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pitale mobile, e per le contese fra le singole consorterie cittadine, inevitabili in quelle condizioni, la grande unità delle classí magnatizie si fu storicamente, se non giuridicamente, rotta. Abbigliata a festa, con i segni della vittoria su la fronte, domirò nel Comune sol di nome. La idealità politica poco a poco si disperde col decadere del Papato nel secolo XIV, durante l'esilio avignonese; Firenze apparisce, piú specialmente nella seconda metà del Trecento, la rivendicatrice dei diritti degli oppressi dalla tirannide papale; a Perugia, nella Marca d'Ancona, a Bologna, a Iesi, a Chiusi, a Viterbo, dovunque, le armi di Firenze accorrono salvatrici e vendicatrici, brandite da soldati non nostri, e migliaia di fiorini sono profusi per prostrare la potenza romana. Poi divampò la guerra detta degli Otto santi, schiaffo indelebile piú di quello di Sciarra Colonna; e la reazione magnatizia, dopo l'effimero trionfo del popolo minuto; e l'agitarsi de' vinti per riconquistare il posto perduto; e il diffondersi di nuove idee col diffondersi della civiltà del Rinascimento; cose tutte che fecero sempre più impallidire l'importanza politica del nome di guelfo. Il nome di parte solamente, restò; le forme di associazione bancaria sempre piú prevalgono durante quel secolo di sí profonde mutazioni nel campo finanziario, in cui una famiglia appunto di banchieri preparavasi sapientemente il terreno per fondarvi il trono di Signore. Tuttavia, l'appellativo di guelfo continuò a mantenersi in vita, serví ai Medici per farsi creare banchieri della Santa Sede da E. Silvio Piccolomini, serví per quell'aspirazione costante e universale di tutti i partiti, di legittimare le loro aspirazioni con un concetto di ordine superiore alle lotte economiche e politiche che ne sono i moventi, per quel bisogno di astrarre che è negli individui e nelle masse. (2745) LISIO GIUSEPPE. - L'arte del periodo nelle opere volgari di Dante Alighieri e del secolo XIII: saggio di critica e di storia letteraria. Bologna, Ditta N. Zanichelli,

edit., 1902, in-8°, pp. 240.

"È libro fortemente pensato, frutto di lunghe assidue fatiche e di delicato e provato intelletto d'arte, scritto con vivezza ed eleganza rara: un libro veramente degno dell'ingegno e degli studi dell'Autore Questo il giudizio della ottima Rass bibl. d. Lett. ital., XI, 23, nel quale pienamente consentiamo.

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(2746)

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NICOLETTI LUIGI. Dante al monastero di Fonte Avellana. Pesaro, tip. Federici, 1903, in-8°, pp. 61.

Dal parlare di questa monografla ci dispensa l'articolo del prof. Morici pubblicato in questo Giornale (XI, 183) e dal quale apparisce il suo poco o scarso valore, e il danno che viene agli studî danteschi da questo terribile imperversare di scritti inutili e vani, che, pur troppo, non ancora accenna a cessare. (2747)

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parte per altre vie, alla conclusione alla quale pervenne il Rocca (cfr. il vol. Con D. e per. D., Milano, 1898). Abbelliscono il volumetto, che è il 1° della Bibl. stor. crit. d. Lett. dant. diretta da P. Papa, le riproduzioni di un bel ritratto veronese della contessa Matilde, di un altro secondo la miniatura del cod. Vat. 4922 e della veduta de' resti del Castello di Canossa. (274S) STEINER CARLO. Per la data del "De Monarchia,. Novara, Cantone, 1902, in-8°. Con argomenti che non ci sembrano accettabili, vorrebbe confortare l'opinione di coloro che pongono la composizione del De Mon, anteriore a quella del Convivio, assegnandola al 1303. (2749)

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SUTTINA LUIGI. — - Bibliografia dantesca: rassegna bibliografica degli studi intorno a Dante, al Trecento e a cose francescane. In Firenze, presso F. Lumachi [Perugia, Un. tip. cooperativa], 1903, fasc. VII-XII.

Oltre alla continuazione della ricca e accurata bibliografia (ni. 161-454) contiene un'appendice critica nella quale si passano in rassegna alcune recenti pubblicazioni dantesche e francescane. Le dantesche sono: Romani, Il Canto XIX del “Paradiso „, ecc. Firenze, 1902 [recens. poco fav. di G. Federzoni]; Torraca, 1/ Canto V dell'Inferno, nella N. Antol., 1902 [recens. fav. di Ida Luisi]; Trivero, Il tipo psicologico della Francesca di D., Bologna, 1902 [recens. di I. Luisi]. Cir. Giorn, dant., XI, 95. (2750)

TORRACA FRANCESCO. - "Sopra Campo Pi cen. (Nella Rass, crit. d. Lett. it., VIII, 1).

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Corregge un'affermazione del Bassermann (Orme di D. in Italia, Bologna, 1902), che illustrando il noto vaticinio di Vanni Fucci volle intendere che l'impresa di Moroello Malaspina, al quale in que' versi si allude, sia da riferirsi all'assedio di Pistoia del 1305-6; mentr'egli prova che è da intendersi invece della rotta data ai Bianchi nel 1302 a Serravalle, luogo posto "sopra Campo Picen „, ossia poco lontano da Pistoia. In questa impresa, e non nella seconda, Moroello fu veramente "capitano generale dell'oste,,, come si legge nelle Istorie pistolesi. (2751)

VENUTI TERESA.

Monumento a Dante: sonetto. (Nel Giorn. arcadico, VI, 655).

"A Dante, Itali, un tempio! Ei giace occulto
in loco umile. Ma qual tempio e dove?
Dargli tomba fra noi, piccole e nuove
genti, nelle cittadi, a lui fia insulto.
In mezzo alla pineta, che al tumulto

degli adriani vènti si commuove, dove l'uom raro e voce e passi muove, solitario si giaccia il gran sepulto. L'avvolga il bosco nel suo vivo incenso, il mar l'inno gli canti, abbia il divino sole per face e gli altri eterei lumi. Se fulmin cada, e via di pino in pino corra l'incendio, anch'egli si consumi, di noi sdegnoso, entro quel rogo immenso """ (2752) Firenze, gennaio 1904.

G. L. PASSERINI.

NOTIZIE

Diamo la nota de' lettori che esporranno quest'anno il Poema a Genova, a Napoli e a Roma. A Genova [Inf., XII-XXIII]: Flaminio Pellegrini; Angelo Monti; Isidoro Del Lungo; E. G. Parodi; G. Bigoni; Dino Mantovani; F. T. Gallarati-Scotti; p. Pietrobuono; L. Staffetti; G. Gobbi; F. Pastonchi; G. Pascoli. A Napoli [Inf., XXIII-XXXIV]: M. Scherillo; G. L. Passerini; N. Scarano; M. Porena: F. Persico; N. Zingarelli; G. Maruffi; F. Torraca; C. Segré; F. Cimmino; F. D'Ovidio; R. Garofalo. A Roma [Purg., XVII-XXXIII]: D. Oliva; G. Mazzoni; G. Biagi; Pio Rajna; G. Albini; N. Zingarelli; G. Barzellotti; F. Novati; L. P. Giacosa; On. di San Giuliano; F. Pastonchi; E. Panzacchi; L. Rocca; p. Pietrobono; A. Torre; G. L. Passerini; Giovanni Pascoli.

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Il Congresso bibliografico tenutosi in Firenze nell'ottobre passato, dètte occasione alla colta e gentile contessa Maria Pasolini di presentare una sua proposta alla Società dantesca italiana, per la instituzione di un grande Museo dantesco nella città di Ravenna. L'idea è buona; sebbene, a nostro giudizio, la sua pratica attuazione presenti non poche né lievi difficoltà.

Intanto, per iniziativa, appunto, della Società dantesca, e particolarmente della sua Commissione esecutiva fiorentina, è stato aperto un concorso pel disegno di una lampada votiva da collocarsi nell'interno del tempietto dantesco di Ravenna. Questo atto di omaggio, che ricorderà un po' quello del buon maestro Antonio da Ferrara, speriamo valga almeno a richiamare l'attenzione delle autorità comunali di Ravenna sullo stato poco decoroso in cui pur troppo è lasciato il sepolcro di Dante!

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Anche la Miscellanea storica della Valdelsa, bene affidata, come è noto, alle cure del professore Orazio Bacci, ha pubblicato il suo Indice decennale tripartito, geografico, cronologico e onomastico, dal quale apparisce l'abbondanza, la varietà e il valore della materia contenuta nella raccolta ed è prova dell'attività e dell' utilità della Società storica valdesana.

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Il prof. Giorgio Rossi ha dato in luce (Bologna, Zanichelli) un volume di Studi e ricerche Tassoniane, dove si tratta, tra altro, de Lo studio di Dante in Alessandro Tassoni e si recano le poco notevoli Postille che il giocondo autore della Secchia rapita scriveva ne' margini di una edizione aldina del 1502.

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Pe' tipi e a cura dell'editore e tipografo Raffaello Giusti di Livorno, A. Bonaventura ha pubblicato, raccoli in un bel volume di oltre 300 pagine, i frutti delle sue lunghe ricerche su Dante e la musica. Di questo lavoro, che tratta ampiamente e compiutamente l'impor

tante argomento, e del quale era vivo il desiderio negli studiosi, parleremo in uno de' prossimi fascicoli del Giornale dantesco.

Die philosophischen Grundlagen zum "süssen neuen Stil, des Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti und Dante Alighieri, è il titolo di un utile studio di Carlo Vossler, pubblicato in questi giorni dal Winter di Heidelberg.

La Casa editrice G. C. Sansoni di Firenze ha pubblicato, in elegante e nitida edizione, Dantis Eglogae Joannis de Virgilio Carmen et ecloga responsiva, testo, commento e versione a cura del prof. Giuseppe Albini, con la fotografia di una pagina dello zibaldone boccaccesco laurenziano. Ne parleremo.

Fra gli ultimi fascicoli della Lectura Dantis, che rac coglie, come è noto, le illustrazioni di singoli Canti del Poema, fatte dalla cattedra di Orsammichele in Firenze, notiamo quelle dell' XI dell' Inferno, di A. Linaker; del XXIII, di I. Della Giovanna; del VI del Purgatorio, di F. Novati; dell' XI, di E. Panzacchi; del XXVIII, di A. Graf; del XXXII, di F. Tocco e dell' XI del Paradiso, di A. Bertoldi.

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Pe' tipi del Landi di Firenze e a cura dell' editore Ulrico Hoepli di Milano, S. E. la Duchessa vedova di Sermoneta ha pubblicato Alcuni ricordi di Michelangelo Cactani duca di Sermoneta (an. 1804-1862). Il bel volumeto; col quale la benemerita Signora conforta la memoria dell'insigne patrizio romano, si vende al prezzo di due lire a benefizio della fondazione per la Lectura Da 'tis in Orsammichele.

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Si è pubblicato il fasc. 6o del Dizionario di Dantisti e dantofili dei secoli XVIII e XIX, colle biobibliografie di M. A. Parenti, di T. Casini, di E. Moore, del Selmi e del Turris.

Ai cultori delle discipline dantesche segnaliamo, come una contribuzione notevolissima alle ricerche sull'antico reggimento fiorentino, gli Studi di P. Santini Sull'antica costituzione del Comune di Firenze (La città e le classi sociali nel periodo che precede il primo popolo), estratti dai voll. 31o e 32° (ser. 5a) dell'Archivio storico italiano.

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Sono sotto stampa le dispense 9a e 10a del Codice diplomatico dantesco, pubbl. per cura del nostro Direttore e del prof. Guido Biagi. In queste dispense saranno illustrati e riprodotti i documenti che riguardano l'esilio di Dante.

Proprietà letteraria.

Città di Castello, Stabilimento Tipo-Litografico S. Lapi, gennaio 1904.
Leo S. Olschki, editore-proprietario-responsabile.

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nostra letteratura vi fa press' a poco la parte di un repertorio di frasi e di un autorevole testo di morale e di teologia. Da quella pura fiamma di poesia non si cava nemmero una scintilla: Dante è un nume non compreso dal suo adoratore Questa la conclusione del diligente studio che il Volpi pubblicò nell'ultimo fascicolo del 1903 del Giornale dantesco, e la conclusione non potrebbe essere più esatta, se si bada all'ordine di ricerche del Volpi: non una parola potrebbe esserne rifiutata; ma queste ricerche possono, anzi devono essere allargate e approfondite,

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e le relazioni tra i due poemi appariranno tosto diverse.

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(la lacrimetta dell'episodio di Buonconte); il ricordo di Piramo e Tisbe al gelso (XXVII, 103) a proposito di Orlando e Vegliontino morente e del carro di Elia (XXVII, 157); di piú il latria di XXVII, 135 è pur voce dantesca.

1 F. FOFFANO, Il Morgante di I. Pulci. Torino, Loescher, 1895.

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Su quel prose di romanzi appunto, il Pulci, ignorante della letteratura romanzesca, dovette fondare la sua fantasia. Naturalmente, di questa mia asserzione non posso dare le prove; ma non per questo mi pare tale da poterla

rifiutare senz'altro; chi ricordi la familiarità che il Pulci aveva con la Commedia deve, per

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mentre il Foffano molto opportunamente avverte che Rinaldo in questi ultimi Canti del

lo meno, ritenerla probabile e ragionevole. Morgante prende somiglianza dell'eroe dan

Qualcuno, forse, mi opporrà che il Pulci non aveva bisogno che altri, il Poliziano nel nostro caso, gli ricordasse un personaggio dantesco; ma proprio dobbiam credere che al Poliziano egli dovesse veramente la conoscenza di Alcuino e di Arnaldo? Il ricordo dell'eruditissimo amico è uno scherzo, a non dubitarne, del gaio poeta.

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tesco; infatti come lui era già vecchio, ma

avea l'animo ancor robusto e fero

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ardisce penetrare oltre i limiti segnati da Dio all'umana conoscenza, limiti davanti ai quali egli piegava riverente la testa. Il Pulci, invece, figlio di un altro secolo, nel quale troppi dei limiti, che al Medio Evo erano parsi insormontabili dall' umana intelligenza, erano stati superati, ammira, esalta, concede il trionfo finale al suo eroe, o se ne dubita, è soltanto per le difficoltà intrinseche dell'impresa.

Secondo Dante, oltre le colonne d'Ercole si stende, immenso e pauroso deserto, il mare Che mai non vide navigar su' acque uom, che di ritornar sia poscia esperto;

non tale è la dottrina che Astarotte, il diavolo sapiente e cortese, insegna a Rinaldo mentre cavalcan per l'aria verso i Pirenei:

Uno error lungo e fioco,

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per molti secol non ben conosciuto, fa che si dice d'Ercol le colonne, e che piú là molti periti sonne. Sappi che questa opinione è vana, perché piú oltre navicar si puote, però che l'acqua in ogni parte è piana, benché la terra abbi forme di ruote. Era piú grossa allor la gente umana, tal che potrebbe arrossirne le gote Ercole ancor d'aver posti que' segni, perché piú oltre passeranno i legni.

E puossi andar giú nell'altro emisferio, però che al centro ogni cosa reprime: sí che la terra per divin misterio sospesa sta fra le stelle sublime,

e laggiú son città, castella e imperio;

ma nol cognobbon quelle gente prime....

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E perché vane cose vi s'adora,

se si posson salvar qual noi possiamo

(XXV, 232).

Che Astarotte risponda il mondo un giorno sarà tutto convertito alla fede di Cristo (XXV, 233 e seg.), e che forse Dio ha voluto il viaggio ultimo di Rinaldo

Acciò che quelle gente convertisse,
ch'adoravan pianeti, e vane fole,

(XXVIII, 34)

a me importa notare soltanto perché ci vedo già ben definito il programma che sarà, per tenermi allo scopritore tipico, di Cristoforo Colombo, la persona e il carattere del quale sono quasi completamente prefigurati nell'ultima, dirò cosí, metamorfosi di Rinaldo. Sopra un altro punto, piú importante all'asserto mio, della risposta di Astarotte mi preme fermare l'attenzione:

Dico cosí, che quella gente (gli antipodi) crede,
adorando pianeti, adorar bene;

e la giustizia, sai, cosí concede

al buon remunerazio, al tristo pene,

sí che non debbe disperar merzede

chi rettamente la sua legge tiene

(XXV, 236).

In altre parole, Astarotte insegna che ogni gente virtuosa e in buona fede può esser salvata. Non cosí Dante:

Un uomo nasce alla riva
dell'Indo, e quivi non è chi ragioni
di Cristo, né chi legga, né chi scriva;

e tutti i suoi voleri ed atti buoni

sono, quanto ragione umana vede,
senza peccato in vita od in sermoni.
Muore non battezzato e senza fede;
ov'è questa giustizia che il condanna?
Ov'è la colpa sua s'egli non crede?
Or tu chi se', che vuo' sedere a scranna
per giudicar da lungi mille miglia
con la veduta corta d'una spanna?.......
(Par., XIX, 70 e segg.).

I due Poeti sono apertamente in contraddizione: la contraddizione, naturale tra persone vissute a tanta distanza di tempo, e di cosí diverso carattere, poco importerebbe all'assunto mio, se il Pulci non avesse con la Commedia quella familiarità, della quale sono continue le prove nel Morgante, anche dove il pensiero suo è lungi mille miglia dal pensiero di Dante. Proprio, in questa disquisizione teologica Astarotte, implicitamente quasi rimprovera Dante di poca riverenza alla divinità: Non fu quell'emisperio fatto a caso,

né il sol tanta fatica indarno dura,
la notte, il dí, dall'uno all'altro occaso,
che il sommo Giove non arebbe cura,

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