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collegio dei canonici abruzzesi esistente in Teramo e contenente una bella raccolta di presentazioni di parroci e delle rispettive nomine per quelle chiese che dal collegio stesso dipendevano, per gli anni che vanno dal 1267 al 1389. Dopo il Palma perciò più di uno studioso ha mostrato il desiderio che l'importante raccolta fosse pubblicata, sia perchè l'archivio ove il codice si conserva non è di così facile accesso, sia perchè più agevole e più utile ne fosse la consultazione.

Il desiderio più volte manifestato trova ora la sua attuazione per opera di un benemerito degli studi teramani, Francesco Savini. L'edizione, lo diciamo subito, è condotta con molta cura i documenti sono dati secondo l'ordine che essi hanno nel codice, che non è quello cronologico, ma piuttosto dipendente da ragioni topografiche, nel rispetto delle chiese di cui si trattava, ma in fondo al volume molto opportunamente è dato l'elenco cronologico dei documenti coi rimandi alle pagine; la ortografia del codice è scrupolosamente seguita, ma sono date, in richiami in calce, le necessarie delucidazioni e sono fatte le correzioni indispensabili alla intelligenza del testo; del resto il dettato è assai corretto; a piè di pagina l'A. ha poste sobrie note per indicare i nomi moderni corrispondenti agli antichi delle chiese non facilmente identificabili, per dare notizie sui personaggi che di mano in mano si incontrano, per certi riferimenti al Palma e agli altri storici teramani; in fine al volume è posto un copioso indice alfabetico dei nomi di persona e di luogo che si incontrano nel volume.

Ciò non toglie che qualche osservazione possa farsi. Ci pare, ad esempio, che troppo spesso si ripeta la frase « sic in codice »; è infatti data tutte le volte che la lettura si scosti un po' dalla espressione classica; e non è certo necessario per una scrittura di questo genere. Le sostituzioni non sono sempre felici ad esempio a p. 120 c'è un « sansicens » che l'A. non sa spiegare; egli annota: « Forsan pro sanificens? » ; io credo che non bisogni andar così lontano, specie perchè il << sanificens » deriva da un verbo che certo non si incontra di frequente! Credo che si possa tosto pensare al « sanciens » al << sanciscens » non infrequente in documenti di tal natura. Così, nell'indice, i nomi sono dati con la parola d'ordine al genitivo della paternità; ora, se ciò è consigliabile quando un tal genitivo è diventata un'espressione patronimica e ha poi più tardi determinato il cognome della famiglia, non è da

accettarsi in moltissimi casi di questo volume, nei quali si accenna semplicemente al padre. Infine sarebbe stato bene che l'A. avesse nel proemio messo in evidenza l'importanza e la natura dei documenti pubblicati (tutti di una specie) e li avesse posti a confronto con altri di simil genere. La cospicua raccolta lo meritava davvero; e invece nel proemio si accenna appena al codice e alla descrizione del medesimo, non in tutto compiuta essa stessa per ciò che si riferisce alla provenienza e alle vicende sue. Ma queste osservazioni non diminuiscono il merito del Savini e poco tolgono alla utilità che il lavoro certo recherà agli studi.

Tutti i 169 documenti pubblicati, all'infuori di due, si rassomigliano in modo notevole: il capitolo o meglio il collegio dei canonici abruzzese, con a capo il preposto, riceve da uno o più patroni di una certa chiesa rimasta vacante del titolare per la morte o per l'allontanamento del rettore antecedente, la proposta della nomina, in sostituzione, di un nuovo rettore di cui si fa il nome: il capitolo riconosce le dovute qualità nel proposto e lo conferma nella carica dandogli tutti i diritti ecclesiastici e temporali spettantigli per il fatto della carica stessa. Oltre l'interesse locale per la storia di queste chiese, delle famiglie, dei luoghi, i documenti hanno anche un interesse più largo e generale, perchè possono egregiamente servire a studiare il giuspatronato nelle chiese rurali, la sua natura, il suo svolgimento, se non la sua origine. Il patronato nelle chiese abruzzesi è esercitato spessissime volte pro indiviso da un gruppo di persone, oppure da donne, oppure dal vescovo. Spesso il numero dei patroni è limitato a tre o quattro, nel qual caso ognuno nomina il nuovo rettore o per un terzo o per un quarto (« si dici potest », osserva giustamente l'atto del capitolo); ma spesso i nomi dei patroni sono moltissimi e io non esito a credere che siano patroni tutti i capifamiglia o i veri « homines » della parrocchia, cioè coloro che reggono il comune rurale rispondente alla parrocchia.

In un tale convincimento, che avrebbe un grande valore, perchè stabilirebbe anche per l'Abruzzo e fino dal secolo XIII una condizione di cose che ebbi agio di constatare per le montagne dell'Appennino emiliano, mi ha indotto più di uno dei documenti pubblicati dal Savini, ad esempio in quello XXVIII (15 gennaio 1289), nel quale si legge : « Notum facimus universis quod ad representationem Nicholay Raynaldi Berardi

(e di ben altri 43 uomini)... patronorum sive parrochianorum et populi ecclesiae sancte Marie de Iuvanello scite in territorio Terami » ecc. Qui pare indubbio esserci una perfetta corrispondenza tra i patroni e i parrocchiani, o per meglio dire, il popolo di quella villa o parrocchia, che altro non era se non un comunello. A conforto di questa supposizione, che non di rado tutto il popolo costituente il comune contribuisca alla nomina del parroco (qui solo alla presentazione, ma è noto che la presentazione è l'atto più importante, perchè sempre seguito dalla conferma), sta anche un altro documento nel quale tra i proponenti sono indicati due che hanno l'appellativo di « consulis », vocabolo che può richiamare facilmente ad una designazione rimasta alla persona nominata per avere coperta una tal carica nel piccolo comunello, che eventualmente si era costituito.

Non è con una semplice osservazione che si può giungere ad una affermazione precisa in una questione che ha tanti rapporti e tante difficoltà e così notevole importanza; ma mi piacque soltanto accennare alla cosa. Con maggiori studi e con numerosi confronti di documenti di questa natura e antichi come questi, o ancora più antichi, si potranno recare non pochi lumi alla spinosa questione.

A. SORBELLI.

Collections sigillographiques des MM. GUSTAVE SCHLUMBERGER et ADRIEN BLANCHET. Six-cent quatre-vingtdix sceaux et bagues.

4.

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Paris, Picard, 1914.

Si tratta della descrizione scientifica di due ricche raccolte sfragistiche e mi sembra conveniente darne notizia perchè in esse c'è un materiale cospicuo che interessa la storia d'Italia. Infatti molti dei sigilli tanto ecclesiastici che civili di Francia, di Spagna, degli altri paesi di Europa e sopra tutto dell'Oriente greco e latino, hanno attinenze più o meno dirette con l'Italia, alcuni anzi sono esclusivamente italiani, come quello descritto al n. 665 (tav. XXVI, n. 27) che appartiene al consolato del Comune di Genova in Napoli di Romania. Ma, anche se non si voglia tener conto di ciò, noi troviamo qui descritti dal n. 295 al n. 519 ben duecentoventicinque sigilli italiani o attribuiti all'Italia, di cui mi occuperò brevemente.

I sigilli italiani sono distribuiti in cinque classi: ecclesiastici; di città o terre; di corporazioni; di privati con stemmi; di privati senza stemmi.

Nella prima categoria vanno segnalati: il n. 295 (tav. XIII, sigillo della crociata di Sisto IV; il n. 298 (tav. XXVIII, 3) che conferma l'esistenza di un Antonio vescovo di Squillace nel 1381, non ricordato dal Gams; il n. 302 (tav. XIII, 9) del capitolo di S. Lucia delle quattro porte, che il dott. Allocatelli identificò con la chiesa di S. Lucia della Tinta di Roma, e tanti altri di somma importanza per la storia delle chiese e degli ordini religiosi in Italia. Per alcuni una migliore lettura o una più estesa indagine potrà condurre a più certe assegnazioni. Il n. 309 (tav XIII, 16) anzi che a Pietrafitta di Cosenza potrebbe appartenere a Pietrafitta del comune di Settefrati in provincia di Caserta, perchè la stessa denominazione del comune mi pare confermi l'esistenza di un monastero nelle vicinanze. Così mi permetto di suggerire le due località di Bogno e Musignano in provincia di Como circondario di Varese, per vedere se possano servire a dare una qualche spiegazione alla leggenda veramente enigmatica del n. 316 (tav. XIV, 5). Leggendo nel n. 324 (tav. XIV, 15) ordinis fratrum heremitarum sancti avgvstini invece di fratrum minorum, potrebbe darsi divenisse più facile l'identificazione del luogo Chalipgo, che non so davvero se potrà trovarsi in Italia. Perpetuo degli Henrioti, al quale appartenne il n. 325 (tav. XIV, 3), fu priore di Lari o Larino e protonotario apostolico, titolo ecclesiastico ben noto che leggesi chiaramente nelle abbreviazioni proth. apost., nelle quali, solo con molta stiracchiatura, si potrebbe trovare il principe degli Apostoli. E così sembrami più corretto leggere nel n. 344 (tav. XV, 18), sigillum domini Vitalis rectoris ecclesie sancti Laurentii invece di ecclesie sanctae Larini. Alla Pieve di Antella nel comune di Bagno a Ripoli in provincia di Firenze, appartenne forse, invece che ad Antillo, il n. 345 (tav. XV, 17). L'abbreviazione frum môr del sigillo n. 358 (tav. XVI, 5) vuol essere spiegata fratrum minorum, per non fare a F. Jacopo da Clivadello il torto di crederlo macchiato della eresia de' fratelli moravi, i quali del resto non ebbero aderenti aperti in Italia. Da ultimo, guardando bene la riproduzione del n. 362 sulla

tav. XVI, 9, dovremo leggervi fris luce e non lace, restituendo così un nome noto al frate ignoto.

9)

Nella seconda categoria troviamo molti sigilli di grande interesse per la storia e per l'arte, come il n. 369 (tav. XVI, del comune di Sassoferrato, e i n. 370 e 371 (tavv. XVI, 20; XVII, 1) che ci danno notizia di due comuni sconosciuti, quelli di Santa Marta e di Castel Vassano, mentre nel n. 372 (tav. XVII, 7), veramente bellissimo, non è possibile (non ostante la chiarezza della leggenda comunis servelliani) riconoscere il comune di Servigliano in provincia di AscoliPiceno, perchè il leone di S. Marco che vi campeggia non fu mai inalberato in quel luogo che era totalmente fuori della zona d'influenza di Venezia; bisogna quindi pensare ad altra località, a Servola (S. Servolo o Servilio) per esempio, ora frazione del comune di Trieste, che insieme a questa città era soggetta alla repubblica di Venezia nella seconda metà del secolo XIV, epoca approssimativa del sigillo. Il n. 373 (tav. XVII, 3) potrebbe forse appartenere a Montignoso in provincia di Massa e Carrara anzi che all'isola di Corfù. Va segnalato agli studiosi della storia delle fazioni comunali nel medio evo il n. 374 (tav. XVII, 2) della parte guelfa esterna o estrinseca della città di Modena, importante anche per la figura di S. Geminiano. La parola castrus invece di castrum può far nascere qualche dubbio sulla autenticità del n. 375 (tav. XVII, 4). Nè vuol essere passato sotto silenzio il n. 377 (tav. XVII, 8) che, pur non essendo di un comune ma di una magistratura, non per questo presenta minore interesse; ricorda esso il sindacato di Oriente, vale a dire quei magistrati speciali che la repubblica di Venezia inviava periodicamente nei suoi possedimenti di oltremare affine di sindacare, ossia rivedere e giudicare l'opera dei suoi funzionari in quei luoghi lontani, e precisamente i due nobili uomini Cosimo da Mosto e Lorenzo Contarini eletti a tale ufficio dal senato il 21 gennaio 1540. In questa seconda categoria poi dovrà meglio collocarsi il n. 425 (tav. XIX, 11) perchè la leggenda sigillum côis galeate vuol essere letta comunis e non comitis, e d'altronde il comune di Galeata in provincia di Firenze porta anche oggi per stemma la galea andante; questo poi mi sembra uno dei più importanti della serie per la nitida figurazione della galea che ha sulla bandiera una croce e sul

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