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L'unico appunto che merita di esser considerato, perché realmente rappresenta una vera e propria critica alla scienza del diritto, è quello ch'egli muove ai legisti di seguire pedestremente la lettera della legge. Ma è facile anche qui riconoscere che questo giudizio sul diritto e sull'opera dei giureconsulti non vuol essere in nessun modo una critica dei loro sistemi, ma è una semplice constatazione, che procede dal concetto che Dante ha del diritto positivo in confronto alla filosofia. Egli infatti afferma che i giuristi sono infra illa specula rationis, unde humana mens.... principia speculatur.' Del diritto positivo egli aveva detto che non dicit quod quid est iuris, sed describit illud per notitiam utendi illud.3

Della sua speculazione aveva più volte ripetuto ch' essa consisteva nell'indagare filosoficamente la natura della Monarchia. È quindi quindi naturale che concependo il diritto assolutamente come antifilosofico (non dicit quid est ius) e la sua indagine come essenzialmente tale, egli dichiarasse nel modo che abbiamo visto l' insufficienza dei concetti sostenuti dai giureconsulti. Per queste ragioni noi crediamo che il passo in questione non abbia a che vedere colla cultura giuridica dantesca.

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1 Di questo parere era anche il CHIAPPELLI nel suo lavoro: La polemica contro i legisti dei secoli XIV, XV e XVI, in Arch. giuridico, vol. XXVI, p. 295 e sgg. 'De Mon., II, cap. II, (ed. Moore, p. 361).

3 De Mon., II, cap. V, (ed. Moore, p. 354).
4 Di questo però piú ampliamente a suo luogo.
5 Op. cit., p. 41 e sgg.

6 Ad es. per Omero cfr. GAIO, 3, 141 [? 2 I., de empt. et vend. 3, 23 (24) ]; 1. 1 pr. e ? 1 D. de contrah. emptione 18, 1. (Paul. 33 ad ed.).

tori e di poeti, di Aristotile, di san Tommaso e le citazioni di Dante dal modo che vengono fatte rientrano unicamente in questa categoria. Ma non solo esse non assumono in queste opere alcun carattere giuridico, ma spesso vengono addotte e confutate. Cosí Bartolo da Sassoferrato, che due volte fece menzione di Dante nei suoi commentari al Corpus iuris, ' nella prima,' dopo riferita l'opinione del Poeta, dice che essa è contraddetta da ragioni bellissime — pulcherrimis rationibus ; nella seconda,' che Dante né aveva saputo validamente confutare gli errori altrui, né riuscire ad una conclusione vera ed accettabile.

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3. Ma non è bastata l'affermazione che Dante fosse giurista; si è voluto aggiungere che tale era il concetto che di lui avevano posteri e contemporanei. Una prova, secondo il Grassi, sarebbe l'epitaffio che alcuni ricordano fosse scolpito sulla tomba del Poeta e nel quale gli si dà gloria di aver propugnato i diritti della Monarchia. Ma il dire che in quest'epitaffio si ricordi Dante giureconsulto ci sembra un'asserzione piuttosto avventata, ché la frase iura Monarchiae riferita a quello che segue e ancóra al verbo proprio dei poeti cecini non giustifica punto una simile deduzione. Tanto piú che questo epitaffio non è l'unico che le fonti ci riferiscono: piú importante e più antico è quello di Giovanni del Virgilio, nel quale non soltanto manca qualsiasi riferimento alla supposta cultura giuridica di Dante, ma lo si ricorda unicamente come filosofo e poeta:

THEOLOGUS DANTES, NULLIUS DOGMATIS EXPERS, QUOD FOVEAT CLARO PHILOSOPHIA SINU, GLORIA MUSARUM, VULGO GRATISSIMUS AUCTOR, HIC IACET ET FAMA PULSAT UNDIQUE POLUM.

1 Cfr. WITTE, De Bartolo a Saxoferrato Dantis Alligherii studioso. (Dante-Forschung., 1874, p. 461); NEGRONI, Dante Alighieri e Bartolo da Sassoferrato, in L'Alighieri, vol. I, p. 302 e sgg. 2 Ad 12 Dig., XLVIII, 17.

3 Ad Cod. XII, 1, 1.

4 Op. cit., p. 491.

5 L'epitaffio è il seguente:

IURA MONARCHIAE, PHLEGETONTA LACUSQUE LUSTRANDO CECINI, VOLUERUNT FATA QUOUSQUE: SED QUIA PARS CESSIT MELIORIBUS HOSPITA CASTRIS AUCTOREMQUE SUUM PETIIT FELICIOR ASTRIs, HIC CLAUDOR DANTES PATRIIS EXTORRIS AB ORIS, QUEM GENUIT PARVI FLORENTIA MATER AMORIS.

Cosí comproverebbe la fama che Dante ebbe di giureconsulto, il trovarsi la sua effigie in qualche tarda ristampa delle

Illustrium Jureconsultorum imagines quae inveniri potuerunt ad vivam effigiem expraessae ex Museo Marci Mantuae Benavidii.1 Romae, Ant. Lefrerii Sequani formis, 1566 in fol.2

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Ma già il Savigny si accorse che il trovarsi il nome di Dante in simili ristampe era dovuto ad un semplice equivoco: steht hier unter der achten Numer seltsamerweise Dante Alighieri anstatt des dort befindlichen Franciscus Accoltius.

Del resto anche in altre edizioni, ad es. in quella di Venezia, che ho potuto consultare alla Biblioteca Nazionale di Torino:

Illustrium Jureconsultorum imagines quae inveniri potuerunt ad vivam effigiem expressae ex Museo Marci Mantuae Benavidii Patavini iureconsulti clarissimi. Venetiis ap. Donatum Bertellum, 1569 in fol.

si trovano le medesime effigie, ma l'ottava è distinta col nome Fran. Accoltius aretinus a. 1469, evitandosi in tal modo ogni possibile equivoco.

Né basta. Il Benavida è autore di una storia dei grandi giureconsulti, nella quale si parla della vita e delle opere di ben ducento e trentatrè giuristi, dai più antichi a quelli del tempo suo. Orbene in tale storia, che per la sua ampiezza non lascia supporre alcuna trascurata dimenticanza, non ricorre il nome dell' Alighieri, mentre si ricordano i nomi e le opere dei giuristi le cui effigie si trovano nel suo Museum. Ci pare quindi che ogni contraria opinione ed ogni dubbio non abbia piú ragion d'essere.

1 Nacque a Mantova nel 1489 e mori nel 1582. Insegnò istituzioni nello Studio di Padova.

2 Cosi il FERRAZZI, op. cit., vol. II, p. 292; GIULIANI, Le opere latine di Dante Alighieri, Firenze, 1878, vol. I, p. 215; GRASSI, op. cit., p. 491; WILLIAMS, op. cit., p. 63; Chiappelli, op. cit., p. 42; Poletto, Diz. dant., vol. III, p. 96.

3 Op. cit., vol. III, p. 21.

4 L'opera ricordata è la seguente: Epitome virorum illustrium qui vel scripserunt nel jurisprudentiam docuerunt in scholis authore Marco Mantua patavino jureconsulto. Si trova edita in GUIDO PANZIROLI, De claris legum interpretibus, p. 435 e sgg.

CAPITOLO QUARTO.

Delle citazioni giuridiche in Dante.

1. Prevalenza delle citazioni filosofiche e letterarie nelle opere di Dante. 2. Le citazioni giuridiche.

3. Loro caratteristiche. 4. Conclusioni che giustificano in rapporto alla coltura dantesca. - 5. Altre prove in favore delle nostre conclusioni.

I.

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www.

Le opere di Dante, specie quelle di prosa, abbondano per usare un'espressione ch' egli adopra per Boezio << di vocaboli di autori e di scienze e di libri ». Secondo il Moore, che ne ha studiato con molta diligenza le fonti classiche, si riscontrano 598 passi della Bibbia, 401 di Aristotile, 293 di Virgilio, 74 di Ovidio, 57 di Cicerone, 47 di Lucano, 39 di Boezio, 28 di Stazio, 20 di Orosio, 19 di Livio, 14 d'Orazio, 13 di s. Agostino, 8 di Platone, e 6 rispettivamente di Omero, di Giovenale, di Seneca, 5 di Valerio Massimo ed uno solo di Euclide, Lucrezio, Svetonio, Galeno e Vegezio. Per gli autori medioevali non abbiamo dati cosí precisi e perché non esiste un lavoro, come quello del Moore, il quale studi nel loro complesso i rapporti fra Dante e gli scrittori del Medioevo, e perché d'altra parte, essendo queste fonti assai numerose e in genere al Poeta piú accessibili, è molto difficile determinare a quali egli abbia attinto. Con minor precisione, ma con egual certezza, può dirsi tuttavia che le opere di Dante offrono larghissime tracce dei più noti filosofi del Medio Evo. Per non parlare di san Tommaso, da cui è tolta la teologia e la dogmatica dantesca, ricorrono

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Studies in Dante, First series, Scripture and Classical authors in Dante, Oxford, 1896, p. 4. Cfr. anche N. BADALONI, Le opinioni letterarie in Dante, in Giorn. dantesco, XV, 1907, p. 98.

2 Riferimenti delle sue opere ricorrono in tutti gli scritti danteschi. Particolare notevole : la filosofia di Aristotile è nota a Dante specialmente attraverso i commenti di s. Tommaso. (Cfr. Conv., II, 15; IV, 8 e FLAMINI, I significati reconditi della « Commedia» di Dante e il suo fine supremo, parte I. Livorno, 1906, p. 29 e sgg.; KELSen, op. cit., p. 142). Nel Paradiso è s. Tommaso che gli mostra « di quai piante s'infiora» la ghirlanda del quarto cielo (Par., X, 82 e sgg.), e ancora con mirabile slancio di poesia parla

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nelle sue opere copiosi riferimenti di Alberto Magno, di s. Agostino, di s. Bonaventura, " di s. Pier Damiano, di Gregorio Magno e ancóra dei commentatori arabi delle opere di Aristotile, Avicenna, Averrois' ed Algazel. * Né meno nota, si arguisce dal De vulgari Eloquentia, doveva essergli l'ampia produzione letteraria in volgare, in cui egli per l'indole del suo ingegno e per la natura delle sue opere doveva essere versatissimo. Il De Monarchia prova d'altra parte che egli conosceva assai bene almeno i principali scritti pubblicati nel suo tempo sopra i rapporti tra l'Impero e il Papato.' Accanto ad essi non mancano però accenni abbastanza notevoli di opere di coltura generale, tra i quali il Libro dell'Aggregazione delle stelle di Alfragano, 10 il De derivationibus verborum di Uguccione " e le opere di Brunetto Latini. 12

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Ora è facile rilevare, raffrontando le opere che Dante dimostra di aver conosciuto, la prevalenza che tra esse hanno gli autori di carattere filosofico e letterario.

I poeti ed i filosofi, cosí tra i classici come tra i medioevali, sono senza dubbio i piú importanti e per numero e per abbondanza

di san Francesco d'Assisi (Par., XI, 43 e sgg.). Cfr. del resto principalmente POLETTO, Dizionario dantesco, Siena, 1885, p. 11 e VOSSLER, La « Divina Commedia » studiata nella sua genesi e interpretata, Bari, 1909, parte I, p. 161 e sgg., parte II, p. 428 e sgg. Ne ricorda nel Convivio (II, 14; IV, 23) il DE METEORIS.

2 Cfr. specialmente KELSEN, op. cit., p. 140 e sgg. e Vossler, op. cit., parte I, p. 147; parte II, p. 360 e sgg.

3 Cfr. Par., XII, 133 e sgg.

4 Cfr. Par., XXI, 113 e sgg., e VOSSLER, parte II, p. 420 e sgg.; AMADUCCI, L'opuscolo di s. Pier Damiani fonte diretta della « Divina Commedia » ?, in Giornale dant., vol. XIX, 1911.

5 Cfr. VOSSLER, op, cit., parte II, p. 380 e sgg. 6 Cfr. Inf., IV, 143; Conv. II, 14, 15; III. 14; IV, 21.

7 Inf., IV, 144; Mon., I, 3; Conv., IV, 13.
8 Conv., II, 14; IV, 21.

9 Lo studio finora incompleto delle fonti di questo opuscolo non ci permette di annoverarle tutte. Cfr. KRAUS, op. cit., p. 678 e sgg.

10 Citato in Conv., II, 6.

11 Citato in Conv., IV, 6.

12 Cfr. Inf., XV, 120.

di citazioni. Aristotile e Virgilio ricorrono continuamente nelle opere dantesche: cosí Ovidio, cosí Cicerone. Tra gli scrittori del Medioevo, san Tommaso e gli altri scolastici vengono riferiti il maggior numero di volte : lo stesso è degli autori lirici delle scuole dugentesche.

2. — Vediamo ora quale parte abbiano le citazioni giuridiche nel sistema delle citazioni dantesche.

Circa il numero e l'identificazione dei passi delle opere dantesche che debbono riferirsi al Corpus iuris, non c' è grande accordo. L'Arias sembra restringerli alle citazioni del IV del Convito, che, mentre riproducono nella loro integrità frammenti del Digesto, a questa opera direttamente si riferiscono. Il Williams ha invece allargato notevolmente il numero dei passi giuridici e, spigolando nelle opere di Dante, ha raccolto nel suo lavoro tutto quanto poteva avere anche un lontano riferimento al diritto. Più moderato, il Chiappelli ha aggiunto alle citazioni, già notate dall'Arias, nuova filza di passi, tolti specialmente dal De Monarchia, nei quali si troverebbe palese l'influenza delle fonti giustiniane.

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Ora è necessario, prima di procedere nel nostro studio, determinare chiaramente quali nelle opere dantesche debbano considerarsi come citazioni giuridiche e quali no.

Secondo il nostro modo di vedere, nessuno degli scrittori surriferiti ha determinato nettamente quali sono i passi inspirati al diritto. L'Arias è stato troppo prudente quando li ha voluti restringere a quei pochi (sono in tutto cinque) che hanno esplicita referenza al Digesto. Il Williams d'altra parte esagera, e pare, dal modo stesso della sua ricerca, che voglia dimostrare ad ogni costo la coltura giuridica di Dante.

Neppure il Chiappelli, si può dire, è riuscito a determinare nettamente quali passi delle opere dantesche debbono derivarsi dal diritto positivo: egli, come del resto quanti hanno scritto su questo argomento, non ha badato ad un fatto importantissimo, che, cioè, i passi giuridici di Dante, intesi nel senso piú largo della parola, sono di duplice na

1 Cfr. op. cit., P. 8. 2 Cfr. op. cit., passim. 8 Cfr. op. cit., p. 11.

tura: da una parte quelli che riferiscono concetti di vero e proprio diritto positivo; dall'altra quelli che non riferendosi ad alcun istituto giuridico concreto esprimono giudizi sopra le idee fondamentali del diritto, come la legge, lo stato, la giustizia. Posta chiara tale distinzione, rimane evidente che passi veramente giuridici son quelli soltanto che derivano dalle fonti giustinianee. Riferendoci ad una distinzione assai ben posta dal Moore,1 possiamo dividerli in tre classi a) citazioni propriamente dette, 3) riferimenti, 7) allusioni. Ben netta e definita è la fisionomia della prima classe a). In essa comprendiamo tutte quelle citazioni giuridiche che, riferendosi esplicitamente alla Ragione, ne riportano passi e concetti nella loro integrità. Meno distinta è la separazione delle altre due ẞ) e y). Non è facile infatti, come scrive lo stesso Moore, distinguere se un passo delle opere di Dante debba piuttosto considerarsi come un volontario riferimento ad un autore o piuttosto una reminiscenza involontaria. Tuttavia assegnamo alla categoria ẞ) quei passi delle opere di Dante, che, senza avere diretto e palese riferimento al Digesto, ne riportano integralmente i concetti; nella categoria y) tutti gli altri, che, senza potersi definire come prettamente giuridici, presupporrebbero la conoscenza diretta od indiretta delle fonti giuridiche.

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Determinati cosí quali dei passi danteschi riferentisi al diritto debbono considerarsi come derivati dal Digesto, vediamo senz'altro quanti essi sieno:

a) Citazioui. Mancano nella Vita Nova, nella Divina Commedia, nelle Epistole, nelle liriche le poche sono tutte del Convivio e precisamente del quarto trattato. Sono cinque e cioè una del Vecchio Digesto: cap. IX; una dell' Inforziato: cap. XV; tre genericamente riferentesi alla Ragione: una al cap. XIX e due al cap. XXIV.

B) Riferimenti. - Mancano del tutto nella Vita Nova, nel De vulgari Eloquentia; qualcuno però abbiamo nelle altre opere del Poeta, e precisamente nella Divina Commedia l'accenno a Giustiniano (Par., VI, 10); nell' Epistola VI ai fiorentini l'affermazione che i publica iura

1 Op. cit., p. 4.

2 Op. cit., p. 4.

Giornale dantesco, anno XX, quad. II

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4.

-

È necessario ora fermare la nostra attenzione sopra alcune particolarità, che forse sono in parte sfuggite agli scrittori precedenti. Il numero delle citazioni giuridiche dantesche, come fu da noi determinato, se per sé può sembrare notevole, posto in relazione con tutto il sistema delle citazioni dantesche perde molta della sua importanza. Aristotile infatti è citato nelle opere di Dante ben trecento volte, Virgilio non meno di duecento: le citazioni del Digesto non superano invece la decina. È quindi evidente che esse non possono ritenersi cosí numerose come fin qui furono erroneamente considerate da quanti le presero in esame, prescindendo dal sistema generale delle citazioni dantesche.

D'altra parte è notevole la maniera con la quale i passi giuridici vengono riferiti. Dante non è uniforme nel modo delle sue citazioni, ma diversamente, secondo i casi, o cita col semplice nome dell'autore o col solo titolo dell'opera, oppure coll'uno e l'altro insieme. 1 Talvolta egli usa indicare anche la parte dell'opera citata, o « il cominciamento », o « la fine», o addirittura « il libro » a cui intende riferirsi. Ora è facile constatare che il modo delle citazioni non è arbitrario, ma, tuttoché Dante riferisca talvolta anche gli autori a lui più noti col semplice nome, pure la minore o maggiore specificazione è strettamente connessa con la conoscenza ch'egli ebbe di ogni singolo autore.

Si prendano in esame per es. le citazioni di Aristotile. Il numero e piú ancora le dichiarazioni di Dante provano che le opere del grande filosofo furono da lui studiate « con lungo studio e grande amore ». Orbene, il modo delle citazioni che si incontrano, specie nelle opere minori, corrisponde piena

1 Cfr. PAGET TOYNBEE, A dictionary of proper names and notable matters in the works of Dante, Oxford, 1898, passim.

2 Cfr. FLAMINI, op. cit., p. 9 e sgg.; Moore, op. cit., p. 92 e sgg.

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mente a tale profonda coltura aristotelica. Difatti il pensiero del « Maestro di color che sanno » non viene riferito soltanto col semplice nome (il che del resto avviene assai spesso), ma ancora col titolo delle varie opere e, persino, coll'esatta indicazione del libro of della parte a cui Dante si vuol riferire. Vediamo cosí che il De anima è citato una sola volta genericamente (Conv., II, 9) e tutte l'altre si specifica se il passo è tolto o dal cominciamento (Conv., II, 14) oppure dal secondo (Conv., III, 6, 9, IV, 7, 20) o dal terzo libro (Conv., III, 2; IV, 13, 15). Il trattato Degli animali, il quale è citato due volte soltanto (Conv., II, 3, 9), la seconda è riferito indicando il libro dodicesimo. Dell' Etica Nicomachea, l'opera che Dante stesso per bocca di Virgilio ci fa intendere di aver a lungo e profondamente meditata, si citano nel solo Convito tutti i dieci libri, e nel De Monarchia ne vengono riportati oltre dodici passi, quasi tutti coll' indicazione del libro onde essi derivano. Noi potremmo Noi potremmo raddoppiare gli esempi; quanto diciamo di queste opere di Aristotile potrebbe dirsi per la Politica, per la Metafisica, per la Fisica, come anche per gli altri autori, che dal numero delle citazioni o per diverso indizio è indubitabile che Dante conobbe profondamente. Cosí la Bibbia è citata. in tutte le parti con preciso riferimento, non soltanto alla classica ripartizione in Vecchio e Nuovo Testamento, ma piú minutamente indicando per nome i vari scritti che la compongono.

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1 Cfr. PAGET TOYNBEE, op. cit. alla parola Aristotile.

2 Inf., XI, So.

3 Ecco infatti i passi relativi per ogni libro dell' Etica: I, Conv., I, 9; III, 15; IV, 13, 15, 16, 17, 22; II, Conv., III, 8; IV, 17, 22; III, Conv., III, 4; IV, Conv., IV, 19, 25, 27; V, Conv., I, 12; VI, Conv., IV, 12, 27; VII, Conv., III, 7; IV, 20; VIII, Conv., I, 12; III, 3, 11; IX, Conv., I, 12; III, 1, 11; X, Conv., II, 5; IV, 17.

4 Cfr. Mon., I, 3, 11, 13, 14, 15; II, 2, 3, 6, 8, 12. 5 Cfr. PAGET TOYNBEE, op. cit., sotto queste voci.

6 Cosi gli Atti degli Apostoli (Mon., II, 8; III, 13; Purg., XXIX, 134-8; 145); Il Cantico dei cantici, (Mon., III, 10; Purg., XXX, 10-12); l'Ecclesiastes, (Conv., II, 11; IV, 2, 6, 16); le Epistole di s. Paolo

Se poi dagli autori a Dante meglio conosciuti passiamo a quelli di cui è certo o è presumibile non abbia avuta profonda conoscenza, è facile constatare il fatto contrario, cioè la mancanza di qualsiasi specificazione nel riferire le varie opere, ridotto ogni accenno al solo nome dell'autore. Caratteristico è l'esempio delle citazioni di Omero. Dante non ebbe diretta conoscenza di questo poeta: difatti egli non soltanto ignorava la lingua greca, ma esclude esplicitamente nel Convito di aver conosciuto il grande poeta per mezzo di traduzioni latine. D'altra parte le indagini del Moore, avvalorate dalle parole stesse di Dante, provano che i passi di Omero non derivano dal testo originario ma son tolti parte da Orazio e parte da Aristotele. Orbene, tutte indistintamente le cinque volte che nelle opere di Dante si riscontrano dei versi del grande poeta, essi vengono preceduti dal solo nome dell'autore, né mai si cita o il libro o il poema di cui fanno parte. Quanto diciamo per le citazioni di Omero vale ancóra per quelle di Giovenale, di Platone e di altri minori, che è certo furono noti a Dante soltanto attraverso

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gli scritti di Aristotele e di Boezio.

Venendo ora alle citazioni giuridiche, è facile constatare come esse rientrano, per la loro forma, precisamente tra quelle delle opere a Dante meno conosciute. Infatti il Digesto viene citato, con espresso riferimento, in tutta l'opera dantesca tre volte col nome generico

ad Colonenses, (Conv., IV, 24), ad Corinthios, (Mon., III, 10); ad Ephesios (Mon., II, 13); ad Galatas, (Mon., I, 16); ad Haebreos, (Mon., II, 8); ad Philippenses, (Mon., III, 13); ad Romanos, (Conv., IV, 28); ad Thimotheum (Mon., II, 11); l'Evangelio, (ad es. Conv., II, 1; III, 14; IV, 16, 17).

1 Sono in tutto cinque: V. N., § 2, 55; Conv., V, 20; Mon., I, 5; II, 3.

2 Conv., I, 7 « E però sappia ciascuno che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può della loquela sua in altra trasmutare, senza rompere tutta una dolcezza e armonia: e questa è la ragione perché Omero non si mutò di greco in latino, come le altre scritture che avemo di loro ».

3 Op. cit., p. 344. Cfr. anche PAGET TOYNBEE, op. cit., p. 406.

4 Cfr. Convito, cap. 20: E ciò prova Aristotile nel settimo dell'Etica per lo testo d'Omero poeta. 5 Cfr. P. TOYNBEE, p. 280.

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