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Che il Villani abbia realmente concepito il proposito dell'opera sua in Roma, nel 1300, dinanzi al genius loci, con un misto di perplessità e di pathos, come ce lo raffigura il Symonds- accesa ancóra la fantasia dall'aver veduto quasi sfilare sotto i suoi occhi una generazione, come scrive il Sismondi, possiamo contraddirgli, poiché egli lo afferma: sebben tardi, nel lib. VIII, quando lo stesso verace proposito aveva avuto tempo di grandeggiare inconsciamente nel suo ricordo. Il proemio di Dino Compagni reca, per me, a fronte del cap. del Villani, un'affinità che gli studii sulla Cronaca non riescono a spiegarci; ed anch'esso fa memoria del Giubileo: « Le ricordanze delle antiche istorie lungamente hanno stimolata la mente mia di scrivere i pericolosi avvenimenti non prosperevoli i quali ha sostenuto la nobile città figliuola di Roma, molti anni, e spezialmente nel tempo del giubileo dell'anno MCCC »; come il Poeta nella sua visione, si volgono all'anno secolare anche gli scrittori della storia fiorentina.

All'edizione critica del Villani attende, fin dal 1895, il Marzi, che ha già compiuto le ricerche preliminari su 112 mss. ed è in grado di determinare la divisione in varii gruppi e di valutarne l'importanza; è un danno per gli studii che altre cause, pur legittime, quali la direzione dell'archivio di Stato fiorentino e le ricerche pel libro sulla Cancelleria della Repubblica, non abbiano consentito il sollecito adempimento della promessa del Fiorini al Congresso storico internazionale del 1903;* le conclusioni del Marzi consigliano, come le esperienze anteriori, l'uso dell'edizione Moutier."

1 E qui, a mio vedere, il fatto d'una seconda redazione (VOLP), Il Trecento, 2a ed., in n. a p. 446) non può chiamarsi per ischivare il problema; perché si cancellasse quella diversa condizione di lavoro, nessuna postilla, o correzione parziale, sarebbe bastata, ma solo una nuova fusione del libro intero, una serie nuova, un procedimento per gruppi: qualcosa di estraneo all'indole della Cronaca, quale risulta dai mss. noti. 2 Dei lavori preparatori alla nuova ediz. dei R. I. SS., pp. 15-16.

* Firenze, Magheri, 1823; con l'assistenza dell'Antonielli, proposto di Figline [v. Cronica di Matteo, ed. Coen, t. I, p. 535]. Il Marzi la collazionò col testo Davanzati, senza rilevarvi gravi errori e

I miei studii mi consentono di concludere che l'ipotesi di una duplice redazione, quando pure si abbia ad accogliere, non debba intendersi mai in senso assoluto: la Cronica del Villani dovrà pur sempre considerarsi come un'opera sola: in essa lo studio dei mss. deve determinare le possibili interpolazioni (brevi, in genere: non tali da trasformarne la fisionomia) e scegliere la lezione migliore nei passi discordanti. Secondo l'ipo

lacune di questo ms. (ch'è il Riccard. 1532), insieme con i Riccard. 1533 e 1534 e il Magliab. II, I, 114, mi varrò per i casi che risultino incerti dal confronto di tutte le edizioni: cioè le quattro del sec. XVI, quella del Muratori (ristamp. nei Classici Italiani) e quella del Moutier, di cui le successive fino alla triestina del Lloyd, 1857, non sono che ristampe: per l'ediz. fiorentina del Coen, 1844-45, compilò soltanto le « appendici storico-geografiche » Fr. Gherardi-Dragomanni. L'ediz., curata dal Muratori per il t. XIII dei R. I. SS. (ed a parte, con la stessa impaginaz., per cura di Filippo Argelati, Storie di Giovanni, Matteo e Filippo Villani, In Mil. 1729, vol. 1), fu seguita da asprissime dispute: v. P. MASSAI, t. VIII dell' ediz. Moutier, p. XVII, n., e le lettere polemiche; ZENO, in Bibliot. dell' eloq. ital. del Fontanini, II, pp. 234-35. Ad un' ediz. del Villani s'era pur venuto prepa rando il compianto prof. Vittorio Lami, ed un sunto della relazione sugli studii già compiuti si legge nel Bullett. dell'Istit. stor. ital., n.o 13 (1893), p. XVII segg. Le carte del Lami si conservano ora presso l'Istituto storico, e debbo alla cortesia del Segretario, comm. I. Giorgi, per intervento del Monaci, d'aver avuto notizia precisa della relazione e del saggio di ediz. preparata dal Lami per i capi 1-16 del lib. IV (che citerò più oltre, insieme con i tratti curati dal Lami per il Manuale del D'Ancona e Bacci, vol. I); e su questa parte, con esame saltuario di altri luoghi, egli aveva poggiato le sue conclusioni quanto ad una possibile distinzione di due redazioni diverse della Cronaca; per la ricostruzione critica di entrambe giudicava << strettamente necessarii », non piú di quattro codici, due Magliabech., il Classense e il Corsiniano. Sulle ragioni che lo distolsero dal ms. Davanzati, di cui egli pure aveva confermato il valore (Di un compendio ined. della « Cronica» di G. Villani ecc. in Arch. stor. ital., S. V, t. V (1890), p. 371, n.) non è ora da discutere; come l'insieme delle ricerche, condotte in condizioni più favorevoli e su più vasto materiale ms., è tale da dare alle sue conclusioni un valore << normativo » e non costitutivo »>.

2 Si guardi alle ediz. della rubrica dantesca, e alle differenze fra le ediz. Muratori e Moutier ; il confronto con le anteriori riesce, come indizio, istruttivo. Cfr. Bull. Ist. stor., cit., XXVI-VII.

tesi della seconda redazione si concluderebbe soltanto che la « variante » è « correzione » dell'autore stesso: non altro. Ho espresso il mio pensiero in modo molto conciso, e senza poterne recare gli argomenti; ma il lettore vedrà che, al di fuori delle cautele sul testo, io pubblico le mie ricerche perché le credo giustificate anche nelle condizioni attuali degli studii sulla Cronaca. In linea strettissima di metodo, la questione stessa potrebbe rimanere estranea: abbiamo dinanzi passi del Villani che rispondono alla Comedia di Dante: si devono giudicare irreducibili ad essa? Qui non ha luogo che l'esame interno, e d'analogia con le altre fonti, in quanto può illuminare la fonte supposta di Dante: se di tutti, poniamo (ed è ipotesi, dichiaro sicuramente, disperata), si dovesse dimostrare un' inserzione piú tarda, o una lezione che sopprimesse quel raffronto, questo non sarebbe che un'ultima conferma della mia tèsi: ma, come ho detto, una conferma che non attendo.

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1 Mancano nei Riccard. 1532, 1534, e nel Magliab. cit.; esse sono già tutte nell'ediz. di Venezia, 1537 e nella prima giuntina, 1559, mancano nella seconda, 1587.

2 È qui notevole come la redaz. che reca i versi di D., presenti anche, prima della citaz., un ricordo testuale che manca dove mancano i versi : « et se non fossi altri ch-elli solo mentre avesse vita in corpo con la spada in mano la difenderebbe ». Testo Davanzati: << et s-altri ch-elli non fosse.... ».

tratta del detto re Manfredi dicendo: Sel pastor di Cosenza ch-alla caccia, ecc. »;

lib. VII, 40 [39, ed. Mout., 38, ms. cit.]: « Et del detto conte Guido e del suo misfatto fa mentione Dante nello-nferno capitolo [XII] ove tratta de tiranni dicendo: Egli è colui che fesse in grembo a-dio Lo cor che-n su tramisi ancor si cola, ecc. »;

lib. VII, 79 [80, ed. cit., 78 ms.]: « Et di questo traditore fa mentione Dante nello -nferno nel capitolo [XXXII] ove tratta de traditori dicendo: Piú là con ganellone e tribaldello' C-aprì faença quando si dormia, ecc. ».

Queste citazioni son tutte sulla stessa formula; d'alcune, la lettura attenta del passo può mostrare l'inserzione piú tarda, e quasi marginale; ma noi dobbiamo vedere se in nessuno di questi luoghi tolta la citazione dantesca essa non rimanga tuttavia implicita,

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Di Manfredi, VII, 9: « ma appie' del ponte di Benivento fu soppellito, e sopra la sua fossa per ciascuno dell'oste gittata una pietra, onde si fece grande mora di sassi » . Sotto la guardia della grave mora: ed è la parola, inconsueta, inserta fortemente e come dominata dalla rima. « Ma per alcuni si disse,

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1 « De' Manfredi » lo dice il Villani, forse per confusione con l'altro traditore, frate Alberigo, pur egli faentino, che rientrò con gli altri guelfi.

2 Manteniamo, sui migliori testi, quella che il Villani fa a più riprese nel libro XII, cc. 19, 97, 119 (118 Murat.), dall' invettiva contro Firenze, Purg., VI, 139-147: Atene e Lacedemona che fenno l'antiche leggi.... Quante volte del tempo che rimembre....

3 Testo curato dal Lami, in D'ANCONA e BACCI, I, p. 459: quasi in tutto conforme all' edizione vulgata.

4 Editori del Villani la mutarono in monte: v. la n. nell'ediz. Moutier, t. II, p. 381. S. FERRARI, Lect. Dantis, Purg., III, Fir. 1901, p. 24: « che par risenta dell'Alighieri ». Zdekauer, La « grave mora » (Purg., III, 129) in Bullett. senese di st. patr., III, pp. 406-09: la notizia del Villani gli sembra una parafrasi di Dante (ciò ch'è ammesso anche in Rass. bibl. d. lett. tal., V, pp. 65-66: riprod. con altre attestazioni, del 500, di mora per macia di sassi, in Bullett. Soc. Dant., N. S., IV, 133), ma una parafrasi erronea: D. avrebbe indicato un << tumulo improvvisato », forse il pilastro stesso del ponte (« mora seu pila », Chron. parm.), e la retta interpretazione sarebbe stata sviata dal racconto del Villani, ch'è da tutti riferito come il miglior « commento » del verso dantesco.

che poi, per mandato del Papa, il vescovo di Cosenza il trasse di quella sepoltura, e mandollo fuori del Regno, ch' era terra di Chiesa, e fu sepolto lungo il fiume del Verde a' confini del Regno e di Campagna »; è un commento delle terzine: non v'è altra notizia che in esse non sia, il pastor di Cosenza.... Or le bagna la pioggia e muove il vento.... e la sola fonte, anche per noi, è sempre Dante: la commiserazione della spoglia dissepolta e gittata si smarrisce in un' esposizione piana e pedestre.

1 A. BERGMANN, König Manfred von Sizilien, Heidelberg, 1909, p. 104. Le « conferme » a Dante. Villani, Malispini, Benvenuto (S. DE CHIARA, Dante e la Calabria, 2a ed., Città di Castello, 1910, pp. 76-77) non ne sono, per la sepoltura, che derivazioni. Nell'insieme del racconto «il Villani rappresenta la genuina tradizione guelfa, che fu quella onde si nutri la mente del giovinetto Dante » : SCHERILLO (Manfredi, nel vol. Con Dante e per Dante, Mil., 1898, p. 81); il quale prescelse questa narrazione su quella del Tesoro, per i dubbii sull'autenticità delle aggiunte storiche. L'aneddoto « Hoc est signum Dei », quando a Manfredi cade il cimiero (l'aquila d'argento) sull'arcione, non può collegarsi, se non con grande sottigliezza, all'estrema conversione supposta dal Poeta : (D' Ovidio, Nuovi studii danteschi. Ugolino, Pier della Vigna, i Simoniaci, p. 506 n.) Ma questo esce dalla nostra ricerca, ed apparterrebbe ad una tradizione storica accolta variamente dai due autori: ch' essa, prima di Dante, esistesse per la salvazione di Manfredi, è l'opinione del NOVATI (Indagini e postille dantesche, Bol., 1899, IV), appoggiata caldamente dal GORRA, (Il soggettivismo di Dante, Bol., 1899, pp. 45-46), e dal TORRACA posta in dubbio. Per quanto è del Villani, la condanna morale della schiatta, dopo il supplizio di Corradino (che pure egli compiange, poi ch' era stato preso << per cagione di battaglia »), mi pare una reazione veramente guelfa alla salvazione dantesca di Manfredi : << Ma di certo si vede per ragione e per isperienza, che chiunque si leva contro santa Chiesa et è scomunicato, conviene, che la fine sua sia rea per l'anima e per lo corpo; e però è sempre da temere la sentenza della scomunicazione di santa Chiesa giusta o ingiusta, che assai aperti miracoli ne sono stati chi legge l'antiche croniche » (VII, 29). Per la terzina Inf., XXVIII, 16-18, il ricordo di Ceperano «< là dove fu bugiardo Ciascun Pugliese », non ha riscontro col Villani, VII, 5, dov'è il tradimento, ma non sanguinosa battaglia: l'ha invece con VII, 9 « la maggiore parte de' baroni pugliesi, e del Regno.... o per viltà di cuore, o veggendo a loro avere il peggiore, e chi disse per tradimento, come genti infedeli e vaghi di

Per analogia, la parola dantesca par che risuoni nel passo, che precede di pochi capitoli (VII, 4): « Ben si disse [la formula consueta del Villani] che un messer Buoso della casa di que' da Duera di Chermona per danari ch' ebbe da' Franceschi mise consiglio per modo, che l'oste di Manfredi non fosse al contasto al passo, com'erano ordinati, onde poi il popolo di Chermona a furore distrussono il detto legnaggio di quegli da Duera ». Nell'edizione Muratori:- « di quelli della casa da Duera » » qui la differenza non par dovuta a correzione, ma ad una facile alterazione di copia, e il riscontro vi si scorge ugualmente: «Io vidi, potrai dir, quel da Duera» (Inf., XXXII, 116). Poi, forse, l'argento dei Franceschi :1 non la frase in sè, per danari ch'ebbe...., ch'è troppo naturale; dove il Villani ricorda il tradimento di Carlino de' Pazzi: « e per moneta che n'ebbe, i Fiorentini ebbono il castello », e Dino Compagni, II, 28: « Dissesi che Carlino li tradì per denari ebbe ».

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nuovo signore, si fallirono a Manfredi », cioè nel racconto della battaglia di Benevento, in cui viene a confondersi il Ceprano dantesco: v. E. Pozzi, L'accenno a Ceprano nella « Div. Comm. », in Giorn. storico, LVII, pp. 303 sgg.; Le opere di Ferreto de' Ferreti, ed. CIPOLLA, vol. I, p. 14, n. 2; cfr. TOYNBEE, A dictionary of proper names and notable matters in the works of Dante, Oxford, 1898, p. 147, ad v. Ceperano (in fine), dov'è pur additata la nuova soluzione, sul passo del Villani. La comune tradizione appare anche su Tagliacozzo, e pel nome stesso, e per la vittoria senz'arme, il consiglio di guerra del vecchio Alardo: << messer Alardo mastro dell'oste e savio di guerra, con grande temperanza e con savie parole ritenne assai lo re.... e quando li vide bene sparpagliati, disse al re: fa muovere le bandiere, ch' ora è tempo». BUSSON, op. cit., pp. 74-75 l'accusa del tradimento di Buoso si trova solo, fra i cronisti, nel Villani e in F. Pipino, R. I. SS., IX, 709: v. GORRA, Soggettiv., cit., p. 57 e n. 90; che il Villani la ricavi da D., sembra anche al Pozzi, art. cit., p. 321, n.; cfr. MERKEL, L'opin. dei contemporanei ecc., cit, p. 144. Secondo il Pipino, Buoso doveva << exercitui Francorum pergenti ad Carolum contra Manfredum transitus prohibere »; ma qui egli non fa che tener per sè il denaro ricevuto per l'impresa da Manfredi : non v'è corruzione del nemico. Il confronto col Pipino, più ampio ed accurato, conferma il ricordo dantesco del Villani.

2 VIII, 53; non v'è rispondenza, se non del fatto, con Dante, Inf., XXXII, 69, che v'allude soltanto.

Piú notevole il passo VII, 40, della vendetta di Guido di Montfort:

....Colui fesse in grembo a Dio

lo cor che in sul Tamigi ancor si cola:

di valore decisivo, anzi, ove si accolga l'osservazione del Davidsohn, che Dante abbia voluto con << in sul Tamigi» indicare soltanto l'abbazia di Westminster dove fu serbato nell'urna d'oro il cuore d' Enrico, e che la notizia del sepolcro innalzato sul ponte sia una leggenda sorta per erronea interpretazione. Il commento del Lana ci mostra come il testo di Dante si potesse intendere rettamente : << Or fu tolto lo cuore del ditto messer Enrico da alcuni suoi parenti, e messo in una bussula, e balsamato e mandato nella sua terra che è appellata Londra, che è appresso un fiume che ha nome Tamisci »; e le Chiose anonime alla prima Cantica (ed. Selmi): « Poscia che fu morto, si fece fare un calice d'oro e fuvvi messo entro il cuore, e conservato con balsimo, e portato in Inghilterra a una città che si chiama Londra, e messo in una chiesa ch'è sopra un fiume che si chiama Tamigi ». L'Ottimo deriva dal Lana (« il cuore suo fu tolto.... >> << Nella vesta della detta imagine » che non s' intende, senza << imagine di marmore ch'è nel testo del Lana): ma la frase è già volta cosí : « ....a Londra, dove in un calice d'oro coperchiato in mano d'una statua fu locato sopra il fiume a Londra chiamato Tamigi, per lo quale passano tutti »; e qui è contaminazione col comento dell' Inferno di autore anonimo (ed. Lord Vernon, 1848: la traduz. di Graziolo): « lo quale [cuore] poi di comandamento de re fu meso i-mano d-una statua di pietra fermata sopra la riva del fiume del Tamisio»; onde s'intende come la descrizione della statua, che ricorre nei primi commentatori, unita all' accenno del fiume, suggerisse la forma compiuta, per cosí dir saldata, della leggenda, quale troviamo nel Villani : << e 'l cuore del detto suo fratello fece porre in su una colonna in capo del ponte di Londra, per memoria agl' Inghilesi

1 Forschungen zur Gesch. von Florenz, IV, p. 202 : « Aus diesem dichterischen Ausdruck « che in sul Tamigi ancor si cola » entstand nun offenbar die phantastische, auch von einigen Kommentatoren übernommene und variirte Angabe Villanis, das Herz des Prinzen.... », ecc.

del detto oltraggio ricevuto»: ancor si cola. E nei commentatori che conobbero certamente il Villani (Boccaccio, Benvenuto, Chiose ed. Vernon, 1846) la statua mantiene la sua sede sopra il ponte di Londra.1

La « mala parola» di Guido da Montefeltro per l'acquisto di Prenestino: << lunga promessa co l'attender corto » (Villani, VIII, 23) è bene il verso di Dante, anche se l'episodio del mal consiglio non debba tutto muover da lui. È noto come la discussione sul passo del Chronicon di Francesco Pipino si risolva nel fatto che questi attinse a Ricobaldo, che Dante dovette conoscere pure; ma il testo citato, quando s'inseri nel Villani, valse come una citazione del Poeta.

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Catalano e Loderingo: «i quali tutto che d'animo di parte fossono divisi, sotto coverta

1 Per i rapporti fra il Villani ed i primi commentatori, alcuni dubbii ed indizii nel Rocca, Di alcuni commenti della « Divina Commedia » composti nei primi venti anni dopo la morte di D., Fir., 1891, p. 277 sgg.; cfr. KRAUS, Dante, Berlin, 1897, p. 510. Le date di composizione e di pubblicazione, oscillanti per il Villani, e le parziali alterazioni dei commenti pongono tali inchieste fra le più delicate.

2 D' OVIDIO, Studii sulla « Divina Commedia » p. 40; del TORRACA, gli accenni più recenti in Bullett., N. S., X, p. 441, e Rass. critica Lett. ital., XVI, p. 26 (A proposito di Bonifazio VIII). II CIPOLLA, prelez. cit., p. 8, giudica d'origine fiorentina l'aneddoto, raccolto dal Pipino e dal Ferreto.

3 A. F. MASSERA, Il « consiglio frodolente » di Guido da Montefeltro secondo una nuova fonte storica, p. nozze, Rimini, 1911. Ricob: « Saltem me instruas quoniam modo eos subigere valeam » (Pip. ; « Doce me saltem hostes illos sugigere); volgarizz.: « Et refiutando ello costantemente, i disse: Insegnami almeno com'io facia a-sottometter quegli.... Prometti assai et attendi poco ». Sui rapporti fra Ricob. e il Pipino, un cenno troppo superficiale in C. Antolini, M. M. Boiardo storico, in Studi su M. M. Boiardo, Bol., 1894, pp. 312-13; né dopo le sottili ricerche sulla cronologia di Pipino si potrebbe accogliere una << dipendenza » da lui della Istoria imperiale!

4 CIPOLLA, ed. Ferreto, p. 72, n., e Ferreto de Ferreti e l'episodio di Guido da Montefeltro, in Bull. dell'Istit. stor. ital., no 31, pp. 99-101; i due capitoli scoperti dal Golubovich, non hanno che un lontano rapporto con l'espressione dantesca: servono solo a darci i tratti consueti della figura di Guido, su cui l'episodio s'è formato (similm. il documento del DAVIDSOHN, Forsch., IV, p. 387, sui religiosi richiamati

di falsa ipocrisia furono in concordia..,. › (VII, 4). Lo studio delle fonti sul governo dei due frati gaudenti in Firenze conclude che l'accusa d'ipocrisia si trova solo in Dante e nel Villani, e ch'è immeritata, poiché la colpa ne risale al Pontefice; già il Bartoli (Storia, VI, II, p. 85) la diceva « un'accusa vaga, che mal si comprende », e l'attribuiva alle eccitate passioni politiche; e chi osservi attentamente le parole del Cronista, che alla divisione nominale dei partiti oppone la concordia effettiva per il « guadagno loro proprio » piú che per << il bene del comune », vi riconosce come il prolungarsi della sentenza dantesca. Veramente, il lor guadagno non entra per nulla nel mal governo; in Dante, l'accusa sta in ciò essi erano stati eletti da Firenze < per conservar sua pace », invece furono tali che....: l'accusa d'ipocrisia è come la sintesi del suo giudizio storico. Ma, posta la

al secolo << sine causa rationabili, in scandalum plurimorum »). Nel Villani, VII, 44: « savio e sottile d'ingegno piú che nullo, che fosse a suo tempo »

Gli accorgimenti e le coperte vie

io seppi tutte, e si menai lor arte

ch' al fine della terra il suono uscìe.

e

In VIII, 21, i « balestrieri e pavesari crociati », prender la croce : non è riscontro, ma la semplice notizia; e lo stesso « sarcasmo» contro la guerra pontificale << E non con Saracin, né con Giudei » ma contro Cristiani, doveva essere sorto spontaneo al bando della crociata: « MCCLXXXXVII venne in Firenze messer Matteo d'Acquasparta, cardinale e legato del papa, e bandi la Croce sopra e' Colonnesi e perdono, chome chi andasse sopra e' saraceni ». Cronichetta del ms. Magliab. XXV, 505, ed. dal SANTINI, quesiti e ricerche di storiografia fiorentina, Fir., 1903, p. 122). Del Villani, il PARODI (Bullett. N. S. IX, 102, n. 2) adduce anche VII, 144, sulla presa d'Acri; e dalla fine del capit. « riesce chiaro come il ricordo di essa si legasse nella mente di Dante con quello del divieto pontificio»: e fece grandissime scomuniche a qualunque Cristiano andasse in Alessandria o in terra d'Egitto con mercatanzia.

1 SALVEMINI, Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295, Fir., 1899, pp. 241-57, e TORRACA, Catalano e Loderingo, in Giorn. dantesco, VII, p. 493-94; non cerchiamo ora se l'occulta politica di Clemente IV basti ad assolverli in quanto « consentirono a danneggiare Firenze, ingannando quelli che li avevano chiamati a conservare la pace » (I. DELLA GIOVANNA, Lect. Dantis, Inf. XXIII, Fir. 1901, pp. 23-24).

2 TORRACA, Catal. e Loder., cit., p. 482.

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prima traccia di finzione, essa è spiegata, per un facile procedimento, con ragioni d'interesse, che rimangono oscure : non rampolla dalla narrazione dei fatti, ma v'è aggiunta, sovrapposta. Dante aveva ritratto, nella fosca scena, il collegio degl' ipocriti tristi: ed i frati bolognesi v'appartenevano ormai per ogni lettore della Comedia: qui, l'accusa, sebbene ingiusta, forma la stessa sostanza dell' episodio, v'è connaturata, non se ne può scindere: pel Villani, essa era già abbrancata all' imagine di quei due. Questa è la soluzione consigliata dall'esame interno dei due passi; e se quello delle fonti storiche induce allo stesso risultato, come vediamo nel Salvemini, cui non restò che una leggera incertezza (v. p. 242), si può affermare che il suo valore per me esso rimane considerevole dovrà defi

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e sott'ombra di falsa ipocrisia chiamaron trentasei buon cittadini uomini d'arte e di mercatanzia....

v. SCHERILLO, L'ipocrisia di D. nella bolgia degli ipocriti, in Giorn. dant., XIII, p. 21; non credo però necessario l'intervento della « tradizione popolare » : piuttosto, una tradizione letteraria, che si manifesta nella successione: Dante, Villani, Pucci, non senza l'azione dei primi commentatori: Chiose anon., ed. Selmi « E ognuno di costoro si diede in sul guadagnare » (cfr. Le antiche chiose anon. all' « Inf.» di D. sec. il testo marciano, nella Collez. op. dant., del PASSERINI 61-62, p. 113, « e ciaschuno de' due si die' sul guadagniare »).

2 Tolta di mezzo la derivaz. di Dante dalla cronica malispiniana, sulla quale avean condotto i loro riscontri il Betti e il Busson, lo Scheffer-Boichorst, Florent. Studien, pp. 249-50 n., era incline ad ammettere un rapporto fra il Poeta e le cronache germinate dai Gesta Florentinorum; ed il solo esempio su cui si trattenne, era per questi versi. Tolomeo da Lucca: « Venerunt Florentiam de Bononia dominus Cathalanus et Lotharingus, fratres Gaudentes, quasi curam gesturi civitatis »; Della Tosa: «per raccon ciare la terra». Ma, come si vede, se tanto può valere per determinare le cognizioni storiche di Dante alle quali credo che i Gesta, attraverso i primi continuatori, non siano estranei, ne rimane escluso ciò che forma l'indole propria del giudizio dantesco.

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Giornale dantesco Anno XX, quad. I.

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