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in questo modo: « non sarà insanguinato Dante per l'empie mani de' Bianchi, ma si insanguineranno essi in un prossimo scontro co' Neri »; non vedendo che << la congettura di un attentato alla vita di Dante » debba « parer strana a chi ripensi alla ferocia de' tempi » e che Dante fu sospettato di tradimento. «< Così i Bianchi non meno de' Neri ebbero fame di Dante, e cercarono di toglierlo di mezzo: questi gli avevano gravate le spalle della taccia di barattiere, quelli dell'altra di traditore ». Invece se tanto Bianchi quanto Neri ne avessero agognato l'amicizia ed egli sdegnosamente si fosse rifiutato di concederla, Cacciaguida non ne avrebbe taciuto; chè sarebbe stato uno dei maggiori vanti di cui potesse insuperbire la sua fronda. Quindi tanto nel nostro caso non vale così grande, nè che è consecutivo; ma tanto significa questo, e che è esplicativo: costrutto il quale ha altri esempi nella D. C. (Par. XVIII, 13 e sgg.). Per ultimo, poichè Francesco Cipolla trova « il miglior rincalzo alla benigna interpretazione della parola fame» nel congedo della canzone che Cino da Pistoia scrisse per la morte di Dante (Bull., N. S., II, 128), il C. cerca toglierlo di mezzo: e osserva che Fiorenza va preso << semplicemente per il luogo natale di Dante, nel senso, si direbbe, materiale », e non per il complesso dei cittadini che l'abitavano, come intende il Cipolla, i quali sono la iniqua setta dell'ultimo verso. Inoltre « se Dante, desiderato, si era rifiutato di rimpatriare, Cino non aveva nessuna ragione di voler deserta, per vendetta divina, la iniqua setta; la quale, se aveva condannato il grand' uomo all'esilio, lo aveva anche, pentita a tempo, richiamato ». Sicchè Cino vuole << che la sua canzone vada a Firenze e le dica di piangere, perchè non può più avere nel suo seno Dante, che è morto. Con la frase ha ben di lungi al becco l'erba la profezia di Brunetto rientra nel congedo di sbieco e per una parte sola, per quella cioè che riguardava la lontananza di Dante da Firenze, e che col fatto si era avverata ». A. S. BARBI.

Dott. FR. NERI, Gli animali nella divina Commedia. Pisa, Nistri, 1896; 8°, pp. 7. — Come i programmi scolastici per l'insegnamento della Storia Naturale raccomandano fra l'altro qualche « nozione intorno agli animali notevoli per le loro attinenze storiche, il naturalista deve andar cercando quali animali siano ricordati nelle opere dei più insigni autori per poterne poi stabilire l'importanza storica. » Il N. riporta perciò in uno specchietto i nomi degli animali nominati nella D. C., a cui devesi per lo scopo succitato dare la preferenza; specchietto nel quale figurano tutte le cinque classi del tipo dei Vertebrati (Mammiferi, Uccelli, Rettili, Anfibi, Pesci), e solo due del tipo degli Artropodi (Insetti, Aracnidi). Enumerati e catalogati i passi nei quali si nominano animali, il N. crede logico conchiudere 1.o) Che la Divina Commedia è ricca di citazioni di animali; 2.o) Che gli animali citati son sempre i più comuni e i più conosciuti; 3.o) Che quanto più l'animale è comune, tanto maggiore è il numero delle sue citazioni. A. DELLA TORRE.

Di un animale della Divina Commedia si occupa pure il prof. Fr. Cipolla negli Atti del R. Istituto Veneto di sc. lett. ed arti, s. VII, t. VII (1895-96), disp. 4, p. 224; ossia della lonza: « La lonza di Dante ». Riassunta dapprima la amichevole controversia tenuta precedentemente su tale soggetto (cfr. Bull., N. S., III, 24), ne riduce a questi i risultati: 1) Lonza è vocabolo che ha parentela etimologica con lince, essendo regolare riflesso di lyncea; 2) Dante però non aveva

in mente nessun animale speciale, chè lince, pantera, tigre erano confuse insieme. Ora nel concetto della lonza, dice il C., è da vedere un altro ingrediente oltre i già detti, ossia la jena, come gli scrisse in una sua lettera il prof. Gaetano Da Re. Questi nella « Vita Sancti Raynerii Pisani Auctore Fr. Benincasa coaevo et familiari » etc. (S. Rainerio visse nel XII secolo), cap. IV, ha notato un passo nel quale si dice che il Santo desiderava recarsi al monte Tabor; ma che, attraversando il deserto che vi conduceva, aveva incontrato duas hyenas, quas vulgus vocat lonzas, leone velociores et audaciores. Il fatto comune della gaietta pelle nella lince, nel pardo, nella iena, è bastato perchè il popolo confondesse insieme queste tre bestie. A. DELLA TORRE.

Annunziamo, per quello che risguarda Dante e le dottrine da lui esposte nel c. XXV del Purg. (v. 61 sgg.) e nel c. I del Parad. (v. 103 sgg.), La dottrina dell'Intelletto in Aristotile e ne' suoi più illustri interpreti di ROMUALDO BOBBA (Torino, Clausen, 1896; 8°, pp. (VI)-481; L. 10).

È stata pubblicata la terza edizione, novamente emendata, degli Elementi di letteratura per le scuole secondarie del prof. FRANCESCO Carlo PellegriNI (Livorno, tip. di Raff. Giusti, 1896, pp. 638, in-8°). L'indole del presente Bullettino non ci permette di discorrere a lungo, come converrebbe, di questo manuale, che, per molti riguardi, ha importanza e valore più che di libro scolastico non vogliamo tuttavia passar sotto silenzio come non ultimo pregio dell'opera del P. sia la larga parte ch'egli fa a Dante. Dalla Divina Commedia sono tratti, più spesso che da ogni altro libro, gli esempi che sono addotti in gran numero a conferma delle teorie e dei precetti: a questo modo il P. viene a far conoscere ai suoi giovani lettori molte delle principali bellezze del Poema e a inspirare nei loro animi calda ammirazione e quasi direi venerazione per il massimo autore della nostra letteratura. Dalla Commedia sono tolti esempi di descrizioni (p. 29 e seg), di traslati (p. 67 e seg.), di tratti sublimi (p. 124 e seg.), o mirabili per proprietà (p. 155), per brevità e concisione (p. 161), per eleganza (p. 194), o notevoli per la speciale collocazione delle parole (p. 178 e seg.) o per armonia imitativa (p. 191) o per l'osservazione profonda, che vi si rivela, del mondo esteriore (p. 141) e interiore (p. 146), ed altresì esempi di iperbati viziosi (p. 55). Così il manuale del P. contiene, sparsi in più luoghi, non pochi elementi d'uno studio sulla retorica in Dante. Il P. commenta sempre gli esempi che reca; e, come esempi, sono citati e commentati, tra l'altro, l'intero episodio del conte Ugolino (p. 10 e seg.), buona parte del canto XI dell'Inferno e del XVII del Purgatorio (p. 34 e seg.), e tutto il canto VIII del Purgatorio (p. 198 e seg.), nonchè due sonetti dell' Alighieri (p. 152). Col suo commento, grammaticale, storico ed estetico, il P. si propone di condurre il giovane a capire e sentire l'arte dell'autore, e ci sembra ch' egli dimostri attitudini sì felici al malagevole ufficio di commentatore, da farci desiderare ch'egli prenda di proposito a commentare qualcuno dei nostri grandi scrittori. Notevoli sono anche, per le fini osservazioni e per il raffronto dell'arte di Dante e del Petrarca, le pagine (pag. 210 e seg.) nelle quali il P. confronta i versi del Paradiso, XXXI, 103-111, Quale è colui che forse di Croazia ecc., col sonetto del Petrarca Movesi'l vecchierel canuto e bianco. U. MARCHESINI.

Canzoni d'amore e madrigali di Dante Alighieri secondo il rarissimo esem

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plare della edizione del MD.X.VIII. conservato nella R. Biblioteca Nazionale di Firenze. In Firenze, R. Bemporad & figlio, 1896; 8°, pp. 31. Edizione di soli 150 esemplari numerati, per le nozze del march. Lorenzo Ginori con la signorina Paola Corinna Civelli. Dal volumetto Canzoni di Dante. | Madrigali del detto. | Madrigali di M. Cino, & | di M. Girardo Nouello stampato in Venezia per Guilielmo de Monferrato nel 1518 riproduce il sig. Giulio Piccini (Jarro) le canzoni Amor che muovi tua vertù dal cielo, Amor che nella mente mi ragiona, Le dolci rime d'amor ch'io solia, La bella stella che 'l tempo misura, e le ballate Poi che satiar non posso gli occhi miei, Donne non so di che mi preghi amore, Deh nuvoletta che 'n ombra d'amore, tutte in quella stampa attribuite, fra più altre, a Dante, sebbene alcune siano di Cino da Pistoia. Il testo è riprodotto fedelmente, salvo in alcuni pochi luoghi (p. 15 como, come; recca, reca; p. 18 animale, animato).

D. Luigi Randi, Una canzone dantesca commentata da TERENZIO MAMIANI. Firenze, stab. tip. Civelli, 1896; f.o, pp. XXXIV. - In occasione delle nozze del principe Vittorio Emanuele di Savoia con la principessa Elena Petrovich il sac. Luigi Randi ha pubblicato un commento di Terenzio Mamiani alla canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, del quale possiede l'autografo la Biblioteca Nazionale di Firenze. Il commento ha scarso valore: le tre donne rappresenterebbero la Rettitudine, la Larghezza e la Temperanza; per il verso Sente lo raggio che cade dal volto s'accenna che gli idraulici, e con essi il popolo d'alcuna parte d'Italia, nominano raggio quel filo d'acqua che hanno certi rigagnoletti poveri sempre scorrente, e si domanda se da ciò non abbia tratto l'Alighieri la sua metafora di raggio per pioggia di lacrime (non sarà piuttosto da leggere l'oraggio ?); nel verso Se colpa muore perchè l'uom si penta quest'ultimo verbo non significa la molestia dell' animo nel riconoscere il suo mal fatto, ma il dolore che si ha delle cose, le quali anche senza opera di volontà e consiglio nostro riescono dannose e afflittive. Poichè la stampa è riuscita poco fedele, segnerò alcune delle correzioni più necessarie, indicando in parentesi la lezione data dal Randi: p. XVII non volere che se ne chiarisca (volere che se ne chiarisca); p. xx, v. 14 discinta (disciolta); p. XXI, n. 1 disobediente a quanto è nella volontà di alcuno (disobediente); p. XXIII, n. 2 non ha espressione (ha espressione); p. xxx, 1. 10 quindi essa è non più che la norma e la cagione prima efficiente d'ogni nostro operato, sia onesto, sia virtuoso e magnanino (quindi essa è la norma e la cagione prima efficiente d'ogni nostro operato non più che sia onesto, sia virtuoso, e magnanimo); p. xxxI, 1. 1 fazioni (azioni), 1. 18 che poi (che mai), 1. 22 armato (ornato), 1. 35 partorisce (personifica), 1. 36 c. 5o (c. 52); p. xxxII, 1. 29 la invidia (lo invidiare); p. XXXIII, 1. 30 la Larghezza e la Temperanza e qualunque (la Larghezza e qualunque). A p. XXIV poi è stata omessa la seguente nota: « Che sono a' raggi di cotal ciel giunti. Piangano quegli vuomini che son venuti di sotto ai raggi, cioè all'influenze di un cielo che spira loro basse voglie nell'animo. Credeasi nell'età di Dante non pure ogni uomo avere il suo pianeta influente, ma ogni anno e ogni secolo conoscere i suoi peculiari punti di costellazione, i quali non poco signoreggiavano l'indole de' tempi, e le vicende degli stati. Ma forse è più semplice l'interpretare: piangano quegli vuomini cui tocca il vivere sotto la presente rivoluzione di cielo, ed è come dire: cui tocca vivere in cotali tempi >>.

BERNARDO MORSOLIN, Un cosmografo del Quattrocento imitatore di Dante. Negli Atti del R. Istit. Veneto di sc. lett. ed a., S. VII, t. VIII, pp. 58-84. Il cosmografo è Zaccaria Lilio vicentino, e l'imitazione dantesca si manifesta nei suoi dialoghi De gloria et de gaudiis Beatorum, editi a Venezia nel 1501.

ALESSANDRO CHIAPPELLI, Una reminiscenza dantesca nei Promessi Sposi. Nel Fortunio, a. IX, n. 17, Napoli, 5 luglio 1896. Nel breve episodio della cavalcata di Don Rodrigo al castello dell' Innominato quei nomi strani dei bravi che Don Rodrigo conduce seco e lascia alla taverna della Malanotte, richiamano al pensiero gli altri, anche più strani e bizzarri, dei diavoli che Dante trova in Malebolge. E notevole analogia è anche tra la condizione psicologica del poeta in questa parte dell' Inferno e quella del povero Don Abbondio nel suo viaggio al castello dell' Innominato. L'argomento era già stato trattato da Gaetano Quadri in una lettura fatta all'Accademia Virgiliana di Mantova (Dante nel mezzo di Malebolge e Don Abbondio alla Malanotte) e pubblicata negli Atti di essa accademia per il biennio 1886-87; ma il Chiappelli, com'egli dichiara, non n'ebbe notizia se non quando il suo scritto era composto.

Altre recenti pubblicazioni:

BACCI dott. PELEO, Due documenti del MCCXCV su Vanni Fucci ed altri banditi dal Comune di Pistoia. Pistoia, Niccolai, 1896; 4°, pp. 15. Nozze Silvestrini-Michelozzi. Ediz. di 100 esempl.

BARTOLI dott. BENVENUTO, Figure dantesche: Catone; Sordello. Bologna, tip. Legale, 1896; 8°, pp. 82 (L. 1).

BOVIO GIOVANNI, Dante nella sua generazione: conferenza nella università di Roma, 22 maggio 1896. Roma, soc. edit. Dante Alighieri (tip. dell'Unione cooperativa editrice), 1896; 16°, pp. 32 (Cent. 50).

CRISTOFOLINI C., Delfica deità? Nota esegetico-critica al terzetto XI del I canto del Paradiso. Trieste, Sambo, 1896; 8°, pp. 20.

FELICETTI Sac. LORENZO, Dante poeta cattolico: studio pubblicato in occasione del monumento eretto a Dante in Trento nel 1896. Milano, tipografia Agnelli, 1896; 8o, pp. 244 con tav. (L. 2).

GHIRARDINI prof. G., Gli invidiosi nella palude stigia. Cefalù, tip. Gussio, 1896; 16°, pp. 56.

MONTI prof. LUIGI, L'interpretazione del verso dantesco Pape Satan e la perizia di Dante nella lingua greca. Torino, ditta G. B. Paravia e C. editori (Milano, tip. Capriolo e Massimino), 1896; 16°, pp. 62. (Cent. 75). PERRONI GRANDE LUDOVICO, Le varie opinioni sul « Disdegno » di Guido Cavalcanti. Messina, tip. dell'Epoca Saya e Anastasi, 1896; 8°, pp. 15. POLETTO prof. GIACOMO, S. Antonio da Padova e Dante Alighieri: ricerche. Padova, tip. edit. Antoniana, 1896; 8o, pp. 30.

ROSELLI can. GIUSEPPE, Nel sesto centenario di S. Pietro Celestino: discolpa di Dante. Pisa, tip. Mariotti, 1896; 16°, pp. 151 (L. 1.50). ZENATTI ALBINO, Arrigo Testa e i primordi della lirica italiana. Nuova edizione con aggiunte e correzioni dell'autore. Firenze, Sansoni, 1896; 16°, pp. VII-89. Biblioteca critica della letter. ital. diretta da F. Torraca, n. 4. (L. 1).

CARLO DRIGANI, Responsabile

146-1897. Firenze, Tip. di S. Landi

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Sommario: M. BARBI: Dantes Vita Nova: kritischer Text von F. Beck. - Annunzi bibliografici (Pubblicazioni varie di N. Zingarelli, G. Franciosi, B. Carneri, A. Nicosia, L. Arezio, S. De Chiara, G. Salvadori, A. Giannini, C. Morel).

Dantes Vita Nova. Kritischer Text unter Benützung von 35 bekannten Handschriften von FRIEDRICH BECK. München, Piloty & Loehle, 1896; 4°, pp. LV-136.

Questa nuova edizione della Vita Nuova consiste in una riproduzione, come già fece il Casini, del codice Chigiano L. VIII. 305 (A), correggendo il testo in quei luoghi che sono, o all'editore sembrarono, errati: vengono poi aggiunte a piè di pagina tutte le varianti dei mss. migliori e altre varianti tratte dai rimanenti mss., secondo che parve opportuno notarle o per l'ortografia, o per la loro singolarità grammaticale, o per ragioni metriche, o per provare le relazioni dei mss., o per mostrare che alcuni di essi furono troppo stimati da precedenti autori. Va innanzi un'introduzione in cui sono descritti e classificati secondo le loro affinità i testi a penna e indicate le stampe dell'opera dantesca, ed è aggiunto infine, oltre un indice delle poesie e de' passi latini compresi in essa, un glossario messo insieme migliorando quello del Casini.

Veramente dall'introduzione non appare, e neppur dagli studi che anch'io ho fatti sul testo della Vita Nuova resulta, che il ms. Chigiano sia il capostipite di tutti gli altri, sicchè basti riprodurlo per aver dell'opera di Dante la più autentica lezione: dall'introduzione del sig. Beck si avrebbe anzi che il codice Chigiano divide con cinque o sei altri codici l'onore di provenire direttamente dal capostipite, perduto, dei mss. rimastici. Ciascuno di essi ha difetti forse in maggior numero del Chigiano, ma anche questo ha i suoi, e ad ogni modo le varietà fra l'uno e gli altri sono molte, e bene spesso tali da poter essere per sè stesse tutte genuine. Chi ci dà dunque il diritto di scegliere costantemente la chigiana? Come anzi non rigettare di regola tutte le lezioni particolari del detto ms. Chi

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