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chiarne i rimedi; studiare l'antica istoria, imperocchè gran vergogna è che un italiano non sappia cosa sia stata negli antichi tempi l'Italia. E molti sono che non sanno cosa ella sia oggidì: e per vanità e leggerezza parlano in tutte le ore di cose politiche, e fanno e disfanno i regni, e sommovono e riordinano le nazioni come se niente fosse. Ciance son queste, che imparano facilmente gli uomini di poco valore, che, come deboli a tanto peso, le cose gravi non sanno imparare, e volendo parer personaggi d'importanza, ti ripeton sempre quelle loro frasi vuote, insipienti e barbare che formano tutta la loro suppellettile. Invece di sciupare così miseramente il tempo, sarebbe assai meglio leggere ed imparare; e a chi manca agio, capacità o volontà, un po' di modestia non istarebbe male. Solone nell'ultimo giorno di sua vita, udendo i suoi amici disputare, levò il capo di sul guanciale; e demandato perchè questo facesse, rispose: « Acciocchè questo, che voi disputate, ciò che si sia, io in prima l'impari, e poi mi muoia (1) ». Giuliano solea dire: « Se io avessi già l'un piè nel sepolcro, ancora vorrei imparare (2) ». E noi vediamo moltissimi, che non sono Soloni nè Giuliani; e che hanno ancora l'un piè nella scuola, quando non l'abbiam nella bisca e nel bordello, e credono di non aver più nulla da imparare, e quelli che imparano, come uomini da poco, disprezzano e, per parer liberi, contro alle meritate riputazioni si avventano; ma ammarrare i grandi personaggi parve ai nostri avi opera regia, e non di libertà (3). So che, così parlando, a molti spiaccio: ma io ripeto con Seneca: « piuttosto voglio

(1) VALERIO MASSIMO, 1. viii.

(2) Diges., 1. XL.

(3) TACITO, Ann., xvi.

con verità offendere, che con falsa lode piacere (1) ». D'altronde questi ammaestramenti non sono miei, ma dei nostri antichi; se diversamente fosse avrei io usato di porre a questo capitolo un titolo, che rammenta Machiavelli ed Alfieri? E giacchè ho nominato l'Alfieri dico, che io dissento da lui quando afferma, « che i lumi moltiplicati e sparpagliati fra molti uomini li facciano assai più parlare, molto meno sentire e niente affatto operare (2) », ma vero egli è che chi più parla meno sente e meno opera, quasi che quello sfogo indebolisca in lui lo sdegno del male, e la forza operativa in prò del bene.

Sono le libere idee, i liberi sentimenti, i liberi costumi, e non le libere parole, che creano le politiche libertà. <«< Tutti i sapienti sono liberi, dicea Cicerone, tutti gli stolti sono schiavi (3)». E veramente come un uomo può esser libero nella civile comunanza, quando la sua mente è schiava dell'ignoranza, degli errori, de pregiudizi, dello spirito di parte? quando il suo cuore è schiavo dell'ambizione, della vanità, della cupidità di possedere e d'acquistare, delle smodate passioni, de' vizi? quando i suoi costumi sono schiavi di male abitudini, di mala educazione, di cortigianeria co' principi, di cortigianeria col volgo, di connivenza co' tristi, degli infingimenti codardi e delle codarde insolenze? Che libero uomo volete sia colui, il quale le ragioni e gli ordini della libertà ignora, i liberi affetti o non sente o scambia coll' odio all' oppressore, o col desiderio di vendicare le ingiurie ricevute, e che con brutte arti ricerca di conseguire un fine ch'è santo? Sottomettersi a questo, far coda a quello

(1) De Clement., 11.

(2) Del Principe, c. VIII.

(5) Omnes sapientes liberos esse; el stullos omnes servos. Paradox.

altro, voler soprastare a' più degni con sette e compagnie, e riputar lo stato come sua ricchezza, sua bottega, dote delle sue figliuole, alimento del suo lusso e de' suoi vizi; careggiare una parte de' cittadini, un'altra sprezzare; questa città magnificare, quell' altra abbassare; i propri comodi all'utile dell' universale anteporre; il carcere e l'esilio, che dovrebbero esser santi, con male opere infamare; odiare il tiranno invece della tirannide, ovvero ogni legge come tirannica avversare; sono queste opere, non di uomini degni d'esser liberi, ma di schiavi.

Nè i mezzi materiali debbonsi trasandare. La fede nella giustizia della causa per la quale si combatte, è molto; ma con la sola fede si rovina sè e gli altri, come fece Pietro l'eremita. Miracoli grandissimi operò nell'anno quarantotto l'entusiasmo popolare; ma presso che tutti rimasero infruttuosi per mancanza di sapienza civile e di militare disciplina. Tutti i giovani italiani hanno dovere di apparecchiarsi a militare in pro' della patria; e tutti lo possono. Dove è vietato l'esercizio delle armi, non è vietato studiare matematiche, fisica, chimica, meccanica, topografia, e tutte quelle scienze ed arti che sono necessarie alla strategica, alla tattica, all' ingegneria militare, alla costruzione delle armi, alla fabbricazione delle munizioni. Utilissima cosa è anco leggere la storia delle guerre combattute in Italia, meditare le azioni dei capitani illustri, ricercare come si sono governati, esaminare le cagioni delle vittorie e delle sconfitte, e i luoghi dove la natura fu all'arte e al valore di aiuto, e dove contraria. E non è meno utile assuefare la persona a' disagi, alla scarsezza del cibo, alle lunghe marce, alle faticose salite, a non curar le intemperie, e caldo e freddo sostenere, a sulla nuda terra dormire. Bisogna imparare la natura de' siti, la struttura delle fortezze, la collocazione e forma delle città, la lunghezza delle strade, la disposizione de'

sentieri, e come sorgono i monti, come imboccano le valli, come giacciono i piani, come scorrono i fiumi, e dove sian guadabili, dove no, e che produca la tal contrada, che non produca la tal altra, quali comodi, facilità, aiuti, impedimenti si trovino in una o in un'altra provincia. Fu vergogna nostra grandissima nell' ultima guerra, che i bassi ufficiali austriaci conoscessero meglio de' generali italiani la topografia d'Italia e le vere condizioni militari di ciascun luogo. E sopra tutto bisogna imparare a ubbidire. « Ubbidienza fa buoni soldati, non curiosità; e quello esercito nella prova è fortissimo, che innanzi alla prova sta quietissimo (1)».

Si deve intendere per guerra nazionale e popolare, non una guerra senza scienza, senz'arte e senza ordini militari, nella quale i capitani sieno ignorantissimi, i soldati insolenti e contumaci; ma una guerra ch' abbia uno scopo nazionale e popolare, alla quale contribuisca tutto quanto v'è nella nazione di scienza, d' ingegno, di coraggio, di disinteresse, di fede, di probità e di furore. Pessima cosa ell'è, che nelle guerre ciascuno si faccia autore delle vittorie, e delle rotte si dia la colpa a un solo! (2); ma nelle guerre di popolo spesso è non meno stolta cosa attribuirsi solo il merito della vittoria. Quando Milziade, dopo la battaglia di Maratona, chiedeva la corona dei vincitori, un cittadino gli disse: « l'avrai, o Milziade, quando tu solo vincerai i barbari».

Ed a' giovani particolarmente io mi rivolgo, perchè da loro la più gran parte delle cose pessime o ottime hanno sempre principio. Scipione, detto di poi Africano, avea ventiquattro anni quando ristaurava la romana fortuna

(1) TACITO, Storie, 1. 1.

(2) Iniquissima hæc bellorum conditio est: prospera omnes sibi vindicant adversa uni imputantur. TACITO, Vita di Agricola, xxvII.

Storia d'Italia

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nelle Spagne; Gastone di Foix, ventidue anni nelle sue strepitose imprese di Lombardia; Baiardo, diciannove anni nella giornata di Fornovo; Giovanni delle Bande nere ventotto anni avea compiti appena quando morì: a diciotto anni Cosimo de' Medici diventò signore di Firenze, e Carlo V dell' impero: Francesco I avea ventitre anui allorquando cominciò la guerra d'Italia; e Masaniello ventiquattro anni quando sollevò Napoli; lo stesso fece a Parigi Camillo Desmoulins a ventisei anni. Hoche a venticinque anni comandava, l'esercito della Mosella; Bonaparte a ventisei anni, quello d'Italia: a ventisei anni moriva Saint-Just. Ma appunto perchè tanta potenza operativa hanno i giovani, importa ch'essa sia volta sin da principio al bene, e che sia purissima d'ogni immistione di male. Lungi da voi, o giovani, gli uomini corrotti, che gridan libertà in piazza e sono tirannelli nelle proprie case, che esaltano l' egualità e opprimono i sottoposti, che parlan sempre del pubblico bene e non attendono che al loro utile privato, che vogliono rigenerare il mondo e non bastano a rigenerare sè stessi: lungi da voi, o giovani, gli ambiziosi e i codardi, chi cerca protettori nelle corti o partigiani ne' lupanari. Platone andava a Siracusa per mansuefare l'animo del tiranno Dionisio, e Tommaso Moro era gran cancelliere di Arrigo VIII re d'Inghilterra; ma per entrare nella selva delle Arpie bisogna esser Ercole, e chi Ercole non è si stia fuori. Il contatto de' cattivi insudicia le persone e la causa che si difende. «Quest'è una potenza de' malvagi costumi, diceva un antico, che la malvagità dei pochi disconcino la innocenza della moltitudine; conciossiacosachè per contrario la pochezza dei buoni per comunanza di virtude non possa scusare la malvagità de' molti (1)». Nè illuda la speranza dell'utile,

(1)Bartolomeo da San Concordio, Ammaest, degli antichi.

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