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può negare che l'idea ne sia stata suggerita al poeta dal noto episodio del XXVI dell'Inferno, come è vero che l'Inglese medita piú che non racconti o rappresenti mentre l'Italiano è intensamente drammatico; ma se è anche vero che nella poesia è comune il rassomigliare la vita umana a un vascello navigante per il mare, non può dirsi con l'A., quantunque egli accompagni il suo pensiero di qualche restrizione, che e Dante e il Tennyson nel viaggio di Ulisse simboleggiarono il viaggio che per tutti gli uomini finisce nel porto della morte: può darsi per il Tennyson, sebbene io preferisca credere col Montegut ch'egli in Ulisse abbia voluto simboleggiare gli ardimenti dell'uomo del sec. XIX Di piú la sola espressione folle volo basta a provare che lo spirito dei due episodî |

non può essere lo stesso, e né men simile: se l'A. avesse badato alla fine dell' Ulisse dantesco e al significato vero di essa, non avrebbe scritto le prime righe della pag. 254: Dante non incoraggia, ma condanna i magnanimi conati, l'ardito affrontarsi col mistero. Ancora al poeta fiorentino, e precisamente al vasello snelletto e leggiero, che trasporta le anime dalla foce del Tevere alla spiaggia del Purgatorio, è forse anche inspirata l'ultima poesia del Tennyson, Sunset and evening star, e con essa l'A., pone simpaticamente fine a questo interessante libro, cui le lievi mende che accennai e le osservazioni che dovetti fare nulla tolgono della sua importanza.

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BULLETTINO BIBLIOGRAFICO

BACCI ORAZIO. Burle e arti magiche di Giovanni Boccaccio. Castelfiorentino, tip. Giovannelli, 1904, in-8°.

Indicazioni in

Per le nozze D'Ancona-Cardoso. torno al Boccaccio, contenute in un ms. della Naz. di Firenze di provenienza Cappuggi, mostrano che in Certaldo, nella prima metà del Cinquecento, esistevano tradizioni popolari secondo le quali messer Giovanni aveva fama di mago. (2948)

BACCI PELEO. - Per il furto del 1292 all'altare di san Jacopo in Pistoia. Pistoia, Casa lito-tipo ed. Sinibuldiana G. Flori e C., 1904, in-16, pp. 7-(1).

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A proposito di un articolo di A. Melani (Popolo pist., 30 luglio, 1904). Smentisce "che Vanni fosse l'autore del furto del 26 gennaio 1293 e che, sopratutto, proprio in tale epoca, avvenisse il furto della tavola d'argento dell'altare di san Jacopo „, che è invece da riportarsi alla fine del 1292, e fu, anziché un furto vero e proprio, un tentativo d'involamento, e quindi un fatto di cosí lieve importanza da non poter levar tale alto gri"do da esser degno del verso infuturatore di Dante „. (2949) BELLI GIACOMO. Nuovo Commento alla "Divina Commedia, di Dante Alighieri. Roma, tip. editr. romana, 1902, in-8°, pp. 225-256.

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davvero Vitaliano Dente e che invece manca ogni sicuro fondamento all'opinione de' moderni commentatori, che seguendo E. Morpurgo (I prestatori di danaro al tempo di Dante, Padova, 1865) preferirono di identificarlo con Vitaliano di Jacopo Vitaliani, dottore in legge e cavaliere," al quale, come a ministro ch'ei fu di giustizia, non potrà spiacere che gli sia resa giustizia col purificarlo dalla taccia d'usuraio (2951)

CAMPODONICO MARCELLO. Per il monumento a Dante in Roma (In Florentia, I, 24).

Si propone la questione: Dove sorgerà il monumento di Dante a Roma? per venire alla conclusione che la mole Adriana potrebbe essere degnamente consacrata a Dante; cosí: dentro, nelle sale auguste e tranquille, una compiuta biblioteca dantesca "coi piú antichi mss. delle opere dell'Alighieri, coi vari preziosi cimeli che alla sua vita e ai suoi scritti si riferiscono, fuori, "sul culmine dell'alto torrione, dove il men che mediocre angelo del Werschaffelt ripone entro il fodero l'arrugginita spada.... tra un volo festante di angeli la gloria del libro che l'universale consenso ha.... chiamato divino (2952)

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CAPETTI VITTORIO. Il Canto ottavo del "Purgatorio, con un'appendice "Sulle tracce di Virgilio. Milano, Scuola tipolitografica nel pio Ist. dei Figli della Provvidenza, 1903, in-8°, pp. 40.

Nel breve proemio, l'A. dà cosí ragione di questi suoi pregevolissimi studî: "Questo commento svolge concetti che sulla composizione artistica del Canto pubblicai in una breve nota nel 1898 (La Nostra scuola, 15 ottobre). Guido Mazzoni (Bull. d. Soc. dant, it, febbraio 1899) notava che troppo avevo addensato, costretto in pochi periodi. Difetto insolito, specie in lavori danteschi, bel difetto forse per chi legge, ma pur difetto, la cui origine era però tutta tipografica. Qui ho tentato, dando all'interpretazione la debita larghezza, di provare piú direttamente quella che mi pare la genesi del Canto e la ragione del carattere suo, dell'arte ond'è composto. Si ristampa, in appendice, un'al

tra nota dantesca (pubbl. pure ne La nostra Scuola, febbraio e marzo 1898) e che ha relazione con un punto del Canto qui commentato (2953)

CARRARA ENRICO. Cecco da Mileto e il Boccaccio, (Nel Giorn. st. d. Lett. it., XLIII, 1-27).

Delle ecloghe latine di Francesco de' Rossi di Forli (pubbl. in Garmina ill. poet. ital., Firenze, 1720, VI, 315 e contenute nel Laurenz., Pl., XXIX, 26) era ancor da chiarire compiutamente il legame onde esse sono unite in una serie continua che ci offre l'esempio di una corrispondenza poetica in veste bucolica, non dissimile, come forma letteraria, da quella che corse fra Dante e Gio. Del Virgilio: della quale questa di Cecco può ben dirsi derivazione. Tale lo scopo dello studio del Carrara. (2954)

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(2957)

CURTO G. Quando Dante sali al ciclo, fatto avea mane di là, cioè sul Gange. Trieste, presso il libraio Ettore Vram [Stab. tip. E. Meneghelli e C.], 1904, in-8°, pp. 9. Di là, non si riferisce al Purgatorio, ma al Gange: dunque Dante si eleva verso il cielo a mezzogiorno, quando è mattina sul Gange, in Italia sera, mezzanotte a Gerusalemme. Sali verso il cielo appena bevuta la santa acqua dell'Eunoè, senza perdere inutilmente le diciotto ore che alcuni commentatori vorrebber fargli sprecare rimandando l'ascensione alla mattina seguente.

(2958)

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SOMMARIO: Ciacco nella critica moderna; Commento psicologico: Ciacco non fu uomo ignobile, né fiorentino; Discordie di Firenze; Commento storico: La predizione di Ciacco, l'anno della visione dantesca e le predizioni di Vanni Fucci e di Cacciaguida, Ciacco e la città partita; Appendice: Dante, l'esilio di G. Cavalcanti e l'obituario di S. Reparata, condannare e condannazione nel senso di multare e di multa, la procedura nei processi contumaciali contro Dante, inammissibilità del simbolismo morale nelle tre fiere, la Beatrice di Dante, critica del Perrens, nell' Inf., X, 111, G. Cavalcanti è vivo o morto? Cfr. Giorn, dant., XII, 166. (2959)

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GIANNINI ALFREDO.- Il Canto VIII del "Purgatorio. Sassari, tip. Ubaldo Satta, 1902, in-8°, pp. 25-(1).

Buono e fine esame estetico del magnifico Canto dantesco. Il lavoro, dedicato dall'A. a una sua piccola bimba morta, è estratto dalla Sardegna letter., fasc. 10-12. (2964)

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MARCHESI CONCETTO. L'Etica nicomachea nella tradizione latina medievale: documen

ti ed appunti. Messina, Trimarchi, 1904, in-8°.

"Studio accuratissimo, condotto con metodo eccellente, su materiale primo, utile in quanto dirada le tenebre in quella storia dei volgarizzamenti classici nell'età di mezzo, che è necessario si ardisca per stabilire la continuità di quelle opere oscure e modeste con la larga ed intelligente attività degli Umanisti„. Cfr. il Giorn. st. d. Lett. it., XLIV, 482. (2969)

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NADIANI POMPEO. ENEA CASORATI. - Ricordi danteschi nella valle del Montone. L'Acquacheta e San Benedetto; Rinieri da Calboli di Forli. Argenta, tip. Argentana della Soc. op., 1904, in-8° obl., pp. 40.

Fin dal 1894 il Nadiani intendeva dimostrare che coi versi 94-102 del XVI Inf., Dante allude non all'Abbazia che per la sua ampiezza avrebbe dovuto accogliere gran numero di monaci, ma ad un castello da edificarsi sull'altipiano dell'Acquacheta e dava la variante (che per altro non sembra ora confermata dai mss.) del condizionale presente dovría nell'indicativo passato dovea. Ora confermando la sua sposizione, crede poter asserire che Dante ricorda in que' versi precisamente la cascata de' Romiti, poiché sull'altipiano sovrastante, secondo affermano a un tempo la tradizione e la storia, i conti Guidi avevan ordinato di edificare un castello che potesse acco

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gliere in numero grande abitatori e vassalli. La breve chiosa è mandata, in forma di lettera, a Enea Casorati, il quale, con altra lettera diretta al Nadiani, risponde approvando la interpretazione dell'amico, e deplorando che, ad eccezione del Bassermann, che vide co' suoi occhi san Benedetto e l'Acquacheta, tutti i migilori dantisti seguitino a riportare gli errori accumulati da secoli intorno a questo passo, senza sceverare il vero dal falso Segue una nota in cui si rileva l'importanza del codicillo del testamento di Rinieri da Calboli, pubblicato dalla signora Luisa Atti Astolfi (Roma, 1901), col quale Rinieri dispone che le sue sostanze, nel caso della morte della moglie Emilia, siano spese in suffragi per la sua anima Poiché si sa che Rinieri lasciò pure un figliuolo, Nicoluccio, e molti altri consanguinei, tale disposizione testamentaria è conferma di ciò che Dante ci dice della famiglia del nobile cavaliere forlivese, ove nullo fatto s'è reda poi del suo valore. (2973)

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PARODI E. G. — Il giglio d'oro nel Canto XVIII del Paradiso. (In Arte e scienza, I, 1).

È la parte di una lettura fatta nella Sala di Or San Michele in Firenze, e risguarda le figurazioni delle anime nel cielo di Giove. Secondo il P., la forma della M della parola terram nel primo verso del Libro della Sapienza, assunta dalle anime splendenti del sesto cie. lo, è l'iniziale della parola Monarchia. Ciò che, del resto, fu, prima, affermato da altri. Notando poi come al Poeta premesse di distinguere nettamente la prima figurazione del giglio dalla seconda dell'aquila, il P. dichiara esser cosa evidente che l'Alighieri, “con quel suo quetarsi e quel suo cantando (vv. 98-99), volle segnare uno stacco abbastanza forte fra questo primo momento e il secondo che segue súbito „. Volle, cioè, segnare come un tempo d'arresto, e dar tempo a noi di considerar bene questa prima figurazione. Le due terzine

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(vv. 94-99) si legano strettamente insieme; e sono invece nettamente divise dalle tre successive, che cominciano con un chiarissimo poi e con una non breve similitudine Le luci che si levano a formare il collo e la testa dell'aquila (vv. 100-114) non sono, secondo il P., quelle discese dall'alto sul colmo dell'M, che rimaser ivi ingigliate anche durante la successiva trasformazione, ma son altre luci scaturite dai contorni, anzi dal contorno superiore dell' M. Ma intorno a questa spiegazione si vedano le giuste osservazioni di P. Papa, in Bull. d. Soc. dant. it., XI, 251. (2977)

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Esamina i luoghi dove nel Poema, la "prudenza, di Virgilio sconfinando "diventa quel che oggi si chiama opportunismo; e crede che "non sia senza malizia l'intenzione di Dante, perché "quando l'opportunismo fa di Virgilio un lusingatore, egli, che pur rappresenta la Filosofia, riceve una lezione severa e mortificante". Forse Dante volle "sancire il principio che, a patto che si rispettino in qualche modo le ragioni supreme del vero e dell'onesto, si debba pur concedere qualche cosa alle opportunità della vita pratica „. (2979)

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Dall'unico ms. che ci reca il testo della famosa epistola di frate Ilario, il Rajna ne offre qui agli studiosi, per la prima volta, il testo genuino. Per la prima volta: poiché delle sei edizioni che già se ne avevano, nemmen quella del Muzzi, che è la piú accurata, ci fa conoscer tale e quale la lezione diplomatica della Epistola. Dimostra inoltre il Rajna, in una breve nota finale, che il testo, quale si presenta nel codice, recando evidenti segni di alterazione, quando venne ad allogarvisi aveva già dietro sé un passato che non c'è alcuna necessità di ritenere lungo, ma che neppure si potrebbe, senza grave imprudenza, pretendere brevissimo,. Che in generale il codice abbia realmente da reputarsi, principiando dal verso della carta ora 45a, uno zibaldone autografo del Boccaccio, non si può contestare contro la sagace dimostrazione di E. Hauvette (in Mélanges d'archeol. e d'hist., Rome, 1894): né d'altra mano è la epistola dantesca. Con che non vuol dire che sia ammissibile l'ipotesi che il Boccaccio stesso l'abbia fabbricata, per esercizio retorico. Egli "prendeva, non foggiava la lettera: la quale viene cosí ad essere riportata piú addietro, e di un tratto, non troppo breve, da quella metà del secolo a cui lo

zibaldone vuole assegnarsi „. Verrà cosí a ravvivarsi in qualcuno la credenza che la lettera sia genuina; altri invece, e fra questi il Rajna, ne dedurranno la prova che "de' falsi danteschi se n'ebbero assai di buon'ora, non parendo sufficente il supporre che frate Ilario abbia mentito (2981)

REPORT [Twentieth Annual] of the Dante Society (Cambridge, Mass.), 1901. Boston, Ginn and Company, 1902, in-8°, pp. XVII[1]-37-[1].

Contiene, oltre i soliti atti della Società: T. W. Koch, An Anonymous Portrait of Dante: reproduction, with au Account of the Original; Ch. Eliot Norton, The Epitaphy of Dietzmann, Landgrave of Thuringia, ascribed to Dante; G. L. Hamilton; Notes on the Latin Translation of, and Commentary on, the "Divina Commedia, by Giovanni da Serravalle. (2982)

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RICCHI GINO. Ancóra del valore dell'occhio nell'espressione. Bologna, Stab. tip. Zamorani e Albertazzi, 1902, in-8°, pp. 7-(1).

Uno scritto di N. A. Rillo (cfr. il no. seg. di questo Bull.) dà motivo a questo studio nel quale il Ricchi porta qualche altra osservazione a confronto dell'altra sua memoria e un breve commento ad alcune idee espresse dal Rillo.

RILLO NICOLA A.

(2984)

L'estetica dell'occhio

umano in Dante Allighieri. Napoli, Tip. Pierso e Veraldi, 1902, in-8°. Cfr. il no. preced. di questo Bull.

RIZZI FORTUNATO.

(2985)

Illustrazioni dantesche.

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ROY CARLO. La rappresentazione della Divinità in Dante. Genova, Fratelli Carlini, 1902, in-8°, pp. 24.

SOMMARIO: Ascensione del Poeta dal Primo mobile all'Empireo; Analisi dei mezzi rappresentativi, la luce, Il sole, il fuoco e la Divinità; Altri simboli danteschi, il punto, i tre cerchi della Trinità; Simboli antichi della Divinità, il circolo, il triangolo, il globo raggiante, il pesce, la mano; Il Dio di Dante e quello di Milton, di Klopstok e del Goethe.

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(2989)

reca testimonianze di cronisti sulla orridezza della prigione alla quale crede alluda Dante nei noti versi del Paradiso, e discorre a lungo di Cunizza, per dimostrare come il Poeta accogliesse nel cielo di Venere la sorella di Ezzelino per disfogar la sua ira contro i guelfi, per bocca di un'anima ghibellina Cfr. Giorn, dant., XII, 161. (2995)

"SOCIO [UN] DELLA DANTE ALIGHIERI,. Oltre tomba sulle orme di Dante. [S. n.], 1904, in-16° obl., pp. 78.

Brutte terzine.

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G. Ehrenberga. (Nel Kurjer Warszawski, 10 febbraio, 1904).

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SCERBO FRANCESCO. - Postilla dantesca: Versi facili e chiose difficili. Napoli, Stab. tip. L. Pierro e figlio, 1904, in-8', pp. 8.

Vi si parla del famoso verso 75 del Canto XXXIII d'Inf.: Poscia più che il dolor poté il digiuno, per difendere la piú semplice e naturale interpretazione di esso, che cioè la morte del conte Ugolino fu cagionata non da dolore, per quanto orrendo e disperato e però capace di uccidere un uomo, ma dalla fame. (2992)

SCHIAVO GIUSEPPE. - Tra la selva sacra: contributo agli studi danteschi. Firenze, F. Lumachi edit. [Vicenza, Stab. tip. L. Fabris e C.], 1903, in-8°, pp. 74.

(2993)

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(2996)

L'Ugolino di Dante: studio. Trani, tip. ed. Paganelli, 1904, in-16o, pp. 25-(1):

Esame estetico dell'episodio famoso. Conclude l'A. : 'Innanzi a una creazione artistica come questa, noi ci sentiamo rimpiccioliti, e cerchiamo indarno nella nostra letteratura un modello tragico di eroe come Ugolino „. (2997)

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TOYNBEE PAGET. Ricerche e note dantesche. II. Bologna, Ditta N. Zanichelli.

La prima parte fu pubbl. nel 1899: in questa seconda si contengono le traduz, ital. di otto studî già pubbl. in inglese dall'A. e ben noti ai Dantisti (Dante studies, 1902 e cfr. Giorn, stud. d. Lett. it., XXXVIII, 71); e cioè: Dante e il romanzo di Lancillotto; Dante e le “Derivationes,, di Uguccione da Pisa; L'accenno di Dante ai drappi dei Tartari; L'accenno di Dante alla lancia di Peleo; Dante e Seneca morale „; Una notizia biografica di Dante nello Speculum, del Beauvais; Omero in Dante e in Benvenuto da Imola. Il vol. fa parte della pregiata Bibl. stor. crit. d. Lett. dant, diretta da P. Papa. (2999)

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ZAPPIA VINCENZO. - Della questione di Beatrice. Roma, Succ-Loescher, 1904, in-8° gr., pp. 378.

Di questo grosso vol,, che proemia, come pare, a un corso di studi sulla Vita Nuova, si occuperà a suo tempo il Giornale. Basti per ora rimandare alla infor mazione che ne dà il Giorn. st. d. Lett. it., XLIV, 460. (3000)

Firenze, novembre 1904.

G. L. PASSERINI.

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