Slike stranica
PDF
ePub

NOTIZIE

A " Merope,

cesca

[ocr errors]

s'intitola il IV libro delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi di Gabriele D'Annunzio, or ora publicato con la consueta sobria e signorile eleganza dalla Casa editrice dei Fratelli Treves. Non questo è il luogo per un esame attento della novissima opera dannunziana, nella quale, come è ben noto, si raccolgono quelle dieci Canzoni della gesta d'oltremare che all' apparir, sul cielo d'Italia, di questa nuova « primavera santa » la quale ha riempito d'improvvisa gioia lo spirito intorpidito della Nazione, il Poeta publicò via via, dall' 8 di ottobre 1911 al 14 di gennaio 1912 nel Corriere della sera. Tuttavia non parrà strano che del Poema ammirevole sia fatto ricordo nelle pagine di questo Giornale; però che mai nelle opere dannunziane e neppur forse nella Franparve, come in questa, cosí viva schietta felice la forza e la continuità della inspirazione dantesca. In queste terzine possenti, delle quali altre non ne ha di più perfette, dopo quelle della Comedia e de' Trionfi, la poesia italiana, si sente alitar sempre presente lo spirito dell'Alighieri, e si scorge in modo palese quanto dalla sua anima e dalla sua arte abbia saputo derivare Colui che, piaccia o dispiaccia a certa critica idiota o maligna, è senza dubbio il piú grande de' nostri scrittori e poeti moderni, è e sarà uno dei piú insigni poeti civili d'Italia. Al primo emistichio della Canzone d'oltremare: << I miei lauri gettai sotto i tuoi piedi O Vittoria senz' ali », sono comento Egli avverte, i Canti della morte e della gloria, i Canti della ricordanza e dell'aspettazione, il Canto augurale per la Nazione eletta, quasi tutto il secondo libro delle Laudi publicato or è dieci anni non invano. Ma son pur comento al primo verso luminoso ci si consenta di aggiungere la raccolta delle Odi navali, gli scritti

[ocr errors]
[ocr errors]

polemici su L'Armata d'Italia, molti accenni, molti passi, alle volte intiere pagine delle altre opere in prosa e in verso, dal Trionfo della Morte alle Vergini delle rocce, dalla Città morta alla Gloria, dal Fuoco alla Nave. Erra dunque, se non è in mala fede, chi si ostina a gridare il D'Annunzio sol come un poeta nato a cantar di etère e di facili amori, o chi finge maravigliarsi, come d'un aspetto suo finora ignorato, del suo atteggiamento di poeta civile, che ci si mostri per la prima volta e balzi fuori improvviso da queste dieci canzoni, martellate e misurate al largo respiro della Patria, balzata, essa sí, improvvisamente, dalla miseria d'una sua lunga decadenza dalla quale non si vedeva come mai potesse risorgere.

Ma se questa immancabile resurrezione non la vedevamo noi, o, meglio, non la vedevano i censori di Gabriele d'Annunzio, ben Egli avea fede in essa e ad essa cooperava da lunghi anni, con vigile cuore, impavido a traverso l'indifferenza o l'odio de' suoi contemporanei. « Io starò fermo in campo, Egli aveva cantato, Contro l'odio selvaggio e il falso amore E ridendo farò la mia vendetta »; e pur dolendosi amaramente perché in una melma spessa e grigia una moltitudine ignobile si agitasse e trafficasse come nel suo elemento natale, e in Tullio Hermil e in Andrea Sperelli e in Giorgio Aurispa impersonando la miseria e la tristezza di un periodo angoscioso di vita italiana, vuota di pensieri e di opere, egli inseguiva con fisse pupille e con ansioso cuore un ideale lontano, e nuove albe radiose augurava e aspettava all' Italia.

Ricordiamo le memori parole che Egli pronunziò, in Or San Michele, dalla cattedra illustre, il giorno solenne della dedicazione dell'antica loggia del grano al novo culto di Dante: «Che da questa tribuna qualche vergine forza ignota si riveli, risuoni qualche

improvvisa parola di risveglio, lampeggi a un tratto qualche audace speranza! Non è vero che noi siamo in punto di perire e che tutto il paese non sia se non una immensa palude ove chi piú si agita piú affonda. La massa vitale della nazione è travagliata da fermenti occulti ond'è per levarsi qualche straordinaria febbre. Vivono qua e là uomini sinceri e forti la cui volontà si esercita secondo il bisogno morale dell'ora ch'essi attraversano, le cui azioni si svolgono subordinate a un'idea sorta in loro al contatto con la terra, intese a riempire d'un'armonia esatta i loro momenti e ad attrarre in quell'armonia i moti discordi che lo contrariano. E a quando a quando, nella stessa moltitudine si manifestano aspirazioni repentine verso la semplicità e la bellezza, che sono indizio della profonda sete ond' essa è tormentata, cui non valgono ad estinguere né a pervertire gli ignobili beveraggi che le propinano coloro i quali fanno professione di sollazzarla ». E ancóra: E ancóra: « V'è nella nostra terra un fondo inesauribile di forza creatrice, un nucleo di energie latente ove si ristora perpetuamente la vita che si consuma in noi, ove si formano in segreto i corpi gagliardi, i cuori vasti, gli spiriti luminosi che domani c'irradieranno all'improvviso, mentre gli strumenti della nostra opera imperfetta stanno per cadere dalle nostre mani stanche. È vero dunque che la nostra terra è ancora tanto ricca da poter nutrire il germe della più alta speranza ». E passando dall'augurio alla esortazione, ammoniva i Fiorentini nel 1900: << Fate che da voi nel nome di Dante, che fu il primo eroe di nostra gente rinnovellata, e nel nome di Garibaldi, che fu l'estremo eroe di nostra gente liberata, da voi si parta anche una volta l'esempio della volontà e dell'ardore che torranno la patria italiana alla troppo lunga vergogna e la restituiranno alla potenza del suo indistruttibile genio ». E a Milano, commemorando il Carducci, esortava i giovini: « Voi avete inteso quel che è in piacere del Nume: partite, apparecchiatevi, ubbidite: voi siete la semente di un nuovo mondo: questa è la primavera sacra ch' Ei vuole. Ma una piú antica, una piú arcana parola soggiunge e confida alla nostra aspettazione l'Eroe che levò l'inno

mattutino verso la giovinetta eterna e l'adorò quale già l'adoravano sul monte i nobili Aria padri. La raccolgano oggi tutti i prodi che vegliano e che s'armano; vi sono molte aurore ancóra che non nacquero ». E la parola è stata finalmente raccolta; la coscienza della Nazione, che parve smarrirsi per opera del mal governo dopo cinque decenii d'unità politica, si è ridestata finalmente dal lungo sonno, e l'Italia, riscaldatasi di nuovo a quella grande fiamma eroica che accomunò già tutte le anime de' suoi figliuoli in un medesimo ardore, ha ritrovato sé stessa. Il vóto e la speranza del suo Poeta son divenuti a un tratto realtà, e il pensiero civile di Gabriele d'Annunzio ha trovato la sua affermazione più sicura, piú precisa, piú alta in queste dantesche canzoni della Merope, squillanti come trombe guerriere, sonanti come alati inni della vittoria.

[blocks in formation]

Le ossa di Re Manfredi.

Qualche giornale raccolse, tempo fa, la voce che in una chiesetta poco lontana da Benevento sarebbe stato ritrovato un sarcofago contenente le ossa di Re Manfredi. Ora risulta da informazioni sicure che questo ritrovamento è assolutamente insussistente. Nessun elemento nuovo, pur troppo, è dunque ancor venuto a rischiarare il profondo mistero che tanto appassiona gli storici, intorno alla esistenza e alla sepoltura dei resti mortali dell' infelice figliuolo di Federigo II. In memoriam.

Un maestro nell' imprimer libri infaticabile e maraviglioso, Salvadore Landi, direttore e fondatore a Firenze della tipografia dell'Arte della stampa, è morto grave d'anni e di domestici affanni il 1° Dicembre 1911.

Di lui scrisse degnamente sul Marzocco Piero Barbèra; noi mandiamo un reverente saluto sulla sua tomba, nella quale si potrebbe incider l'elogio che in onor del Bodoni fu già inscritto nel verso della medaglia del Galeazzi: Inter typographos cultor et artifex venustatis elegantissimus.

1912 Tipografia Giuntina, diretta da L. Franceschini - Firenze, Via del Sole, 4. G. L. Passerini, direttore Leo S. Olschki, editore-proprietario-responsabile.

DANTE E IL DIRITTO ROMANO*

1.

-

I.

Esposizione ed esame critico

della letteratura.

La vita e le opere di Dante hanno oramai una cosí ampia e particolareggiata letteratura, che per non stancare né noi né i lettori con un sistema di continui rinvii, parrebbe miglior cosa procedere liberamente per la nostra strada, senza riferirci di continuo alla sconfinata congerie di opinioni e di ipotesi che pur in uno studio modesto come questo è giocoforza esaminare e discutere.

Ma, se buone ragioni di semplificazione starebbero per un tale procedere, non esse certamente potrebbero esimerci da una esposizione critica delle diverse opinioni che in merito ai rapporti tra Dante e il diritto si contesero il campo della verità, e, d'altra parte, per la loro debolezza, giustificano questa nostra indagine, su di un tèma non certo ignoto alla critica e alla letteratura dantesca. Per questo noi abbiamo creduto ottima cosa far precedere un rapido esame di quanto si è scritto

* Questa Memoria fu premiata dall'Istituto di Storia di diritto romano dell'Università di Catania nel concorso indetto per l'aprile del 1910 sul tèma: Ha studiato Dante il diritto romano? Pubblicandola, con qualche ritocco, sento il dovere di ringraziare il prof. Federico Patetta, illustre mio Maestro, che tanto amorosamente volle interessarsi per il miglior esito di questo lavoro.

sopra le conoscenze giuridiche di Dante, persuasi in pari tempo di colmare una piccola lacuna nel campo degli studi. 1

2.

1

Lo studio del pensiero giuridico dell'Alighieri si può dire cominci col nostro Risorgimento, quando al soffio delle idealità civili, nel gagliardo rifiorire di studi e di coscienze, la figura del « ghibellin fuggiasco > apparve agli italiani simbolo dell'unità nazionale. È assai comune in questo periodo trovare, anche in opere di carattere politico, accenni ai concetti giuridici dell'Alighieri; ma tutto questo non ha per noi che un valore molto relativo, perché piuttosto di vere e proprie esegesi ne sono soltanto delle semplici esposizioni. Il primo lavoro che prende in esame il lato giuridico delle opere dantesche è un opuscolo

1 Manca infatti una bibliografia completa e particolareggiata sull'argomento. Qualcosa si trova in WILLIAMS JAMES, Dante as jurist (The Law Magazine and Law Review ser. IV, vol. XII, 1896-97, pag. 110 e sgg.), come pure nell'altro lavoro dello stesso Williams, Dante as a jurist (Oxford, 1906). Quest'ultimo non è che un rifacimento del precedente e lascia pur esso molto a desiderare riguardo alla bibliografia. Del resto l'autore stesso lo riconosce a complete bibliography of books and articles on the legal aspect of Dante's works still remains to be compiled (pag. 64). L. ChiapPELLI nel suo lavoro su Dante in rapporto alle fonti del diritto ed alla letteratura giuridica del suo tempo. (In Arch. stor. ital. serie V, tom. XLI, fasc. I, 1908) non si occupa che incidentalmente della parte bibliografica.

Giornale dantesco Anno XX, quad. II.

5

di Giovanni Carmignani su La Monarchia di Dante Alighieri, Pisa, 1865. '

Egli studia principalmente il sistema politico del De Monarchia; ma non trascura la parte strettamente giuridica ed esamina da un punto di vista filosofico le idee dell' Alighieri su 'l diritto, la libertà, la giustizia e la legge.

Lo scritto ha dei pregi indiscutibili, specialmente per quel ch' ha tratto all'esegesi del pensiero dantesco. Non tutte però le sue conclusioni potrebbero accettarsi, avendo i recenti lavori sulle teorie politiche svolte nel De Monarchia in confronto a quelle di altri autori, notevolmente modificato tutta questa materia.

2

D'una importanza assai minore è la memoria di Vincenzo Lomonaco su Dante giureconsulto. Essa dimostra una buona conoscenza della filosofia e delle opere dantesche, ma contrariamente al titolo dato dall'autore, anziché studiare tutto intero il pensiero giuridico dell' Alighieri si restringe ad un esame piuttosto vago e non troppo originale della <diffinizione che Dante ci porge del diritto e dell'ampia applicazione che ne fa nel poema immortale e nelle opere minori » e del « concetto che egli ebbe della economia (sic) dei rapporti tra l'individuo e lo Stato ». Il lavoro non ha pregi singolari, è assai slegato, molto superficiale e poco conclusivo: l'autore si perde in una infinità di digressioni di nessun interesse e ripete una quantità di cose note, davvero, lippis et tonsoribus.

Lo studio del pensiero giuridico dantesco, iniziato, come si è visto, dal Lomonaco e dal Carmignani, continua con buona tradizione di scritti e di indagini, specialmente per opera

1 « Queste Considerazioni del Carmignani furono per la prima volta messe in luce nella edizione della Monarchia procurata nel 1844 da ALESSANDRO TORRI (Opere Minori di Dante, Livorno); e le vedemmo di frequente citate in posteriori pubblicazioni dantesche. Ma è utile che si sappia, chi le volesse tacciare di brevità soverchia, che esse non sono un lavoro a parte, come fe' credere il Torri, ma formano un capitolo della Storia della filosofia del diritto, opera postuma del pisano professore ». Cosí la prefazione alla citata edizione del 1865, a pag. V.

2 In Atti della R. Accademia di scienze morali e politiche, vol. VII, Napoli, 1872.

[blocks in formation]

2

Ciriaco De Antonellis, nel suo opuscolo De' principi di diritto penale che si contengono nella « << Divina Commedia », riguarda il testo del Poema come fonte di diritto penale e si propone di dimostrare che i principii di esso diritto, secondo gli ultimi progressi della scienza (sic), si contengono nella Divina Commedia (p. 23).

In relazione a tale concetto, egli va confrontando le varie forme di istituti penali, che si trovano nel poema, nientemeno che colle leggi vigenti nel napoletano nel 1860!' L'indirizzo del lavoro assume piuttosto l'aspetto di un'apologia dei concetti di Dante circa i delitti e le pene, che un esame storico-giuridico dei medesimi. In complesso non ha alcun valore neppure per l'esegesi del testo dantesco.

Il Vadalà-Papale, già noto per una serie di pubblicazioni sul concetto delle leggi, ha uno studio molto interessante appunto su Le leggi nella dottrina di Dante Alighieri e di Marsilio da Padova (in Studi giuridici dedicati ed offerti a Francesco Schupfer, Torino, 1898, parte II, p. 41 e sgg.). L'autore dimostra una buona conoscenza delle dottrine giuridiche del M. E., ed il suo lavoro è specialmente impor

Ricordo fra le più importanti: CARLE, La vita del diritto nei suoi rapporti colla vita sociale. Torino, 1890, ed. 2, p. 232 e sgg., e la Filosofia del diritto nello Stato moderno, Torino, 1903, vol. I, sez. I, p. 229 e sgg.; STAHL, Geschichte der Rechtsphilosophie, Heidelberg, 1874, pp. 57, 58, 61 e sgg., 65, 69; LASSON, System der Rechtsphilosophie, Berlin, 1882, p. 82; BEROLzheimer, System der Rechts-und Wirtschaftsphilosophie, München, 1905, vol. II, p. 129 e sgg.

2 La prima edizione napoletana è del 1860, in-16, di pp. 118. È pure pubblicato con prefazione e a cura dell' avv. VALERIO SCAETTA in Collezione di opuscoli danteschi inediti o rari diretta da G. L. PASSERINI, vol. VIII, Città di Castello, 1894.

3 Non mancano graziose amenità. Cosí a p. 63 e sgg. il confronto tra le pene dell' Inferno e quelle delle LL. PP. del Napoletano.

tante per ciò che riguarda i rapporti tra il pensiero giuridico dantesco e la filosofia di Aristotile e di s. Tommaso.

Qualche interesse hanno pure alcuni articoli dell'avv. Carmelo Grassi, ne'quali si studiano particolarmente il giudice, il diritto, la legge, la giustizia, la libertà, i partiti nel concetto di Dante. Questi scritti non mancano di buone osservazioni e di utili raffronti, ma in genere rispecchiano un po' troppo le convinzioni personali dello scrittore, abbondano di inutili digressioni, mancano quasi totalmente di apparato bibliografico e sembrano ricalcati, specialmente i primi, sulle note di Giurisprudenza dantesca di Giuseppe Iacopo Ferrazzi. "

[ocr errors][merged small]

1 Gli scritti ricordati sono i seguenti: Il giudice nel concetto di Dante (in Rivista abruzzese di scienze, lettere ed arti, Teramo, 1902, p. I sgg.; p. 238 e sgg.); Il diritto nel concetto di Dante; La legge nel concetto di Dante; La giustizia nel concetto di Dante; La libertà nel concetto di Dante; I partiti nel concetto di Dante (in Rivista universale di giurisprudenza e dottrina, Roma, 1902, vol. XVI, parte IV, p. 25 e sgg.; p. 37 e sgg.; p. 118 e sgg.; p. 146 e sgg.; 1903, vol. XVII, parte IV, pp. 58-80).

2 II FERRAZzi nel suo Manuale dantesco (Bassano, 1865, vol. II, p. 292 e sgg.) ha diversi capitoli su que sto argomento. Vi si parla della legge, dell' imputabilità, della pena, del giudice e del giuramento. Il Grassi non fa che riordinare le notizie raccolte dal Ferrazzi (che per altro non sono che passi tolti dalle opere dantesche) e aggiungervi delle brevi considerazioni di carattere generale. Cfr. per la verità, rispettivamente: FERRAZZI, op. cit., p. 292 e sgg. con GRASSI, Il giudice nel concetto di Dante, p. 238 e sgg. e ancóra FERRAZZI, op. cit., p. 292 e sgg. con GRASSI La legge nel concetto di Dante, p. 37 e sgg., ecc.

3 Avellino, 1905.

▲ Cfr. la recensione di ARRIGO SOLMI, in Bull. d. Soc. dant. ital. N. S. XVII, 1906, pp. 69-72.

[ocr errors]

3. Ma i rapporti fra Dante e il diritto non furono studiati soltanto dal punto di vista filosofico: abbiamo una serie di lavori, che si propongono di dimostrare sulle basi della vita e degli studi stessi del Poeta, che Dante ebbe buona conoscenza del diritto e di essa si giovò nella compilazione delle sue opere.

Corrado Ricci in un articolo pubblicato nella Nuova Antologia cercò di dimostrare che « Dante fu allo studio di Bologna prima del 1287 o magari in quell'anno in cui non aveva più che ventidue anni ». Ma la sua opinione non ha trovato séguito tra gli studiosi, neppure tra quelli che sostengono a spada tratta che Dante studiò diritto mano. 9

3

Gino Arias, nel bel volume su Le istituzioni giuridiche medioevali nella « Divina Commedia » (Firenze, 1901), tocca nei preliminari la questione che ci interessa, ma lo fa in modo cosí rapido, che, quantunque egli abbia sostenuto l'opinione, secondo noi, piú attendibile, la critica l'ha in genere del tutto abbandonato. L' Arias esamina la definizione dantesca del diritto e ne ricava, studiandola nella sua natura e nella sua genesi, che Dante non fu mente temprata agli studi giuridici. Afferma che i passi del Digesto, che s'incontrano nelle opere dell' Alighieri, non dimostrano « una conoscenza diretta e profonda delle fonti giustiniane», ma << son probabilmente notizie apprese di seconda mano e del resto di cognizione comune >> Crede

5

1 Serie III, vol. XXXII, fasc. VI, p. 297 e sgg. 2 L'ARIAS (op. cit., p. 23 e sgg.) combatte l'affermazione del Ricci perché non abbastanza giustificata dagli accenni di Benvenuto da Imola. Il Grassi (Una pagina biografica su Dante giureconsulto in Rivista abr. d. scien. letter. ed art., Teramo, 1903, p. 489), nega che Dante abbia svolto un corso completo di studi giuridici. Il Chiappelli (op. cit., p. 40) crede più probabile che Dante fosse un autodidatta nel campo del diritto e che i primi rudimenti li ricevesse nelle scuole di retorica. Il solo Williams (op. cit., p. 11), affermando che Dante fu a Bologna two periods of his life, cita in nota il lavoro del Ricci e l'opinione dello Scartazzini, secondo il quale fu in quella città una seconda volta tra il 1304 e il 1306.

3 Cfr. per es. la recensione di V. CIAN in Riv.. stor. ital., 1909, fasc. IV, p. 413.

4 Op. cit., p. 8. 5 Op. cit., p. 9.

« PrethodnaNastavi »