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molto, ma non tutto, qualche reminiscenza particolare, specialmente chi ci si metta di proposito e può esser questo il caso del Villani ritorna, e come mai spiegare perché il cronista non ne riferisca nessuna nella sua rubrica ?

La risposta s'incarica di darcela lo stesso Villani. Il quale, intanto, non ha niente affatto l'intenzione di darci una vita al piú possibile compiuta del divino Poeta; e chi non vede che soltanto in questo caso noi saremmo in diritto di pretendere da lui tutte le notizie che egli potesse avere circa il suo biografato? Invece il nostro cronista vuol soltanto fare un ricordo di quanto a lui pare che Dante abbia fatto di piú caratteristico e di più degno quindi di essere ricordato. Infatti chiudendo la sua rubrica, dice di Dante:.... "per le.... sue virtudi e scienza e valore di tanto cittadino, ne pare che si convenga di dargli perpetua memoria in questa nostra cronica, con tutto che le sue nobili opere lasciateci in iscrittura facciano di lui vero testimonio e onorabile fama alla nostra cittade. Quindi la ragione per cui il Villani crede d'inserire nella sua cronaca un ricordo di Dante, è la scienza mostrata da lui nelle sue opere scritte, conformemente dunque al concetto, che di Dante s'erano formati i suoi contemporanei e posteri immediati che vedevano in lui non tanto un Poeta, quanto piuttosto ed essenzialmente uno scienziato. E questo concetto che il cronista si formò del divino Poeta, riesce tanto piú caratteristico, se si considera che perfino in quelle lettere, in cui il povero esule o si rammaricava col reggimento di Firenze " del suo esilio senza colpa,, o si rivolgeva all'imperatore Arrigo "quand'era all'assedio di Brescia, riprendendolo della sua stanza,

l'Istituto Storico Italiano, no. 13 [1893], pag. xxvII). Quanto al secondo sbaglio in questione, vedine una plausibile spiegazione in Dante e Firenze di ODDONE ZENATTI, Firenze, 1902, pag. 5, n. 2. Una terza indeterminatezza consisterebbe secondo l'IMBRIANI (loc. cit., pag. 102 segg.), nel non aver il Villani parlato del Convivio e del De Vulgari eloquentia, giacchè egli crede che il brano dove, secondo la volgata, il cronista ne parla, e che manca nei migliori codici, sia fattura di posteriori interpolazioni. Ma anche qui, noi crediamo che in realtà il Villani non ne scrivesse nulla in una prima redazione della Cronica, ma che riparasse alla sua dimenticanza od ignoranza in una seconda redazione.

1 Spiegheremo meglio questo in una recensione al libro O. ZENATTI, Dante e Firenze, in Rass, bibliogr. della lett. it.

quasi profetizzando,,

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o pregava i cardinali italiani riuniti in Carpentras "acciocché s'accordassono a eleggere papa italiano,, il Villani vede non già lo strazio dell'esule, che ridomanda l'ammissione in patria, non la preoccupazione d'un politico idealista che sognava ancora la ricostituzione dell'Impero Romano e la soggezione ad esso di tutto il giardino dell' imperio, non il nobile sdegno d'un italiano che arrossisce al pensiero di un papa straniero, ma solamente l'alto dittato e le eccellenti sentenzie e autoritadi, le quali furono molto commendate da' savi intenditori,. Dato quindi questo speciale punto di vista da cui il Villani considera Dante, è naturale che non gli sia parso né opportuno né confacente al suo scopo fermarsi a riportare aneddoti e reminiscenze riguardanti gli anni passati dal Poeta in Firenze, nei quali colui che in seguito doveva essere il grande "filosofo, e letterato quasi in ogni scienza „ parve a lui non essere ancora niente al di là di un buon dicitore in rima, tanto è vero che il Villani stesso, mentre delle altre opere dantesche dà un cenno, checché ne dica l'Imbriani, succoso e abbastanza esatto, della Vita Nuova non crede opportuno di dire più di queste parole: "Fece in sua giovinezza il libro della Vita Nuova, d'amore,. 1 E a documento della scarsa importanza che il Villani dava, rispetto allo scopo della sua rubrica, a quella che potremmo chiamare prima metà della vita di Dante, sta anche la noncuranza sua di prendere più esatta notizia su quello che egli poteva ricordarsi a un dipresso intorno alla vita pubblica di Dante, che dice essere stato nientemeno che "de' maggiori governatori della nostra città e di quella parte,, e ciò "quando messer Carlo di Valois della casa di Francia venne in Firenze l'anno 1301, e caccionne la parte bianca Ora, come ognun sa, Dante nel 1301 potrà essere stato uno dei capi di parte bianca, ma non era più governatore di Firenze, il suo priorato cadendo nel giugno ed agosto 1300; e ad ogni modo poi non davvero de' maggiori governatori, tanto è vero che il Villani stesso, che raccontando in altra parte della sua cronaca le vicende di quegli anni ha occasione di nominare tanti altri personaggi, non fa mai il nome di

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era

1 Cfr. del resto anche l'IMBRIANI, op. cit., pagina 155.

Dante. Ed ecco quindi provato, che la indeterminatezza anzi silenzio completo, del Villani, anche per quel che riguarda il primo periodo della vita di Dante, lungi dall'implicare come necessità logica la mancanza assoluta di ogni relazione d'amicizia in quel tempo fra i due uomini, possono invece essere semplicemente considerate come prova che pel cronista quel primo periodo non era parte integrante della gloria scientifica di Dante, della quale soltanto egli ha intenzione di dare un ricordo.

alla mente ricordante del cronista con tinte molto attenuate e quasi sbiadite. Eppoi chissà quante altre amicizie pure contratte nella sua giovinezza e duranti tuttavia, accresciute dal continuo contatto e dalla comunanza degli affari, potevano fare impallidire nel Villani il ricordo di quella già avuta coll'esule! Appetto alle prime, quest'ultima poteva ben parere dopo tanti anni poco piú al di là di una di quelle relazioni cordiali di conoscenza, che si contraggono cosí facilmente da giovine, quando l'anima si espande naturalmente per esuberanza di affetto. Questo ammesso, se c'è qualche parola nella rubrica del Villani che accenni a una relazione qualsivo

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escludere a priori che essa ci possa rappresentare quest'immagine attenuata dell'antica amicizia. Orbene non dice espressamente il Villani che egli e Dante furono vicini di casa? E la vicinanza, ognuno lo può provare fondandosi sulla propria esperienza, è cosí efficiente causa di conoscenza e di amicizia da poterne, con figura lecitissima e perciò frequentissima di metonimia, adoperare il nome per significare i suoi effetti. Cosi intendendo parlare di un nostro antico amico o conoscente, non veduto né sentito rammentare da lungo tempo, ci vien fatto naturalmente di dire tanto: "Era un mio amico e conoscente,, quanto semplicemente a seconda delle circostanze: "S'andava a scuola insieme oppure: "Si frequentava il caffé tale,, oppure: "S'era vicini di casa,,. Questo stesso può essere il caso del Villani, a cui, per accennare alla sua amicizia con Dante, poteva venir fatto naturalmente di ricordarla, nominando la causa di essa, ossia il vicinato: Questo Dante fu onorevole e antico cittadino di Firenze di Porta San Piero, e nostro vicino. Ed ecco dunque che se noi potremo provare d'altra parte che un'amicizia fra Dante ed il Villani ci fu davvero, noi do

Ma, come dicevamo, la considerazione che l'amicizia fra il Villani e Dante poté durare solo fino all'esilio di quest'ultimo, toglie ogni forza all'altro argomento dell'Im-glia fra il cronista e Dante, noi non potremo briani, non aver cioè il cronista fatta una dichiarazione esplicita di quell'amicizia. Intanto, se è sentimento naturale il farsi un vanto d'essere o d'essere stati amici di uomini diventati illustri, nel caso speciale del Villani questo vanto viene ad essere tanto piccolo da poterlo tacciare di puerilità. E come no? Egli dichiara espressamente di far nella sua cronica un ricordo di Dante in causa della scienza dimostrata da lui nelle sue opere; queste opere lo stesso ci fa sapere avere il Poeta composte, salvo una, che per lui ha importanza minima, dopo che era stato esiliato; e qual vanto quindi per un uomo serio come il Villani poteva essere di aver avuto relazione d'amicizia con Dante prima che fosse esiliato, quindi prima che compiesse quelle opere, che, secondo lo stesso cronista, formano la base della fama e, diciamo pure, della gloria del Poeta? Tolta cosí ogni causa esteriore, per cui il ricordo dell'antica amicizia potesse venire ad acquistare agli occhi del cronista un'importanza eccezionale, è certo che nel ripresentarsi di quel ricordo alla memoria del Villani non fu disturbata la legge che regola i casi normali della riproduzione mnemonica anche volontaria, la legge cioè, secondo la quale l'oggetto di quella riproduzione non si presenta mai con la vivacità con cui è stato percepito o sentito o pensato la prima volta. In altre parole l'amicizia in questione, per il lungo intervallo, che corre fra il suo cessare e il tempo in cui il Villani si accinse a scrivere di Dante, doveva necessariamente apparire

1 Vedi le assennate considerazioni dello ZENATTI, in Dante e Firenze cit., pag. 59, n. I.

È vero che l'Imbriani delle parole แ e nostro vicino se ne sbarazza come di glossema (pag. 124); ma in realtà, su dieci manoscritti da lui conosciuti e collazionati, esse ci sono date in nove (cfr. anche pag. 27); e come non tener conto di questa quasi unanimità? L'Imbriani poi è costretto ad ammettere lui pure che la glossa possa essere stata aggiunta interlinearmente o marginalmente dal Villani stesso; e questo per la sostanza della cosa, come ognun vede, non fa differenza, giacché l'abbia egli affermato o nella prima stesura della sua rubrica o in una successiva correzione, le parole son sempre sue.

vremo vedere l'allusione ad essa amicizia nelle parole "e nostro vicino,; col che vien quindi a cadere anche il secondo argomento dell' Imbriani, non esservi cioè nel Villani nessuna parola in cui egli alluda alla sua amicizia. Ripetiamolo: di per sé le parole ora discusse del cronista non contengono in realtà dichiarazione esplicita di quella amicizia, e da esse, senz'altro, non potremmo mai arguire la esistenza di una simile relazione; ma esse son tali da potersi considerare come allusive manifestamente ad essa, quando questa ci risulti da altra parte esser veramente esistita.

Concludendo dunque, nella rubrica dantesca del Villani non c'è nulla che c'impedisca, a priori, di credere ad una amicizia fra lui e Dante; anzi potremo trovarvi argomento da corroborare una cosiffatta credenza, sol che questa ci venga giustificata da argomenti d'altra origine. E passiamo oltre.

II.

L'altra serie degli argomenti escogitati dall' Imbriani per provare l'impossibilità d'una amicizia fra il Villani e l'Alighieri deriva tutta da questa premessa, non potersi cioè ammettere un'amicizia fra due persone, delle quali l'una, Dante, era più vecchia dell'altra, il Villani, di circa sedici anni. E che ci fosse tale differenza d'età d'Imbriani

dimostra con queste precise parole: "Giovanni Villani morí, di peste, nel 1347 [sic]. Ecco un punto certo. Non doveva esser decrepito, avendo continuato a scrivere fino allo stremo: né l'ultime pagine sue, che narrano avvenimenti del 1346 [sic], mostrano tracce di senilità, di rimbambimento. Seconda data certa: il primo priorato del Villani fu nel 1316, ed egli entrò in ufficio il 15 decembre. Doveva allora contar piú di 25 anni. Quanto piú? Dante, nato (secondo che a me par più probabile) nel 1268, fu priore nel 1300, cioè di 32 anni. Ammettendo suppergiú l'età medesima per Giovanni, il faremmo nato nel 1282 o nel 1283, morto d'anni 65 o 66; ed, allorquando Dante emigrò, ne avrebbe avuti 18 o 19 „.1

Non ci sarebbe bisogno di fermarsi a dimostrare la tendenziosità di un tal modo di ragionare. Intanto come si fa a dichiarare

1 Cfr. IMBRIANI, Studi cit. etc., pag. 60-62.

in modo assoluto e perentorio che un'amicizia è impossibile fra persone che abbiano una differenza di sedici anni di età? Noi crederemmo invece essere quasi impossibile di trovare persona che non abbia da poter contrapporre alla dichiarazione dell'Imbriani un esempio proprio di amicizia con persone piú vecchie, siano, per esempio, o maestri, o colleghi d'ufficio, o amici dei nostri genitori, rimastili poi anche di noi. E quindi non avendo nessun dato di fatto che l'impedisca espressamente, perché negare a priori che il medesimo potesse accadere per Dante e il Villani?

Ma, del resto, se vogliamo, con una arrendevolezza senza uguale, menar per buona all'Imbriani la premessa del suo ragionamento, chi non vede quanto falsamente proceda il ragionamento stesso, con cui egli vuol dimostrare che il Villani è nato nel 1282 o 1283?

In fin dei conti per l'Imbriani il Villani doveva avere nel 1316, quando fu priore, circa 32 anni, perché altrettanti ne aveva Dante nel 1300 quando anch'egli fu priore. Ma questo è un calcolo di probabilità, che in sé e per sé può essere lecito, ma che la critica piú elementare non permette di prendere come premessa di un altro ragionamento, che verrebbe ad essere fondato, come la casa della parabola, sulla piú instabile delle arene. Per essere eletti al priorato, dice lo stesso Imbriani, sbagliando però, per quanto consta a noi,2 bisognava avere almeno 25 anni, ma nel senso, come ognuno intende, che erano eleggibili tutti quelli che avessero da 25 anni in su, e quindi dalla data dell'elezione del Villani al priorato possiamo soltanto arguire che egli doveva essere nato almeno nel 1291, ma, a priori, non dobbiamo escludere che il Villani fosse eletto, per esempio, a 50 anni e che perciò egli nascesse nel 1266.

A dirimere ogni questione, bisognerebbe scoprire la data di nascita del cronista, ma questa, come agli altri, cosí a noi è stato impossibile di precisare. Siamo però in grado di provare che il Villani dové nascere al

1 Bisogna tener presente che per l'Imbriani Dante è nato nel 1268.

2 Vedi infatti ANTONIO PERTILE, Storia del diritto italiano dalla caduta dell'Impero Romano alla codificazione, vol. III (Storia del Diritto privato) Torino, 1894, pag. 252, n. 38: in Firenze fino al 1497 per accedere alle maggiori cariche in Firenze occorrevano 30 anni, e solo dopo bastarono 25.

meno 6 anni prima di quello che l'Imbriani pensava; e con ciò la differenza d'età fra lui e Dante, che al critico napoletano faceva tanto ostacolo, si riduce a 11 anni, pure ammettendo che Dante nacque nel 1265. Si tratta di documenti o ignoti o fin qui non presi in considerazione,' da cui risulta che il Villani era socio dell'arte del cambio già nel 1300, come facente parte della società bancaria di Filippo Peruzzi; dal che intanto ognun vede che viene a risultare erronea anche l'asserzione di uno studioso ben piú illustre dell'Imbriani, ossia del Davidsohn, che nel vol. III pag. 93 delle sue Forschungen zur Geschichte von Florenz, riportando un documento del 14 gennaio 1305, dove il Villani appare socio dei Peruzzi, dice di esso: "Es ist die früheste Erwähnung des Giovanni Villani als Socius der Peruzzi . . . . „

Il principale dei documenti in questione si trova nel cod. Riccardiano 2414 intitolato: Di gocto darnoldo perruzzi libro secreto di sua mano propria; ma è mutilo nel principio, come risulta anche dal fatto che la carta, su cui è scritto, porta la segnatura, contemporanea senz'alcun dubbio al resto: LVII, mentre la precedente ha la segnatura, pure originale, XVII: è insomma avvenuta l'asportazione delle carte intermedie, e, fra queste, anche di quella su cui era scritto il principio del detto documento. Il quale è niente meno che l'atto di fondazione della società dei Peruzzi, e fu ricopiato dallo scrittore del codice immediatamente prima della ricordanza riguardante lo scioglimento della detta società, avvenuto il 1° novembre 1308, e la conseguente

1 Quantunque il principale di essi, l'atto di fondazione della società dei Peruzzi nell'anno 1300, sia stato reso noto nella sua contenenza da S. L. PERUZZI, Storia del Commercio e dei Banchieri di Firenze, Firenze, 1868, pag. 163 e 231, nessuno ne ha tenuto conto, né il Davidsohn, come vedremo, nè i proff. D'ANCONA e BACCI, autori dell'ultima biografia, breve ma succosa, del Villani nel loro Manuale della Letteratura Italiana, vol. I, Firenze, 1904, pag. 452, quantunque essi lo citino. Avvertiamo poi che l'IMBRIANI, op. cit., pag. 61, n. 2 cita da uno scritto di Pietro Fanfani su Dino Compagni, che non nomina altrimenti, queste parole: “Io pubblicai già un documento dell'anno 1300, dove si vede che allora Giovanni era già nel banco dei Peruzzi ed uomo fatto „. Ora non ci è riuscito di trovare lo scritto dinesco del Fanfani (sulla scorta della sua Bibliografia degli scritti miei sopra la disputa dinesca, pag. Lv delle Metamorfosi di Dino Compagni, Firenze, 1878 dello stesso, oltre prender notizia dei posteriori a questa data), e emmeno, naturalmente, quello in cui lo stesso pubblicò 1 cum ento da lui accennato.

divisione dei capitali; ognun capisce quindi come, per vedere quanto toccasse a ciascuno in questa divisione, fosse necessario sapere quanto ciascuno avesse messo di suo nel capitale sociale; donde la necessità di ricopiare il detto atto di fondazione. Ed eccolo tale e quale:

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per peruzo suoi filiuoli mise lb. " ventiseimiliaia in fiorini - Bancho raugi mise "lb. diecie milia in fiorini tano et Ghe. "rardo baroncieli misero lb. tredicimilia in "fiorini - chatelino di magia [sic] de linfan"gati mise lb. settemilia in fiorini — Gieri di messer filippo mise lb. quatromilia in fiorini Gianni manecti ponci mise lb. cinquemi"lia in fiorini benciuenni folchi mise lb. "tremilia infiorini Gieri lotieri mise lb. "tremilia infiorini Giovanni vilani mise "lb. domilia infiorini Giovanni raugi mise ❝lb. domilia infiorini e la compagnia mise แ per la parte del alimosina lb. mile infiorini "e sono in somma lb. ciento ventiquatromiliaia "Infiorini E ordinato siè, quando faranno ragione della decta compagnia, ciascun abia 66 sua parte, sicome ne tocherà per miliaio. "Anchora siè ordinato che quali de compa

"

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gni non nauesse tanti di che potesse for“nire sua parte, che la compagnia lile presti, " e quello cotale ne doni alla compagnia ara"gione dotto per ciento lanno, benedecti da "dio. Ancora si è ordinato che quali chompagni tengono de loro de propi fuori del

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corpo dela compagnia et dourannoli ricie"uere dala compagnia, che la compagnia ne "doni a que cotali a ragione dotto per ciento "lanno, benedetti da dio. La detta conpagnia "scrisio Giotto de peruzi per volontade di "Maso e darnoldo sopradetti mercoledì il “die de la festa di santo saluadore die noue "di nouembre anno miletreciento. La decta compagnia sie scritta alibro segreto dela "detta compagnia cominciato in kalen no"uembre mile treciento tre nela carta se"gniata tre.

66

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"Dnus Phylippus peruzzi Biecchus, "*Guido, * Amideus, peruzzius, *Gieri, fratres "et filij dicti dni phylippi - Masus, Giottus, "et Arnoldus fratres et filii quondam Arnoldi peruzzi Rinieri et * Phylippus fratres "et filii quondam pacini peruzzi Tanus "Gherardus fratres et filii quondam Michi "Baroncelli Catellinus Mangie Infanga"- ti Gianni ser Manetti ponci "ciuenni folchi de folchis * Cione Bonac"corsi Bentaccorde * Gieri Loctieri "Johannes Villani Stoldi - *Johannes Ric"chi Ragugi Banchus Ragugi

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แ et eum faciant iurare dicere ueritatem et

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*

Ben

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"sunt sotii in dicta arte. Quos dicta die dictus Banchus retulit et jurauit et po"misit ut supra et fuit ipsam sotietatem "confessus. Item postea die tertio mensis februarij dicti Biechus, Peruzzius, Arnoldus, "Rinieri, Tanus, Gherardus, et Janni jurauerunt et promiserunt ut supra et fuerunt "confessi dictam sotietatem. "Item die [se"gue lacuna] februarii dictus dnus phylippus iurauit et promisit ut supra et confessus "fuit dictam sotietatem. Item die vigesimo "februarii dictus Giottus iurauit et promisit 66 ut supra, et fuit dictam sotietatem confessus. Item die Xo martij dictus Masus jura"uit et promisit ut supra et fuit dictam so"tietatem confessus. Item 1301 Indictione XIV "die XI aprilis dictus Catellinus jurauit et "promisit ut supra et fuit dictam sotietatem confessus

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66 nominare sotios suos omnes in arte cambii
"et filios qui cum eo starent ad tabulam et
"etatem excesserint xv annorum; et postea
"mictant consules pro sotiis suis per illum.
"noviter nominatis, et faciant iurare artem
"de nouo et servare statum artis huius et
"confiteri ipsos esse sotios illius, qui eos no-
"minauit esse
"
suos sotios, et scribatur illa
"confessio a notario consulum in quodam
quaterno, qui quaternus sit semper apud
"notarium et exemplatum apud consules, ut
"quandocumque inde copiam habere uo-
"luerint...., Questo quaderno è appunto
il registro, su accennato, delle matricolazioni,
e in quello che contiene le matricolazioni
fatte existentibus consulibus artis campso-
"rum ciuitatis florentie prouidissimis ac di-
"scretis uiris Cere de canigianis, Banco Ra-
"gugi, Nello arrighetti, Tencino Acerbi, Chis-
simo [forse Chiarissimo] Falconerii, et Gallo
"orlanduccii, quorum officium consulatus pre-
"fati initiauit in klis Januarii currentibus an-
"nis dni ab eius incarnatione millesimo tre-
"centesimo, indictione quartadecima, dun-
que del 1301, sotto il 21 di gennaio vediamo

2

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E nota che una postilla aggiunta a ciascuno dei nomi da noi segnato con asterisco, indica che questi cotali erano "abs[entes], e quindi impossibilitati a venire a prestare in persona il giuramento. 2

9

1 Cioè, come suona la dicitura in testa al detto registro: "dicere et nominare eorum sotios quos habent "in arte cambii, et ipsam artem cambii bene et legaliter "exercere, et statuta et ordinamenta dicte artis tam ❝edita quam edenda servare et stare et parere mandato " seu preceptis consulum artis prefate presentium et "futurorum ratione et occasione officii consulatus pre"fati...."

2 Per coloro a cui interessasse, potremo notare che il nome del Villani, come socio dei Peruzzi, compare anche nel volume Arte del Cambio, no. 8, sotto il 23 febbraio (1301 s. f.), e volume Arte del Cambio, no. 9 c. 3 r.

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