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graphical Study with photogravure frontispiece and numerous other illustrations. London, John Lane, 1910, in-8° fig., pp. XXVIII-426.

Di Dante si parla alle pp. XI, XIII, 16, 88, 151, ecc (4554) LAIGLE MATHILDE. Le Livre des trois vertus de Christine de Pisan et son milieu historique et litteraire. Paris, Librairie Champion, 1912, in-8°.

È il XVI vol. della Bibliothèque du XVe siècle. In questo importante studio, la materia è cosí distribuita I. Le Livre des Trois Vertus de Christine de Pisan; II. Composition de l'ouvrage; III. Operçu gé néral des idées de Christine; IV. Education et instruction de la jeunesse ; V. La femme emancipée; ses devoirs moraux et sociaux; VI. Situation morale et civile de la femme vis-à-vis de son mari; VII. Gestion des finances et des revenus de ménage; VIII. Devoirs et connaissances spèciales de la dame terrienne; IX. La femme prise dans certaines conditions particulières. (4555)

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LANGLOIS CH. V. Cfr. il no. 4546. MASCHERA (LA) di Dante donata al Comune di Firenze dal sen. A. D'Ancona. Firenze, a spese del Comune (tip. Barbèra, Alfani e Venturi propr.,), 1911, in-8° fig., pp. 32. Contiene le deliberazioni della Giunta, del Consiglio comunale e della Giunta provinciale amministrativa di Firenze, che accettano il dono della cosiddetta << maschera » di Dante, fatto alla città di Firenze dal senatore Alessandro D'Ancona (Giorn. dant., XIX, 94) e la lettera del D'Ancona medesimo al Sindaco di Firenze, del 31 di marzo 1911, nella quale si annunzia dono il e si espongono le vicende di quell'oggetto prezioso. - Notizia in Bull. d. Soc. dant. it., XIX, 165; e cfr. il no. 3932 di questo Bull. (4556) Le procès de M. et de G. Visconti, ecc. Roma, 1909. [4079]. Annunzio espos. nel Bull. d. Soc. dant. it., XIX, 164, (giu. 1912).

* MICHEL ROBERT.

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pretazioni che furon date del famoso veltro dantesco (Inf., I, 101) per dichiararle tutte, non una esclusa, false, e per sostener l'opinione di coloro che con mente non offuscata da pregiudizii politici e religiosi » convengono coi Trecentisti nel riconoscere nel Veltro l'Imperatore universale, identificato da Dante nel rappresentante del sacro Impero romano-germanico, quale legittimo erede dell' imperio de' Cesari. Tutto il sistema politico esposto dall'Alighieri nelle sue opere, è infatti quello della monarchia universale, pel cui mezzo solamente si può conseguire la felicità in questo mondo e nell'altro. Esaminando i minori scritti danteschi, che sono la preparazione dell'opera massima, vediamo come egli « bellamente divisa tutte le virtú che deve avere l'Imperatore, e tutti i vizii che deve combattere in piena corrispondenza con quello ch'egli nella Divina Commedia attribuisce al Veltro». Nel I lib. della Monarchia si vede « assegnato per regola ordinaria all' Imperatore sapienza, amore e virtute »; nel III si osserva che D., << trattando della indipendenza dell' Impero dice opporsi alla sua dottrina tre condizioni d'uomini; cioè i discordanti per puro zelo e scioperío (lonza), i discordanti per superbia e cupidità di comando (leone), e i discordanti per avarizia (lupa) ». Poste queste ragioni, è forza « escludere che feltro e feltro sieno nomi di luogo », ma è invece necessario ammettere che sieno << nomi comuni, per dire che la nascita, l'origine o meglio la generazione (nazione), di questo Veltro sarà tra pelo e pelo (feltro, non panno tessuto); cioè il futuro riformatore della Società, il Monarca universale, non sarà né guelfo né ghibellino, né bianco né nero, ma equo e imparziale ». Ma qual sarà questo personaggio, questo Imperatore in cui Dante aveva riposto tutte le sue speranze? Certamente un principe indeterminato, che « quando saranno pieni i consigli della Provvidenza, verrà a sanare le piaghe delle Nazioni specialmente dell'Italia, sede dell' Impero ». Il prof. Cian, nel suo « poderoso studio sul Veltro » si è ingannato << asserendo che il Poeta s'illuse di vedere incarnato il suo Veltro nell'uno o nell'altro di quello che furono i protagonisti sulla scena storica del suo tempo. Niente affatto. Niuno dei contemporanei di D. ebbe le qualità da lui volute, o si trovò nelle circostanze da lui contemplate per rendere possibile il Veltro da lui ideato ». Ben disse il conte Arrivabene, che « de' Veltri a cui bastassero e amore e sapienza e virtú, non nacque il primo o si spense nel canile la (4557)

razza ».

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PARODI ERNESTO GIACOMO. — « Parer tornarsi l'anima alle stelle, Secondo la sentenza di Platone ». (In Bull. della Soc. dant. ital., XIX, 138).

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A Par., IV, 23 e sgg. Il Torraca (Comm.) citata la Somma contro i gentili (II, 83) avverte che male è stato asserito che in questo o in altri capitoli di questa Somma D. poté leggere quella sentenza che fece confutare a Beatrice; e dichiara: « Io non ve l'ho trovata ». Si deve intendere che questa specie di smentita debba estendersi dalla Summa philos. anche alla theologica? Risponde il P.: « Non lo so, ma è l'opinione più comune che né qui né altrove la fonte diretta dell'asserzione dantesca non si sia trovata. Ed io non intendo di contraddire; ma mi pare che giovi ad attenuare quell'opinione il passo della Summa theol. (III Suppl., q. 97, art. 5 = IV Sent., dist. 44, q. 3, art. 2) dove si allude ad una condannabile teoria di Avicenna: In hoc secutus quodammodo opinionem antiquorum philosophorum, qui posuerunt animas redire ad compares stellas. Gli antiqui philosophi era troppo facile identificarli in Platone; che del resto qui Tommaso non fa che ricalcare la traduzione del Timeo platonico di Calcidio (42, B.): Victricibus quidem [animis] ad comparis stellae contubernium sedemque reditum patere, acturis, deinceps, vitam veram et beatam ». Ma lasciando di ciò, non so, continua il P., se nessun di coloro che si occuparono delle relazioni di D. col Timeo o con Platone in generale, concederà che il passo tomistico si possa mettere innanzi a spiegare interamente l'accenno del Par., dove troppo chiara è l'esplicita dichiarazione « Quel che Timeo dell'anime argomenta ». Ma se pur D. avesse conosciuto Calcidio quando scriveva il Par., poteva invece ignorarlo quando scriveva il Convivio; e, in tal caso, « anche tacendo del reditus e di ciò che può provenirne, quelle compares stellae tomistiche dovrebbero esser utili a spiegare il misterioso accenno platonico del Convivio medesimo (IV, 21, 11, 17 e sgg.): Plato ed altri vollero che esse [le nostre anime] procedessero dalle stelle, e fossero nobili piú e meno, secondo la nobiltà della stella ».

*

(4559)

Un libro tedesco sulla « Divina Com

media ». Firenze, 1911. [4319].

Recens. dell'art. del P. cosí intitolato, e che è, a sua volta, la recens. del Dante del Vossler, nel Bull. d. Soc. dant. it., XIX, 153 (giu. 1912).

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In una noticina apposta alla Prefezione di M. Barbi si avverte che essa prefazione fu preparata e fatta comporre « nel 1903, quando la pubblicazione dell' Indice stesso pareva non lontana »; ma mentre non si dice perché questa publicazione abbia dovuto subire un cosí maraviglioso ritardo, di questo ritardo il compilatore, da buono e paziente Cireneo, « si assume volentieri anche perché, dopo tutto, gli studi danteschi han continuato a fiorire senza l'Indice! ·la responsabilità (ne sia sua o no la colpa), di fronte alle benevole impazienze di molti e alle argute diffidenze di qualcuno che quasi non voleva credere all'esistenza dell'indice ». Ad ogni modo, poiché ora l'Indice c'è, e compilato con diligenza, è sperabile che non si debba lasciar passare un'altro buon decennio per procurarci quello del decennio seguente (1904-1913) che fra poco si compie. Buono il sistema seguito dal compilatore: il quale, abbandonato il sistema dell' indice tripartito o quadripartito, ha fuso l'indice propriamente bibliografico con un repertorio a soggetti, pel quale la ricerca si può fare agevolmente e senza gran perdita di pazienza e di

tempo. Nella prefazione, un po' vecchia oramai, ma sempre gradita, il Barbi discorre de' noti proponimenti della placida Società dantesca e del metodo seguito nella compilazione del Bullettino: de' progressi raggiunti dai nostri studii, di quanto ancora nel 1913 rimaneva da fare. (4563)

POST CHANDLER RATHFON. -The beginning of the Influence of Dante in Castilian and Catalan Literature. (In Twenty-sixth Ann. Rep. of the Dante Soc., Cambridge Mass., 1907).

Recens. in Bull. d. Soc. dant. it., XIX (1912), 166. (4564)

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A Par., XVII, 24. Donde venne a D. la parola << tetragono » ? Da Aristotele (Etica., I, 10, 11), le cui opere, «è ormai sicurissimo, lesse la piú parte... nella vetus translatio commentata da san Tommaso », ove il passo è il seguente (1. XVI, d.): « Et fortunas feret optime. Et omnino ubique prudenter qui et vere bonus, et tetragonus, sive vituperio ». Ma che vuol dire « tetragono »? La spiegazione di questa parola ci è data da s. Tommaso, appunto, al luogo sopra citato dell' Etica, commento che fu come la guida di D. a intendere il testo. << Ostendit idem ex bonis fortunae, quae sunt secundaria in felicitate. Et dicit quod felix optime feret omnes fortunas, et in omnibus se habebit omnino prudenter, utpote qui est vere bonus, non secundum apparentiam solum. Et est tetragonus sine vituperio, idest perfectus quatuor virtutibus cardinalibus, ut quidam exponunt. Sed hoc non videtur esse secundum intentionem Aristotelis, qui numquam invenitur talem enumerationem facere. Sed tetragonum nominat perfectum in virtute ad similitudinem corporis cubici, habentis sex superficies quadratas, propter quod bene stat in qualibet superficie. Et similiter virtuosus in qualibet fortuna bene se habet. Quia igitur ad virtutem pertinet omnes fortunas bene ferre, patet quod propter nullam fortunae mutationem, desistet felix ab operatione virtutis ». Questa spiegazione, già accolta nel commento di Pietro, « deve sola accogliersi nei commenti: Dante, ricordando le parole gravi, che gli fur dette giú nell' Inferno, intorno al suo futuro, le vuol chiarite dal suo antenato. Ed avverte che, quantunque quelle parole fossero gravi, egli ora sarà contento di sapere qual fortuna glí s'appressa, perché si sente ben tetragono ai colpi di ventura; e cioè perfetto in virtú, a similitudine del cubo, avente sei superficie quadrate, per il che bene sta in qualsiasi superficie. E come le parole di Cacciaguida servono

a chiosare il testo di quelle udite nell' Inferno (VI, 64, sgg.; X, 79 segg.; XV, 88 segg.) cosí questa figura del tetragono, secondo la spiegazione di san Tommaso, serve a chiosare le parole che D. stesso dice a Brunetto (XV, 91-96). E cioé egli è pronto a qualsiasi mutamento di fortuna; la quale, perciò, girando la sua ruota, lo potrà alzare in alto o buttar giú, a suo piacere, purché la sua coscienza non lo rimproveri di nulla, perché, dice s. Tommaso, alla virtú spetta di ben sopportare tutte le fortune, e, quindi, per nessuna mutazione di fortuna, chi è felice per la virtú desiste dall' operazione di virtú; perché in ogni fortuna sta bene». Dopo tutto ciò, conchiude il Proto, « debbono scartarsi, come estranee dal pensiero dantesco, tutte le altre spiegazioni che dieno al tetragono un significato diverso» (stabile, fermo, incrollabile e simili) e fino a un certo punto opposto alla spiegazione tomistica accettata dal Poeta. A queste spiegazioni forse contribuí, oltre che la ignoranza della sposizione tomistica dell' Etica, anche il ricordo di Purg., V, 14-15, rafforzato dal confronto oraziano (Sat., II, VII, 83-88) che pur dovrebbe sparir dai comenti. (4565)

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RICCIARDO [FRATE] da Cortona. Il Giardinetto di divozione: prosa toscana del XIV secolo ora per la prima volta publicata da G. L, Passerini. In Firenze, G. C. Sansoni, editore, (Prato, tip. Giachetti, figlio e C.) 1912, in-16° picc., pp. (2)-VIII-(2)-126-(2). Dal cod. Riccard. 1484. Nelle note si raccostano, fra altro, passi danteschi a passi del Giardinetto nei quali il Cortonese ebbe in mente l'Inferno dell'Alighieri. (4567)

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RIGHETTI LUIGI. Ancóra sul Canto XI dell' « Inferno» di Dante. Firenze, stab. tipografico E. Ducci, 1910, in-8°, pp. 30-(2).

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Dante. Frutto, certamente, di lungo studio, questi libelli, - e li chiamiamo cosí, intendiamoci, nel buon senso antico e dantesco, sono per noi una prova di quanto anche un uomo di non comune ingegno e di varia cultura, possa talvolta impuntarsi a voler ad ogni costo correre una via senza sfondo, esponendosi, almeno, al pericolo di perdere invano il tempo, e di sciupar le forze che meglio e più utilmente per tutti potrebbero essere adoperate altrimenti. - Cfr. Giorn. dant., XVII, 154, e De Chiara, per il Canto XI dell'Inferno (Cosenza, 1908). (4569)

RONCHETTI FERDINANDO.

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< Poca favilla gran fiamma seconda». (Ne Il buon Cons.,

Par., I, 34. A proposito della polemica che questo verso ha recentemente suscitato nel Picc. giorn. d'It., dove altri ha sostenuto «k'esso significhi : a piccola favilla seguitare gran fiamma; altri: piccola favilla suscitar grande fiamma »; interpretazioni nelle quali il senso è sú per giú lo stesso, sol variando la sintassi, la quale ha pure la sua importanza. Il Ronchetti difende la interpretazione della maggior parte de' comentatatori, cioè la prima, però che D. mai non usa secondare per favorire, ma sempre in significati che sempre agevolmente si possono ridurre al proprio etimologico di seguire, secondo l' uso comune gli scrittori del Trecento, testimone anche il Petrarca: « Ed un gran vecchio il secondava appresso ».

(4570)

SALMIN LUIGI. Curiosità bibliografiche. (Ne La Prov. di Padova, XIV, 256).

A proposito della minuscola edizioncina salminiana della Divina Commedia, della quale si occupò, con qualche inesattezza, il Times nel febbraio 1912. Cfr. Giorn. dant., XX, 219. (4571)

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Lagia e Guido et io». Il « Guido», ricordato in questo sonetto, è Guido Orlandi, come pensarono il Bartoli e l'Ercole, e nel « ser costui» del secondo verso si deve riconoscere Lapo Gianni. Dalla sua corrispondenza con l'Orlandi e dal sonetto «S'io fossi quelli che d'amor son degno», risulterebbe che Guido ebbe relazione amorosa con monna Lagia: in questi versi volgerebbe all'Amore, a Lagia, all' Orlandi e finalmente a sé medesimo le sue grazie, per quel che ciascuno fece al fine di francar l'un l'altro da una passione che li avvilisce e che non può essere paragonata con l'amore. Osserva il Flamini (Rass. bíbl. d. Lett. it., XX, 335) che se tutto questo è imaginato con acume, non ha bensi altro fondamento che pura ipotesi. « Ben altra luce rischiarerebbe i sonetto di cui si tratta se nel Guido del primo e del dodicesimo verso fosse lecito scorger designato il Cavalcanti e nell' io Dante; se, in altri termini, fosse da restituire all'Alighieri questo sonetto che tanto somiglia nella movenza iniziale al famosissimo Guido, vorrei che tu e Lapo ed io!» Ma se sia di Guido o di Dante, è questione che solamente Michele Barbi potrà risolvere; egli che ha già espulso tal dubbio (cfr. Barbi, Un sonetto e una ballata d'amore, Fir., 1897), osservando come non sia impossibile che il son., sebben dato a D. dal solo cod. Marc. it., IX, 191, fosse diretto a Guido, e che in due mss. si facesse poi la solita confusione tra colui che manda e colui che ri(4574)

ceve.

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« Era già l'ora che volge il disio». Saluzzo, Cooperativa tipografica, 1902, in-8°, pp. 14-(2).

(4575)

TOYNBEE PAGET. « Anubis » or « a nubibus » in Dante's Letter to Henry VII. (In Bull. ital., XII, 1).

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(4573)

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Il sonetto attribuito al Cavalcanti «Amore e monna

(4578)

Schema della « Divina Commedia » di Dante Alighieri. Catania,

Niccolò Giannotta, editore, 1910, in-8°,

pp. 102-(2) e tre tavole.

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VESCOVI ERMINIA. Le dottrine pedagogiche

e la « Divina Commedia », Milano, Scuola tipo-lito. figli della Provvidenza, 1912, in-16°, pp. 79-(1).

L'A. prende a considerare il larghissimo concetto educativo che informa anche praticamente tutto il Poema dantesco, per dimostrare come, sotto l'aspetto pedagogico eziandio, l'Alighieri emerga su tutto il suo secolo, sugli antecedenti e sui seguenti, e si unisca in intima armonía con tutti i più alti spiriti d'ogni tempo, a mostrar come la verità sia una perché derivata da un sol principio. Ma il lavoro della V. nulla aggiunge a quel che già è stato detto sull'argomento.

(4580)

WIESE BERTHOLD.

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Hilfsmittel zum Dan

testudium. (In Germ. Rom, Monatschrift, del Schröder, Kiel, 1911).

Intorno al culto di D. in Italia e fuori. Notizia nel Bull. d. Soc. dant. it., XIX (1912), 168. << Ottimo articolo informativo », nel quale « ai singoli studiosi è fatta con imparzialità la parte che loro spetta »; e << poiché la modestia non è che a vantaggio dei ciarlatani ignoranti e immodesti », si riferisce quello che il W. dice del Bullettino: « la maggiore e più bella enciclopedia e bibliografia del dantismo... il cui uso è reso mirabilmente comodo da eccellenti indici >>. (4581)

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