come i cavalieri in guerra „.

Da questa stessa fonte potrebbe derivar anche la notizia di Purg., XXIV, 65-7 (non già da Lucano, com'è detto in alcuni commenti); ma la fonte vera di essa notizia e della similitudine del Paradiso, XVIII, 73-5 che in sostanza poi deriva da quella del Purgatorio) è in un passo di Plinio (Hist. nat., X, 23); dove, parlando delle gru, Plinio dice: "Eaedem mansuefactae lasciviunt, gyrosque quosdam indecoro cursu vel singulae peragunt...

2

Ma questo non ci dice nulla: ci dice invece moltissimo il passo di Lucano (Phars, V, 711 seg):

Strymona sic gelidum, bruma pellente, relinquunt
poturae te, Nile, grues, primoque volatu
effingunt varias, casu monstrante, figuras.
Mox ubi percussit tensas Notus altior alas:
confusos temere immixtae glomerantur in orbes,
et turbata perit dispersis litera pennis.

È, dunque, qui, in questa similitudine, accennato ad un costume delle gru, che sarebbe implicito nella comparazione dantesca?

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Anche Claudiano, benché non faccia al nostro scopo, dice lo stesso, e anche più chiaramente (De bello Gild., 474-8):

Pendula ceu parvis moturae bella colonis
ingenti clangore grues aestiva relinquunt
thracia, quum tepido permutant Strymona Nilo.
Ordinibus variis per nubila texitur ales
Litera, pennaruque notis inscribitur aer.

Infatti, era credenza comune che le gru, volando, formassero delle lettere. Cicerone (De nat. Deor., II, 49) accenna soltanto al triangolo, che esse formavano, e che sarebbe il ▲ dei greci (ed è proprio la prima lettera, che le anime formano nel cielo di Giove): ma quello che dicono Lucano e Claudiano era nella tradizione, anche poetica. Per tacer di un enigma di Simposio, che della gru dice (XXVI): 1

Littera sum caeli penna prescripta volanti.

Marziale ha due epigrammi, che fanno al caso nostro: il primo (IX, 14) dice:

Nomen Erythraeis quod litera facta lapillis, gemma quod Heliadum pollice trita notet; quod penna scribente grues ad sidera tollant.

Questo è importantissimo, perché vi si vede un nome scritto con lettere dalle gru ed innalzato alle stelle: proprio come le anime dantesche, comparate alle gru, fanno nel cielo di Giove. L'altro (XIII, 75 intitolato appunto Grues) dice:

Turbabis versus, nec litera tota volabit,
unam perdideris si Palamedis avem.

Come c'entra qui Palamede? C'entra, perché si credeva che Palamede avesse inventato alcune lettere, mirando in alto le gru, che si disponevano in varie forme: e cosí rimontiamo, nientemeno che all'origine dell'alfabeto, di cui gl'inventori sarebbero stati né piú né meno che quelli uccelli! Leggo, infatti, in Iginio (Fabulae CCLXXVII): “Parcae Clotho, Lachesis, Atropos, invenerunt literas graecas septem A. B. H. T. I. Y. Alii

1 Nell' Anthologia latina (Poetae latini minores, ed. Baehrens, vol. IV, pag. 370.

2 È curiosa l'arguta osservazione, che riporta Filostrato nell' Heroicus, XI, 4, che Ulisse avrebbe fatto a Palamede, mentre, stando in concione coi greci, vide le gru volare e more solito, formar delle lettere: "Le gru, disse “fanno testimoni gli Achei d'aver esse inventate le lettere, non tu,!

dicunt Mercurium, ex gruum volatu: quae cum, volant literas exprimunt. Palamedes autem Nauplii filius invenit aeque literas undecim. Simonides literas aeque quatuor w. ɛ. 5. p. Epicharmus Siculus literas duas

ecc

Ma chiunque si fosse, che dal volo delle gru trasse la forma delle lettere, resta la notizia chiara e sicura della credenza che le gru, nel loro volo, si disponessero in forma di lettere. E se si vuole anche una testimonianza più vicina a Dante, ecco un brano di san Girolamo riportato negli Ammaestramenti degli Antichi (XI, 6): "2. Hieronimus ad Rusticum. In apibus princeps unus; grues unam sequuntur ordine literato etc,; che il raccoglitore, fra Bartolomeo, traduce: "2. Ieronimo a Rustico. Nelle api è uno signore; le grue seguitano una quasi per modo di lettere ecc.

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Cosí resta chiarito, che i commentatori antichi avevano ragione di spiegare con quella comparazione qualcosa di piú, che Dante non dicesse perché, il divin Poeta, in questo caso, non si serve della comparazione semplicemente per chiarire il concetto; ma dalla comparazione stessa trae l'imagine applicata alle anime, che egli fingeva di aver viste disposte a modo di lettere. E dopo questa scoperta, Dante che nel cielo di Giove guarda le anime muoversi cantando e nel volo formar varie lettere, ci si presenta nell'aspetto di un antico osservatore, mirante le gru, cantanti e volanti, raggrupparsi in forme, che ricordano le lettere dell'alfabeto.

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nel quale si vede o un DVX o un futuro liberatore della Chiesa: Dei Xsti Vltor, o Vindex o Vicarius. Ma su questa profezia e su questo numero c'è, si può dire, un'intera biblioteca di studî, e non è qui il caso di occuparsene fuggevolmente. Le mie ricerche e le osservazioni nuove, che son venuto facendo intorno a quello, che Beatrice stessa chia. ma cnimma forte, si sono ordinate già in forma di studio, che spero di presentar súbito ai lettori, se non mi verrà meno la gentile ospitalità di questo Giornale. *

Atrani (Costiera d'Amalfi) giugno 1904.

ENRICO PROTO.

* Il Giornale si onorerà sempre di accogliere gli scritti di Enrico Proto. [LA DIR.]

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A PROPOSITO DELLA MONTAGNA DEL "PURGATORIO,,

arrà esagerato, se non poco rispet toso, l'affaccendarsi di tanti studiosi dell'opera dantesca, quando con misure alla mano si cerca di riprodurre in plastica o in disegno i luoghi che Dante ha immaginato residenze della morta gente. Il senso di realtà che Dante ha portato nel mondo invisibile, la mirabile struttura dell'insieme, la cura dei particolari, l'efficacia delle descrizioni, l'esattezza di certi relazioni minutissime, che sembrerebbero impossibili in mezzo a tanta varietà di cose, lusingano l'amor proprio di chi con intelletto d'amore e con competenza di studio tenta di figurare in breve carta anche il mondo dantesco, sicuro che nessuno deplorerà il danno che ne potrebbe venire alla mirabile opera: ché non scemerebbe il suo valore, anzi si accrescerebbe. Solo mi pare che il lodevole desiderio di tanti studiosi non possa essere sempre soddisfatto a pieno, in quanto non solo non è cosí facile trovare in tutto una linea che dia netto contorno all'alta e qualche volta inarrivabile fantasia del Poeta, ma anche perché il concetto morale, che pur è in relazione con quello materiale, molte volte è cosí superiore che la materia, che fa dei miracoli di adattamento a tutte le esigenze dell'alta idea che la signoreggia, non sempre può corrispondere con quella precisione, cui alcuni studiosi vorrebbero forzarla.

E non ci dice Dante stesso che la

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son tanti di disegni; e che poi non sia la cosa più semplice di questo mondo l'ottenerne uno che colla massima esattezza si trovi in piena corrispondenza coll'idea del Poeta si ha dalle varianti che s'incontrano in essi, e dal bisogno di discuterne ancóra la forma definitiva.

Il Piranesi in un suo lavoro intitolato: Di un passo disputato di Dante e della vera forma del "Purgatorio, dantesco1 prende occasione dal v. 30 Canto X Purg., per presentare un nuovo disegno della forma generale del Purgatorio, col precipuo intento di mettere in relazione la costruzione di una montagna, nella sua piú vera forma, col valore morale del monte della espiazione: fine a cui aveva pur mirato l'Agnelli col disegnare la quinta delle sue tavole: Elevazione e pianta del Purgatorio, 2

Sono due recenti lavori, e credo che fino ad ora nulla si sia fatto di nuovo e di meglio; né mi pare che l'Agnelli abbia ancóra pubblicato quelle illustrazioni, che ha promesso, per le sue belle tavole topografiche.

L'Agnelli e il Piranesi, ispirati allo stesso concetto, ci hanno presentato due disegni che nelle linee generali sembrano identici: la differenza sta solo nei particolari che riguardano la costruzione delle ripe : e per quanto l'Agnelli eviti parecchi inconvenienti che si incontrano nella costruzione del Piranesi, mi pare che né l'uno né l'altro risolva definitivamente la questione.

A considerare i varî disegni della montagna del Purgatorio vien fatto domandarsi se gli autori si son mai studiati di escogitare una forma che piú si allontani dal concetto che tutti possiamo avere di una montagna. A partire dal disegno della "Volgare,, che è quello che più comunemente si ripete, agli altri venuti dipoi, si hanno delle forme che non potrebbero essere piú bizzarre, per cui

1 Firenze, Lumachi, 1902.

Milano, Hoepli, 1901.

un tentativo qualunque che cerchi di dare al Purgatorio una forma che non smentisca la parola montagna, e che, rispondendo ai dati fornitici dalla Divina Commedia, cerca di accostarsi all'idea del Poeta, mi pare opera lodevolissima.

Contro tutte le bizzarríe precedenti al suo lavoro protesta il Piranesi dicendo: non cilindri sovrapposti a cilindri, non cilindri sovrapposti a tronchi di cono, non cono tronco in cima, non torre, non colonna, non fumaiolo: nulla di tutto ciò. Ma una vera e propria montagna, ecc.; ma quando poi aggiunge che questa vera montagna è formata da otto tronchi di cono simmetricamente sovrapposti, rientra anche egli nella categoria degli artificiosi costruttori di montagne tutte speciali. Questa restrizione, come giustamente ha notato il Mazzoni, è una vera contradizione; né a me pare sia stato un modo qualunque di esprimersi del Piranesi per accennare ad una certa qual simmetria, che si deve riscontrare nella parte del vero Purgatorio.

1

Riguardo al v. 30 (Purg., X) sostiene la superiorità della dicitura:

Che dritto di salita aveva manco

all'altra più comune

Che, dritto, di salita aveva manco.

il

Il Moore e il Mazzoni hanno già dato il loro giudizio sull'attendibilità della dicitura preferita dal Piranesi. Solo aggiungo che i Piranesi, avendo bisogno di una prova di più per sostenere la graduale inclinazione delle ripe, preferi il verso da cui si può stiracchiare un senso come questo: che aveva meno drittezza di salita, cioè, che aveva meno ertezza di salita, ossia che questa ripa tra la 1a e la 2 cornice aveva un pendio maggiore della precedente; l'altra dizione, invece, afferma la perpendicolarità, o quasi, della ripa, che appunto perché dritta era manchevole di salita: ma ciò avrebbe contradetto a questa nuova proposta.

Prescindendo dalle osservazioni d'indole morale che il Mazzoni ha contrapposto a ciò che il D'Ancona disse in favore della proposta del Piranesi, vediamo se la forma della montagna da questi presentata, colle

1 Boll, della Soc. dant., vol. X, fasc. 1o, 2o, p. 25. 2 Vedi Bull. dant, loc. cit.

sue ripe di graduale pendío, si possa conciliare con altri ed evidenti dati di fatto della 2a Cantica, che mi pare contradicano a questa nuova costruzione.

Il punto di partenza pel Piranesi e per l'Agnelli sono i versi (Purg., IV, 88-90).

si

... Questa montagna é tale

che sempre al cominciar di sotto è grave:
e quanto uom piú va su e men fa male.

A questo che è un concetto tutto morale, son proposti di far corrispondere una montagna costruita in modo che produca in chi la salisca l'effetto esposto nella precedente terzina.

Riguardo al pendío che deve avere la montagna, o, meglio, la base della montagna, si hanno per unica norma i vv. 41-42 (Purg., IV):

E la costa superba piú assai,

che da mezzo quadrante a centro lista,

che sono cosí interpretati dal Piranesi: se la pendenza dal mezzo quadrante al centro è di gradi 45 ci limiteremo ad aggiungere 5 pel più e 10 per l'assai ciò che ci dà un totale di gradi 60 di pendenza della costa.

Dopo ciò si tratterebbe di determinare il pendio della seconda parte della montagna, ossia del Purgatorio; ma qui la faccenda si complica, perché, siccome la montagna quanto piú si va su e tanto meno fa male, e siccome si va su per mezzo di vere scale, si è creduto necessario escogitare una montagna costruita in modo da avere una serie di scale di graduale pendío. Cosí, dopo un ragionamento molto conseguente, il Piranesi conclude che le scale non potrebbero avere una graduale inclinazione se anche le ripe non secondassero la loro pendenza. Donde si conosce la necessità della interpretazione da lui data al verso Che diritto di salita aveva manco, perché questa ripa non solo deve essere in pendio, ma con inclinazione maggiore della ripa precedente.

Il Piranesi procura di riuscire preciso il più che gli è possibile, stabilendo perfino con cifre il grado di pendenza: e siccome le scale debbono avere un'inclinazione eguale a quella della costa che per loro mezzo si ascende, cosí la graduale inclinazione di cui parliamo è comune alle scale e alle ripe; quindi se la ripa di divisione tra la 1a e la 2a cornice e relativa scala hanno una pendenza di gradi 45, decrescendo le inclinazioni di 5 in

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