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« Quattro figliuole avea il conte.... »; << e in poco tempo per sua industria e senno raddoppiò la rendita di suo signore in tre doppi << sette e cinque per diece ». < Avvenne poi per invidia, la quale guasta ogni bene, ch' e' baroni di Proenza appuosono al buono romeo, ch' egli avea male guidato il tesoro del conte, e feciongli domandare conto »;

<< per nulla volle rimanere, e com' era venuto, cosí se n' andò, che mai non si seppe onde si fosse, né dove s' andasse : avvisossi per molti, che fosse santa anima la sua ».

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1 << Relazioni di sostanza, di forma, e quasi di immagini » BACCI, Lect. Dantis, Parad. VI, p. 38; al D'OVIDIO, Nuovi studii dant. Ugolino ecc., p. 281, la narraz. del Villani appare « manifestamente affatto indipendente » dagli accenni danteschi; lascia incerto se << accolta, oppur foggiata sui versi di Dante dal Villani » il FARINELLI, Dante e la Francia, I, p. 83, ed in tesi generale (ibid., p. 130) egli riconosce le reminiscenze dantesche « cosparse » nell'opera del Villani.

2 L'ediz. Muratori, e le precedenti (= cap. 92) leggono : « E avea il detto conte Ramondo quattro figliuole femmine senza nullo maschio »: v. ms. Riccard. 1533; ma la « mossa » piú somigliante a quella del poeta figura nelle edizioni successive, sui mss. piú autorevoli si riscontra infatti nei Riccard. 1532, 1534 e nel Magliab. cit.

3 << Persona umile e peregrina.... »; « Indi partissi povero e vetusto »>,

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Alla morte del conte Ugolino (VII, 128), il Villani riprende la crudeltà dei Pisani « non tanto per lo Conte, che per li suoi difetti e tradimenti era per avventura degno di sí fatta morte, ma per li figliuoli e nipoti, che erano giovani garzoni e innocenti; e questo peccato commesso per li Pisani non rimase impunito; l'Arcivescovo solleva il popolo « facendo intendere [aveva voce].... ch' egli avea tradito Pisa, e rendute le loro castella a' Fiorentini e a' Lucchesi ». Nell'asserzione d'un tradimemto, da parte d' Ugolino, di Nino Visconti di cui rimangono solo tarde testimonianze il Torraca scorge, e < specialmente nel Villani» il proposito di spiegare il passo di Dante: non forse alla meglio», però: ché quel giudizio può essere ispirato, com' egli pure suppone, a versioni anteriori, e farci intendere che sarebbe in tutto consentaneo alla stretta concordanza dei giudizi danteschi sulle varie persone o famiglie, dove entri la sua esperienza di parte come il poeta abbia potuto adombrare nella condanna d' Ugolino anche i suoi rapporti col nipote, avvolgendoli nel tradimento della città ghibellina.

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Ho già osservato come la citazione del Canto VI del Purgatorio

Quante volte, del tempo che rimembre, sia delle piú care al Villani; qui egli non pensa piú che Dante « bene si dilettò in quella commedia di garrire e sclamare a guisa di poeta in parte più che non si convenía (ma forse il suo exilio gliele fece fare!) » ; e della stessa invettiva è animato il sonetto in persona di Firenze, l'unico che rechi il nome del Cronista: 3

1 Vedi SALVEMINI, Magnati e popol., cit., p. 242, n. 2; G. DEL Noce, Il conte Ugolino della Gherardesca, Città di Castello, 1894, Coll. PASSERINI, n. 15, p. 81 (e n. 2: che il Villani « nei fatti storici toccati da Dante si appiglia ciecamente al giudizio di lui.... ») ; D'OVIDIO, Nuovi studi danteschi. Ugolino ecc., p. 40 (il Villani adopra « manifestamente sedottovi dal poeta » la forma << chiavare la porta della torre », invece dell' inchiavare, chiudere a chiave).

2 VII, 121 << tradí il giudice Nino »: v. D'OVIDIO, Studii, p. 21 n.

3 E. MOLTENI, Tre sonetti antichi, Livorno, 1878, nozze Borghi-Pigni: l'influenza dantesca vi fu scorta subito dal M., e ve la riconosce il CIAN, La Satira (Storia dei gen. letter. ital.), p. 231.

Cod. Barberin, XLV, 145, ora Vat. lat. 4051, c. 136 b.

SONECTUM ASCONDENTUR FLORENTINI.
JOHANNIS VILLANI

Sghuardando nel Monton(e) Merchurio et Marte di diverse nazion(i) mi circhundai, di nuovi effetti progenie creai

di fiere [?] compressioni sperti in arte.
Né posson conversar(e) sanza far parte,
dilett-è a l'un dell'altro sentir ghuai
et cosí intera non riposo mai
ma muto volo 1 come tiran le sarte.

Firenze son per le chui volte ammiri
et se righuardi bene il mio pecuglio
e l'anfluenza che ghuarda e' disiri,

non ti sia nuovo se d'Agosto a Luglio leggi costumi e signoria di viri rilievo in alto et a terra le buglio.

Fughommi talora le vertú per verghogna 2 non potendomi atar(e) come bisogna.

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1 Cosi il ms. ; propongo velo.

2 MOLT.:« Fughommi (talora) le vertú per [la] vergogna »>.

3 Per le notizie del Villani su Dante, v. la nota rubrica IX, 136; un' antica loro amicizia giovanile non si può negare a priori ed ha per sé l'attestazione, credibile, di Filippo Villani: la sostenne A. DELLA TORRE, Giorn. dantesco, XII, p. 33 segg.; ma non credo possa valere al caso nostro, ché degli antichi « discorsi amichevoli » (p. 44) non so quanto potesse rimanere dopo le tempeste dell' uno e la mercatura dell'altro.

4 BASSERMANN: « l'intonazione dei versi é di una verità tanto efficace quale al poeta soltanto la realtà poteva ispirare » (Orme di Dante, p. 353; cfr. p. 241); << versi pieni del sentimento del reale », V. Rossi, Bull. N. S., V, p. 36-37; cfr. l'Appendice a questo studio, no 2. Sulla crisi sociale del Piceno e l'abbandono d'Urbisaglia, v. L. COLINI BALDESCHI, Appunti di storia marchigiana, in Riv. d. bibliot. e d. arch., XI, p. 17-19 [doc. del sec. XIII]. -E tornando al « corso dell'Arno » del Canto XIV del Purgatorio, ecco una osservazione, che, se scaturisse da questa disputa, sembrerebbe sottile, ma giova poiché fu fatta diretta

nel lib. I, c. 50 (appunto su « la città di Luni, la quale è oggi disfatta.... »): « Ed oltre a ciò naturalmente veggiamo, che tutte le cose del mondo hanno mutazione, e vegnono e ver

ranno meno.... >>.

Le antiche famiglie fiorentine: dopo che l'avo ha detto della sua vita, Dante l'interroga sulla famiglia loro e le altre di quel tempo:

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Ditemi dell'ovil di San Giovanni quanto era allora, e chi eran le genti.... Sulla morte di Cacciaguida, al séguito dell'imperatore Corrado, alcuni commentatori scorgono nel testo di Dante una confusione tra la vera crociata di Corrado III, con Luigi il santo, che s'accorda con la cronologia stabilita nell' episodio stesso, e la spedizione di Corrado II contro i Saracini di Calabria, ché allora veramente l' Imperatore passò per Firenze, anzi vi« si dilettò » e ne creò cavalieri molti cittadini, che furono al « suo servigio » (Villani, IV, 9): a questo si può opporre la partecipazione di Guido Guerra III alla crociata dell' altro Corrado, ma la confusione sembra sussistere, ed avverto che in ogni modo il Villani deve avere interpretato cosí, ché proprio a quel punto aggiunge: « E acciò che si sappia chi erano i nobili e possenti cittadini in quelli tempi nella città di Firenze.... », e nel cap. seguente ne comincia la numerazione : << De' nobili ch'erano nella città di Firenze al tempo del detto imperadore Currado ». Aver collegato i due argomenti, per sé diversi, con quel nesso appunto, che ha ragione solo nel Paradiso, a me pare

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mente (GORRA, Soggettivismo, cit., p. 29-30): « Questo passo può darci la chiave per iscoprire quello che dell'arte dantesca forma il vero segreto » ; la descrizione risponde in tutto alla precisa realtà, « ma nel tempo stesso ogni frase, ogni parola è si riboccante di contenuto ideale, che noi vi leggiamo tutta una storia di dolori, di passioni, di lotte politiche, di tragici eventi. Nulla ha inventato, nulla ha mutato il Poeta in ciò che la sua visione personale gli dava, perch' egli non aveva bisogno né di inventare né di mutare per esprimere tutto il suo pensiero ».

Villani, IV, 10 « E prima di quelle della porta del Duomo, che fu il primo ovile.... » : anche l'ovile, espressione dantesca, che risponde ai lupi «< che gli fanno guerra » e lupi sempre i Fiorentini.

2 Vedi comm. TORRACA: « forse Cacciaguida si uni con lui ».

un evidente ricordo dantesco. Per la serie delle famiglie, i riscontri si leggono in ogni commento: « e di loro [i Rovignani] per donna nacquero tutti i conti Guidi.... della figliuola del buono messere Bellincione Berti » Villani, IV, 11 (cfr. V, 37); Dante, v. 97-99, « .... Erano i Rovignani, ond' è disceso. Il conte Guido e qualunque del nome Dell'alto Bellincione ha poscia preso ». I Dante non nomina i Donati, e pare ragione di stile o di rima: « Lo ceppo di che nacquero i Calfucci.... »; e Villani: «i Donati ovvero Calfucci, che tutti furono uno legnaggio ». E le stesse coppie: Arrigucci e Sizii, IV, 10,1 Ughi e Catellini, IV, 12, Gualterotti e Importuni, IV, 13. 2 — « E, dietro a San Piero Scheraggio.... furono quelli della Pera ovvero Peruzzi, e per loro nome la postierla che ivi era si chiamava porta Peruzza » IV, 13; Dante « Nel picciol cerchio s'entrava per porta Che si nomava da quei della Pera »: l'indicazione della porta era, per il Villani, necessaria ? 3 «E dal marchese Ugo che fece la badia di Firenze ebbono l'arme e la cavalleria »:

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Ciascun che della bella insegna porta del gran barone, il cui nome e il cui pregio la festa di Tommaso riconforta

da esso ebbe milizia e privilegio....

1 Questa sola può costituire riscontro all'altra serie di famiglie, nel Villani, VI, 33.

2 In questo cap. dobbiamo leggere Giudi (D., V. 123 « Giuda ed Infangato »), e non Guidi: vedi comm. SCARTAZZINI, e i rinvii. Il Buti (cit. dal TOYNBEE, Diction., p. 281, ad v. Giuda): « Questo è quello unde furono detti i Giudi, che abitorno in el sesto di San Piero Scheraggio », dove appunto li colloca il Villani. Il nome è rettamente mantenuto nel testo del Malispini (c. 52): « Ed era in parte le case de' Giudi ». Per incidenza, noto che la cronica malispiniana ha in questo capit. (io non credo si possa aver piú dubbio basti guardare ai Bonaguisi! che la causa delle false asserzioni dei compilatori stia in una boria familiare) più notizie che mancano al Villani; ma tra quel capit. e Dante non corre nessuna somiglianza fuor di quelle fra D. e il Villani, anzi ve ne son meno. 3 Cfr. BUSSON, p. 86.

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Il tono stesso di quell' enumerazione: ad

ogni grande stirpe, ogni grande stirpe, « ch'oggi sono niente allora erano grandi e possenti.... e oggi non n'è ricordo.... e oggi sono spenti...., come di lamento e rammarico, sgorga dall' uguale rimpianto del poeta.

Gli Adimari, con i quali Dante aveva da spartire, s'intende sien nominati con ingiuria e ch'egli insista sull'origine loro meschina: quando le cose procedevan bene, di fronte all'avo di Dante, che doveva esser quello di Filippo Argenti, se non di Boccaccio Adimari! Il cronista passa sull' ingiuria, ma all'osservazione gli rimane qualcosa: e bene che sieno oggi il maggiore legnaggio di quello sesto e di Firenze, non furono però in quelli tempi de' più antichi (IV, 11).

Che il Villani, nel suo novero piú largo del doppio, abbia tenuto presente solo il canto di Dante e che questi da parte sua non si sia giovato d'un qualsiasi notamento o memoriale sulle famiglie antiche, chi potrebbe affermare? Ma che nel suo registro, e nelle chiose, il cronista non dimenticasse il poeta, questo ed è quanto importa all'assunto sembra risultare, se mai il criterio dell' evidenza ebbe valore, chiarissimo.

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E l'uccisione di Buondelmonte: la narrazione del cronista, V, 38, ci dispiega la viva scena: la mattina di Pasqua, il cavaliere bello e fatuo viene d'oltr'Arno « vestito nobilmente di nuovo di roba tutta bianca, e in su uno palafreno bianco › e giunto a piè del Ponte Vecchio, dinanzi alla statua di Marte, da Schiattà degli Uberti è atterrato del cavallo, da Mosca de' Lamberti e Lambertuccio Amidei aggredito e ferito, « e per Oderigo Fifanti li furono segate le vene »; per iscrupolo, senza ben sapere che ufficio attribuirgli nell'ammazzamento, aggiunge il cronista: «ebbevi con loro uno de' conti da Gangalandi ». Questa è la pittura del fatto; ci darebbe la tradizione cui Dante pure ha attinto, e che i Fiorentini non avean bisogno di leggere sui libri. Ma il fatto Dante non lo racconta: quel

dello stemma originario di un'unica famiglia, non per l'arme donata dal Marchese Ugo a tutt' e cinque —, può aver giovato il cenno di Dante a confermarla nel cronista e nei commentatori: v. G. PIRANESI, La consorteria rossa e la consort. nera nel Canto XVI del << Paradiso », in Rivista Araldica, V (1907), p. 193-200.

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Per la pace postrema, pare risponda nel Villani : « onde alla nostra città seguí molto di male e ruina.... e mai non si crede ch' abbia fine »; e non sarebbe un raffronto. Ma quanto è dantesco, ch'è un comento e un giudizio, sostituito alla narrazione, non necessario, tanto che il Malispini, che la riproduce di sul Villani con la consueta fedeltà, variata di poche espressioni, lo tralascia, - è proprio ciò che segue: « E bene mostrò che il nimico dell' umana generazione per le peccata de' Fiorentini avesse podere nell' idolo Marte... che a pie' della sua figura si diede principio a tanto omicidio onde tanto male è seguito alla nostra città di Firenze ».

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di

L'innata discordia fiorentina s'illumina nel

1 Par., XVI, 47; Inf., XIII, 143 segg, « alcuna vista », la pietra mozza e rôsa, come un Pasquino, << tanto che quasi oltre al grosso de' membri né dell'uomo né del cavallo alcuna cosa si discernea » (Boccaccio): cfr. DAVIDSOHN, Gesch. von Florenz, I, p. 748-49; MORPURGO e LUCAIRE. La grande inondation de l'Arno en MCCCXXXIII, p. 11-12; BASSERMANN, Orme di D., p. 52; Mazzoni, Bull. N. S. XIV, p. 247, riaffermando che D. vide in quel Marte una possanza demoniaca.

SEO.

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2 Il richiamo era già nel commento del TOMMAIl semplice nodo nuziale e la morte di Buondelmonte hanno fissato al 1215 lo scoppio delle fazioni; ma, è stato avvertito dal Villani e gli altri storici di Firenze, se ne scorge già vivo il conflitto al 1177, in un biennio di strage tra gli Uberti feudali e la signoría dei consoli, che nel Villari è descritto come un battagliare consueto e quasi familiare : « ma tanto venne poi in uso quello guerreggiare tra' cittadini, che l'uno di si combatteano, e l'altro mangiavano e beveano insieme, novellando delle virtudi e prodezze l'uno dell'altro che si facieno a quelle battaglie » (V, 9: v. SANTINI, in Arch. stor. ital., S. V, XXVI, p. 49). L'episodio, nella forma della narrazione, riman quasi aneddotico, e la lotta ristà, si spegne « quasi per istraccamento e rincrescimento »; ma la contraddizione si mostra nella stessa chiusa del capitolo: i

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consoli tengono la signoria, dura l'assetto comunale, ma le discordie risorgono « alla fine »: « e poi partoriro le maledette parti che furo appresso in Firenze ». Nei primordii della storia fiorentina, simili a quelli di Roma, la leggenda si chiude in poche narrazioni, fuor delle quali ogni altra memoria dilegua: la tradizione della guerra interna del 1177 vien soverchiata e quasi oscurata dalla novella di Buondelmonte. Del resto, nel Villani, è un rampollare continuo delle fazioni, e ad ogni poco è una causa nuova: nel 1. IV, 33, Federico II, essendo in Lombardia, inietta il suo veleno in Firenze: «e fece partorire le maledette parti guelfa e ghibellina, che più tempo dinanzi erano incominciate per la morte di messer Bondelmonte, e prima, siccome addietro

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facemmo menzione ».

1 COLAGROSSo, La prediz. di Brunetto Latini, in N. Antol., 1o nov. 1896, p. 76.

2 « Lectura Dantis » genovese, Fir. 1906, p. 154; Del Lungo, D. ne' tempi di D., Bol. 1888, p. 24-25; GASPARY, Storia, I, 320: « e lieto di possedere una cosi bella spiegazione per i fatti susseguenti, la ripete ancora parecchie volte nel corso della sua cronaca»: v. III, 1, in fine, dove l' oppone alla spiegazione astrologica dell' influsso di Marte: ed insieme a in questa, ma come « ragione piú certa e naturale », IV, 7: « E nota perché i Fiorentini sono sempre in iscisura e in parte e in divisioni tra loro che non è da maravigliare : l'una ragione si è perchè la città fu redificata, come fu detto al capitolo della sua redificazione, sotto la segnoria e infruenzia della pianeta di Marti che sempre conforta guerre e divisioni; l'altra ragione piú certa e naturale si è ch' e fiorentini sono oggi stratti di due populi cosí diversi di costumi e di modi e sempre per antico erano stati nemici siccom'è del populo de' Romani e di quello de' Fiesolani » (testo del Lami, ms. presso l'Istit. stor. ital.). Che il Villani insista nel confutare l'opinione << di

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due semi discordi si oppongono. Qui accade la menzione di Brunetto Latini, fonte supposta per i due scrittori, poiché un tratto di storia << che si può con certezza chiamare originale », nel suo Tesoro, s' avvicina a questo: « E sappiate che la piazza della terra ove Fiorenza siè, fu già appellata magione di Marte, cioè a dire, casa di battaglie. [Mars... dio delle battaglie]. Per ciò non è meraviglia se i Fiorentini stanno sempre in briga e in discordia, chè quella pianeta regna tuttavia sopra loro». Siamo alla narrazione della congiura di Catilina cioè uno dei pochi nuclei, se non il principale, della tradizione storica fiorentina, e nelle condizioni migliori per un giudizio un testo, il Tesoro, che il poeta ed il cronista hanno potuto vedere (cfr. Villani, II, 1, Camarte), e che rappresenta in ogni modo la tradizione; ebbene, esso non basta a spiegarci interamente il Villani: ciò ch'egli aggiunge, e che costituisce la somiglianza con Dante, è precisamente il pensiero, la concezione di Dante profondata nel suo sentimento della discordia originaria fra il buon seme di Roma e lo strame delle bestie fieso

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pagani e di auguri » sull'idolo di Marte, si deve forse alla grande conferma che di quella superstizione aveva data il poeta, e le dicerie dei commenti propagata. << E dicesi che gli antichi aveano opinione, che di rifarla [la città] non s'ebbe podere, se prima non fu ritrovata e tratta d' Arno l'imagine di marmo consecrata.... per nigromanzia a Marti ».

Quei cittadin che poi la rifondarno....

1 Forse soltanto perché « virtudioso », D. si credeva dei << Romani »: ZINGARELLI, Lect. Dantis, Inf. XV, p. 37, e Dante e Roma, Roma, 1895, p. 6. Ad Inf., XV, 67 « Vecchia fama nel mondo li chiama orbi », si cita il Villani, II, 1 << I Fiorentini malavveduti (e però furono poi sempre in proverbio chiamati ciechi).... » WICKSTEED, ad loc., BASSERMANN, p. 58. BARBANO, art. cit., p. 77; pura leggenda per il DAVIDsohn.

2 CIPOLLA, Di alc. luoghi autobiogr., cit. p. 387 (rilevato da F. PELLEGRINI, Bull. N. S., I, p. 56-57): « se anche dovessimo togliere a Giov. Villani alcune porzioni della sua cronaca per attribuirle altrui, a Brunetto Latini, per esempio, nulla ci perderebbero, né le ragioni della storia, né quelle dell'arte ».

3 SUNDBY, Della vita e delle opere di B. Latini, Fir. 1884, P. 93.

▲ Lib. I, c. 37: cito dal volgarizzam., nell' edizione GAITER, I, p. 103.

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1 Quanto alla conoscenza che D. ebbe del Trésor, essa non può darci lume nella ricerca: si riduce, nei casi più accettabili, a qualche precetto retorico e morale, nei quali pure interviene una lunga tradizione erudita A. DOBELLI, Il « Tesoro » nelle opere di D., in Giorn. dantesco, IV, p. 310 segg.; e L. M. CAPELLI, Ancóra del « Tesoro » nelle opere di Dante, nello stesso Giorn., V, p. 548 segg. ; il C. viene a limitare d'assai, e con ragione, il numero delle derivazioni dantesche. Avverto che fra queste, «< il feroce insulto al pessimo spirito romagnolo », a frate Alberigo (p. 549), è soltanto un accenno alla mancata promessa, Inf. XXXIII, 150 E cortesia fu lui esser villano » (DOBELLI, p. 344): a me pare anche dubbio, ma in ogni modo non si tratta di notizia storica. Di alcune teorie degli scrittori medievali, comuni a ser Brunetto e a Dante, v. Zingarelli, Dante, p. 200 e 242 cfr. TOYNBEE, Diction., p. 265, ove si mostra che D. segue nel Convivio, per le gerarchie angeliche, lo stesso ordine ch'è dato nel Trésor, I, 12, diverso da quello di S. Gregorio e di Dionisio l'Areopagita, mentre, come si sa, nella Comedia egli s'attiene a quest'ultimo. Per i limiti dell'azione di ser Brunetto sulla cultura fiorentina del tempo suo, e l'indole dell' attestazione del Villani, che muove da una particolare classe della società contemporanea e, a farlo apposta, la meno competente a portare una sentenza sull'efficacia esercitata da ser Brunetto nella cultura dotta », v. NoVATI, La giovinezza di Coluccio Salulati, p. 81 n.; son noti i procedimenti di stretta compilazione che governano il Trésor: v. l'op. cit. del SUNDBY, e SALVEMINI, Il « Liber de regimine civitatum » di Giovanni da Viterbo, in Giorn. storico, XLI, p. 293 segg. L'auorità del buon dittatore sui cittadini fu pratica, di << scienza politica » e cosi deve intendersi « digrossatore dei Fiorentini », come fa il MARZI, La Cancelleria della Rep. fiorentina, p. 40-41 (e 22). Il Villani afferma che si giova di « poche e non ordinate memorie », e la condizione delle memorie storiche in Firenze alla fine del sec. XIII, quale risulta dagli studi del SANTINI (Quesiti e ricerche di storiografia fiorentina, cit., p. 27), è fatta per avvalorare l'interpretazione più semplice dei rapporti fra Dante e il Villani; erano esse assai scarse : una favola sulle origini, qualche breve ricordanza di avvenimenti locali, associata con pochi fatti della storia toscana e generale, un catalogo incompleto di consoli e potestà,

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