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loro dipinti in comune e individuali sparsi in tutto il mondo, una ricca bibliografia, un prezioso indice alfabetico dei pittori, scultori, architetti nominati nel volume e ben sedici nitide riproduzioni di dipinti dell'Aspertini, del Bagnacavallo, del Tibaldi, dei tre Carracci e del Domenichino arricchiscono l'opera bella ed entusiastica del Rouchés.

Contemporaneamente alla bell'opera del Rouchés, Aldo Foratti mandava fuori il suo studio su 1 Carracci nella teoria e nella pratica e, notando che l'arte loro non era stata ancora studiata ne' singoli atteggiamenti e nel complesso sviluppo, affermava la necessità della ricerca metodica di ogni elemento informatore della scuola carraccesca. Non conscio della monografia del Rouchés, che appunto colmava questa lacuna, il Foratti in un lavoro sintetico, che vorrebbe essere la introduzione della vagheggiata opera storica, indaga intorno alla pittura bolognese e alla sua tradizione, alle nuove forme d'arte ed all'influenza dei trattatisti per determinare gli inizi e lo sviluppo della scuola carraccesca e l'arte dei tre cugini, l'uno maestro (Ludovico), l'altro pittore e incisore (Agostino) e il terzo pittore sommo (Annibale), e per ultimo le prime orme carraccesche in Bologna.

Anche il Foratti, che innegabilmente ha un temperamento maggiore di critico e di filosofo che non sia il Rouchés, illustra la sua trattazione con dodici nitide zincotipie a conferma delle proprie teorie ed affermazioni.

Non è vano notare la coincidenza dei due studî: in Francia come in Italia si attende alla riabilitazione del Seicento pittorico nostro ed alla glorificazione dei Carracci.

L. C. BOLLEA.

SALVATORE FOA, Gli Ebrei nel Monferrato nei secoli XVI e XVII. Alessandria, 1914.

162. Il prof. Foa in questo studio, edito a cura della Società di storia della provincia di Alessandria, svolge un argomento finora trascurato dalla maggior parte degli storici, giovandosi principalmente di minute indagini che con gran diligenza ha condotto nell'Arch. di Stato di Torino, dove documenti abbondanti e ancora poco noti (alcuni sono riportati in app.) furono trasportati nel passaggio di Casale sotto il dominio sabaudo dopo la guerra di successione di Spagna.

Precede un succoso riassunto storico, nel quale l'A. prende in esame la questione della provenienza degli Ebrei del Monferrato e ritiene che la maggior parte vi fosse venuta alla fine del sec. xv dalla Savoia e dalla Spagna (dopo il 1492). Considera poi il trattamento a cui erano sottoposti, buono sotto i Paleologi, i primi Gonzaga e i Gonzaga-Nevers. Ma nella seconda metà del sec. XVI andarono soggetti ad editti restrittivi, a causa della reazione cattolica, e durante le guerre di successione (1613-1631) subirono la sorte comune delle devastazioni e dei saccheggi.

Nei capp. seguenti studia, talvolta con soverchia minutezza, le loro condizioni sociali (ampia libertà di commercio, esclusione dalla proprietà fondiaria, dall'arte militare e dalle arti liberali eccetto quella della medicina), le condizioni economiche (principale occupazione il commercio del danaro ad usura, con 48 banchi nel 1576, che le guerre in parte rovinarono, deprimendo le loro floride condizioni), le relazioni con lo Stato (garantita la libertà religiosa, la protezione sulla vita e sugli averi, ben assicurata l'amministrazione della giustizia), i rapporti fiscali (contribuzioni, donativi ai principi).

Al principio del sec. XVII gli Ebrei nel Monferrato erano circa mezzo migliaio e il numero era aumentato del doppio quando passarono sotto i Savoia. Si cercò sempre di evitare il loro lungo contatto con i cristiani, ma l'obbligo del ghetto non ci fu mai.

È una pubblicazione fatta con cura e merita lode il giovane studioso per avere gettato gran luce su un argomento interessante e finora mal conosciuto.

R. BERGADANI.

PIETRO BAROCELLI, Il viaggio del dott. Vitaliano Donati in Oriente (1759-1762) in relazione colle prime origini del Museo egiziano di Torino. Torino, Bona, 1912.

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163. A favorire gli studi orientali intorno alla metà del secolo XVIII non ultimo era stato Carlo Emanuele III, il quale aveva dato incarico a Vitaliano Donati, professore dell'Ateneo torinese, di fare all'uopo un viaggio in Egitto per cercare ed acquistare manoscritti, mummie, medaglie, statue.

Dal 1759 al 1762 il Donati, competente per quanto allora lo permettevano i risultati della scienza, cercò, acquistò, e la sua

raccolta fu formata, dopo cure pazienti e molteplici, di due statue, di idoli, di lucerne, di vasi, di amuleti di più sorta, di mummie di animali, tanto che la barca che aveva riuniti al Cairo per poi spedire a Torino gli oggetti, ne rimase fin troppo carica, e vi entrava acqua.

Il Barocelli ricerca ora e studia, fra mezzo a tutti gli altri del Museo egiziano di Torino, gli oggetti pregevoli della raccolta Donati, che ne costituiscono il nucleo primitivo, e s'indugia in particolar modo sulle due statue, identificando per statua della dea Sechet di Menfi quella che il Donati aveva ritenuto di Iside, e spiegando quella di Ramesse II come non originaria, sebbene rozzo adattamento con lievi aggiunte. A. LEONE.

PUBBLICAZIONI VARIE

nel primo centenario della morte di Giambattista Bodoni.

Compiendosi, ai 30 novembre 1913, i primi cent'anni dalla morte del grande tipografo, uscirono molte pubblicazioni di circostanza, la più parte delle quali, secondo giudizi già espressi, non van confuse con le solite dello stesso genere, giacchè del carattere occasionale hanno l'interesse particolare, non i troppo noti difetti.

164. La serie fu aperta da Giuseppe Fumagalli con uno studio edito nel fascicolo del gennaio 1912 della raccolta mensile Il Risorgimento Grafico (1). Col sussidio delle Vite già esistenti (Passerini, De Lama, Bernardi), delle fonti edite ed anche di alcuni documenti inediti (dell'Estense di Modena), brevemente compendia la biografia del tipografo. Parla della sua attività punzonistica, mostrandone l'eccellenza ed anche le deficenze e accennando ai collaboratori (2),

(1) G. Fumagalli, G. B. Bodoni; ripubblicato, con aggiunte e il titolo Notizia biografica di Giambattista Bodoni al principio del volume di R. Bertieri, di cui si dirà più avanti.

(2) A proposito di questi cade in diverse inesattezze : la fonderia degli Amoretti fu trasportata a Parma nel 1827, non nel 1797; Andrea Amoretti, che era sacerdote, non ebbe alcun fratello di nome Antonio. E' da notare anche che il F., pel giorno della nascita del Bodoni, ricade nell'errore del De Lama, corretto già dal Bernardi (26, non 16 febbraio 1740).

delle sue stampe che loda assai (1), di alcune delle più belle e rare edizioni, degli onori a lui tributati e da lui saputi moltiplicare anche col saper vivere. Passando a giudicare dell'opera di editore, ne mostra le gravi lacune e afferma l'« incapacità psichica» di lui a comprendere e seguire le alte finalità della stampa. Dà infine un giudizio forse troppo sfavorevole sulla cultura del Bodoni, mentre ne loda assai il carattere e l'aspetto. E' nel complesso una compilazione accurata e pregevole, che reca pure qualche nuova notizia sulla tecnica del Saluzzese e sugli sforzi vani del vicerè di Milano per tirarlo in quella capitale (2).

165. Circa il carattere, l'animo del tipografo ha importanza tutt'affatto speciale un buon articolo di Ettore Rota, Anche G. B. Bodoni coi giansenisti (3). Questi, valendosi particolarmente di lettere inedite del noto piacentino Giuseppe Poggi e della propria ragguardevole conoscenza della storia religiosa e filosofica del secolo XVIII, illustra il sentire giansenista del tipografo, accennando alle nuove correnti spirituali nel ducato. Mentre alle idee giansenistiche aderiva apertamente, con non molti altri, il Poggi, divenuto poi giacobino ed esule, le simpatie del Bodoni per esse rimasero sempre circoscritte alle relazioni degli amici intimi e furono soprattutto ispirate dalla sua ammirazione per l'austerità morale e la modestia della vita, professate dai giansenisti. Così il suo colore giansenista era rimasto finora quasi ignoto, tanto più che la consueta prudenza non gli permise mai di concedere i torchi per la stampa di opere di quell'indirizzo. Il che non interruppe la cordiale amicizia fra lui e il Poggi: ancora nel 1811, era a questo dal tipografo agevolata l'elezione a membro

(1) Pur ricordando, nella ristampa, e in parte accettando il severo giudizio di A. Bertarelli sul Bodoni, quale decoratore del libro (G. B. B. e la decorazione del libro, in « Il Libro e la Stampa », N. S., anno VI, fasc. 4-6, luglio-dicembre 1912, pp. 176-80).

(2) Questi sforzi sono stati felicemente illustrati da G. Vittani con una memoria basata su documenti e ricca di notizie nuove (Giambattista Bodoni e la stamperia di Milano, nel fascicolo luglioottobre 1913 della rivista < Il Libro e la Stampa »).

(3) Nel fasc. I del I anno (gennaio 1913) dell' « Athenæum », pagine 84-97.

del corpo legislativo pel dip. del Taro, come appare dalla lettera con cui l'eletto lo ringraziava da Parigi.

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166. Un primo discorso commemorativo fu fatto a Torino da Dino Mantovani ai 10 aprile 1913, cinque soli giorni avanti la morte immatura e compianta (1). Eloquente rievocazione dell'artista, si fonda sui principali lavori già editi: acutamente vi è illustrato il formarsi di questo nelle circostanze dei luoghi e dei tempi e lo svolgersi della sua attività verso l'ideale di perfezione e la sua psicologia e le ragioni profonde dell'arte sua. Le inesattezze che qua e là si possono notare (2), si scusano facilmente in una conferenza pubblicata postuma.

167. Assai importante per la natura sua e pel modo egregio onde fu compiuta, è l'opera di Antonio Boselli: Il carteggio bodoniano della « Palatina » di Parma (3). Una sobria, sugosa introduzione spiega le vicende e l'importanza del carteggio che il bibliotecario Pezzana seppe assicurare alla Palatina, e traccia le linee del lavoro. Il quale comprende anzitutto il catalogo del carteggio medesimo, ossia delle non molte lettere e minute del tipografo rimaste tra le sue carte e delle numerosissime lettere a lui (oltre cinquanta pagine rese anche più perspicue dalla stampa): opera di esemplare diligenza, con frequenti illustrazioni e

(1) Pubblicata nel n. 2 dell'anno Il de L'Arte Tipografica. Rivista tecnica delle arti grafiche edita dalla Regia Scuola Tipografica di Torino, 1914, pp. 57-69; e prima ancora, quasi integralmente e con illustrazioni interessanti, nella rivista La Lettura del maggio 1914, pp. 412-21, sotto il titolo: Il re dei tipografi, tipografo dei re (G. B. Bodoni 1740-1813): si osservi, tuttavia, che il palazzo ducale, rappresentato nell'ultima illustrazione, è quello del Giardino, mentre la tipografia bodoniana aveva sede nella Pilotta, sulla riva opposta della Parma.

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(2) Ad esempio, le matrici non si conservano nel Museo, ma nella R. Biblioteca di Parma (p. 57); il p. Paciaudi non scrisse direttamente a Saluzzo, ma all'abate Berta (60); il fratello Giuseppe non fu chiamato per la getteria, ma venne piima (ivi); il fabbro

dei dintorni di Milano non fu l'unico costruttore dei torchi bodoniani (62); il duca non se n'andò, mori nel ducato (64).

(3) Nel vol. XIII dell' « Archivio storico della R. Deputazione di storia patria per le province Parmensi, pp. 157-288.

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