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non era meno ardentemente conteso dai Cantoni alpini immediati, all'esistenza dei quali era indispensabile, non solo per la libera esportazione dei loro prodotti soggetti a gravissime tasse ed a balzelli d'ogni maniera; ma ben più per l'importazione dei grani e di quanto è necessario alla vita, che assai difficilmente poteano procurarsi dagli opposti versanti. E poichè sì le imposte che i dazj, i diritti di pedaggio ed altri balzelli divenivano talvolta insopportabili, non solo per le indiscrete pretese dei varii feudatarii, ma ben più per le vessazioni ed ingordigia dei loro agenti nell'esazione delle medesime, così ripeteansi sovente parziali litigi, d'onde sommosse e ribellioni che nel volgere dei secoli XIV, XV e XVI insanguinarono la ridente regione dei laghi subalpini e finirono per tramutarne i posteriori destini.

Restringendo ora le nostre osservazioni alla sola Contea di Bellinzona, della quale ci proponiamo illustrare e classificare i monumenti metallici, ossia le monete, premetteremo brevi cenni sulla sua origine, per procedere poscia a tracciarne le politiche vicende che valgono a chiarire i monumenti medesimi e che sono da questi alla loro volta documentate.1

Se dobbiamo prestar fede a Gregorio di Tours nella sua Storia (Lib. X, Cap. 3.o), Bellinzona sin dal secolo VI era un castello appartenente alla città di Milano; nel volgere dei secoli successivi divenne capo di un Contado e ne fu assegnato il possesso al vescovo di Como il quale, per privilegio accordatogli dall'imperatore Lodovico Pio, vi esercitava giurisdizione e ne percepiva i tributi, i dazj, ecc., come da un diploma citato dal Muratori negli Annali, e pubblicato dall' Ughelli e dal Tatti. Sembra però che una parte del Castello fosse in potere dei Reti, poichè il P. Tatti nella sua Storia produce un diploma del 25 marzo 1002 col quale

1 La storia di Bellinzona è oltre modo intrecciata nelle storie di Como, di Milano e della Repubblica elvetica, al governo delle quali successivamente ed alternativamente appartenne. sicchè a raccoglierne e districarne le varie fila inserite e sparse nell'una o nell'altra, per poi rannodarle ed ordirle in una sola tela separata, ci fu d'uopo rintracciarle presso i più accreditati autori delle medesime, quali sono il Giulini, il Verri ed il Rosmini per la storia di Milano, il Cantù ed il Monti per quella di Como, ed il Müller per quella della Confederazione elvetica. Nè abbiamo preterite le speciali monografie del Leu e del Lavizzari sullo stesso argomento.

il re Arduino, ad istanza della regina Berta sua moglie, cedette al vescovo di Como, Pietro, eziandio quella parte di Castello con una porta che fin allora avea servito a pubblico uso. Lo stesso autore pubblicò pure un altro diploma dell'anno 1026, col quale il re Corrado II, ad istanza della regina Gisla, donava al vescovo Alberico l'intero contado di Mesocco con tutta quella valle che fin allora era stata governata da un Tedesco in nome dello stesso re. Quindi scendendo ai secoli posteriori troviamo che quasi tutta la regione settentrionale dell' agro comasco, compresa Bellinzona, apparteneva al Comune ed alla Diocesi di Como, tranne le valli di Riviera, Blenio e Leventina che formavano parte della Diocesi e Comune di Milano. Questa vicinanza e più di tutto le gare delle fazioni provocarono frequenti conflitti tra Comaschi e Milanesi ; e nel 1242 questi ultimi sotto il comando del loro podestà Luca Grimaldi tolsero ai primi Bellinzona, Lugano e Mendrisio; ma ricompostisi i Comaschi negli anni successivi e collegatisi con Loterio Rusca e coi Torriani nemici dell'arcivescovo Ottone, nel 1285 riconquistarono Lugano e Bellinzona, impadronendosi ancora di Castel Seprio d'onde minacciavano Varese. Interpostisi allora alcuni cittadini eminenti, indussero le due repubbliche a stringersi amichevolmente la mano, restando Ottone signor di Milano e Loterio Rusca signore di Como. Il continuo agitarsi delle fazioni a quel tempo non accordava durata alle paci. Successo Matteo Visconti al governo di Milano e creato Vicario imperiale, rinnovò la guerra contro i Comaschi, ritogliendo loro Bellinzona e Lugano nel 1303 ed affidandone la custodia ai Rusconi. Questi nel 1307 vendettero il Castello di Bellinzona per 4000 lire ai Vitani loro nemici, già ritornati al governo della Repubblica. Venti anni dopo, sceso Lodovico il Bavaro in Italia, vendette ad Azzone Vi

2 Ci asteniamo dal riferire, perchè gratuite, altre donazioni accennate dal Leu all'articolo Bellenz, secondo le quali già sin dal principio dell' VIII secolo il re longobardo Liutprando avrebbe donato la contea di Bellinzona a Deodato vescovo di Como, e più tardi Desiderio l'avrebbe confermata al vescovo Teodolfo. Similmente nel 978 l'imperatore Ottone III l'avrebbe accordata al vescovo Adelgisio; e gli imperatori Enrico II e III l'avrebbero concessa ai vescovi successivi. Dal che potrebbesi per avventura arguire, che nei secoli di mezzo quella contea fu assai probabilmente usufruttata dai vescovi di Como, sino all'istituzione dei Comuni.

sconti il Vicariato imperiale in Milano e quello di Como a Franchino Rusca, figlio di Loterio. Ben presto il primo usurpò la Signoria di Milano, ed il secondo quella di Como, ricuperando così tutte le terre che ne dipendevano, compresa Bellinzona e le valli circostanti. Imbaldanzito dalla prospera fortuna, alleatosi con Azzone e Mastino della Scala, aspirò ad estendere il dominio, togliendo ai Grassi il borgo di Cantù ed imponendo come vescovo ai Comaschi il proprio fratello Valeriano, in onta all'interdetto del Pontefice. Disgustò il popolo, e la fazione dei Vitani risollevatasi lo ridusse a tal partito, che nel 1335 dovette cedere la signoria di Como all'astuto Azzone, accontentandosi di serbare per sè il contado di Bellinzona, ove trascinò misera vita sino all'anno 1339 in cui morì.

Nell'agosto dello stesso anno avendo cessato di vivere anche Azzone Visconti, Loterio II Rusca figlio di Franchino, malcontento d'essere ristretto alla sola signoria di Bellinzona ed impaziente di ricuperare gli antichi possedimenti della sua famiglia, insorse nel febbraio del 1340 contro i fratelli Luchino e Giovanni Visconti successi ad Azzone. Questi inviarono tosto un corpo di armati a reprimere quella ribellione; assediarono per ben due mesi il castello di Bellinzona, e finalmente, in via di transazione, gli zii di Loterio, in nome pure di tutti i membri della loro famiglia, il 1 di maggio 1340 convennero di cedere Bellinzona colla sua fortezza nelle mani del cavaliere Giovanni Besozzi allora podestà di Como, affinchè la reggesse in nome dei Visconti, nè avesse mai a consegnarla ad altri fuorchè ai Rusconi. Così si acchetarono gli animi per alcuni anni, sinchè questi ultimi, che non aveano mai abdicato ai propri diritti su quella contea, impotenti di redimerla da soli, li cedettero, o per patto nuziale, od altrimenti, al barone Alberto di Sax potente signore di Mesocco, Belmonte ed altri territorî limitrofi, il quale ne assunse il governo non contrastato dai Visconti, troppo occupati allora in continue guerre coi varî principi italiani invidiosi dell'esteso loro dominio. Allorchè divenne signore e duca di Milano il potente ed ambizioso Gian Galeazzo, che ben riconosceva la somma importanza strategica di Bellinzona e delle valli circostanti, non tardò a rivendicarne il possesso, inducendo a cederlo Enrico di Sax figlio ed erede di Alberto, parte con blandizie, e

parte con generose promesse che poi non attenne. E perciò, come era a prevedersi, alla sua morte avvenuta nell'anno 1402, più accanite si riaccesero le contese per la ricupera di quelle terre, i cui abitanti fremevano estenuati dalle ripetute vessazioni degli anteriori governi.

A suscitare un conflitto che dovea per lunghi anni seminare di stragi quella pacifica regione, somministrò la prima scintilla una privata contesa.

Appunto nell'autunno dell'anno 1402, alcuni pastori dei Cantoni Svizzeri di Uri e dell' Unterwalden, giusta il consueto, eransi recati col loro bestiame alla fiera di Varese ed ivi, essendo venuti a contesa cogli agenti ducali per certi diritti di dazio e di pedaggio, furono loro confiscati buoi e cavalli dagli esattori del duca Giovanni Maria poco prima successo al padre. Irritati, dovettero ritornarsene colle mani vuote ai loro monti, d'onde col mezzo di ripetute istanze e messaggi alla Corte ducale, pel corso di varî mesi tentarono invano di ottenere giustizia e congruo risarcimento dei danni sofferti. Risoluti di farsi giustizia da sè medesimi sollevarono tutto il paese, e varcato il S. Gottardo, scesero d'improvviso armati ed invasero la valle Leventina sino. ad Airolo, i di cui abitanti già da gran tempo malcontenti ed oppressi dalle angherie dei feudatarî, di buon grado accolsero i nuovi ospiti e giurarono di sottomettersi all'autorità di Uri e di Unterwalden, d' obbedire alle loro leggi, di ricevere e stipendiare i loro giudici, di pagar loro il tributo che soleano pagare al Duca, accordando loro libero passaggio esente da qualsiasi pedaggio, di ospitare le loro truppe ausiliarie a spese della valle e d'osservare lealmente quel trattato sotto la responsabilità della propria vita e dei propri beni. Nè passò gran tempo che si unirono loro con egual giuramento anche i vicini abitanti di Abiasco appartenente alla valle di Riviera e dipendente da Bellinzona. Incoraggiti dal successo favorevole agli Svizzeri, anche i figli e successori di Enrico di Sax stimarono opportuna quell'occasione per ricuperare Bellinzona e per conseguirne ed assicurarsene il successivo possesso, con formale trattato conchiuso nel 1406, si collegarono ai Cantoni di Uri ed Unterwalden i quali accordarono loro la concittadinanza alle seguenti condizioni: La piazza di Bellinzona dover essere aperta ai Cantoni e non poter passare in altre mani

senza il loro consenso. Inoltre i Signori di Sax sosterranno le spese d'ambasciata e di guerra dirette alla conservazione dei loro possedimenti; pagheranno duecento fiorini annui ai due Cantoni, custodiranno il passaggio, mentre gli abitanti dei due Cantoni, del pari che i loro protetti di Orsera, della Leventina e di Abiasco non pagheranno nè pedaggio, nè diritti di dogana per le loro merci.

Per tal modo i fratelli Giovanni, Donato e Gaspare di Sax, signori di Mesocco, ecc., creati landamanni di Uri e di Unterwalden s'impadronirono di Bellinzona e terre dipendenti.

Era il duca Giovanni Maria troppo impacciato a quel tempo in serii conflitti coi principi italiani che gli contendeano le conquiste fatte dal padre, per tentare la ricupera di Bellinzona, alla quale rivolse più tardi le sue cure il fratello Filippo Maria, non appena si fu sbarazzato dai varî pretendenti sollevatisi in varie città lombarde. Da principio indusse astutamente con blandizie e promesse il conte Antonio Rusca, del ramo cadetto, a cedergli formalmente i proprî diritti ereditarî su Bellinzona. Indi, avendo il conte Loterio Rusca, al quale il Duca, per servigi prestatigli, aveva accordato la valle di Lugano, chiesta in isposa la figlia ed erede di Giovanni di Sax, questi gliela promise a condizione che il conte ottenesse dalla Corte ducale l'investitura di Bellinzona, al che di buon grado annuì l'astuto Duca. Il contratto fu conchiuso; ma contro i patti d'alleanza e contro la volontà dei due Cantoni i quali, ad impedirne l'esecuzione, ricorsero all'aiuto ed alla mediazione dei loro confederati di Schwitz e di Lucerna, non meno interessati alla conservazione di quel possesso, ed appunto col minaccioso loro intervento, transigendo, pervennero ad acquistare da Giovanni di Sax al prezzo di 2400 fiorini la bella ed importante regione racchiusa tra lo sbocco della valle Leventina e le falde del monte Ceneri, compresa Bellinzona; e poichè trattavasi d'un feudo imperiale, si affrettarono ancora a conseguire la conferma di quel contratto dall'imperatore Sigismondo sceso nel 1413 in Italia.

Deluso il Duca nei propri disegni, ma sempre più convinto della necessità di ricuperare Bellinzona per la sicurezza del proprio Stato, prima contrapose risolute minaccie di guerra, poi stimò più saggio e prudente partito offrire ai Cantoni confederati il

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