Slike stranica
PDF
ePub

lacciatura del suo racconto. La colpa di Pia fu la stessa di Francesca; ma questa, còlta dalla morte in peccato mortale, non ebbe né meno il tempo d'invocar quel nome, Maria, di sparger quella lacrimetta, che valsero a Buonconte il perdono divino; Pia ebbe l'agio, almeno, di far un atto di contrizione; cosí, l'una è dannata in eterno, (il modo, della morte ancor l'offende) l'altra è sulla via della salvazione. Della diversa lor sorte oltreterrena sono dunque veramente colpevoli i mariti, e il Poeta perciò a Francesca fa imprecare

Caina attende chi vita ci spense,

a Pia ricordare

Salsi colui che inanellata pria.....:

la rispondenza di questi due versi, che a me pare evidente, non fu, ch'io sappia, notata da alcuno. Nel primo è l'annuncio di un castigo degno dell'orribile peccato di Gianciotto, che l'anima col corpo morta fece; nel secondo è l'accenno discreto e doloroso a un tormento tutto intimo, che deve torturare l'animo di un marito offeso che non seppe in Dio ben leggere la faccia del perdóno; nel fondo il significato dei due versi è lo stesso, e suona cristiano insegnamento di mansuetudine: è dovere cercare non la morte, ma la conversione del peccatore. Ultima nel mirabile terzetto viene, per me, Cunizza, rea non di un solo, bensí di parecchi colpevoli amori; di tutti però ella ebbe agio, nella lunga vita, di pentirsi, e a tutti di riparare; ella perciò è in Paradiso, e lieta indulge alla causa della sorte sua presente: tra lei e Francesca, che alla causa della sorte sua impreca l'eterna dannazione, Pia è, dirò il tratto d'unione. ste in tale relazione queste tre donne, e ricordando perché eguale peccato ebbe per ciascuna di esse diversa conclusione, riesce, o m'inganno di grosso, compiutamente spiegata cosí l'assunzione di Cunizza in cielo come la singolare pietà del Poeta per l'adultera Francesca; di piú, ed è il succo morale dei tre episodî, risulta chiaro anche come il Poeta cavi da essi la condanna di chi, come i mariti di Pia e di Francesca, dimenticando che Cristo perdonò all'adultera, dispose delle anime come dei corpi.

vra

Po

Ma torniamo, ch'è tempo, al Ricci. Matelda, Gineun semplice e incolore accenno di questa, e che poteva piú? e Francesca sono le ultime donne che occupano la sua conferenza: per lui Matelda è indubbiamente la famosa Contessa, e racconta a lungo e con compiacenza la storia di lei, che dice il più grande esempio femminile di vita attiva: di tutti gli studi odierni sulla questione mostra di conoscere soltanto l'ipotesi del Lubin, che rifiuta sdegnosamente. Di Francesca racconta la storia con le parole del Boccaccio, e solo aggiunge poche osservazioni sul valore estetico dell'episodio e sulla mirabile brevità di Dante, il piú sobrio di tutti i poeti, troppo poco e inadeguato al fervore presente di studî.

Notizie sicure, incerte, false a dirittura raccoglie e senza lume di critica espone nella sua conferenza, L'esiglio di Dante, miss Phillimore, che pare miri solamente, direbbero i francesi, a épater son bourgeois, attingendo, piú che dagli storici, dal poemetto del Rossetti Dante at Verona. Di un suo volume sull'ultimo rifugio di Dante ebbi già ad occuparmi nel Giornale, e poco, anzi punto favorevolmente di esso parlò la critica nostra, come quello che per grandissima parte è saccheggio dell'opera

ben nota di C. Ricci. Non sarà questa conferenza che rialzerà in Italia la fama dell'A.: un rapido riassunto basterà a giustificare il mio giudizio.

L'A. sa di sicuro, e con lei lo sa altrettanto sicuramente qualche altro dei conferenzieri di questo volume, che Dante, destinato ambasciatore della sua città al papa Bonifacio VIII, si domandò angosciato: s'io vado chi resta? se resto chi va? Ma del dilemma angoscioso niente seppe Firenze, e fece del Poeta il capo della sua ambasceria; cosí a Roma egli fu raggiunto dalla prima e forse anche dalla seconda condanna, e di là andò prima a Siena, città guelfa e quindi poco sicura per i capi ghibellini; e poi nella ghibellinissima Arezzo. A questo punto l'A. crede bene dividere l'esiglio di Dante in quattro parti, di ciascuna delle quali sono, io dirò numi protettori, ella dice guardians, certe grandi figure centrali: ciascuna di esse è stata per turno (in turn) immortalata dalla dedica di qualche parte della Commedia. La prima di queste figure è Uguccione della Faggiola, secondo alcuni raffigurato nel veltro famoso, — l'A. ignora o vuol ignorare qui e piú oltre le ben fondate conclusioni del Cian, al quale appunto l'Inferno è dedicato; la seconda è Moroello Malaspina, e il Purgatorio gli è consacrato; terza è Cangrande della Scala, cui il Paradiso è dedicato con l'epistola che tutti conoscono; quarta e ultima è Guido Novello da Polenta, al quale non resta piú niente da dedicare; ma egli pochi mesi dopo la morte del Poeta riceveva dai figli di lui la prima copia completa del Poema. Quando Dante incontrò Uguccione, questo era per la sesta volta podestà di Arezzo, e qui l'A. crede bene insegnare ai suoi uditori che allora in Italia per tre modi si otteneva il sommo del potere: a) per eredità, ma dei signori ereditarî feudali nelle vicinanze di Firenze i conti Guidi erano oramai i soli rappresentanti; b) per civile preponderanza ottenuta con la sapienza, col credito personale, con la perfetta equanimità tra nobili e plebei, e di questo modo Dante stesso era stato a Firenze il piú cospicuo esempio, e saranno più tardi i Medici; chi l'avrebbe mai pensato? Dante precursore di Cosimo padre della patria! c) per un'abile combinazione del potere civile col militare, e questo modo usavano i condottieri come Uguccione, che le podesterie cosí ottenute rendevano vitalizie ed ereditarie. Del disastro della Lastra Uguccione non è responsabile, e Dante non fu là tra i combattenti, ché, eletto dei dodici consiglieri della Lega, era andato a chieder l'aiuto di Scarpetta degli Ordelaffi, del quale dicesi sia stato segretario. Dal 1304 al 1306 l'A. lo vede studiare tranquillamente a Bologna insieme col figlio Pietro; poi lo segue a Padova e quindi nella Lunigiana, dove Gemma de' Donati gli mandò il primo abbozzo della Commedia, ch'egli aveva cominciato in latino e dimenticato a Firenze: riavutolo nel modo che racconta il Boccaccio, che stupirebbe di vedersi frainteso cosí, il Poeta si diede a tradurre in italiano quel suo primo ampolloso latino. Recatosi quindi a Parigi, chi dice a Pisa, a Bologna, a Firenze aveva ottenuto tutti gli onori nella filosofia naturale e nella morale, cominciò lo studio della teologia, assai distinguendosi: da chi era chiamato poeta, da chi filosofo, da chi ancóra teologo. Dopo essere stato, forse, a perfezionare i suoi studi a Oxford, il Poeta ritornò in Italia chiamato dalla discesa di Arrigo VII: il libro De Monarchia espone ciò che per lui era l'essenza del buon governo, ma anche lo figura allegoricamente l'aquila del Paradiso, certo quella formata dagli spiriti nel cielo di Giove; però tre

versi del Purgatorio danno il succo del pensiero politico del Poeta:

Soleva Roma che il buon mondo feo...:

questi versi significano appunto che Roma, la quale convertí il mondo al cristianesimo, era illuminata da due soli, il Papa e l'Imperatore. Morto l'Imperatore, Uguccione risollevò la disperata causa ghibellina, e meritò di essere designato come il cinquecento diece cinque: Dante, passando e ripassando il monte San Giuliano, con altre parole: in andirivieni continuo tra Pisa e Lucca, compose allora la piú gran parte del Purgatorio terminando col figurare misticamente il suo patrono Uguccione nel messo di Dio. Ma cadde anche lui, e Dante perdette ogni speranza: allora veramente comincia il suo esiglio, e perciò chiama suo primo rifugio e primo ostello la cortesia del gran Lombardo, presso il quale tosto si recò; il gran Lombardo è Cangrande, ché di Bartolommeo l'A. non ha né meno il sospetto. Sgraziatamente Congrande troppo si compiaceva di buffoni e di giullari, tra i quali Dante non poteva trovarsi ad agio; anzi a questo suo disgusto possiam credere inspirati i versi

Tu proverai sí come sa di sale....

Il disgraziato Poeta andò allora peregrinando per non so quante città e cittaduzze della costa orientale d'Italia, seguíto passo passo dall'A., che naturalmente ignora il bel libro del Bassermann, finché si fermò a Ravenna, confortato da amici e scolari, e dai figli Pietro e Iacopo, che si affaticavano a preparar la copia completa della Commedia da presentarsi a Guido da Polenta dopo la morte del loro padre, il quale per sua disgrazia accettò di andare ambasciatore del Signore a Venezia, città che non gli era simpatica e della quale anzi odiava il dialetto. I veneziani pare ricambiassero questi sentimenti, e poco cortesemente negarono al Poeta il modo di tornare per mare a Ravenna; egli dovette quindi tornare per terra e attraversando la Pineta si pigliò quelle febbri che lo condussero al sepolcro: la storia di questo monumento, dal 1321 ai giorni nostri pon fine alla

conferenza.

Napoli, 1904.

GIOACHINO BROGNOLIGO.

M. DODS.-Forerunners of Dante, an Account

in queste pagine s'incontra il nome di Dante o si trova richiamato qualche passo della Commedia, e i richiami sono sempre senza molta importanza, una volta anche fuor di proposito. Quando avrò detto che della visione di Bernoldo scrive l'A. (pag. 206) che essa è, in certo senso, quasi una Divina Commedia in miniatura perché essa serve al suo autore Incmaro per criticare l'Imperatore e i preti suoi rivali, non avrò bisogno di spiegare il mio asserto: troppe delle visioni medievali di origine clericale hanno scopo non religioso o morale, ma monetario, e per troppe di esse, e non per una soltanto, bisognerebbe richiamare la Commedia,

Piú oltre (pag. 211), a proposito di altra visione, l'A. stesso non dice che questa sembra avere un determinato scopo politico. E pure per essa non richiama la Commedia. Ma l'A., piú che agli scopi mondani delle visioni che esamina e del loro valore artistico, pare badi sopratutto al loro valore morale e religioso, e non si cura di raccogliere ed esaminare solamente, o specialmente, quelle che Dante può aver conosciuto, mentre non trascura nessuna di quelle, la notizia delle quali giunse a Dante, se mai gli giunse, per vie molto lunghe e indidirette, tanto è vero che comincia la sua esposizione dalle più antiche leggende babilonesi ed egiziane e non fa parola dai poemetti di fra G acomino da Verona. Vero è che delle cose italiane egli non si mostra molto inforformato, ché, se si vale di studî francesi e tedeschi, quelli un pò arretrati, sull'argomento che l'interessa, d'italiani conosce solamente il Cancellieri, primo editore della visione d'Alberico, e il Foscolo. Per noi dunque, che sull'argomento possiam vantare degli studi come quelli del Bartoli, del D'Ancona, del Graf, del Coli, il suo libro non dice niente di nuovo e non ha altra importanza che quella che potrebbe venirgli dall'essere un buon libro di divulgazione, se la monotonia e l'aridità della esposizione non ne rendessero pesantuccia la lettura. G. B.

E. WILBERForce. - Dante's "Inferno, and other translations. London, Macmillan and Co, 1903, 8°, pp. 384.

Questo elegante volume, che attesta la ricca e profonda cultura linguistica e il buon gusto letterario dell'A. come quello che raccoglie versioni di Dante, del Goethe,

of some of the more important Visions of dell'Alfieri e dello Schiller, del Guisti e del De Musset the unseen world, from the earliest times. Edinburgh, T. e T. Clark, 1903, 8°,

Pp. 275.

L'A. pone nettamente i limiti di questo suo studio: oggetto di esso, scrive nella Introduzione, è quello di tentare, per mezzo delle visioni, solamente una ricostruzione dell'idea dell' Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, quale era comune al principio del secolo XIV, non però quale era realmente presente allo spirito dei fiorentini. Il proposito suo, ripete, è di presentare tale una serie di visioni sullo stato futuro delle anime, che possa dare una adeguata rappresentazione delle idee di premio e di pena quali esse si svolsero attraverso i secoli, accompagnando il lettore fino alla concezione, che, in generale, prevaleva nell'Europa quando Dante scrisse la sua Commedia: quindi, avverte ancóra l'A. stesso, se riferimenti alla Commedia s'incontreranno, saranno puramente casuali. E cosí è difatti: poche volte

e di altri minori, presenta ai lettori inglesi una nuova e completa traduzione dell' Inferno. Non so se di essa fosse sentito il bisogno in Inghilterra: ma poiché, anche se soverchia, essa attesterebbe sempre, e nel modo migliore, la diffusione che il culto di Dante ha preso tra gli inglesi, e poiché è buona, sia la benvenuta. Il traduttore conserva il metro dell'originale e il numero dei versi di ciascun Canto, e nella difficile prova riesce assai bene; rade volte accade di trovare che la traduzione sia invece una esplicazione o una parafrasi; il senso è sempre penetrato, e reso generalmente con efficace verità meno nel verso Galeotto fu il libro e chi lo scrisse, nel quale poco accortamente a Galeotto è sostituito il generico pandar. Il testo è accompagnato da poche, forse troppo poche, note esplicative, generalmente esatte e sempre opportunamente succinte: inesatte sono solamente quelle che spiegano il significato delle tre fiere ché a badare all'A., la lonza secondo alcuni significhe

rebbe la sensualità, secondo altri Firenze, il leone la superbia e l'ambizione o il Re di Francia, la lupa l'avarizia o il Papato; erronea, o, per dir meglio, antiquata è la nota che spiega il significato del Veltro: si suppone sia Can Grande della Scala, che per qualche tempo ospitò Dante a Verona. Certo è che l'A. ha inteso tra- |

durre e non commentare, e che i meriti della traduzione da un lato, dall'altro la scarsità, la brevità, e le inesattezze anche delle note proverebbero com'egli fa sua delizia della poesia di Dante, non della poesia dei commentatori.

G. B.

ALIGHIERI DANTE.

BULLETTINO BIBLIOGRAFICO

Nowe zycie, przeklad | FEDERN KARL. - Dante: tradotto e rifuso dal G. Ehrenberga. Warzawa, 1903, in-8". dott. Cesare Foligno. Con 3 tavv. e 132 Recens. di L. Rydel, nel Kurier Warszawski, 10 febillustrazioni. Bergamo, Istituto italiano di braio 1904. arti grafiche, 1903, in-8° gr. fig., pp. 299-[1]. È il 1° vol. di una serie letter. di Monografie illustrate. Cfr. Giorn, dant., IX, 14. (2925)

(2916) BEACH T. BURTON. Reading of Dante is stymulated by Pope. (In Evening Post di Chicago, 25 luglio, 1903).

(2917)

BERTOLDI ALFONSO. Il Canto XI del "Paradiso, letto nella Sala di Dante in Orsanmichele. Firenze, G. C. Sansoni, edit. [tip. di G. Carnesecchi e f.], 1904, in-8°, pp. 62. Nella raccolta Lectura Dantis. Bella e poetica illustrazione del maraviglioso Canto francescano.

(2918) BOCCONE PIETRO. Leggendo la "Divina Commedia,. Palermo, Casa editrice "Era nuova,,, 1902, in-8°, pp. 50. L'anno della Visione dantesca; Il v. 75 del Canto V dell' Inferno; La "mala striscia Il " ni balco d'oriente (2919)

[ocr errors]
[blocks in formation]

FERRETTO ARTURO. - Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante (1365-1321). (Negli Atti della Soc. ligure di st. patria, vol. XXXI, fasc. 2°).

È il séguito del pregevole Codice già annunziato in questo giornale, e comprende docc. dall'anno 1275 al 1281. Nella introduzione il F. pone in rilievo tutto ciò che ha attinenza con Branca Doria e la sua famiglia.

(2926)

FILIPPI GIUSEPPE. Una nuova interpretazione del pensiero di Dante. Seconda ediz. accresciuta e totalmente rifatta. Pisa, tip. edit. F. Mariotti, 1894, in-8°, pp. xvi-92-[2].

Precede Una parola d'introduzione di P. Orano, il quale dichiara che "questo scritto.... sulla dibattuta questione del Veltro e sul profondo concetto racchiuso nel Poema, è una prova chiara e sicura di come ancóra s'a possibile correggere e raddrizzare molte opinioni invalse a riguardo del pensiero di D. e riuscire in rivelazioni assai piú persuadenti di quelle che la critica usuale insegna„. Ma non sappiam quanti si accorderanno coll'Orano in tale giudizio. Secondo il Filippi, la Divina Commedia è soltanto una "velata storia del Dante politico; i dieci giorni del viaggio simbolico altro non compendiano che i dieci anni di vita pubblica del nostro Poeta, e cioè dal 1291 al 1301; le tre guide di Dante sono il genio poetico imperialista personificato in Vergilio; il fermo carattere personificato in Stazio; la sapienza delle sante Scritture personificata in Beatrice. Quanto al Veltro, che è l'argomento "a cui piú mira, questo lavoro, il Filippi crede non possa essere altro che la Divina Commedia, e piú precisamente la terza parte di essa esendo termine di confronto tra il buono della patristica e il dogma, o meglio tra lo spirito cristiano e quello della Chiesa di Roma, Concludendo, il soggetto del Poema è, secondo il F. "un accurato esame storico biblico del Medio Evo, allo scopo di distinguerne, con somma arte poetica, il vizio dalla virtú, e giovare al progresso civile,; il fine "la libertà della patria basata su quella virtú che è la dottrina di Cristo (2927)

[ocr errors]
[ocr errors]
[merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small]

HENDERSON HENRY F. The Dream of Dante: an Interpretation of the "Inferno". Edinburgh and London, Oliphant, Anderson and Ferrier, 1903, in-16o, pp. 136.

SOMMARIO: The Dreamer; The Dream; The Sin of Indecision; Great Spirits of the Past; Paolo and Francesca; Among the Gluttons; The Stygian Marsh; The City of Dis; A Lake of Blood; The Wood of the Harpies; A Burning Plain of Sand; An Unexpected Meeting; The Monk's Girdle; The voyage for the Golden Fleece; In the Baptistery at Florence; Among Wejards and Divinizes; The Jugous Frius; The Adventures of Ulisses; An Angry Colloquy; The Ead of the Journey.

(2934)

LA SORSA SAVERIO. -La Compagnia d'Orsanmichele, ovvero una pagina della beneficenza in Toscana nel secolo XIV. Trani, tip. dell'edit. V. Vecchi, 1902, in-8°, pp. 276.

Nella prima parte si parla della origine della Compagnia, de' suoi Capitoli, delle sue relazioni col Comune, della sua decadenza e de' provvedimenti presi dal CoComune contro gli scandali avveratisi nella amministra

zione delle elemosine; nella seconda parte l'A. tratta delle entrate e delle spese della Compagnia, e delle relazioni tra essa, il Comune e altri enti della città. Da tutto lo studio si conclude che la società di Orsanmichele non ebbe un carattere strettamente religioso, ma fu in effetti un'opera pia, una Compagnia di beneficenza. La sua azione principale fu rivolta ad alleviare le condizioni dei bisognosi, ed aiutare gl' infelici nelle strettezze della vita; per modo che le pratiche del culto costituivano solo la parte formale di essa. Nell'appendice è la nota dei nomi de' Capitani che ressero la Compagnia fino al 1347, degli spedali, de' monasteri, delle principali società laiche di Laudesi di Firenze nel secolo XIV, alcune notizie sul valore del fiorino dal 1319 al 72, una miscellanea di notizie risguardanti personaggi noti del Trecento trovate sparse ne' codici studiati dall'A., fra i quali Dino Compagni, Pietro di Dante, Gherardo, Alighiero e Domenico di Gherardo Alighieri, Manetto Donati padre della Gemma, Francesco da Barberino, il Boccaccio, i Villani, Francesco padre di Leonardo Bruni, Antonio Pucci, ecc. Fra i docc., i Capitoli della Compagnia de lla Madonna d'Orsanmichele degli anni 1294 e 1335 e le parti piú importanti e che hanno maggiore attinenza coll'argomento trattato nel libro, delle Provvisioni della Signoria dal 1305 al 1392. (2935)

[ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small]

documenti trevisani, in Dante e nei commentatori: Studio. Treviso, prem. tip. Turazza, 1904, in-8°, pp. [2]-248-[6].

Raccoglie qui, corredandole di tutti i docc. che riuscí a rintracciare, in cui direttamente o indirettamente ricorra il nome della figliuola del buon Gherardo, le due conferenze intorno a Gaia, già lette in Treviso nella sala delle Associazioni cattoliche le sere del 3 e del 6 giugno 1903. Adornano qua e là il volume alcune riproduzioni fotografiche di luoghi, persone e docc. che hanno attinenza coll'argomento trattato. Il lavoro reca una buona contribuzione agli studî intorno a Gaia da Camino, sebbene forse non risolva completamente la questione: spiace poi, in materia cosí seria, e, diciam pure, cosí bene studiata, lo stile a volte troppo scherzevole e dimesso dell'Autore. (2938)

MOLMENTI POMPEO. La bella Gaia. (Nel Giorn. d'It., 11 gennaio, 1904).

A proposito del libro, qui sopra citato, del Marchesan su Gaia da Camino. (3939)

MANNELLI ANTONIO. San Francesco e san Domenico nella "Divina Commedia,,: Commento. Firenze, tip. edit. Domenicana, 1903, in-8°, pp. 42-(2).

Si commentano e confrontano i Canti XI e XII del Paradiso. (2940)

MARI ANTONINO. Un Cinquecentista spagnuolo imitatore di Dante. (Nel Saggiatore, I, 103).

Diego Guillen de Avila, canonico di Palencia, poeta della fine del secolo XV e del principio del XVI.

(2941) NORTON CHARLES ELIOT. - Comments of Iohn Ruskin on the "Divina Commedia, with ": an Introduction. Houghton, Mifflin and Co., 1904, in-16o, pp. xiv-201.

Recens. in New-York Tribune 12 giugno 1904. (2942) SCHERILLO MICHELE. La vera effigie di Dante: Lettera aperta al prof. P. Papa. (Ne La Perseveranza, 12 marzo, 1904). Riprod. con qualche aggiunta in Giorn. dant., XII, (2943)

[ocr errors][merged small]

corpo dell'ucciso rimasto nudo e abbandonato alcun tempo, fu dai passanti ricoperto con un mucchio di sassi o mora, la qual si fece poi sempre più grave per l'usanza di gettarvi su un sasso da quanti si trovavano a far quella via. Ora, davanti a quella mora osserva lo Spinelli "si affacciano súbito alla mente i noti versi che il Poeta pone in bocca a Manfredi (Purg., III, 127) e si presenta il ricordo di un uso antico mantenuto nelle nostre montagne: anzi antichissimo, preistorico, giacché la Bibbia (Re, II, 18) ricorda come sul morto Assalonne acervus lapidum factus est „. Pur troppo la mora illustrata dallo Spinelli oggi piú non esiste; i suoi sassi furono adoperati, non son molt'anni, per la massicciata della nuova strada! (2944)

[merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small]

TOYNBEE PAGET. "Sollenare. (Nel Bulletin ital., IV, 181).

Vita nova, par. XII e XL.
WILBERFORCE EDWARD. · Cf. no. 2904
Marina di Pisa, agosto, 1904.

(2947)

G. L. PASSERINI.

NOTIZIE

[merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small]
[ocr errors][merged small][merged small]

Vittorio Pica, nel fascicolo di agosto 1904 dell'Emporium, dedicato al giovine e valente illustratore trevigiano Alberto Martini, discorre delle sue illustrazioni dantesche pubblicate dall'Alinari, e riproduce la composizione bellissima, finora inedita, eseguita da lui pel Canto XXIV del Purgatorio. In essa, osserva il Pica, all'abilità grande con cui è ideata tutta intera la scena, si unisce la sapiente bravura mercé la quale sono disegnati, con minuziosa amorevole esattezza anatomica, i corpi scheletriti delle ombre che parean rimorte, l'efficacia espressiva del vólto emaciato di Forese, la squisita grazia d'atteggiamento della figuretta femminile e l'evidenza del movimento affrettato di tutta quella gente che,

« PrethodnaNastavi »