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Già il Boccaccio, il Buti e l'Anonimo fiorentino videro nel tal che testé piaggia papa Bonifazio VIII. Non però cosí gli altri antichi commentatori e non tutti fra i moderni. Spetta all'illustre professore Del Lungo l'aver messo la cosa in evidenza. Nell'appendice VII del suo preziosissimo commento alla Cronaca di Dino Compagni, mostrò come falsamente si intenda qui da molti Carlo di Valois che nella primavera del 1300 era occupato nelle guerre di Fiandra; e come invece perfettamente s'accordi il piaggiare di Bonifazio col "Colui che parole lusinghevoli da una mano usava, e da l'altra produceva il signore sopra noi, del Compagni (II, XI).

Ecco pertanto chi è Bonifazio per il nostro poeta: colui che piaggiando, stando cioè fra parte Bianca e parte Nera, finisce poi col far cadere i Bianchi e trionfare i Neri. E la chiamata di Vieri de' Cerchi a Roma sotto colore che parteggiava co' Ghibellini, per pacificarlo con Corso Donati, capo di parte Nera, in realtà per renderlo favorevole a' suoi disegni sulla Toscana, come dice il Ferreto, 3 mostra chiaramente il piaggiare di papa Bonifazio. E tale chiamata avvenne appunto nel 1300: il che darebbe ragione a credere che forse a questo fatto stesso pensasse Dante nel dettare il citato verso, dicendo appunto testé piaggia.

Nel '300, infatti, e nel '301 il papa non aveva altra mira che di prepararsi un forte partito in Toscana, su cui contare per mandar ad effetto i suoi disegni in caso che Alberto, re de' Romani, gli cedesse quella provincia; e stava quindi fra l'una e l'altra parte cercando possibilmente di amicarsele tutt' e due.

E fu solo in seguito alla resistenza di Vieri de' Cerchi, il capo di parte Bianca, ch' egli si decise a sostenere ad oltranza parte Nera, mandandovi nel '301 il d'Acquasparta e ricorrendo più tardi anche allo straniero per cacciare di nido i Bianchi. A proposito anzi dell' invío del cardinale d'Acquasparta, un passo di Dino mostra che i fiorentini s' erano accorti del piaggiare di papa Bonifazio. "Il papa, egli scrive (I, XXI), per abbassare lo stato de' Cerchi e de' loro seguaci, mandò a Firenze m. frate Matteo d'Acquasparta, cardinale Portuense, per pacificare i fiorentini Per pacificare i fiorentini non è che il pretesto della missione del legato; il vero fine è per abbassare lo stato

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1 Riferendosi a questo passo del Compagni, il Del Lungo nel suo Commento II, XXXV, 22 scrive che Dante era tutt'altro che dimentico de' torti di Bonifazio verso di lui in particolare. Tali torti consistono, come da quel passo si rileva, nell'aver papa Bonifazio trattenuto Dante a corte allorché questi col Corazza e il Minerbetti si recò a lui per impedire la venuta di Carlo di Valois. Su tale ambasceria parla il Del Lungo estesamente nel vol. I, cap. XI. pag. 211 e segg. Dal racconto che ivi ne è fatto risulta chiaro che Dante fu trattenuto perché conosciutissimo dal pontefice come a lui contrario, di parte Bianca, mentre il Corazza era guelfissimo, e col Minerbetti poteva intendersi facilmente. Anche qui dunque il torto non fu fatto alla persona di Dante, ma alla idea da lui rappresentata.

Dino Compagni, I, XXIII.

Historia, in Muratori, RR. II. SS., IX, 974-6.

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de Cerchi e de' loro seguaci. Il fatto stesso della partenza del cardinale senza nulla aver fatto "perché dalle parti non ebbe la commessione che voleva, come dice Dino, ne è prova manifesta. Non era, no, la pace fra i grandi e fra grandi e popolani che voleva il legato, giacché per questo la Signoria gli aveva dato autorità e balía, ma ridurre i Cerchi e i loro seguaci, cioè i Bianchi, a parteggiare co' Neri a danno della libertà comunale in favore della Chiesa. Usando con "discretezza de' poteri conferitigli, come dice la Provvisione 1 mostrando consapevolezza dei fini del legato, non poteva ottenere l'intento suo: donde la sua partenza senza aver potuto pacificare i fiorentini. E si noti che Dante, priore nel trimestre da giugno ad agosto, assisté benissimo a tutta l'opera del cardinale che, nominato con una bolla del 23 di maggio, si partí probabilmente verso la fine del luglio.

Ad ogni modo il procedere sempre ambiguo di papa Bonifazio nei rapporti colle due fazioni fiorentine durante il 1300 e il 1301 è troppo noto perch'io debba maggiormente fermarmi su questo punto.

In questo luogo del resto non abbiamo che un semplice accenno a Bonifazio VIII; l'ira terribile di Dante contro il pontefice traditore dei Guelfi Bianchi non ha qui che un primo sfogo. Essa si manifesterà ben maggiore nel resto del poema, in cui la triste figura di questo pontefice vien analizzata in tutta la sua bruttezza. Dante ce lo mostrerà usurpatore della sedia di san Pietro, simoniaco, fraudolento; per lui dovranno trascolorar nel paradiso tutti i suoi predecessori.

V.

Siamo nella III bolgia dell' VIII cerchio dell'Inferno, in cui stanno i colpevoli di simonia. Quivi un papa, Nicolò III, alla domanda di Dante chi egli sia, risponde con un'altra domanda:

Sei tu già costí ritto,

sei tu già costí ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mancò lo scritto.

Inf., XIX, v. 52 e segg.

Ecco dunque una prima accusa di Dante contro Bonifazio: lo dice simoniaco; lo mette anzi, ancor vivente, fra i simoniaci.

È code ta una calunnia del poeta, dei nemici del papa? O non fu in realtà simoniaco papa Bonifazio VIII?

Benvenuto da Imola commentando il passo dantesco scrive: "Hic Bonifacius fuit nobili genere, magnus animo, plusquam deceat Sacerdotem, dominativus, amator honoris et status Ecclesiae. Sua potentia et

1 DEL LUNGO: Commento I, XXI, 13.

DEL LUNGO: loc. cit., 11-14.

prudentia multum formidatus fuit, multum pecuniosus, amplectens lucra sine conscientia, allegans quod licitum erat omnia facere per exaltatione Ecclesie Mi pare che Benvenuto dia pienamente ragione a Dante dal momento che lo dice amplectens lucra sine conscientia.

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Ma dice egli il vero?

Ci racconta Dino Compagni (I, XIII) che i grandi di Firenze per abbattere Giano della Bella "mossono di Campagna un franco e ardito cavaliere, che aveva nome m. Gian di Celona, potente piú che leale, con alcune giurisdizioni a lui date dallo Imperadore. E venne in Toscana pa teggiato co' grandi di Firenze, e di volontà di papa Bonifazio, ecc. quem papa Bonifatius consentanee recepit scrive Tolomeo da Lucca. E più avanti (I, XVII): “ M. Giovan di Celona, venuto a petizione de' Grandi, volendo fornire ciò che promesso aveva, e acquistare ciò che gli era stato promesso, domandava la paga sua di cavalli D che seco aveva menati. Fugli dinegata, essendogli detto non aveva atteso quello aveva promesso, ecc. E poi: "I Fiorentini, sentendo questo, mandarono a papa Bonifazio, pregando che s' inframettesse in far tra loro accordo. E cosí fece: ché giudicò i Fiorentini gli diessino fiorini xx; i quali li dierno; ecc. „.

2

Le stesse cose, ma con maggiori particolari, ci racconta Tolomeo da Lucca ne' suoi Annales sotto l'anno 1296; e vi aggiunge: "Et dicti Thuscii.... eidem Bonifatio obtulerunt LXXX (20 000 dice Dino, e, meglio, 30 000 il Villani per conto di Firenze) florenos, quamvis non esset necessarium, quia adhuc dictus Adolphus confirmatus non erat in Imperio, et ideo eidem administrationis non competebat officium, nisi quantum suae genti placebat. Propter quam causam dictum dominum Joannem Papa remisit ad propria, dando fratri suo Episcopatum Leodiensem et pecuniam sibi retinuit pro terris Imperii eidem collatam, in hoc volens ostendere dominium Papae dominio Imperatoris praeferri Né Tolomeo ci inganna, giacché proprio nell' anno appresso 1296 troviamo vescovo di Liegi Ugo di Châlons fratello di Giovanni.

3

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E con poche varianti questo fatto è ricordato da tutti i cronisti contemporanei compresi i Guelfi Neri, fra i quali il Villani. 1

Bonifazio VIII dunque è simoniaco; egli vendette un vescovado; Dante non lo accusa a torto.

1 Ap. Muratori, RR. II. SS. XI.

'Tale data è erronea, come notò il DEL LUNGO: Commento I, XVII, 16: la cosa è invece da riferirsi al 1295, come dimostrò il signor G. LEVI, op. cit., pag. 13.

Gallia christiana, III, 891-93.

Conf. DEL LUNGO: Commento, I, XIII, 4 e seg.; e XVII, 8 e seg.

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Ma una ben più grave accusa sta nei versi che seguono:

Sei tu sí tosto di quell' aver sazio,

per lo qual non temesti torre a inganno
la bella donna, e di poi farne strazio?

Inf., XIX, v. 55 e segg.

Secondo il poeta dunque Bonifazio tolse a inganno, usurpò cioè la sedia di san Pietro.

2

È solo recentemente che si cercò di purgare papa Bonifazio da tale accusa, e ingegni non comuni vi si tentarono; ma con qual frutto? Ad onta dei dotti lavori, per non citarne altri, del Wiseman 1 e del Tosti, la storia non può vedere in Bonifazio che l' ursupatore del trono papale per aver istigato alla rinuncia Pietro da Morrone, comperando la tiara, sia pure collo scopo di sollevare il papato, da Carlo lo Zoppo promettendogli Sicilia. Il fatto d'aver ottenuto il suffragio da un conclave composto di otto italiani e di dodici francesi, creature questi ultimi di re Carlo, e che avrebbero dovuto essergli contrarî per la condotta altera che egli tenne verso il re nell' occasione della nomina di Celestino V; e il fatto d'avergli poi re Carlo consegnato il povero da Morrone che il furbo prete volle chiuso per timore avesse a parlare delle sue male arti, bastano da soli a dar ragione all' ipotesi che un accordo fra il Caetani ed il re sia realmente passato. Certo nessun documento potrà trovarsi che testifichi la cosa, ma è questione di logica, di buon senso. E poi basta pensare ai fatti, dirò cosí, concomitanti e susseguenti la nomina. Ci narra Tolomeo da Lucca 3 che, già pontificante Celestino V, Benedetto Caetani factus est quasi Dominus Curiae; il che è naturale essendo il povero Celestino troppo buono ed incapace di resistere alla natura impetuosa del cardinale. Ma poteva il Caetani, questa caricatura di Gregorio VII, come lo dice il Balbo, accontentarsi di ciò? Per attuare i suoi ambiziosi disegni gli era necessario essere pontefice; ed eccolo insinuare nell'animo del frate dubbî, timori.... e Celestino rinuncia al pontificato, fa il " E

3

gran rifiuto re Carlo che cosa faceva? La cosa è chiara: era troppo furbo il Caetani per non venire a patti con lui. Statim sui ministeriis atque astutiis, dice Tolomeo, factus est Dominus Curiae et amicus Regis. Natural

3

1 Memoria inserita nel vol. XI degli Annali di scienze religiøse.

2 Storia di Bonifazio VIII, Milano, 1848.

Storia ecclesias., lib. XXIV, cap. 31.

4 Somm, della st. it., età sesta: Dei Comuni.

5 Annales, ap. Muratori. Vol. cit. pag. 1300.

mente il cardinale fece vedere a Carlo che Celestino attendeva allo spirituale e punto al temporale, mentre era il caso di.... far diversamente. Lui papa, le cose sarebbero andate in altro modo, e Sicilia sarebbe stata un'altra gemma alla corona di Napoli. Ed ecco seguire alla rinuncia di Celestino l'esaltazione del Caetani e più tardi la discesa in Italia del Valese.

Per me la cosa è chiarissima: non v' ha punto di dubbio. Chi volesse darsi ragione di ciò non ha che da leggere l'opera citata del Tosti, la rassegna che ne fece il prof. L. Scarabelli e lo studio del prof. Ambrogio Roviglio intitolato La Rinuncia di Celestino V.2

Un pontefice pertanto che fa rinunciare il suo predecessore e deve la tiara alla interessata inframmettenza di un re, non è egli usurpatore? Non ha egli tolto a inganno la bella donna? E Dante, che nel poema ci dà tutto il tempo suo, avrebbe certamente mancato se non avesse posto quel papa, la più importante figura del trecento, Bonifazio VIII, al posto suo.

VII.

La terza accusa che move il poeta a Bonifazio VIII è di frode. Facendo parlare Guido da Montefeltro, dice che lo principe dei nuovi Farisei, papa Bonifazio

Né sommo ufficio, né ordini sacri
guardò in sé

Inf., XXVII, v. 91-2.

ma indusse Guido a indicargli il modo di prendere Palestrina dalle mani dei Colonnesi promettendogli anticipata assoluzione; e Guido gli diede il famoso consiglio

Lunga promessa con l'attender corto.

Doppia risulta qui l'iniquità del papa: l'aver fatto peccare uno che de' tanti peccati commessi stava facendo penitenza, e l'aver usato di frode nella lotta contro i Colonna, in quell' inaudito scandalo, come dice il Del Lungo, che fu la colonnese crociata.

3

Il Tosti occupa un intero capitolo per difendere il papa dall' imputazione d'avere smantellata Palestrina contro i patti, traendo argomento dalla impossibitità in che si trovava Guido da Montefeltro di dare il

1 In Archiv. stor. ital., serie I, app. 20, pagg. 295-315.

• Padova-Verona, Drucker, 1893.

Dino Compagni, ecc., I, 541.

Op. cit., vol. II, nota B.

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