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del Paradiso, di quella Cantica che fa paura a piú di un dantista di professione. 1 Nel primo dei cinque capitoli, in cui divide il lavoro, l'A. tenta una ricostruzione storica della figura del Damiano avendo l'occhio al posto che Dante gli assegna nel Paradiso. Dal rifiuto del Santo all'episcopato è condotto ad un confronto nuovo tra lui e Celestino V; e crede di poter concludere che il Poeta dovette soprattutto ricordarsi di [codesta partico. larità biografica del monaco avellanese, quando pensò di glorificarlo tra i contemplativi. "Eticamente, i due uomini [il Damiano e Celestino V] stanno, nella Commedia, a grande distanza. Dell'uno, il Poeta esalta l'umiltà che è forza, il trasporto alla solitudine, che non era rinunzia alla vita e alla lotta, la costanza del proposito che poteva anche suonare ribellione alla tirannide teocratica; dell'altro condanna la 'viltade, onde non fu gravato neppure il mite cuore di san Francesco; il rifiuto che ne rappresentò la conseguenza funesta; 'la vanità che par persona,. Nell'uno è glorificato il monaco che vale il prelato, il contemplativo che pareggia e completa l'uomo d'azione; nell'altro è dannato il Pontefice che vien meno alle speranze concepite su l'eremita; il pastore che abbandona l'ovile, quando il lupo gli fa guerra„. Degne particolarmente di nota mi paiono la parte in cui l'A. indaga il processo di formazione del Canto III dell' Inferno, quella in cui studia il Damiano come uomo e come prelato, quella in cui accenna al concetto che Dante dové formarsi del ministero sacerdotale. Nel cap. II fa l'esegesi critica del Canto XXI del Paradiso. Alle congetture, più o meno attendibili, sulla similitudine delle pole, ne aggiunge una la quale gli sembra s'accosti meglio alla verità. Cerca dentro alle opere del monaco la ragione del discorso ch'ei pronuncia sulla predestinazione, e soprattutto del modo onde lo conclude. Notevoli i passi dai quali desume il concetto che della scienza s'era formato il Damiano, e specialmente quelli dove ricorrono espressioni che quasi con certezza Dante ha avute presenti. Notevole l'interpretazione dei tormentati, vv. 120-123, le considerazioni fatte a proposito di alcuni confronti del D'Ovidio e del Pascoli, il paragone nuovo tra il Damiano e san Bonaventura, le osservazioni

Di un lavoro di R. Foglietti vedi cenno nel Bull. di Soc. Dant., N. S., IX, 313.

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sul tuono, finale delle anime. Nel cap. III mostra una nuova relazione tra un racconto di Gregorio Magno, due luoghi del Damiano e la scala dantesca di Saturno. Nel cap. IV discorre della politica e delle idealità religiose: illustra i passi in cui il Damiano deplora l'abuso delle scomuniche papali, e li mette in relazione coi vv. 127-9 del Canto XVIII del Paradiso; rileva il concetto che il Santo aveva della potestà civile e dell'origine sua, conforme in tutto al dantesco; ravvicina un passo del Santo ai vv. 145-7 del Canto VIII del Paradiso; vede relazioni non solo di pensieri, ma anche di immagini tra alcuni luoghi del Santo e la cornice dantesca degli avari; fa conoscere, meglio che alcuno non abbia fatto sinora, la dottrina del Santo sulla proprietà ecclesiastica, ecc. Il cap. V comprende alcuni appunti ermeneutici, riguardanti "la pena degli adulatori,, "la settima bolgia,, " la misericordia e la giustizia le significazioni dei nomi,, gli eretici,, "i tre gradi di color diversi (Purg., IX, 76 segg.) „.

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Nell'appendice sono riportati due tra i piú importanti ritmi del Damiano: "nell'uno il Santo descrive i tormenti dell'Inferno, nell'al· tro i gaudii del Paradiso. Più bello è il secondo; entrambi, poi, riproducono le tinte e le immagini, onde la fantasia popolare si coloriva e raffigurava i due regni, e alle quali non del tutto restò estraneo l'Alighieri, pur elevandole ad una forma senza paragone piú grandiosa e poetica,.

Cogliere e illustrare le relazioni tra il pensiero di un autore e quello di un altro, e indagare la ragione delle creazioni artistiche sono, come è noto, dei più difficili e delicati còmpiti della critica. Tuttavia l'Anzalone, per l'acume di cui è dotato e per il lungo studio, è riuscito a fare opera, quanto utile, tanto buona. E piace che nei ragionamenti e nei giudizi, tranne qualche eccezione, proceda cauto e prudente, ciò che, soprattutto in lavori di simil genere, non è ultimo merito. GIOVANNI MELODIA.

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tere su qualche sua affermazione, ma piú spesso saranno indotti ad accoglierne gli acuti ragionamenti, gli importanti confronti, le nuove interpretazioni, frutto non solo di un ingegno disciplinato dal buon metodo della scuola cui l'Azzolina appartiene, ma di una conoscenza compiuta e profonda della nostra poesia delle origini e degli studî critici che la riguardano. Il libro comprende quattro parti: Il carattere dello stil nuovo, Lo stil nuovo e i suoi antecedenti, Determinazioni dello stil nuovo, Estetica dello stil nuovo. Eccone, in breve, il riepilogo: "Il dolce stil nuovo fu puramente una poesia di amore, fatta con intento morale. La sua dolcezza, rispetto alla poesia precedente, derivò da una maniera di dire per lo piú pulita e leggiadra ma in ispecie molto appropriata alle alte idee da significare; e la sua novità fu di considerare altrimenti l'amore e la donna e come suggeri il movimento scientifico e filosofico contemporaneo... E i nuovi poeti, movendo dal concetto, dominante nelle scuole poetiche anteriori, della donna specchio di bellezza e di valore, da cui il Poeta si riprometteva cgni pregio mercé un amore ch'era umile e supplice adorazione di lei, e volendo far rientrare l'arte loro nell'ordine universale già supposto dalla filosofia, nella donna intravvidero un angelo e nell'amore un raggio della virtú di Dio, e l'uno e l'altra considerarono, rispetto a loro, un mezzo per conseguire la virtú cristiana piú confacente con le aspirazioni e coi bisogni etici del tempo, che non quella cavalleresca inopportunamente caldeg-| giata ancóra dai guittoniani. Ma la virtú era per sé opera della ragione, e Amore e la donna cooperavano nel Poeta al trionfo della ragione sul senso; quando essa veniva rivolta a vita contemplativa, passava allora ad essere opera dell'intelletto e quindi Amore e la donna giovavano, come in Dante, al trionfo dell'intelletto sulla ragione. Sicché, mentre entrambi illuminavano la mente, nello stesso tempo incrudelivano contro il cuore in quanto era stanza dello spirito vitale alimentatore dei sensi, e nota caratteristica della nuova poesia fu il dolore, essendo il martyrium... actus virtutis. E poiché non tutti ugualmente Dio disponeva a ricevere la sua grazia e l'uomo doveva anche con lo studio disporsi meglio a riceverla, acquistando in tal guisa la qualità necessaria per essa, cioè, la nobiltà o gentilezza, ne consegui che il nuovo amore non

era se non per quelli che la natura e lo studio insieme avevano fatto gentili; onde l'espressione: A cor gentil ripara sempre Amore, o l'altra: Amore e 'l cor gentil sono una cosa, in cui però al cuore è dato il significato piú largo di secreto dentro. Finalmente, corrispondendo tutta la nuova concezione amorosa a verità logiche e inoppugnabili pel fatto che ritraevano della suprema verità, ch'era Dio, e di Dio quindi partecipando alla suprema bellezza, essa artisticamente risultò bella secondo l'estetica del tempo basata affatto sulle potenze conoscitive. Senonché, tutti codesti fatti intellettuali o intellettualizzati costituivano l'intima e nascosta essenza intravveduta posteriormente in altrettanti fatti reali e sensibili, che diedero le prime mosse, reali essendo la donna amata e il sentimento amoroso per lei, e reali le beatitudini e le pene del cuore amante. Onde nella nuova poesia l'idea fu il simboleggiato e la realtà il simboleggiante, e accadde che, dove la rappresentazione del simboleggiante o della realtà fu inconsapevolmente fatta con la dimenticanza intera, o in parte, del simboleggiato o dell'idea, ivi fu arte che l'estetica moderna giudica bella vedendovi l'espressione di intuizioni individuali,.

Ma questo riepilogo non può dare una idea di tutto quello che il libro contiene. Rileviamo le osservazioni su due noti sonetti dell'Orbiciani e del Guinizzelli (pagg. 19-20), l'esclusione dell'Orlandi dalla scuola dello stil nuovo (pag. 30), l'opinione sul disdegno di Guido (pag. 144), alcune prove in favore della realtà della donna dei poeti dello stil nuovo (pagg. 158 seg., 226 seg.), il confronto della donna gentile della Vita Nuova con quella del Convivio e l'opinione che Dante confondesse l'una con l'altra per una gione tutta ideale e imposta dal fine etico da raggiungere, (pagg. 186 segg.), ecc.

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Non potendo entrare nell'esame di tante questioni, osserviamo poche cose. A pag. 71 l'A. non giustifica la lezione monna Bice nel v. 9 del son. Guido vorrei. A pag. 74 scrive, a proposito del § I della Vita Nuova: "l'apparizione della donna diede senz'altro il presagio che ella, occupando la mente, avrebbe dominato il cuore, beatificato la vista, consumato il corpo del Poeta Non mi pare esatto; ed, in vero, Dante non dice che Beatrice occupasse la sua mente, ma che apparve ai suoi occhi, e dà la commozione de

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gli spiriti come conseguenza di questa cosa, non di quella; tanto vero che dice: "Apparve vestita... In quel punto dico veramente che lo spirito della vita,, ecc.: tra l'apparizione di Beatrice e la commozione degli spiriti Dante non pone alcun altro fatto. Oltre di che, la famosa frase: donna de la mia mente io penso che significhi: donna che or vive nella mia memoria. Non credo che nella risposta del Cavalcanti al 1° sonetto di Dante: nodrilla d'esto core significhi (e con ciò spieghi bene il pensiero di questo): fece consapevole Beatrice dell'innamoramento di Dante; secondo me, che B. sia prima inconsapevole, poi consapevole, di quell'innamoramento, è indicato nel suo dormire e nel suo svegliarsi.

Non credo che Amore piangesse perché avesse raggiunto il suo compimento, lo stato di morte, ossia perché in Dante fosse avvenuto l'innamoramento completo; anzi Amore di ciò sarebbe dovuto esser lieto: acuta è, bensí, la distinzione che l'A. fa tra Amore del sonetto e Amore della prosa, ma forse non giustificata. Oltre di che, io penso, amare equivale a morire sol quando la donna disdegna l'uomo, mentre, se Beatrice temeva presentendo i dolori e le pene di Dante (a proposito, a pag. 78, quintultima linea, sue pare errore tipografico per tue), vuol dire che non lo disdegnava. L'A., poi, ammette che Guido intendesse rettamente il primitivo significato del sogno di Dante; ma questi l'avrebbe negato in maniera tanto recisa e, nel caso particolare, non del tutto garbata: "Lo verace giudicio non fue veduto allora da alcuno, ma ora è manifestissimo a li più semplici?, Dante, che con manifesta gioia scrisse che quel sonetto "fue quasi lo principio de l'amistà, tra loro due, non avrebbe notato, con una tal quale soddisfazione, che il suo primo amico fosse stato il solo a intravvedere il vero significato del sogno? Quello che l'A. dice a pagg. 89-90 non vale

1 Questo sostengo nel mio commento della Vita Nuova di prossima pubblicazione.

menomamente a togliere o scemare la maraviglia del silenzio di Dante. Questi esiliò l'amico per la grave ragione dell'interesse patrio; nel sonetto e anche nella prosa del § XXIV della Vita Nuova, di Giovanna non poteva dire quello che disse di Beatrice, per la buona ragione che questa, non quella, era la donna sua; e, del resto, pur di quella fece lodi che non dispiacerebbero a nessuna figlia d'Eva. Ma per qual grave o buona ragione avrebbe taciuto che Guido avesse bene spiegato il primitivo significato della sua prima visione? Senza nuocere alla verità o al concetto da cui era dominato, avrebbe potuto dire: allora parve con ragione al mio primo amico che Amore piangesse per le pene mie; ma ora, volata Beatrice al cielo, intendiamo che piangeva per l'immatura morte di questa.

Infine, non credo che nel 1° sonetto di Dante o nella prosa che lo accompagna sia presen. tita l'immatura morte di Beatrice, e le ragioni con cui (vittoriosamente, a giudizio del Giorn. st. d. Lett. it., XXVIII, 249) sostenni la mia opinione, si possono leggere nel Giorn. dant., III, 275 e sgg.

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Quanto all'interpretazione proposta nella nota della pag. 88, non credo che il pasto del cuore possa significare la distruzione della parte sensitiva di Dante: in vero, chi mangia un cibo, non lo distrugge, ma lo trasforma, assimilandone quanto può.

Ma queste osservazioni e quelle che altri crederà di fare sull'opera dell'A. non ne diminuiscono, s'intende, l'importanza o il pregio, e mi è caro conchiudere congratulandomi vivamente col mio valoroso amico.

GIOVANNI Melodia.

1 Del primo sonetto di Dante si occupa ora anche il CESAREO in Amor mi spira... (Miscellanea in onore del Graf, pagg. 515 seg.), dove, da maestro, discorre dello stil nuovo. Su questo è apparso recentemente anche uno studio di KARL VOSSLER, Die philosophiscen Grundlagen zum "süssen neuen Stil, des Guido Guinicelli, Guido Cavalcanti und Dante Alighieri, Heidelberg, 1904.

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Estr. dalla Miscellanea storica della Valdensa, a. X, fasc. 2. Recensione dell'opuscolo: Nuovi studî danteschi omaggio della terra di San Gemigniano a Dante Alighieri, VII maggio MCM; scritti inediti di A. FIAMMAZZO, S. GROSSO, G. B. GIULIANI, pubblicati per cura e studio del prof. UGO NOMI PESCIOLINI (Siena, Laz zeri, 1902). (2753) BOFFITO GIUSEPPE. La leggenda degli antipodi. (Nella Miscellanea di studi critici ed. in onore di Arturo Graf, 1903).

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cisi per adulterio, ma sí per gelosia di comando o fe. roce invidia o altro, e che appresso si facesse spargere la voce della vendetta dell'onore tradito, la quale voce D. avrebbe creduto raccogliere e fecondare. (2760) GROSSO STEFANO.

Cfr. no. 2753.

LANZI LUIGI. La cappella Paradisi a Terni (Nel Boll. della r. Dep. di st. patria per l'Umbria, IX, 526).

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È una breve nota nella quale il L. ribatte alcune affermazioni del Bassermann (Orme di D. in Italia, Bol., 1902, p. 662) che sulla scorta, specialmente del Cosmo (Giorn. dant., III, 174), crede non potersi ammettere nessuna relazione fra i freschi della cappella Paradisi e la Commedia, freschi assai mediocri e che, nel raggruppamento delle figure e nella trattazione dell'anatomia rivelano un'età alquanto tarda „. Secondo il L. nei quadri della cappella si deve riconoscere un'eco dell'altissimo Canto, e se non un bel saggio di arte pittorica, uno dei primi tentativi della rinascenza, con tutti i difetti di un'arte timida impacciata e bambina, per quanto in alcuni particolari, come, ad es., nel gruppo della discesa di Cristo al Limbo, il pittore abbia lavorato con maniera abbastanza libera, con disegno piano e corretto, e con forte colorito „. Inoltre non è vero, come afferma il Cosmo, che la data (m.cccl) scritta a piè del dipinto appartenga manifestamente ad una pittura anteriore. "La leggenda è perfettamente completa, e non si riferisce alla pittura giottesca che intravvedesi in alcuni punti sotto l'intonaco della attuale pittura; poiché, " anche all'esame dell'occhio meno esperto, risulta chiaro ed assolutamente non discutibile che essa riguarda il dipinto sovrapposto e non il piú antiNé è da accogliere l'opinione del Cosmo, accettata dal Bassermann, che i freschi della cappella di Terni sono contemporanei a un restauro del 1445. La sola opera che certamente sia stata compiuta in quell'anno fu il bel campanile di Antonio di Orvieto. (2761) NOMI PESCIOLINI UGO. Cfr. no. 2753.

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Tra altro, vi si tratta della questione del giudicato di Guido delle Colonne e del luogo suo natale. Secondo l'A. Guido poteva ma non doveva essere un messinese; e il Torraca, studiando la questione, interpretò male le costituzioni di Federico, ammettendo che i giudici delle città demaniali fossero eletti dalle Comunità. (2762) RACCOLTA [Importante] di libri curiosi, rari, ecc. [della] Libreria antiquaria Luigi Battistelli. Milano [s. t.], 1903, in-8°, pp. 50. Dante, ni. 286-299. (2763)

RAJNA PIO. Cfr. no. 2766.

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(2764)

SIVE VITTORINA. In treno, racimolando su Dante e Carducci per l'odierno conclave: sonetto. [S. n.; Bari], 1903, in 16o, pp. 2. Insulsaggine. (2765) SOCIETÀ [La] dantesca italiana, a Ravenna. Firenze, Tip. S. Landi, 1902, in-8°, pp. 20.

Estr. dal Bullett, della Soc. dant. ital., N. S., vol. IX, pp. 217-235. Contiene un Discorso di I. Del Lungo; la Relazione sull'ediz, critica delle opere di P. Rajna; la Relazione economica del tesoriere G. Biagi e alcune Parole per la distribuzione delle medaglie ai lettori di D. (Inferno) in Or San Michele, del vicepresidente della Commissione esecutiva della Società, G. Tortoli.

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Vi si parla de La“ Divina Commedia „ novam, illustrata da artisti ital. a cura di V. Alinari, vol. III (“Paradiso „), Firenze, 1903; G. Pascoli, Prolusione al "Paradiso,, Messina, 1903; F. Flamini, I significati reconditi della "Commedia, di Dante e il suo fine supremo, vol. I (Livorno, 1903); di pubblicazioni varie intorno al preteso ritratto di D. di Andrea Orcagna; del Codice diplom. dantesco, disp. 7a e 8a (Firenze, 1903); della nuova edizione del commento del Casini; della ediz. delle Ecloghe di D. e di Gio, del Virgilio testo, commento e versione a cura di G. Albini (Firenze, 1993); di G. Crocioni, Le Rime di Piero Alighieri (Città di Castello, 1903), e degli Studi del Luiso sulle Chiose di Jacopo Alighieri ed edizione integrale delle Chiose di D. le quali fece il figliuolo co le sue mani, vol. II, Purgatorio Firenze, 1903.

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(2769)

te un elemento di espiazione, e vi sta pe' lussuriosi, nella settima cornice, come il fuoco per gli iracondi, nella terza? Il V., studiando brevemente la questione, si risolve per la prima ipotesi, cioè che il muro che era fra D. e Beatrice (Purg., XXVII, 36) fosse appunto quello della comune credenza medievale. Si può ritenere, conchiude il V., che D. "non volendo, da un canto, rinunziare al muro della tradizione, e, dall'altro, non rispondendo piú questo muro da per sé stesso al concetto biblico, mettendo la lussuria vicino alla foresta divina, riusciva a far della cintura di fuoco un elemento purificatore de' lussuriosi, armonizzando cosí la sua teoria della classificazione de' peccati col mito del Paradiso terrestre „. (2770) Noterella dantesca. (Nel Bull. senese di st. patria, IV, 3). Inf., XXIV.

VIGO P.

(2771)

VOLPI GUGLIELMO. Vote di varia erudizione e critica letteraria (secc. XIV e XV). Firenze, Bern. Leeber, 1903, in-8° picc., pp. 74.

Specialmente importante per noi la prima nota, Intorno a una ballata di Guido Cavalcanti, che il Benadduci, ne' suoi Scampoli critici, vuole scritta, secondo la tradizione, nell'esilio di Sarzana. Il Volpi sostiene esser questa tradizione, relativamente recente, fondata nella opinione che Sarzana fosse considerata dagli antichi come una terra fuor di Toscana, laddove quella città, edificata sulla sinistra della Magra, che lo Genovese par te dal Toscano, era considerata dai fiorentini del tempo di Guido l'ultima città di Toscana dalla parte della Liguria. Il Cavalcanti avrebbe dunque dettato que' suoi versi sconsolati in luogo assai piú remoto, nella “vecchia Nîmes, dove si fermò, recandosi a san Jacopo di Compostella, "malato e solo, lontano dalla sua donna e dalla sua patria (2772)

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ZAMBONI FILIPPO. Gli Ezzelini, Dante c gli schiavi. (Roma e la schiavitú personale domestica) con documenti inediti, ricca bibliografia sulla schiavitú e memoric autobiografiche. Firenze, R. Bemporad e figlio [tip. S. Landi], 1902, in-16o, pp. [43].

È un'aggiunta che deve inserirsi dopo la pagina CLXXXII dell'autobiografia che l'A. fa precedere alla sua opera, un po' arruffata ma ad ogni modo utile, su gli Ezzelini, ecc. Questa aggiunta reca, in fine, la riproduzione di un ritratto di Dante disegnato a colori in uno de' due mss. del Poema che sono nella Palatina di Vienna. Questo ritratto, finora inedito, non ha bensí maggior valore di tanti altri a noi noti: anzi, sotto l'aspetto iconografico non ha, possiam dire, valore al(2773)

cuno. Un mito del Paradiso terrestre. (Nella Rass crit. d. Lett. ital., VII, 208).

Il V. si domanda: Il Paradiso terrestre di D. è cerchiato di fuoco, e in quel fuoco si purga il peccato di lussuria. È questo fuoco una reminiscenza delle tradizioni e delle leggende sul Paradiso, e vi sta come un "muro,, di cinta della divina foresta, o è semplicemen

ZINGARELLI NICOLA.

Documentum liberalitatis. Napoli, Stab. Tip. Pierro e Veraldi, 1903, in-8°, pag. 34-(2).

Sulla lode della liberalità e la teoria del dono nel medioevo. (2774)

Firenze, 31 gennaio 1903.

G. L. PASSERINI,

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