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Un'opinione alquanto diversa sostiene l'avvocato Carmelo Grassi. Egli afferma che Dante, pur non essendo un legale di professione né avendo svolto un corso di studi giuridici, non però manca di salde cognizioni di diritto. A prova di questa affermazione adduce la famigliarità di Dante con ser Brunetto Latini, l'esempio del padre « ch'è ricordato dai biografi come giureconsulto », la sua partecipazione al governo di Firenze, l'educazione impartita ai figlioli, gli accenni a Giustiniano, al Decretum, al Corpus iuris, l'amicizia di giuristi letterati, l'epitaffio del sepolcro di Ravenna ed un certo ritratto che si trova nelle Illustrium jureconsultorum imagines di Marco Mantova Benavida. Come si vede, una serie di notizie da soddisfare il critico piú incontentabile.

Assai superficiale e condotto con metodo poco dissimile è il lavoro del Williams: Dante as a jurist, tanto nella prima quanto nella seconda redazione.

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Idee originalissime sostiene il Rosadi in una ingegnosa lettura del Canto XI dell' Inferno. Egli esclude che Dante abbia fatto studi di diritto Dante, egli scrive, non fu neppure per dilettantismo un giureconsulto. Ma per intuizione spontanea del suo intelletto vastissimo e per facile riflesso della consuetudine e dello spettacolo quotidiano che gli offriva il diritto nelle sue manifestazioni, avrebbe distribuito i dannati nei diversi cerchi dell' Inferno, procedendo dal concetto dell' iniuria, intesa come ciò che si fa senza diritto e contro diritto, ciò ch'esce dalla cerchia interna delle pure tendenze e della sola incontinenza e per via di ogni attività malefica invade la cerchia sociale. L'idea del Rosadi a prima vista non manca di una certa parvenza di verità; ma perde ogni valore qualora si ponga in stretta connessione con tutto l'ordinamento penale dell' Inferno. Di questo però più ampiamente a suo luogo.

Infine Luigi Chiappelli nel lavoro, che abbiamo più volte citato, riprende con geniale raffronto di passi e di opere, lo studio dei rapporti fra Dante e il diritto romano. In base alle sue ricerche egli conclude che, benché Dante non possa dirsi un giurista nel vero senso della parola, ad ogni modo non manca di salde cognizioni giuridiche. Avremo campo nel corso del lavoro di esaminare e discutere le sue affermazioni.

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4. Le opere, che abbiamo ricordate, comprendono tutto quanto si è scritto sulle

1 Op. cit., p. 4.

2 Il Canto XI dell'« Inferno », Firenze, 1906.

3 Op. cit., p. 50 e sgg.

4 Op. cit., p. 16.

5 Il lavoro del Chiappelli è stato accolto con molto favore, come può vedersi dalle recensioni del SOLMI in Bull. d. Soc. dant. ital., (Marzo, 1909 p. 71 e sgg.); dell' ACHER in Rev. inter. du Droit, (1909, fasc. V, p. 472 e sgg.); del CIAN in Riv. stor. ital., loc. cit.

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Tralasciamo però di esporre sistematicamente le opere che vi si riferiscono, quantunque esse siano non meno delle precedenti, importanti e numerose. Faremo eccezione soltanto per alcuni lavori sulle dottrine politiche di Dante e del tempo suo, che ci furono di grande giovamento specialmente per l'esatta interpretazione del contenuto filosofico-giuridico del De Monarchia. Ricordiamo, oltre gli ottimi studi del Frank, del Riezler, dello Scaduto, in particolar modo i seguenti: F. X. Kraus, Dante, sein Leben und sein Werk, sein Verhältniss zur Kunst und zur Politik, Berlin 1897; 5 R. Scholz, Die Publizistik zur Zeit Philipps des Schönen und Bonifaz VIII, Stuttgart, 1903, Kelsen, Die Staatslehre des Dante Alighieri, Wien, 1905; e C. Cipolla, Il trattato De Monarchia e l'opuscolo: De potestate regia et papali di Giovanni da Parigi, Torino, 1892. 8

II.

Indirizzo generale del presente lavoro.

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5. Esposta cosí la letteratura, davvero ampia e copiosa, che si ha sul pensiero giu

1 Nessun valore ha l'opuscolo di VALERIO SCAETTA, La « Commedia » interpretata colla storia del diritto italiano, Rocca S. Casciano, 1905. Cfr. la recensione alquanto sfavorevole in Bull. d. Soc. dant. ital., N. S., 1906, p. 72 e sgg.

2 Réformateurs et Publicistes de l'Europe. MoyenAge, Renaissance, Paris, 1864. Cfr. specialmente p. 103

e sgg.

3 Die literarischen Widersache der Päpste zur Zeit Ludwig des Baiers, Leipzig, 1874. Cfr. p. 169 e sgg.

Stato e Chiesa negli scritti politici della fine della lotta per le investiture sino alla morte di Lodovico il Bavaro, Firenze, 1882. Importante la parte che riguarda il De Mon., p. 51 e sgg.

5 Specialmente pp. 677-771.

6 In Kirchenrechtliche Abhandlungen von Stutz, 6/8 H.

7 In Wiener Staatswissenschaftliche Studien, vol. VI, H. 3. Notevole anche la recensione fattane dal SOLMI, in Bull. d. Soc. dant. ital., N. S. XIV, p. 110

e sgg.

8 Nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie II, tom. XLII, p. 325 e sgg.

ridico di Dante Alighieri, non ci rimane che dir poche parole sopra il metodo, col quale fu composto il presente lavoro. Noi abbiamo dovuto, per le conclusioni stesse, alle quali ci ha condotto la nostra indagine, riprendere in esame e confutare gran parte di quanto è stato scritto finora sull'argomento. Fu quindi nostra preoccupazione di disporre tutta la materia nella maniera più semplice e più chiara possibile di modo che fosse facile al lettore colpire tutta la debolezza delle opinioni da noi contraddette ed apprezzare nel suo giusto valore quanto, a parer nostro, ci sembrava piú conforme a verità. Movendo da tal punto di vista noi abbiamo anzitutto presa in esame la vita del nostro poeta, per riconoscere se noi avessimo in realtà qualche prova di studi giuridici. Compiuta questa indagine diciamo finora, con esito negativo abbiamo esaminate le opere. Ma anche qui dovemmo constatare che mancavano gli elementi sufficienti per concludere che Dante ebbe conoscenza del diritto romano.

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83. Brunetto

5. L'esilio.

I. Ben nota è l'influenza che esercitano sull'uomo i primi anni della vita: i genitori, la casa ove nacque, la famiglia nel cui grembo egli crebbe. Non altrimenti, si può dire, i primi colpi di scalpello sbozzano sul marmo i contorni di una statua, che le impressioni della giovinezza già delineano il carattere e le tendenze dell' individuo. Non è quindi a stupire se alcuni scrittori videro nell'ambiente in cui trascorse la gioventú di Dante, un primo incitamento a volgersi agli studi giuridici. Alighiero II, suo padre, sarebbe stato, essi affermano, notaio e giureconsulto. Ma questa notizia, nello stato attuale delle indagini dantesche, è tutt'altro che sicura. Infatti l'opinione che il padre di Dante conoscesse il diritto fu sostenuta, specialmente

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1 GRASSI, Una pag. biogr. su Dante giureconsulto, p. 488; WILLIAMS, op. cit., p. 2; CHiappelli, op. cit., p. 43.

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dal Frullani e dal Gargani, in base ad un documento del 1239 rogato da un Alagherius imperiali auctoritate iudex atque notarius e a due altri del 1256 rogati in Monte Croce di Mugello dal notaio Allegherius; ed è riferita tra gli altri dal Fraticelli' e più recentemente dallo Scherillo. Però la maggior parte dei dantisti è oggi di contrario avviso.

Il Passerini scrive a questo proposito : Quanti hanno scritto di lui, hanno asserito che fu uomo di legge e valente, io per altro non posso sottoscrivermi alla loro opinione perché tra le molte carte passate tra le mie mani nelle quali è nominato, non è giammai designato colla qualifica di messere (dominus in latino) inseparabile a quel tempo dal nome di giureconsulto. Lo Scartazzini afferma che a sostenere che il padre di Dante fu notaro non abbiamo sinora verun documento né veruna testimonianza ineccepibile.

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Da ultimo il Kraus,' che il Chiappelli cita in nota, sostenendo nel testo l'opinione contraria, afferma risolutamente, riportandosi all'opinione del Passerini, che es liegt daher kein Grund vor, der oft wiederholten Angabe, als sei er ein bedeutender Jurist gewesen, irgend welchen Werth beizulegen. Pare ora che uno storico coscienzioso possa dar valore a quanto afferma o l'opinione meno seguíta o anche quella che oggi giustamente prevale, l'opinione, cioè, che il padre di Dante non fosse né giurista né notaio? A noi sembra che in tanta

Della casa di Dante con doc. ecc., Firenze, 1865, p. 57 e sgg.

2 Vita di Dante, Firenze, 1861, p.

3 Alcuni capitoli della biografia di Dante, Torino, 1896, p. 11.

Dante e il suo secolo, Firenze, 1865, p. 63.

5 Cosi pure il BARTOLI, St. d. Lett. ital., tom. V, Firenze, 1884, p. 21.

6 La Divina Commedia, vol. IV, Prolegomeni,

Leipzig, 1890, p. 25.

7 Dante, Milano, p. 22 e sgg.

8 Cosi anche l' IMBRIANI, Studi danteschi, Firenze,

1891, p. 229 e sgg.

9 Op. cit., p. 22.

incertezza la cosa migliore sia affermare col Bartoli che di Alighiero II non si ha nessuna notizia. Cade quindi senz'altro come poco verosimile anche l'altra affermazione del Chiappelli, che colla eredità paterna passassero a lui manoscritti legali.1

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2. Ma non soltanto l'esempio del padre avrebbe invogliato, secondo alcuni, il giovine Dante agli studi giuridici; qualcosa ne avrebbe dovuto apprendere nelle scuole di retorica, ch'egli certamente frequentò nella sua adolescenza. Ma questa supposizione è priva di significato. Se Dante fosse vissuto nell' alto Medio Evo, quando l'insegnamento del diritto era compreso fra le materie di studio delle scuole di retorica, come parte dell'antica letteratura, si potrebbe affermare con qualche verosimiglianza, che frequentando una scuola di retorica egli potesse apprendere non certo profonde, ma sufficienti nozioni giuridiche. Ma al tempo di Dante, in cui il diritto aveva nelle Università un insegnamento speciale, è presumibile che nelle scuole di retorica esso fosse diventato ben poca cosa. Tanto piú che, se nell'alto Medio Evo le poche nozioni di diritto insegnate nelle scuole di retorica potevano sembrare sufficienti, tutto ciò erasi completamente mutato nel secolo XIII, dopo la ricostituzione del Corpus iuris e le indagini della scuola bolognese.

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Alighieri che frequentava la sua casa. Né Dante, avidissimo come fu d'acquistar conoscenze in ogni ramo dello scibile, avrà assistito senza profitto alle molte e svariate occupazioni legali e politiche del dotto maestro. Or sembra, a leggere delle affermazioni cosí precise, che l'autore ignori come i rapporti fra Dante e Brunetto Latini sono una delle questioni più controverse della critica dantesca. Accanto all'opinione tradizionale che veramente ser Brunetto sia stato maestro di Dante (nel senso che gli impartisse un vero e proprio insegnamento), opinione del resto oggi quasi totalmente abbandonata, prevale nel campo degli studi la convinzione che ser Brunetto, come amico del padre, abbia soltanto esercitato un'alta e salutare influenza sugli studi del nostro poeta. Che però questa debba essersi svolta nel senso che ser Brunetto abbia invogliato con le parole e con l'esempio il giovane Dante allo studio del diritto, abbiamo molta ragione di dubitarne. A noi pare che in Brunetto si trovino ad un tempo fuse e discordi due nature diverse: da un lato l'uomo di parte, il notaio, il giurista, dall'altra il gaudente, il filosofo, il letterato; e ancóra che non sia un'esagerazione l'affermare, che l'anima, l'entusiasmo di Brunetto era piuttosto nella vita spensierata di gaudente, di filosofo, di letterato; che non nella severa e compassata dignità di notaro e di giureconsulto. Infatti, quando Brunetto Latini là nell' Inferno, è costretto, per il sopraggiungere d'altra schiera di dannati, ad abbreviare il suo dire, e pur grande desiderio egli sente d'intrattenersi e di parlare con Dante; una cosa ancor dice al « figliuol suo »

Siati raccomandato il mio Tesoro

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1 Cfr. KRAUS, op. cit., p. 31 e sgg.; BARTOLI, op. cit., pp. 37-52; TODESCHINI, Scritti su Dante, Vicenza, 1872, vol. I, p. 288 e sgg.; IMBRIANI, op. cit., pp. 331-80; SCHERILLO, op. cit., pp. 161-221; ScarTAZZINI, op. cit., p. 32 e sgg.; e Dante Handbuch, Leipzig, 1895, p. 55 e sgg.; G. L. PASSERINI, Minutaglie dantesche, Città di Castello, 1911, p. 6, sgg.; ORTOLAN, Les pénalités dans l'Enfer de Dante ecc. Paris, 1873, p. 81 e sgg.

2 Inf., XV, 119 e sgg.

bensí notaio, giureconsulto, ma piú che l'una e l'altra cosa doveva tenersi uomo di filosofia e di lettere, e, come il Petrarca piuttosto nelle opere latine che nel Canzoniere, cosí soltanto in quel Tesoro egli aveva posto il suo sogno di gloria e di immortalità. Non è quindi inverosimile che nei rapporti con Dante abbia ad ora ad ora discorso di lettere e di filosofia piuttosto che del Codice e del Digesto. Non era anche per Dante la filosofia la donna gentile, che col suo amore cacciava e distruggeva ogni altro pensiero ?

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4. Dante partecipò attivamente alla vita politica di Firenze. Il 6 luglio 1295, come membro del Consilium Centum virorum, concorse alla riforma degli Ordinamenti di giustizia.1 Il 14 dicembre dello stesso anno partecipò alla elezione dei priori. Tra il 1296 e il 1297, precisamente il 5 giugno, il 10 dicembre 1296 e il 14 marzo 1297, appare di nuovo nel Consilium Centum virorum. Nel 1300 certamente andò ambasciatore al comune di San Gemignano, col quale fu stabilito un accordo concernente alcuni particolari che riguardavano la Taglia guelfa *. Dal 15 giugno al 15 agosto del 1300 fu priore; ancóra nel 1301 a più riprese riappare nel Consilium Centum virorum e in quello delle Capitudini delle XII Arti maggiori. Del 27 gennaio 1302 è la prima condanna, del 10 marzo la seconda e con essa termina, si può dire, la vita politica di Dante Alighieri.

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anche elementare del diritto. Unica condizione abilitatrice era l'iscrizione ad una delle Arti: cosa che Dante fece iscrivendosi in quella degli speziali e dei medici, fatto che di per sé stesso già prova ch'egli ad ogni modo non aveva frequentato alcun corso di studi giuridici, essendo in tal caso piú naturale fosse iscritto nell'arte dei notai e dei giudici.

Né d'altra parte le testimonianze dell'attività politica di Dante, che si trovano conservate nei verbali dei diversi Consigli, di cui egli fu parte, non ci mostrano ch'egli abbia preso la parola su argomenti di puro diritto: costantemente invece egli interloquí in materia politica, con atteggiamento non diverso dai suoi colleghi d'uffizio. '

5. Né dai pochi ricordi della sua vita d'esilio potrebbero trarsi elementi favorevoli alla tesi che noi combattiamo. Non certo l'incarico dei Malaspina di trattar pace col vescovo di Luni, non le ambascerie degli ultimi anni per i signori di Ravenna: che se è vero che in tali pubblici negozi i giuristi avevano molta parte, ciò però non esclude ch'egli potesse intervenirvi, sopratutto per l'autorità e la fama del suo nome.

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1 Cfr. FRATICELLI, Storia della vita di Dante Alighieri, Firenze, 1861, p. 135; DEL LUNGO, op. cit., p. 8; G. BIAGI e G. L. PASSERINI, Cod. dipl. dantesco. 2 Cosí il CHIAPPELLI, op. cit., p. 41; BIAGI-PASSERINI, op. cit.

3 Cfr. Dante allo Studio di Bologna in Nuova Antologia, ser. III, vol. XXXII, fasc. VI, pp. 297 e sgg.

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