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nella cornice dei golosi, passa, sotto gli sguardi di Dante, E per magrezza e per voler leggera.

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Il prof. Francesco Torraca ci prega di pubblicare questa lettera da lui mandata al nostro collaboratore dottor Alfredo Bassermann, a proposito dello scritto Sopra " Campo Picen, comparso in questo giornale, nel fascicolo di agosto.

Illustre Signore,

ieri soltanto giunse al mio indirizzo l'estratto della sua risposta, che, assorto come sono da altre gravi cure, non avevo ancor letto nel Giornale dantesco. La ringrazio del cortese invio. Esaminerò i suoi argomenti con la ponderazione che meritano; ma non posso tardare a dichiararle francamente che non m'aspettavo il metodo e il tono, con cui Ella me li oppose. La mia nota concerne solo alcune pagine del suo libro: mi spaventa il solo imaginare ciò che Ella avrebbe, forse, pensato e scritto, se mi fossi permesso di fare una piú larga rassegna delle due ipotesi, che non accetto, e delle sue affermazioni, che non approvo.

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piacevole. Né mancano lodi nella mia nota; ma Ella non ne ha voluto tener conto, e mi ha messo nel numero de' suoi avversari, de' quali ignoravo l'esistenza, e ha preso per accuse, e quasi per offese personali, le osservazioni piú serene, sinanche quegl'innocenti sic apposti alle sviste del proto, secondo un uso piú frequente, credo, in Germania, che in Italia. Mi rincresce che ció sia avvenuto; ma che sarebbe la critica, se il critico non esprimesse sinceramente ciò che pensa, per non irritare la suscettibilità o ferire l'amor proprio o son casi che si danno ledere gl'interessi degli scrittori? E che sarebbe de' nostri studi se, ad ogni differenza d'opinioni, lo scrittore, che è o si crede sicuro del suo acume e della sua dottrina, s'inalberasse, si proclamasse infallibile e intangibile? Nel fatto, Ella, benché a malincuore, ha pure dovuto riconoscere che non v'è un solo de' miei appunti che manchi affatto di fondamento, che la principale delle mie osservazioni, la chiave di volta del mio piccolo edifizio, è storicamente innegabile, e ció basta perché gl'imparziali vedano che come non credo - nel trarre le conseguenze, a porre le premesse m'indussero unicamente l'amore e il rispetto della verità.

se errai

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Con profondo ossequio,

Napoli, 18 ottobre 1904.

AVVERTENZA

FRANCESCO TORRACA,

Col prossimo anno il Giornale dantesco, per corrispondere sempre meglio alle esigenze degli studî e ai desiderî de' suoi fedeli e numerosi associati, raddoppierà il numero dei fogli di stampa e si pubblicherà in grandi fascicoli bimestrali elegantemente impressi sopra carta a mano.

Il prezzo dell'abbonamento, che decorrerà dal 1° gennaio 1905, sarà di 20 lire per l'Italia e di 22 lire per l'estero.

Tutti gli abbonati riceveranno un Premio gratuito, consistente nella riproduzione di un bellissimo RITRATTO DI DANTE, e otterranno le maggiori agevolazioni nell'acquisto delle pubblicazioni dantesche della Casa editrice Leo S. Olschki di Firenze.

Per abbonarsi, inviare vaglia all' editore cav. Leo S. Olschki, Firenze, Lungarno Acciaioli, 4

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АГ

GIORNALE DANTESCO

« MALTA »

fabbricazione d'una Malta “oscurissima.......... "in un fondo di torre allato alla porta di "ponte Tremole..

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a curiosa disputa sulla prigione | Tuccia, dove si narra, all'anno 1255, della dantesca, ricordata da Cunizza nel Canto IX del Paradiso, è, se cosí posso dire, nel suo pieno rigoglio. Dopo gli studî del Cristofori e del Cian, dopo le note etimologiche del Novati e del Flamini, dopo il mio studio in favore della Malta cittadellese, 1 ecco un altro lavoro del prof. G. A. Zanon sulla vessata questione; e m'è grato che l'A. concordi perfettamente con me, anche se ripeta quasi ad ogni passo argomenti, che io avevo già ampiamente svolti.

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1

A me preme insistere ancóra brevemente su due punti molto importanti della questione; sulla discussione delle prigioni di Viterbo e di Bolsena, e sul valore della parola malta nel medioevo.

L'opinione del Ciampi, dello Scartazzini, del Poletto, che Dante abbia alluso alla prigione viterbese, non è fondata, come crede il prof. Zanon, su cosí deboli basi, da bastare il ragionamento pure acuto del Cian, a dimostrarla insostenibile.

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La notizia che però era stata già data dal Pinzi a mezzo il secolo XVIII, fu trovata anche nella cronaca di fra Francesco d'Andrea, pubblicata dal Cristofori; 3 e si giunse, per opera del Cristofori stesso e del Calisse, 5 ad identificarla nella torre ottagonale e merlata, pur oggi esistente fra il ponte Tremolo e la chiesa di San Giovanni dei Carmelitani calzati.

L'esistenza della Malta viterbese è confermata da due importantissimi documenti pubblicati fin dal 1862 dal Theiner, il secondo dei quali sfuggi allo stesso V. Cian. Il primo di essi è un conto del tesoriere del Patrimonio di San Pietro in Tuscia, ser Angelo Tavernini, dove rendendo ragione delle spese fatte, nel salarium custodis carceris, addí 5 maggio 1360, si legge: "Pandulfutio Van"nutii de Vetralla custodi captivorum Curie "Pmonii existentium in carcere Malte posite

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1 Cronache e Statuti della città di Viterbo, Firenze, 1872, V, 31.

2 Storia di Viterbo, Roma, 1742, III, 141.

3 Nell' Arch. stor. per le Marche e l'Umbria, IV, 261 sgg., 331 sgg.

4 CRISTOFORI, Della prigione della Malta ricordata da Dante, Viterbo-Siena, 1891, pag. 11; C. CALISSE, I Prefetti da Vico in Arch, della Soc. romana di Storia patria, vol. X (1887), pag. 85, nota 2.

5 Cosi corregge il CRISTOFORI l'errore del CALISSE, ripetuto dal CIAN, che il tesoriere del Patrimonio si chiamasse Angelo Taverino,

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2 ses grossos

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Senonché, ad uguagliare, se non ad infirmare, l'importanza di questi documenti, opportunamente il Cian ha mostrato, studiando con attenzione il passo di Niccolò della Tuccia, che la torre serviva solo di asilo ai prigionieri papali, quando il Papa stava a Viterbo, quando cioè essi lasciavano le gravi cure dello Stato per ritirarsi nei placidi ozî della villetta di Soriano, fatta edificare da Alessandro IV, sotto il cui pontificato fu eretta la Malta viterbese (1254-1261).

Non serviva essa, a quanto pare, da prigione papale che in determinate circostanze, rimanendo però sempre una torre comunale.

Che importanza ebbe in tutto il medioevo la prigione di Viterbo da esser ricordata cosí bruscamente dall'Alighieri, quale fatto atroce si svolse tra le mura di quella segreta, la cui fama non esce fuori dall'angusta cerchia della città, che essa domina dal ponte di Tremolo?

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Ma se quasi tutti i commentatori, dal Landino al Vellutello e al da Buti fra gli antichi, dal Lombardi al Biagioli, dal Tommaseo al Fraticelli, dal Blanc al Witte, credono che Dante abbia alluso alla Malta bolsenese, le incertezze sul luogo e sul nome stesso della prigione ai tempi di Dante sono davvero, data la confusione delle fonti erudite, insormonta

1 THEINER, Codex diplomaticus Dom. temp. s. Sedis, tomo II, pag. 365.

2 THEINER, op. cit., tomo I, pag. 364.

3 Cfr. Bussi, Istoria della città di Viterbo, Roma, 1742, parte 1, libro III, pag. 141.

bili. Né qui m'è possibile la confutazione di tutti i validi argomenti addotti dal Cian in favore della prigione bolsenese, poiché converrebbe ch'io ripetessi cose già détte altrove. Certo Benvenuto da Imola, che nomina la "Malta turris horrenda in lacu Sanctae Chri

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stinae, carcer amarus delinquentium sacerdo"tum,,' allude alla prigione di Bolsena, poiché l'accenno è anche in un passo della cronaca di Francesco Pipino, e la santa protettrice della città era venerata, per effetto anche della truce leggenda intorno a lei, lungo tutte le rive del lago. Le fonti erudite ci parlano spesso di un'isola Martana e d'un fiume Marta, cosicché si potrebbe supporre che da queste località prendesse nome la torre, non essendo necessario ricorrere a radici etrusche o tanto meno fenicie, come fanno gli eruditi del secolo scorso, per spiegare il Marta e il Martana, certo corruzione di Malta e Maltana, come avviene anche ora assai spesso nel dialetto umbro.

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2 La Cronaca di Francesco Pipino (cfr. F. PIPINI bononiensis, Chronica ab anno 1176 að 1314 in RR. II. SS., VIII, pag. 736, c. 40) narrando l'episodio dell'Abate di Montecassino, colpevole agli occhi di Bonifacio VIII di essersi lasciato sfuggire Celestino, dice che l'improvvido abate trusus est apud Maltam in lacu Sanctae Christinae La Santa era grandemente venerata nei paes, circostanti al lago, e le anime timorate nel Medioevoi come ora i superstiziosi valligiani, raccontavano che in date circostanze si vedevano ancóra sulle acque del lago le orme dei piedi della Santa "essendovi stata gettata "dentro per la fede di Christo, de 'l quale senza lesione "alcuna uscí fuori, (LEANDRO ALBERTI, Descrittione di tutta Italia, Bologna, 1550, pag. 63). Per il culto della Santa sulle rive del lago di Bolsena, cfr. il VOLATERRANO, Comment. urbis., Roma, 1506, libro V, pag. 64; MARIANI, De Etruria metropoli, Roma, 1728, cap. XXIX, pag. 184; CLUVER, Italia antiqua, Lugduni Bat., 1778, vol. I, libro II, pag. 559; e specialmente PENNAZZI, Vita e martirio di santa Cristina, Montefiascone, 1725, libro V, capo II, pag. 156.

3 I CRISTOFORI ricorda che il fiume Marta ricorre due volte, in una carta del 1305 per enfiteusi della cattedrale di San Pietro in Toscanella, e in un lascito testamentario del 1322.

4 PROCOPIO (Geogr., 107) ci parla di un'isoletta nella quale si ergeva un forte castello (❤poúptov öXúpov): verosimilmente quello nel quale fu strozzata da Teodato la regina Amalasunta. E il nostro A. doveva saperne

e strangolata, secondo lo storico degli Ostrogoti, Iornandes, la regina Amalasunta;' è probabile quindi che sulle rovine del castello ostrogoto, ricco di bieche memorie, sia stata eretta poi la torre papale. Di fronte ad essa l'altra isoletta, la Farnesina, era lieta dimora di papi: in mezzo alle delizie dei giardini, fra le belle opere del Sangallo e del Vignola, essi passavano le liete ore dell'ozio, poco curando le invettive di Dante e di fra Iacopone, purgando fra la vernaccia e le anguille di Bolsena l'avarizia e la simonia. 2

Avvenne allora che il castello diede il nome alle località circostanti, come intuí lo Zucchi, quando scrive che la regina Amalasunta si ritirò nell'isola Martana, che in quel tempo chiamavasi isola Vulsinia, ora chia"mata Martana per il castello vicino di Mar

"

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“ta „• 3 E la torre bolsenese doveva essere certamente nell'isola Martana, come lo prova indiscutibilmente il documento riportato dal Theiner, cosicché restano escluse le ipotesi del Cluver, e più recentemente del Carini e del Cristofori, che la prigione esistesse o allo

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qualche cosa, poiché il truce delitto fu compiuto nel 534 e Procopio visse fino al 565.

1 De rebus gothicis, Lugduni Bat., 1597, capo LIX, pag. 175.

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2 Gran leccornia davvero per i pontefici della nostra età di mezzo le anguille di Bolsena, per cui Martino IV si purga nella sesta cornice del Purgatorio! Le facevano, narra il CALISSE, (Capodimonte e il suo lago, Roma, 1884, pagg. 24-25) per accrescerne la squisitezza, morire nella vernaccia, ossia il vino bianco condito d'aromi. Nota LEANDRO ALBERTI, cit., che dal lago si era soliti trarre buoni pesci e dai dintorni buoni vini; ed è per questo riguardo curiosissima una rubrica del già piú volte cit. Codex diplomaticus del THEINER (tomo I, doc. 105), in cui quello stesso Angelo Tavernini, che pagava il custode della carcere papale “deputatus ad hoc per dominum Papam pagava il 15 novembre del 1359 a maestro Santolino da Montefiascone trentadue fiorini per riparare "la fotura et muratura stocatorii lighe arche, ubi capiuntur anguille „. Gran leccornia davvero, se il Petrarca, esortando Urbano V a ritornare da Avignone nella sede naturale del Papato, enumera fra i vantaggi d'Italia le anguille del lago di Bolsena, quelle anguille cosí prelibate per Benedetto XII, che avendone tenute solo poche per la propria mensa, distribuite le altre ai suoi Cardinali, se ne pentí piú tardi, esclamando: Non avrei pensato mai che una cosa cosí prelibata potesse nascere in Italia (PETRARCA, Senilia, libro VII, ep. VII). È noto che papa Benedetto XII (1334-1342) era francese della famiglia Fournier.

3

Informazioni e cronica della città di Castro e di tutto il suo Stato, ecc., in ANNIBALI, Memorie storiche di casa Farnese, Montefiascone, 1818, parte 2a, pag. 100. ♦ Cfr. CRISTOFORI, op. cit., pag. 23.

sbocco del fiumicello nel lago o sul colle Turanus, presso l'antica Turus.

Questo castello bolsenese era forse tanto noto nel medioevo da giustificare l'accenno dell'Alighieri? O non era anch'esso forse, come crede il Calisse,' una torre comunale, che serví ai papi nelle turbolenti guerre contro i feudatari? Quando si paragoni la storia della Malta bolsenese, che tutta si riduce a quanto ho detto, con quella di Cittadella, cosí ricca di memorie e di sangue, circondata quasi dalla stessa paurosa aureola di tirannia che avvolge la memoria del suo costruttore Ezzelino, fulcro, dirò, di tutte le lotte venete, che hanno in Dante, nel Canto IX del Paradiso, il suo storico e il suo poeta, la scelta non può essere dubbia, a mio avviso.

Né il fatto dell'abate di Montecassino, che morí nella Malta bolsenese in mezzo ai tormenti, cacciatovi dall'odio di Bonifacio VIII, per essersi lasciato sfuggire colui Che fece per viltade il gran rifiuto, può essere argomento valido e inoppugnabile, anche ammettendo col Cian che il fatto abbia avuto in tutta Italia e nell'anima di Dante specialmente, una grande importanza.

Nel mio citato lavoro ho cercato di combattere con argomenti storici l'opinione degli avversarî della Malta cittadellese, che non sarebbe stato conveniente per Dante il ritenere la prigione di Cittadella, pena non ancóra adeguata alla fellonia del vescovo di Feltre, quella Malta dove avevano languito innocenti tante vittime della tirannia d'Ezzelino.

Orbene, l'argomento si ritorce a loro danno. Dante doveva allora ricordare la prigione bolsenese, come pena ancóra troppo mite per tanto tradimento, quella prigione, nella quale era vissuto i suoi ultimi giorni di vita, col pane della tribolazione e coll'acqua dell'amarezza, quell'abate Angelario, colpevole di aver voluto condurre la chiesa alla primitiva purezza, dietro i consigli del santo di Morrone? 3

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Ma un'altra geniale ipotesi è stata sollevata recentemente dal Flamini in una sua dotta memoria, che il prof. G. A. Zanon mostra di non conoscere: giovandosi delle osservazioni del Novati e del Cian, i quali hanno dimostrato che la parola malta nel medioevo significava anche prigione umida e fangosa, il Flamini propone si debba leggere addirittura malta, ed intendere in senso generico, senza alcuna allusione storica speciale. L'ipotesi avrebbe per effetto di togliere ogni disputa sul passo in questione, ma pur essendo ingegnosa, non è, a parer mio, soddisfacente. Tutta l'efficacia, non solo della terzina dantesca, ma dell'episodio intero, riuscirebbe sminuita, quando mancasse nella parlata di Cunizza ogni accenno storico e politico; e d'altra parte tutta intera la tradizione e i commentatori antichi, pur divergendo nell'attribuzione speciale, concordano nel ritenere che Dante abbia alluso ad una Malta determinata. Ma queste indagini hanno contribuito a stabilire la ragione per cui tre prigioni medioevali, e forse altre la cui memoria è andata perduta, ebbero il nome comune di Malta; e a dimostrare come quello di prigione per umidità fangosa, non sia il solo significato della parola, bensí la finale evoluzione del vocabolo, che aveva avuto altre e piú curiose accezioni intermedie.

Curioso, se non utile, sarebbe il riportare le strane etimologie della parola, che seppero escogitare i nostri eruditi del secolo XVIII e dei primi del XIX, studiando la Malta bolsenese, dovute al fatto che essi probabilmente non conoscevano le due altre prigioni dello stesso nome, e non pensavano ad una qualità comune a tutte quante.

Per l'Adami derivava da una dea Narta, tutrice del lago; il padre Annio vedeva nientemeno che una radice etrusca da Larthes, tirando in ballo persino i Lucumoni dell'antica gens, rivale di Roma; il Sarzana so

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1 Appunti d'esegesi dantesca (Estr. dalla Miscellanea Graf), Bergamo, 1903.

2 NOVATI in Giorn. stor. d. Lett. it., vol. XXIV. pagg. 304-5; CIAN, La Malta dantesca negli Atti della r. Accademia di scienze e lett. di Torino, vol. XXIX, pag. 497 sgg.

3 Storia di Volseno, Roma, 1737, tomo I, pag. 77. 4 MARIANI, De Etruria metropoli, Roma, 1728.

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Tra queste stranezze etimologiche merita speciale riguardo l'opinione dell'Orioli, che Malta derivi da molta, molita, molitura, ed abbia preso il nome da mulini esistenti nel

territorio. L'Orioli ammette che il vocabolo sia derivato da una qualità di nome comune, ma la spiegazione data da lui, dopo gli studî del Cian e del Novati, non soddisfa di molto.

La voce, tenuto conto delle naturali mutazioni fonetiche è la stessa che in greco: páda, e significava, secondo Festo, una mescolanza di cera e di pece (cfr. paλdaxós), avendo anche in Demostene il significato di cera molle distesa sulle tavolette da scrivere.

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