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che sarà salvezza dell'uman genere; dispone il nuovo soccorso a ricondurlo nella verace via, quando questo, nel Trecento, la ha di nuovo smarrita. Nei su riferiti pensieri, sparsi nelle opere di Dante, trova ragione la fusione dell'elemento pagano con l'elemento cristiano nella Divina Commedia.

II.

Dante, indagando con la sua mente scrutatrice l'universale natura, e fermandosi su i filosofi antichi e sulle considerazioni di molti Dottori della Chiesa, veniva a tali conclusioni e alla conseguente fusione dell'elemento pagano con l'elemento cristiano. L'idea d'un Ente supremo, animatore dell' Universo, apparisce in moltissimi filosofi e poeti greci, ed è a dirittura manifesta in Omero, in Pitagora, in Socrate, in Platone, in Aristotele, e, piú tardi, in Cicerone e in Virgilio. Fra i cristiani poi Origene, Atenagora, Panteno, Clemente Alessandrino sostennero la medesimezza sostanziale dell' Idea pagana e dell' Idea cristiana, e cercarono di persuadere alle genti che la nuova credenza era sempre esistita; e sant'Agostino trovò parecchie attinenze tra il paganesimo e il cristianesimo e fra alcuni dommi cristiani e alcune credenze registrate nei libri platonici; alle quali, e' dice, altro non. mancava perché si potessero concordare coi Vangeli che il domma della rivelazione. E, procedendo oltre, si venne nella conclusione che Pitagora, Socrate, Eraclito e tutti coloro che si erano studiati di nobilitare l'uman genere, traendolo all'ammirazione delle cose spirituali, si dovevano annoverare fra i cristiani. S'insegnava che il Verbo divino si era sempre diffuso nel Mondo, e a guisa d'ispirazione comunicato sotto simboli varî ai saggi di tutti i tempi. Questa dottrina, che santificava in certo modo il senso occulto dei miti, era di grande importanza < ad intendere come e perché le imagini mitologiche, a guisa di rimembranze simboliche, travarcando la notte. del medio-evo servissero ai concetti dell'arte egualmente che le imagini cristiane, con tale

1 Cfr. EMILIANI-GIUDIGI. St. d. Lett. ital., II.

risultato che i critici troppo corrivi a giudicare hanno finora riputato accozzamento di barbare fantasie ».1

Adunque i Pagani adoravano Giove. Ma chi era Giove?

Era il Signore d'ogni cosa creata. Or bene, questo Signore d'ogni esistenza era il Dio dei Cristiani, il Dio degli Ebrei Giove, Jovis, Jehova. E Giove stesso ne' simposî era venerato col nome di Giove salvatore. Cosí si spiega perché Dante non esiti a dare quel nome al Figliuol di Dio:

o sommo Giove, che fosti in terra per noi crucifisso; (Purg., VI, 118-119) né esiti a chiamare l'aquila ora uccel di Dio, ora uccel di Giove; né a presentar Giove come l'Ente supremo :

quando fu Giove arcanamente giusto;

(Purg., XXIX, 120) come san Paolo, lo Vas d'elezione, non esita, neppur lui, a riferire le parole di Arato in onor di Giove, al Dio dei Cristiani: « In ipso vivimus et movemur»: quel san Paolo che aveva detto agli Ateniesi: «videos simulacra vestra, inveni et aram in qua scriptum erat: Ignoto Deo. Quod ergo ignorantes colitis, hoc ergo annuntio vobis ».

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celesti: Giunone, Vulcano, Pallade, Cerere, ecc. gli angeli del Cielo. Cosí a spiegare la teorica delle intelligenze, che presiedono ai cieli, volgarmente dette angeli, ricorre a Platone: «<... e chiamale Plato Idee, che tanto è a dire, quanto forme e nature universali ». Indi soggiunge: << Li Gentili le chiamavano Dei o Dee, avvegna che non cosí filosoficamente intendessero quelle, come Plato; e adoravano le loro imagini, e facevano loro grandissimi templi, siccome a Giuno, la quale dissero dea di potenza; siccome a Vulcano, lo quale dissero dio del fuoco », ecc. Con che si spiega pure la voce dee, usata da Dante in questo verso:

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In essa gerarchia son le tre dee.

(Par., XXVIII, 121)

Dunque al gentilesimo manca la rivela zione, ma non il sentimento del Dio dell' Universo e di molte verità cristiane.

III.

Inoltre, i poeti sono quasi interpreti del pensiero divino, e nella loro ispirazione colgono a dirittura nel segno; per questo spirito divinatore Virgilio tiene uno dei primi posti. Nel XXV della Vita nuova, parlando della facoltà largita ai poeti di dar vita, movimento e favella alle cose, Dante dice che Orazio, quasi interprete d'Omero, si volge alla Poesia e la personifica, chiamandola Musa; e cosí Ovidio, quando si volge ad Amore come a persona, ha inteso dare rappresentazione sensibile ad un sentimento.

In che è chiaro come Dante opini che Ovidio, Orazio, Omero, poeti pagani, per la facoltà poetica di rappresentazione, personificavano, in que' luoghi, un concetto e un sentimento. E per vero, quanto la mente poetica o la fantasia dei popoli, nei tempi primitivi, rappresentò sotto forma sensibile, fu poi adorato come figura della Divinità. E nel Convivio Dante accenna 3 a un altro trapasso, là dove dice che li movilori di Venere, per azione dello Spirito santo, trasmettono gl' influssi

dell'amore alla Terra; e avendo ciò osservato gli uomini dissero che Amore era figliuolo di Venere. E cosí egli vien trovando la genesi delle divinità pagane, non che la relazione, tra le intelligenze angeliche, le quali presiedono ai cieli, e gli Dei e le Dee.

D'altra parte gli Dei infernali, per Dante sono gli angeli ribelli. L'Ozanam ritiene che per una ricordanza della pagana poesia, a cui non si oppone per nulla la teologia, Caronte, Minosse, Cerbero, Pluto, Flegias, le Furie, i Centauri, le Arpie, Gerione, Caco, trasformati in demonî, sono collocati nei gironi dell' Inferno.1

Dopo quanto si è notato, sembra si possa concludere che Dante, per gravi ragioni accordava la credenza pagana con la cristiana, come, del resto, avevano fatto molti Padri della Chiesa. Occorreva però sceverare il concetto filosofico dalla corruzione dell' Idea presso il volgo, che tutto corrompe. Questo non si attenne al pensiero spirituale dei filosofi e dei poeti gentili, ma appagandosi nelle figurazioni materiali; prestò culto, piú volte, alla materia stessa, agli idoli; ingombrò le verità allegoriche di pensieri umani, talvolta triviali e malvagi; onde, se nell' intendimento filosofico Dante crede di dover fondere l'una Idea con l'altra, nell' intendimento volgare egli, sempre rettissimo, sente di dover biasimare il Paganesimo. Da qui « gli dei falsi e bugiardi » (Inf., I, 72); da qui « il puzzo del paganesimo » (Par., XX, 125); da qui « l'empio culto che il mondo sedusse » (Par., XXII, 45). Questo è detto per l'adorazione prestata dal volgo agl' idoli, per sé stessi, e non come rappre

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1 Ivi.

2 Ivi.

3 Conv., II, VI.

1 OZANAM. Dante et la Phil. Cathol.

2 Conv., IV, I.

Cristiani con che voleva far intendere che quelli avevano prestato culto al vero Dio, anche a traverso a simboli diversi pur lui, biasima il culto prestato agli Idoli come materia, e mette in rilievo la confusione delle idee, avvenuta nel volgo dei Gentili.1

A questo proposito nota il p. Martini: « Il ragionamento dell'Apostolo tende a correggere la bassa idea che di Dio si formavano i pagani, e a distruggere il funesto vaneggiamento per cui il nome di Dei davano a pezzi d'oro, d'argento, di pietra, di legno, ne' quali il costume del popolo ravvisava e credeva ristretta la divinità». Per questo riguardo gl' idoli erano veramente Dei falsi e bugiardi.

La venuta di Gesù Cristo tolse via ogni tenebra, recando Egli la luce. Sebbene la nuova dottrina fosse sempre esistita, tuttavia era sfigurata dalle credenze volgari; or la fede novella venne a mostrarla raggiante di tutto lo splendore, a pieno perfezionamento dell'uomo.' D'allora in poi dovevasi bandire ogni velo, che offuscava la verità.

Dante, seguendo la credenza cattolica, dalla quale mai si allontana, non pone che i grandi Gentili potessero salire al Paradiso, non ostante la loro retta estimazione della quidità di Dio,

1 Atti degli Apostoli, XVII.

2 MARTINI. Nota al versetto 29 del XVII degli

Atti degli Apostoli.

3 Cfr. EMILIANI-GIUDICI, Op. cit.

di altre verità religiose, perché mancò loro la fede di Cristo, e cosí la circoncisione o il battesimo, « ch'è porta della fede ». Dopo la venuta del Messia, senza questo, neppure gl' incolpevoli bambini poterono salvarsi :

Ma poiché il tempo della grazia venne,
senza battesmo perfetto di Cristo

tale innocenza (i bambini) laggiú si ritenne.
(Par., XXXII, 82-84)

E per vero i grandi pagani, che non si anch'essi nel macchiarono di colpa, sono Limbo, tengono il medesimo luogo dei bambini non circoncisi o battezzati. L'esser Gen

tili, non fu loro cagione di pena speciale; l'esser sapienti meritò loro un luogo riserbato nel nobile castello.

In conclusione a me pare che, considerato diligentemente questo pensiero universale ed uno, riflettente la religione, dopo quanto ne dissero molti Dottori della Chiesa, la fusione dell'elemento pagano col cristiano nella Divina Commedia, ben lungi dall'offendere l'ortodossia, sia la conseguenza logica del pensiero filosofico dantesco, nel quale trova pur ragione il collegamento dell'azione di san Paolo, cristiano, con quella d' Enea, pagano; azione che Dante viene a rinnovellare col Poema. 1

Palermo, marzo 1913.

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V. INGUAGIATO.

1 Cfr. Giornale dantesco, XVIII, 193-199.

COMUNICAZIONI ED APPUNTI

Un nuovo ritratto di Dante ?

Il conte Paolo Galletti ci manda, con una sua lunga Nota, due fotografie di una bella testa di Dante, eseguita in terracotta e da lui posseduta; fotografie che molto volentieri qui riproduciamo. Il Galletti, dopo alcuni appunti intorno alla iconografia del Poeta, che non giova riferire, scrive: << Segnalando ai lettori del Giornale dantesco una sconosciuta terracotta, raffigurante, quasi al naturale, la testa dell'Alighieri, non credo di esagerare pensando che questa sia la più tipica e veritiera rappresentazione delle sembianze di Dante, Dell'importanza di tale cimelio mi sono specialmente convinto dopo il favorevole parere avutone da persone competentissime, e specialmente pel resultato dei confronti pazientemente eseguiti con l'iconografia del Poeta, quale ci è nota oggidí. Questo antico ritratto di Dante, frammento d'una statua in terracotta del Quattrocento, e verosimilmente d'una statua di piú pezzi, essendo forato nella parte superiore, non può non apparire meritevole dell' attenzione di qualunque serio studioso. Offrendone al pubblico esame le due fotografie, eseguite dall' egregio sig. V. Jacquier, credo dar le prove dell' importanza del cimelio stesso, forse uscito dalle botteghe del Verrocchio o del Donatello. È anche possibile sia appar

tenuto alla statua del Poeta, che vuolsi esistesse sulla fronte esterna della porta Aretina, oggi detta di San Niccolò, in Firenze. Quivi, ricordo d'aver letto non so dove,

anticamente esisteva una statua di Dante; come ne esisteva una in onore del Petrarca, appunto perché di lí comincia la via Aretina. << Conseguentemente, mi sembra che un semplice colpo d'occhio, oltre che competente, imparziale, non possa non riconoscere che nella iconografia dantesca nessun altro cimelio è comparabile alla plastica antica, che qui oggi si pubblica. L'esame di queste due fotografie può convincere, parmi, anche uno scettico sistematico, cui forse non dispiacerà veder regalata un giorno la detta plastica al museo futuro, molto futuro, della rinnovellata casa del divino Poeta :

Per non tenermi in ammirar sospeso ».

Cosí l'egregio conte Paolo Galletti e noi, lasciando che altri veda e giudichi, ci limitiamo ad osservare che non sarebbe forse stato male, intanto, se egli ci avesse dato qualche notizia sulla provenienza di questo frammento di terracotta venuto in sua proprietà (come? quando?) o se almeno ci avesse riferito qualcuno di quei pareri favorevoli » di < persone com<< petentissime », ai quali egli allude nella sua Nota: le fotografie sole non par che possan bastare, in questi casi, contro i dubbii non pur

degli degli scettici sistematici > ma anche dei semplici scettici. Sarem perciò grati al fortunato possessore del cimelio dantesco se vorrà compiacersi di procurarci tutte quelle maggiori notizie ch' egli potrà certamente raccogliere sull'argomento, 'e che noi di buon grado publicheremo.

LA DIREZIONE.

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