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Dal mio studio in preparazione, I poemi epici siciliani del sec. XIX, per comodo dei dantofili scelgo ciò che riguarda l'imitazione dantesca eseguita dal can. Giuseppe Alessi, 1 già professore di Teologia di questa Università catanese non meno che storico valente e naturalista pregiato, quando nel 1820 in odio alla tirannide borbonica pubblicava il Timoleonte in Sicilia, poema epico nazionale patriottico, oggi divenuto rarissimo perché, rinsaldati i Borboni in Sicilia dopo i primi moti, l'autore, amante del quieto vivere, affidò alle fiamme il maggior numero di esemplari che poté avere sotto

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e l'aer bruno Toglieva gli animai che sono in terra, Dalle fatiche loro...

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Alessi (Tim., Canto VIII, pag. 117): “Era già l'ora in cui declina il sole, Ed i coloni sciolgon dall'aratro Gli stanchi buoi, gli affaticati muli....,

Dante (Purg., VIII, 1-6) "Era già l'ora che volge il disio Ai naviganti, e intenerisce il core Lo dí che han detto ai dolci amici addio: E che lo novo peregrin d'amore Punge, se ode squilla di lontano, Che paia il giorno pianger che si muore „.

Alessi (Tim., Canto III, pag. 66-7) "Onde spesso volgendosi sul lido Colla voce, coi cenni, colla mano Danno un addio a' suoi piú fidi e cari; Ignorando se sia l'ultimo vale, Che intenerisce il cor, bagna le ciglia

L'Alessi, come si è visto, non è un imitatore volgare: egli sa mascherare e celare o trasmutare addirittura; ma non tanto da non lasciar sentire la remini

scenza.

Intanto l'influenza poca, esercitata da Dante sull'Alessi, che pure era un poeta che cantava per la libertà e l'indipendenza ed era un uomo, per il suo tempo, coltissimo ed eruditissimo, dimostra ancóra una volta di piú, che nel primo trentennio del sec. XIX l'opera del divino Poeta qui non fu intesa nel suo vero e profondo spirito rigeneratore. '

II.

Il secondo è un giovine poeta assai famoso, al tempo suo, in Sicilia; ed è autore di due poemi, il secondo dei quali, Napoleone a Mosca, fu segnalato da Carlo Tenca fra i migliori che furono pubblicati nella

1 Né vale ricordare (NATALI, Gli studi danteschi in Sicilia) che nel 1816 il Longo scriveva sonetti economiastici per Dante, o che il duca di Villarosa nel 1817 ne stampava le rime, o che nel 1827 Luigi Forti ne traeva argomento per un dramma. Tutto ciò se di. mostra che Dante era studiato. non prova che fosse ugualmente compreso,

prima metà del sec. XIX. Figliuolo del maestro di musica Giacinto Castorina, Domenico fu quasi un autodidatta, ed ancóra giovanissimo, dai 19 ai 26 anni, pubblicò il Poema Cartagine distrutta in quattro separati tomi. Questo lavoro, pubblicato a varie riprese, dal 1835 al 1840, suscitò un coro di lodi in tutta Sicilia e gli isolani, tuttavia scossi e addolorati dalla immatura perdita di Vincenzo Bellini, volsero sul giovane poeta tutte le loro speranze. Vi fu, però, qualche voce discorde e Pompeo Inzenga, poeta foscoliano e contraffattore dello stile del Monti in una tragedia celebre in Palermo, scagliò una critica acerba rinfacciando a Domenico Castorina le troppe reminiscenze altrui, fra le quali le dantesche. Ciò non tolse, del resto, che la fama del Castorina rimanesse salda, tanto da ottenere dal municipio catanese un assegno annuo, come era stato prima accordato al Bellini, per completare, anche lui, gli studi fuori della Sicilia.

Ma, senza altro indugio, seguiamo le imitazioni dantesche del poema Cartagine distrutta.

Imitazioni dantesche nell'intreccio non si trovano. Possiamo se mai segnalare una scena ed alcune espressioni, derivate dallo studio di Dante, sicuramente piú progredite in Sicilia al tempo del Castorina, che a quello precedente dell'Alessi.

La scena si riferisce all'episodio di Pisone e Tenta. L'amante, avanti la tomba dell'amata vergine, ebbe la illusione di vederla sorgere dall'urna e quindi (XIV, 47)

Tentò tre volte a lei dare un abbraccio

e le man vote al sen tre volte strinse. Dante (Purg., II, 79), parlando dell'ombra vana di Casella, dice:

Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,

e tante mi tornai con esse al petto.

Vediamone ora le espressioni imitate o derivate.

Il Castorina, parlando di Birsa turrita (Canto II, 8) e dicendo che aveva I merli bassi bassi, ed un assito fragile soggiunge: vituperio delle genti; ed una simile espressione, adoperata fuori posto, non ha altro fine se non di innestare alle proprie parole l'espressione dantesca rivolta a Pisa (Canto XXXIII, 79).

Massinissa (Canto II, 34) è Con occhi torvi e come bragia rossi; Caronte (Inf., III, 109) è pure con occhi di bragia.

Il Castorina deriva il verso (Canto II, 69) Ahi tristo templo, perché non cadesti? dal famoso verso dantesco (Canto XXXIII, 64) Ahi dura terra, perché non t'apristi?

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Ed ecco le voci della battaglia (Canto IV, 20) quanto somigliano a quelle che Dante ode (Inf., III, 22) appena varcata la porta dell'Inferno:

Voci alterne di rabbia e di frastuono,
singhiozzi e pianto di chi langue e spira,
rauchi stridi, di omei flebile suono,
guerriero fragorío, ululi d'ira,
fischi del vento, di battaglia tuono,
e gemito del mar che in sé s'aggira,
odi, che fan con cento rombi e cento
di orribile armonia triste concento.

Cartagine subirà (Canto VII, 46) D'Ilio superba la dolente sorte; espressione che fa correre la mente alla corrispondente dantesca (Inf., I, 75) il superbo Ilion fu combusto.

-

Un'altra imitazione, non ostante la lieve inversione, si riscontra nel seguente verso (Canto X, 76) della Cartagine distrutta: Spento del bere il natural desio, che ricorda il primo verso del Canto XXI del Purgatorio: La sete natural che mai non sazia.

Nel Poema del Castorina (Canto X, 98) vediamo ricordata Elena, rea cagion di quella truce Guerra, come nell'Inferno Dante vide Elena.... per cui tanto reo tempo si volse ....

Una inversione di senso dei seguenti versi (Canto V, 121) Nessun maggior dolore, Che ricordarsi del tempo felice Nella miseria, riscontriamo in questi altri del Castorina (Canto VII, 34) Della gioia Ci è dolce riandare con la mente Nelle sventure...

Ora, tali imitazioni, non sempre fatte con discernimento, dimostrano come il Castorina si esercitasse, con l'esempio dei sommi, a ben verseggiare per poter, dopo, tentare la grande prova nel Poema Napoleone a

Mosca.

C. TOMMASO ARAGONA.

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BELLONI ANTONIO. Dante e Lucano. Torino, E. Loescher, 1902, in-8°, pp. 22.

Estr. dal Giorn. stor. della Letter, ital., 1902, vol. XL, p. 120. Aggiunge altri parecchi raffronti a quelli raccolti dal Moore (Studies in Dante, First Series. Scripture and classica lauthors in Dante Oxford, 1896, pp. 22842), notando pure due inesattezze di commentatori (la seconda riferentesi al nome dei due gioghi del Parnaso, nomi che noi non sappiamo con sicurezza). Importanti il Canto II, dove tratta della derivazione probabile di alcune indicazioni astronomiche-cronologiche nella Comm. da analoghe della Fars. (specialmente Fars., IV, 526-8; VIII, 467-9 e Prorg., II e IX in principio); il Canto VII a proposito del Marcello del VI del Purg. (vv. 125-6), nel quale, invece che il Marcello di Lucano (Fars., I, 313) vede il Marcello di Virgilio (En., VI, 855-9), appoggiandosi anche sul fatto dell'uso antonomastico che Virgilio fa dello stesso nome (En., VI, 882-3); e il Canto V sull'invocazione del I del Par., per la quale Lucano sembra darci piú d'un prezioso raffronto (Fars., I, 63-5; V, 71-4; V, 137); il primo passo e il terzo riferentisi a frasi di Dante (vv. 14 e 19; v. 36), il secondo alla "delfica deità, (vv. 31-2) che il numen mixtum, di Lucano dà appoggio a intendere come espressione che comprenda "tutte quelle potenze divine che, secondo l'opinione degli antichi, davano l'ispirazione poetica, cioè Apollo, Bacco e le Muse,; (cfr. i due gioghi, l'uno sacro ad Apollo l'altro alle Muse o a Bacco, e il loro significato simbolico; e Par., II, 8-9, dove Minerva scienza umana, tiene il posto che simbolicamente può tenere anche Bacco).

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CANNIZZARO TOMMASO. Il Lamento di Lisabetta da Messina e la leggenda del vaso di basilico nella nov. V, giornata IV del "Decameron: indagini. Messina, tip. dei Tribunali, 1902, in-8°, pp. 124-(2).

La canzonetta intorno all'assedio di Messina, dopo Vespro,... tuttoché di argomento siciliano, par di fattura toscana ed è, in ogni caso, un'eco lontana di pietà ghibellina verso un popolo in lotta contro la tirannia del guelfo Carlo d'Angiò, per la tutela della propria libertà, e non già la vana millantazione delle proprie gesta, fatta da un popolo nel momento del suo maggior pericolo. (2907)

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3. The Descensus Christi,; 4. Apocryphal Literature; 5. Early Christian Legends; 6. Mediaeval Legends; 7. Conclusion. (2908)

GIANNINI A. - Chiosa dantesca. (In Hesperia, X, 148).

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Inf., XVI, 79-81: Se l'altre volte si poco ti costa.... tutto il soddisfare altrui Felice te, che si parli a tua posta! Dove non è da vedere un elegante complimento a Dante, per la prontezza e chiarezza o libertà di parola di lui, ma il rimpianto della eterna salute che i tre fiorentini, dannati nel sabbione infuocato de' sodomiti, hanno per sempre perduto, e il dolore della loro perpetua dannazione. Essi invidiano a D. la conoscenza del presente stato umano negata a loro in quanto dannati e gliela invidiano non solamente perché egli sa cosí di quella patria comune che han pur sempre nel cuore ed in cui furono già cosí grandi, ma anche perché è segno in lui della vita spirituale, mentre ciascuno d'essi grida in eterno la seconda morte. Egli ha potuto agevolmente risponder loro, per diretta conoscenza che ne ha, a domanda di cose presenti; è dunque nella felice condizione di potersi salvare; a lui è amico, a loro invece implacabilmente nemico, il Re dell'universo „. (2909)

HAUSER OTTO. Dante Gabriel Rassetti. (In National Zeitung, 18 maggio 1902).

(2910)

HOLBROOK RICHARD THAYER. - Dante and the animal Kingdom. New-York, The Columbia Univ. Press, 1902, in-4° fig., pp. xvIII[2]-376.

SOMMARIO: Preface; 1. Introduction; 2. Man; 3. The Angels; 4. The Devil and his brood; 5. The lower Animals; 6. The Monkey or Ape; 7. Dant's meeting with the thru beasts; 8. The Ounce; 9. The Lion; 10. The Wolf; 11. The Dog; 12. The Fox; 13. The Panther; 14. The She-cat; 15. The Mouse; 16. The Mole; 17. The Bear; 18. The Horse; 19. The Mule; 20. The Ass; 21. Cattle; 22. The Swine; 23. The Sheep; 24. The Goat; 25. The Deer; 26. The Beaver; 27. The Otter; 28. The Elephant; 29. The Whale; 30. The Dolphin; 31. The Frog; 32. The Fish; 33. The Sponge; 34. The Griffin; 35. BirdLife and Birds Unnamed; 36. Fowling; 37. Falconry; 38. The Kite; 39. The Eagle; 40. The Crow; 41. The Lark; 42. The Nightingale ; 43. The Dove; 44. The Starling; 45. The Crane; 46. The Stork; 47. The Pelican; 48. The Swan; 49. The Blackbird; 50. The Magpie; 51. The Rook of Daw; 52. The Phenix; 53. The Swallow; 54. The Goose; 55. The Cock; 56. The Dragon; 57. The Snail; 58. Serpents; 59. The Eye-Lizard (?); 60. The Scorpion; 61. The Worm. The Caterpillar. The Butterfly; 62. The Fly and Gadfly. The Flea. The Wasp; 63. The Firefly; 64. The Locuste or Grasshopper; 65. The Spider; 65. The Ant; 67. The Bee; 68. Conclusion. Bello e utile libro, adorno di molte buone e curiose illustrazioni tratte da antichi disegni. (2911)

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PANNELLA G. -- Dante negli Abruzzi: conferenza letta nell'aula massima del Municipio di Teramo il 24 aprile del 1904. Teramo, tip. e cart. De Carolis, 1904, in-16° picc., pp. [24].

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D. salutò di lontano la terra di Abruzzi " quando fu ospite cosí afferma il P. dell'eremo di Fonte Avellana nella verde Umbria, scorgendo tra le vette minori il Gran Sasso d' Italia....„; poi venne nella nostra terra, movendo alla volta del mezzogiorno d'Italia, nel 1294 " nella prima metà di luglio, per la incoronazione di Pietro da Morrone. "E gli estremi del soggiorno vanno dai primi di agosto ai primi di ottobre, di quell'anno, e non più tardi, ché nell'anno appresso Carlo Martello, conosciuto da D. a Firenze nel 1294 in primavera, poi riveduto negli Abruzzi per la incoronazione di Celestino era morto. Cosí si ha la prova della conoscenza personale del Poeta con colui che fece poi il gran rifiuto, e si spiega come Carlo Martello potesse, nell' incoronazione e prima e dopo, mostrare a D. "accoglienza d'affetto e d'amicizia non oltre che le fronde

-

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Il P. tocca pure della questione intorno al Verde (Purg., (III, 131 e VIII, 63), che è, secondo lui, il fiume Castellano, il quale divide dai Piceni gli Aprutini e cade nel Tronto, e difende la interpretazione di là da Tagliacozzo proposta dal Bassermann a' versi: là da Tagliacozzo Dove senz'arme vinse il vecchio Alardo, in Inf., XXVIII, 17-18. (2913)

PANZACCHI ENRICO. - Dante e la musica. (Nel Giorn. d'It., 10 marzo, 1904).

Intorno al libro di A. Bonaventura, cosí intitolato Livorno, Giusti, 1904). (2914) PANZACCHI ENRICO. Il Canto XI del "Purgatorio, letto nella Sala di Dante in Orsanmichele. Firenze, G. C. Sansoni, edit., [tip. di G. Carnesecchi e f.], 1903, in-8°, pp. 32.

Nella raccolta Lectura Dantis. Marina di Pisa, luglio 1904.

(2915)

G. L. PASSERINI

NOTIZIE

Nel Bullettino della Società dantesca italiana (XI, 4-5) Fedele Romani, prendendo in minuto esame la illustrazione della Divina Commedia pubblicata dall'Alinari, dà nuova prova del suo buon senso critico e del suo fine gusto artistico, ponendo in rilievo i pregi e i difetti delle varie figurazioni. In complesso, egli osserva, se nella edizione del coraggioso e benemerito editore fiorentino sono parecchi i buoni disegnatori, i buoni artisti, sono pochissimi coloro che rivelino qualità e disposizioni di veri e proprî illustratori: troppo spesso la nostra fantasia rimane presa e incarcerata dentro i poveri limiti di una concezione che vorrebbe esser verità e non è che falsità fotografica. E qualche volta i disegni prendono troppo il carattere delle illustrazioni dei romanzi popolari pubblicati a dispense domenicali; e qualche altra, specialmente nel Paradiso, si cade nello stile di quelle sacre immagini che le devote intercalano nei loro libri di preghiera, o attaccano alle annoiate pareti delle loro camere da letto. Non mancano, per altro, alcuni disegnatori che mostrano di aver inteso pienamente, per questa parte, il loro ufficio, e rivelano buon giudizio artistico e speciali attitudini Tra questi, Il Romani cita il Marzi, il Nomellini, il Bicchi, il Baruffi, sebbene alle volte anch'essi siano, per altri motivi, meno degni di lode. Ad ogni modo, conchiude il Romani, ne' giudizî del quale consentiamo pienamente, "la pubblicazione rimarrà notevole documento delle molteplici e svariate tendenze dell'arte nostra contemporanea „. Vi si vedono, di fatti, "riflesse quasi tutte le principali aspirazioni che tormentano da qualche tempo l'arte del disegno, la quale ha abbandonato, stanca, il suo letto di pace, e cerca, irrequieta, nuovi mezzi, nuovi campi, piú contenta di cader vinta nelle prove, che di languire in una fredda e pallida quiete „.

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Anche il Comitato di Fermo (Ascoli Piceno) della Società Dante Alighieri ha procurato nella scorsa pri

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Proprietà letteraria.

Città di Castello, Stabilimento tipo-litografico S. Lapi, luglio-agosto 1904.

G. L. Passerini, direttore Leo S. Olschki, editore-proprietario-responsabile.

ΑΓ

GIORNALE DANTESCO

ORIGINE E NATURA DELLA

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FORTUNA,, DANTESCA

uesto concetto, per sé stesso lato ed astruso, eppur tanto antico e vivace nella coscienza umana, s'è venuto formando e determinando nel pensiero di Dante per tre modi, astrologico, etico e teleologico; sotto tre aspetti dunque dobbiamo studiarlo, e, sebbene il Poeta dia maggior rilievo ora all' uno, ora all'altro, tuttavia si vedrà che egli, là dove intende di spiegare la sua vera e defini. tiva dottrina, tutti e tre li comprende, unificandoli, con processo integrativo, in un tutto perfetto.

Una volta sola Dante usò "fortuna, in senso prettamente geomantico;1 ma per avervi egli accennato oggettivamente, come a operazione cabalistica de' tempi suoi, non dobbiamo farne gran conto. Meglio è richiamarci a due luoghi del XV dell'Inferno, ove" fortuna, è intesa come celeste influsso o disposizione dei cieli, ad un terzo dello stesso Canto, ad alcuni celebri versi del Paradi

3

1 Purg., XIX, 4-6.

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