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Troppo Dante! Leggiamo nel Bollettino ufficiale del Ministero dell'Istruzione pubblica dell' 11 febbraio, la seguente circolare diretta ai regi Provveditori agli Studi e che, francamente, non ci par commendabile né per la forma né per la sostanza. Dice la circolare: séguito al mio suggerimento, da alcuni insegnanti delle scuole secondarie e segnatamente dal prof. Dino Mantovani e dal prof. Oreste Antognoni in Torino è stata iniziata una serie di conferenze dantesche, le quali sono come una introduzione alla vera e propria Lettura di Dante. Non ne traccio il disegno, perché a ciascun insegnante dev'essere in mente, nella misura delle circostanze, ma consiglio di associare a queste esercitazioni letterarie i piú volenterosi alunni ai quali gioverà l'addestrarsi, fin dall'adolescenza, nel discorrere pubblicamente, disponendosi per tal modo alle funzioni civiche, che in un regime di libertà si fondano essenzialmente sull'aperto e civile dibattito. Le conferenze debbono essere fuori orario, possibilmente in giorni assegnati per le vacanze, ed il loro numero dovrà limitarsi. Esse saranno uno svago per gli studenti e non un sovraccarico di lavoro. L'intendimento è di secondare lo svolgersi della cultura nazionale, proporzionando i mezzi ai fini, e di aprire le giovani menti alla grandiosità della nostra storia intellettuale, nel mentre che, interessando le cittadinanze con la pubblicità delle conferenze, si cementa l'armonia tra la scuola e il paese, e si rinvigoriscono le correnti educatrici del pensiero italiano

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L'assemblea de' soci della Società dantesca italiana ha eletto, come prescrive il suo Statuto, i consiglieri del Comitato centrale pel quinquennio 1904-1908, nelle persone dei signori proff. Orazio Bacci, Michele Barbi, Guido Biagi, Vittorio Crescini, Alessandro D'Ancona, Isidoro Del Lungo, Francesco Flamini, Augusto Franchetti, Guido Mazzoni, Medardo Morici, Francesco Novati, Pio Rajna, Luigi Rocca, Michele Scherillo, Vittorio Rossi, dott. Angelo Orvieto, conte Medin, conte G. L. Passerini, comm. Oreste Tommasini, march. senat. Pietro Torrigiani e cav. uff. Giovanni Tortoli. Nella sua prima adunanza, che ha avuto luogo il 17 corrente, il nuovo Comitato ha nominato suo presidente il march. Torrigiani, vicepresidente il prof. Del Lungo, segretari A. Franchetti e G. L. Passerini e tesoriere il prof. Guido Biagi.

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Per cura della Casa Ermanno Loescher di Torino si annunzia prossima la pubblicazione di una nuova rivista di Studi medievali, diretti e redatti da Francesco Novati e da Rodolfo Renier, della quale ci è grato riferire il programma:

"Fondare una rivista la quale, rivolgendosi a quanti attendono con nobile zelo a diradare le tenebre onde tuttor s'avviluppano il pensiero e la vita del Medio Evo, accogliesse in sé studî concernenti non solo le manitestazioni volgari de' popoli romanzi, ma quella letteratura latina altresí che delle prime promosse e talvolta rallentò benanco, aduggiandole con l'ombra sua folta e larghissima, lo sviluppo; era aspirazione lungamente nudrita dai due studiosi i cui nomi si leggono in fronte a questo programma. Ora la Casa editrice Ermanno Loescher di Torino, proprietaria degli Studi di Filologia romanza, giustamente bramosa di non abbandonare il cammino per cui s'era indirizzata pubblicando quel periodico testé cessato, si è assunta d'offrir loro i mezzi per tramutare in realtà il concepito disegno. Lieti di questa novella prova di fiducia che la reputatissima Casa si piace dar loro, ben determinati a far opera in tutto nuova e da ogni precedente remota, essi ripromettonsi di dedicare all'impresa amorosamente meditata le migliori loro energie perché tornar possa di vantaggio alla scienza, di decoro all'Italia.

Gli Studi medievali, di cui il primo fascicolo non tarderà a comparire, sono dunque destinati ad illustrare e raccogliere tutto quanto giovi a spargere luce intorno alla vita intellettuale di que' secoli che la vecchia erudizione definí con pertinace disdegno come "bassi, ed "oscuri„. Se le produzioni svariatissime della lettera. tura latina d'Occidente potranno esservi fatte argomento di studio senza tener conto del loro paese d'origine, non altrettanto succederà invece per i frutti delle letterature volgari. E la cosa s'intende troppo bene. Nell'età di mezzo s'è potuto a buon dritto ripetere della lingua del Lazio ciò che Rutilio Numaziano aveva detto in lode di Roma: Fecisti patriam diversis gentibus unam; e questa fratellanza universale, voluta dalla fede e dalla scienza, va rispettata ove si brami veramente del mondo medievale penetrare l'intimo spirito. Ma allo studio delle letterature nazionali giova imporre de' confini; ed i confini saranno que' medesimi che la Storia ci addita, quelli dentro i quali l'idioma latino si mantenne e trasformò in romanzo. Questo non significa tuttavia che dagli Studi s'intenda rinunziare completamente a tentar qualche scorreria nel campo cosí vasto e cosí attraente del Germanesimo. Ben al contrario: ogni qualvolta avvenisse di poter lumeggiare nuovi e non mai avvertiti rapporti tra il pensiero de' popoli tedeschi ed i neo-latini, gli Studi s'affretteranno a farlo. Ma, come avrebbe detto Seneca, in codesti stranieri accampamenti noi passeremo quali semplici esploratori, exploratores non transfugae: ed il perché ne è chiaro. Il Medio Evo tedesco da piú d'un secolo ormai forma oggetto nella sua

terra nativa d'investigazioni sapienti e vastissime. Il romanzo invece non ha mai posseduto prima d'ora tra noi un organo vitale e gagliardo; ed a questo difetto soprattutto si vuol oggi finalmente porre riparo.

“Riguardo ai limiti di tempo dentro cui gli Studî si restringeranno, è impresa disagevole uscir qui in affermazioni troppo recise. Il Medio Evo ha prolungato cosí variamente la sua vita presso le nazioni occidentali, che spesso il sole del Rinascimento è già in una regione ben alto sull'orizzonte, quando in un'altra accenna appena a spuntare. Per l'Italia però rimane fermo che, in quanto spetta alla produzione volgare, non si estenderanno mai le ricerche al di là del secolo XIII; mentre per la Francia e per la Spagna si potrà e si dovrà discendere molto piú giú, magari sino a toccar la fine del XV. Per la letteratura latina medievale poi il termine prefisso sarà, generalmente parlando, in Italia la fine del Dugento.

"Nel campo delle discipline glottologiche, le quali sono tra noi egregiamente rappresentate da un autorevole periodico, gli Studi non entreranno mai di proposito deliberato. Ben si comprende tuttavia che potranno trovare luogo in essi tutti i lavori di tipo glottologico, che cooperassero ad illustrare un testo rilevante anche per altro rispetto che quello della lingua non sia ove questo testo rinvenisse ospitalità nelle pagine loro.

"Riguardo ai testi è necessario però far a questo luogo una dichiarazione. Gli Studi non rinunzieranno mai a portare in ogni puntata quella gradevole varietà d'argomenti che è caratteristica essenziale d'una pubblicazione periodica ben fatta. Ne verranno quindi esclusi i testi di gran mole, anche se inediti, e prima d'ogni cosa le cosiddette edizioni diplomatiche di sillogi manoscritte già più o meno conosciute dagli studiosi. Troveranno invece pronta accoglienza que' documenti letterari, vuoi prosaici vuoi poetici, che, pur essendo di mediocri proporzioni, recheranno nuovo e proficuo alimento alle ricerche filologiche. Anzi una speciale rubrica servirà a riunire testi brevi èd inediti, documenti storici concernenti la biografia di scrittori, le vicende di libri, le curiosità del costume: tutti insomma que' minuta, per usar la parola evangelica, che la vera scienza è avvezza a non disdegnare. Cotesta rubrica, rinnovando in ogni fascicolo una consuetudine cara un tempo all'erudizione paesana, si dirà degli Aneddoti.

"Ma un periodico vien meno al suo carattere anche quando escluda intieramente dalle sue pagine l'elemento bibliografico. A questo pure ha pensato la direzione degli Studi medievali, la quale, dopo matura riflessione, è venuta nell'avviso che ai lettori suoi meglio riuscir debba gradito possedere prontamente estese sebben succinte notizie della copiosa produzione scientifica riguardante il Medio Evo, che escè ogni giorno alla luce, di quello che trovar dato conto, dopo lunga attesa, di alcune opere soltanto tra le molte cui i medievisti deb bono tenere presenti.

"Ogni fascicolo degli Studi sarà chiuso pertanto da un Bullettino bibliografico, dove sotto determinate categorie s'annunzieranno i titoli di tutti i libri e di tutti gli articoli inseriti in riviste italiane e straniere, che per una o per altra cagione potranno giovare ai lettori. In generale l'annunzio si limiterà, come dicevamo, al sem. plice titolo del lavoro munito dei rinvii indispensabili; ma non è escluso che talvolta la nuda indicazione bibliografica possa venir ravvivata da opportune postille.

“Tale il programma, vasto certamente, ma in pari

tempo ben definito, che gli Studi medievali si propongono d'attuare, ove soccorra loro il favore degli studiosi. E questo favore non vorrà mancare ad un periodico che non è organo di veruna consorteria scientifica, bensí palestra ospitalmente dischiusa a tutti i volonterosi, ai maestri venerati come ai giovini promettenti; ad un periodico il quale non ha altra ambizione che quella non sia d'offrire alla scienza italiana il modo di salire sempre più alto nell'estimazione, già nobimente guadagnata, del mondo civile,

La r. Accademia della Crusca, amministratrice dell'Ente morale Luigi Maria Rezzi, veduti gli art. 2, 3, 4 e 7 dello Statuto organico di detta Istituzione, apre un concorso per tutti gli Italiani di qualunque parte del territorio geograficamente italiano, a un'opera in prosa, o letteraria o storica o filosofica, con il premio di lire 5000, secondo i modi assegnati dallo Statuto medesimo nei seguenti articoli:

"Art. 5. Nelle opere presentate devono verificarsi le seguenti condizioni, espressamente determinate dal testatore:

a) che non siano state divulgate per la stampa, né in altro qualsiasi modo;

b) che siano condotte secondo i principî e gli esempî dei grandi maestri greci, latini e italiani;

c) che siano dettate nella pura ed efficace favella usata dai nostri migliori scrittori, lontana per altro da ogni affettazione;

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Oltre al premio di lire 5000, l'Accademia potrà conferire qualche ricompensa, non minore di lire 1000, né maggiore di lire 2000, a quella o a quelle opere, che, pur mancando del merito assoluto richiesto per conseguire il premio, avessero però tali pregî, cosí di forma come di sostanza, da doversene in qualche modo rimeritare l'autore e promuovere la pubblicazione.

Tali ricompense non potranno in nessun caso essere più di tre, né superare tutte insieme la somma di lire 5000.

Anche per ottenere alcuna di queste ricompense, l'opera dovrà avere le condizioni volute specialmente dai §§ a ed dell'art. 5 dello Statuto, e l'autore sottostare a quanto prescrivesi nell'art. 8.

L'opera, alla quale sia stato conferito il premio o una ricompensa, dovrà essere pubblicata dentro due anni dal giorno nel quale sarà bandito l'esito del concorso, se essa consterà di un volume solo; se di piú, dentro quel termine discreto che all'equità dell'Accademia sembrerà più conveniente di assegnare. Spirato il termine stabilito senza che l'opera sia venuta in luce, l'autore decade dal diritto di conseguire il premio o la ricompensa.

Le opere inviate al concorso dovranno essere indi

rizzate franche di porto alla Segreteria dell'Accademia della Crusca (Via della Dogana, 1, Firenze).

Ogni opera dovrà essere contrassegnata da un motto, che verrà ripetuto sulla sopraccarta di una lettera suggellata, ove sia scritto il nome e il domicilio dell'autore; e s'intenderanno esclusi dal concorso gli autori che in qualsiasi modo si sieno palesati.

Il termine assegnato alla presentazione delle opere spirerà col dí 31 decembre 1904. Le opere che giungessero all'Accademia dopo quel giorno, rimarranno escluse dal concorso, qualunque sia la causa del ritardo nella presentazione.

Saranno escluse altresí dal concorso, secondo il § a dell'art. 5, non solo le opere divulgate per intero o in parte, ma anche quelle su cui abbia proferito un qualsiasi giudizio altra Accademia, o Istituto, o Facoltà universitaria. Questo caso, se conosciuto dopo, annulla il premio o la ricompensa che per sorte l'opera avesse conseguito.

Parimente non saranno ammesse al concorso le opere informi, quelle cioè che fossero ancóra in stato di abbozzo, o con gran copia di giunte volanti, o che fossero scritte in carattere inintelligibile.

Non saranno presi in esame quei lavori che non rispondano alla dignità e importanza di tale concorso.

Finito il concorso, le opere dovranno essere ritirate entro tre mesi dai loro autori, o da persona da essi autorizzata. Trascorso quel tempo, l'Accademia non risponde della loro custodia.

Il Consiglio direttivo del Comitato milanese della Società dantesca italiana ha pubblicato il seguente programma delle Conferenze e letture di argomento dantesco che, a sua cura, saran fatte anche quest'anno nell'Aula magna della regia Accademia scientifica letteraria: V. Capetti, Il dolore nel "Paradiso,, dantesco; E. Landry, La vision du monde surnaturel chez Dante et chez Victor Hugo; G. Lisio, "Lo bello stile, delle "Rime, e della "Commedia „; P. Papa, I ritratti di Dante (con proiezioni); M.

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ΑΓ

GIORNALE DANTESCO

L'AMICIZIA DI DANTE E GIOVANNI VILLANI

CON DOCUMENTI INEDITI

SU CASE DI DANTE E SU G. VILLANI

D

I.

Ji quest'amicizia, come a tutti è noto, ci resta testimonianza esplicita e positiva nel Cap. XXII della prefazione mandata avanti al suo commento sul primo Canto dell' Inferno da un nipote di Giovanni Villani e lettore pubblico di Dante in Firenze, Filippo Villani.1 E pur noto, però, come Vittorio Imbriani, l'unico, a nostra notizia, che ne trattasse espressamente, togliesse a quella testimonianza ogni valore, tacciandola se non di falsa, almeno di erronea, come quella che asseriva un fatto storicamente impossibile, e trovando poi la ragione dell'errore nella decrepitezza a cui inclinava il buon Filippo, quando scriveva il detto commento; anzi l'Imbriani è tanto sicuro del suo ragionamento, che, se non avesse l'appiglio del rimbambinimento senile di Filippo a scusare la costui erronea testimonianza dell'amicizia in questione, egli non esiterebbe ad accusar esso Filippo di menzogna o sospettar bugiardo Giovanni ne' colloqui col nipote, quando poi non fosse piú savio partito mettere in quarantena l'autenticità del Commento inedito attribuito a Filippo Villani,.

2

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Chi si accingesse ora a sostenere la tesi dell'Imbriani, certo non terrebbe conto nessuno della spiegazione che egli porta del

1 FILIPPO VILLANI, II Comento al primo Canto del"Inferno, per cura di GIUSEPPE CUGNONI, Città di Castello, 1896 pag. 79.

2 VITTORIO IMBRIANI, Studi danteschi, Firenze, 1891,

pag. 109-110.

presunto errore di Filippo. Lasciando stare che dell'autenticità del commento in questione nessuno, ora che è pubblicato, non può nemmeno per ischerzo dubitare, è certo che in quel commento stesso, sia pure stato scritto dall'autore nella sua piú avanzata età, costui dimostra, in quel suo sforzo esegetico di trovare il fondamento dell'allegoria dantesca in un passaggio dalla vita attiva alla vita contemplativa, vigoria e stringatezza di ragionamento, scolastiche l'una e l'altra fin che si vuole, ma non meno notevoli per questo e contraddicenti ad ogni modo a quel rimbambinimento senile, che all' Imbriani piacque di escogitare come causa della presunta erroneità della testimonianza sull'amicizia fra Dante e Giovanni. Scartata cosí la decrepitezza come causa di tale errore, rimarrebbe soltanto la più sfacciata menzogna o in Giovanni, che narrò cose false al nipote, o in Filippo che riferí con false aggiunte colloqui avuti intorno a Dante collo zio; ma, siccome la menzogna è tale che per ragioni di necessità o d'opportunità vi si trova indotto in circostanze speciali anche chi solitamente è d'animo sincero, cosí non sarebbe troppo concludente, se anche fosse possibile, il dimostrare che in tutte le altre evenienze a noi note, tanto Giovanni quanto Filippo furono veritieri, non potendosene necessariamente argomentare la loro sincerità anche nel caso che presentemente si discorre; per cui il meglio sarà di esaminare, senz'altro, le ragioni per cui l'Imbriani credette storicamente impossibile l'amicizia fra Dante e Giovanni Villani. Queste ragioni si riducono a due serie:

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si possono pure chiamare, è da ammettersi che ad essi fosse possibile di mantenere un carteggio epistolare tale da tener viva la loro amicizia, e ciò per la durata di venti anni, quanti ne corrono fra l'esilio e la morte del Poeta. Quando perciò il Villani prese la penna per scrivere la sua rubrica dantesca, anche ammettendo che ciò egli facesse appena sentita la novella della morte del divino Poeta, eran passati ben venti anni dacché costui mancava da Firenze, e siccome questi erano appunto gli anni in cui Dante compié, eccezion fatta per la Vita Nuova, tutte le opere che gli avevano data fama presso i contemporanei, ognun capisce per

1o) nella sua rubrica in questione il Villani si mostra male e superficialmente informato delle cose di Dante: niente di minuto, speciale, determinato, aneddotico. Egliché il cronista, per quanto riguarda la conomette in carta, aggiungendovi alcun suo giudizio e l'indicazione delle opere, sol pochi tratti generici, ritenuti per veri ed accettati dalla opinione pubblica, nel tempo in cui scriveva, parecchi anni dopo la morte del Poeta; e quindi non dobbiamo cercare nel Villani notizie precise, attendibili, sul conto di Dante, anzi il primo stadio della leggenda dantesca incipiente;

2o) nella sua rubrica il Villani non dice espressamente d'aver conosciuto Dante, o d'averlo visto, e tanto meno poi di essergli | stato amico; e nonché una netta dichiarazione, nemmeno la più lontana allusione a una qualsiasi relazione col Poeta si può cogliere in essa rubrica. Anzi non appare ch'egli lo conoscesse neppur di vista. 2

Ora, toglie forza a tutte e due questi argomenti una semplice considerazione, accennata fuggevolmente dallo stesso Imbriani (pag. 59), che cioè, se ci fu un'amicizia fra Dante e il Villani, questa, per ragioni troppo ovvie perché valga la pena di fermarsi ad esporle, non poté essere se non prima dell'esilio del Poeta, il quale esilio potremmo dire senz'altro che fosse la causa che la troncò. Anzi potremmo aggiungere che nonché l'amicizia, questo esilio dovette troncare ogni ulteriore relazione tra i due uomini; poiché né le peregrinazioni dolorose dell'uno in cerca d'una stabile e dignitosa sede e i lunghi viaggi dell'altro per ragione di commercio li riunirono piú nella stessa città, né in quel loro reciproco girovagare, stante i rudimentali servizî postali d'allora, se cosí

1 Studi cit, pag. 110.

2 Ibidem, pag. 70 e pag. 100.

scenza di quegli anni e di queste opere, la cui enumerazione e cenno riassuntivo doveva formare e forma di fatti la sostanza della rubrica in questione, non si trovasse in condizione di avere notizie piú esatte e complete di quelle che si poteva procurare in Firenze una qualunque persona colta, per la quale la morte di Dante significasse la sparizione dalla scena del mondo di un uomo, se non quale noi lo crediamo ora, per lo meno tale che Firenze doveva onorarsi di avergli dato i natali.

1

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Senonché si potrà obiettare, in tal modo, del Villani, presupposto amico di Dante prima del 1300, vengono ad essere giustificate le indeterminatezze e gli sbagli per quel che riguarda gli ultimi anni della vita di Dante, non però la indeterminatezza, anzi mancanza quasi assoluta di notizie, per quel che riguarda i primi trentasei anni. E non neghiamo che questa obiezione non abbia apparenza di molta gravità, giacché venti anni d'intervallo potranno far dimenticar

1 Questi sbagli riguardano, com'è noto, la data della morte di Dante, e il nome della chiesa dove fu sepolto il Poeta. Quanto al primo, fra l'opinione del PEL· LEGRINI (Bull, della Soc. Dantesca, N. S., vol. I, pag. 186, no. 2) che possano rappresentare la lezione genuina del testo villaniano i codici che hanno la data veritiera del 14 settembre, e quella dell' IMBRIANI (Studî cit., pag. 115116) che questi codici colla data giusta rappresentino una correzione de' copisti posteriori, a cui parve che fosse da rettificare e da aggiungere parecchio alla rubrica dantesca, avanziamo timidamente una nostra congettura, che le tre date, che si trovano in tre serie differenti di codici, cioè del mese di luglio, del 29 settembre, del 14 settembre, derivino da successive correzioni dello stesso Villani, che, com'è noto, fece due redazioni della cronica, studiandosi colla seconda di esse di ampliare e migliorare la prima (cfr. Bullettino del

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