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il frammento membranaceo (Inf. XVI, 121, XIX, 102) della fine del XV, rinvenuto pochi anni fa nell'archivio notarile di Fabriano,1 di un certo interesse, diremo locale, perché dovette appartenere a un codice esemplato da un amanuense marchigiano che vi lasciò tracce sicure del suo dialetto, e l'altro frammento apparte nuto ad un convento di francescani della medesima città. 2 Ad un marchigiano, inoltre, si debbono le postille di cui appare qua e là annotato il Codice Rossiano IX, 177, assicurato oggi tra i manoscritti vaticani. Siamo lieti di

1 N. PERINI, N. ZACCHILLI, A. ZONGHI, Per nozze Crocioni-Ruscelloni. Fabriano, Tipogr. economica, 1908. 2 Fu pubblicato per Nozze Serafini-Marini. Fabriano, 6 febbraio 1909.

3 Cfr. G. VITALETTI, L'episodio del Marchese Alberto Malaspina lucchese interpolato nel frammento Vatic.-Rossiano IX, 153 della « Commedia » in Giorn. Dant., a. XXV, IV, 1922. Cfr. inoltre, circa l' interpolazione di versi di Dante in uno scrittore anconi

avere ora tratto dall'oblio un altro frammento di Dante, di provenienza toscana, che merita la massima considerazione, se non per il contri. buto alla critica del testo, certo per la fortuna di Dante nelle Marche, che per il Poeta divino ebbero sempre un particolare culto. Né troppo addebito possiamo fare al grosso notaio marchigiano che, conservandolo suo malgrado, volle forse seguire i detrattori toscani del sec. XV, i quali ritenevano la Commedia un libro << da dare agli speziali per farne cartocci, o vero piú tosto agli pizzicagnoli per porvi dentro il pesce salato ». 1

CARMINE DI PIERRO.

tano del secolo XIV, Agostino Trionfi (1243-1328) l'articolo di G. R. CERIELLO, Versi della « Divina Commedia » in uno scrittore trecentista, in Rassegna crit. della letter. ital. del Pèrcopo, Torraca e Zingarelli, a. XXVI, 1921, fasc. 1-6.

1 Cfr LEONARDO BRUNI, Dialogi ad Petrum Histrum. Ediz. KIRNER, Livorno, 1889, pag. 34.

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CURIOSITÀ E APPUNTI

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Quando poco più di un anno fa, si ordinò nella storica sala del Teatro Anatomico dell'Archiginnasio la Mostra dantesca, col contributo dei maggiori Istituti bibliografici cittadini, attirò l'attenzione di tutti (non soltanto dei visita tori, ma anche degli studiosi italiani, i quali ne ebbero notizia dal Catalogo pubblicato in quella occasione), un esemplare interfogliato della Divina Commedia nella edizione procurata da Brunone Bianchi, recante annotazioni, osservazioni, varianti, lezioni di Giosue Carducci. Un commento inedito e ignoto del Carducci a Dante (e se non un vero commento, almeno una serie ordinata di annotazioni) non poteva non interessare i dantisti in ispecie, e in generale gli italiani. Molti infatti si indugiarono ad esaminarlo, e periodici specializzati si sono affrettati a chiederne e a darne piú ampie notizie e informazioni descrittive.

Era quella l'unica edizione della Commedia, la quale - per quel che sapevasi avesse ricevute annotazioni di pugno del Carducci ; ora di un altro esemplare si è arricchita la bellis sima biblioteca del Carducci, per generosa disposizione della Regina Margherita, la quale prosegue, con tanto illuminato amore è con cosí gentile cura, la casa e l'opera del Poeta.

Venuta Essa a conoscenza che a Volterra, presso la signora Lazzeri, nipote di un Lazzeri legato di parentela al Carducci, per via della madre di lui, Ildegonda Celli, esisteva un tale cimelio, ne procurò nell'autunno scorso l'acquisto e subito avutolo, lo donava al Museo Carducciano.

Questa nuova bella testimonianza dello studio del Carducci giovanissimo su Dante (che è già stata collocata fra le cose più preziose del Poeta

nella Casa sua), merita una breve descrizione. Sono note, postille, varianti, citazioni - poste talvolta in margine e tal'altra a piè di pagina - di una edizione della Divina Commedia, in tre volumi, di piccolo formato, uscita intorno al primo venticinquennio del sec. XIX, col noto commento a stampa di Pompeo Venturi. Il lungo e continuo uso ha ridotto i volumi in condizioni pietose mancano i frontespizi dei volumi, gli indici, le parti introduttive tutte, salvo che — al primo volume la Vita di Dante di Lionardo Aretino e qua e là caddero delle carte. Il cimelio poi, spesso sfogliato e riguardato dal Carducci prima, e poi dai fortunati possessori, ne rimase sdrucito e logoro.

L'importanza delle postille carducciane alla Divina Commedia in questo ignoto esemplare, non sta tanto in ciò che esse portano (e in esse non dovranno cercarsi né grandi novità, né particolari profondità di osservazioni) ma specialmente nel tempo in cui esse furon scritte. La data infatti delle postille deve riferirsi fra il 1853 e il 1856, e cioè nel periodo in cui il Carducci fu all'Università di Pisa. Durante le ferie, specialmente le estive, il Carducci recavasi a trovare i suoi o a Celle o a Piancastagnaio o altrove, e non di rado andava pure a trovare i suoi parenti del Volterrano. E fu forse in una di quelle visite, che il Carducci- trovata la vecchia edizione della Commedia nella casa dei' Lazzeri la annotò qua e là, a scopo evidente. mente di studio. Certo è che le note carducciane sono posteriori al 1849, perché in quell'anno solo apparve l'edizione della Commedia colle note di Paolo Costa e di Brunone Bianchi, nomi che non di rado si ricordano nelle postille giovanili del poeta, con dimostrazione di grande stima. Indubbiamente però trattasi di opera giovanile del Carducci, come traspare da tutto, e in particolare dalla forma di scrittura, la quale

coincide appunto con quella degli anni intorno al 1854 o '55, quando il Carducci aveva circa 19 anni.

E cosí resta provata un'altra cosa, che se nel 1904 il Carducci poteva dire di avere da quarant'anni messo il piè fermo sulla illustrazione dell'opera di Dante, lo studio del Divino Poeta era cominciato ben dieci anni prima.

Interessanti non di rado sono le postille del Carducci, sia che richiamino imitazioni o reminiscenze da poeti e scrittori antichi, come Virgilio, Ovidio, Quintiliano, Galeno ed altri, sia che egli proponga e talvolta documenti una miglior lezione, sia che illustri storicamente un personaggio o una località, sia che divida logicamente la materia del poema secondo la struttura del mondo dantesco, sia infine che contraddica, il che avviene non di rado, all'annotatore che aveva sotto mano, il P. Pompeo Venturi. Talvolta l'opposizione ha una insolita vivacità: e quanto giusti i suoi dinieghi e quanto sensate le sue osservazioni nel riguardo del commentatore!

-

Ma quel che più interessa e ci attira, sono certe osservazioni del Carducci giovinetto sopra, diciamola così, la estetica dantesca. A un certo punto del primo canto del Purgatorio, dove si descrive una certa azione del suo Duca, cosí si esprime << Bello questo affaccendamento di Virgilio! ». Al Canto IV (v. 58) il Carducci annota: << Per nove lunghe terzine si delizia (Dante) di astruserie astronomiche e cosmogoniche, ch' hanno potenza, e mi perdoni lo mio Maestro e lo mio autore, di far cadere lo povero dilettante come l'uom cui sonno piglia »; e al canto VIII (v. 133 e segg.): « In questi due terzetti un po' annebbiatelli v'è un misto di nobile, ordinato, bizzarro, conciso, ch'è una meraviglia »; nel canto XII dello stesso Purgatorio, ai versi : Allor fec' io come color che vanno con cosa in capo, non da lor saputa..., nota: « Pittura assai malagevole ad esprimersi, e pur dal gran Poeta rappresentata con tale un'evidenza di colorito che meglio non può veder chi vede il vero ».

Ed espressioni di vivace e profonda ammirazione, con la indicazione delle ragioni per le quali l'ammirazione è prodotta, trovansi spesso qua e là, in forma talora ingenua, ma efficacissima. E non mancano, da quello spirito spregiudicato e da quel grande senso di individualità che il Carducci sin d'allora aveva, dei luoghi

in cui il giovinetto non si pèrita di mostrare la sua discordanza, per non dire disapprovazione. Al noto canto IV del Paradiso:

Intra duo cibi distanti, e moventi etc... (la situazione dell'asino di Buridano) il Carducci osserva: << Non è né verosimile né vera questa asserzione di Dante ». Ma troppo oltre ci condurrebbe la citazione di passi e luoghi e frasi nelle quali la personalità del Carducci si manifesta chiara e non di rado potente!

Bologna deve veramente essere grata alla Maestà della Regina Madre di questa nuova dimostrazione di vivo ed alto interessamento per il Poeta, per la Sua Casa, per la Sua opera. ALBANO SORBELLI.

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A

l'altra part encara no era Nessus,

quan per un bosc nosaltres ens ficàrem on ni senyal de cap sender hi havia. No verd, sinó negrós, el fullam era; el brancam, tot torçat i ple de nusos; i eren sa fruita emmetzinades punxes. Indrets tan aspres i amagats no tenen les feristeles que els conreus odien que de Corneto al riu Cecina es troben. Fan ací el niu les repugnants Harpies,

qui els de Troia d'allà a les Estrofades llançaren, de nous danys amb trist auguri. Amb coll i rostre humans, alotes amples, urpes al peus i plomes al gran ventre, dalt dels arbres estranys fan gemecs tristos. I el men bon mestre:- Abans que més t'endinsis, sàpigues que ets en el segon dels rotllos, i que dins d'ell continuaràs trobant-te fins que a l'horrible areny arribat hagis. I ara guaita-ho bé tot, car veuràs coses que potser, sols contades, no es creurien. Sentia eixir grans ais de totes bandes, i no veja ningú que pogués fer-los: per això m'aturí, perduda l'esma. Jo creuré que ell va creure que jo creia que aquells gemecs en mig dels troncy fets eren per gent que s'hi amagava per nosaltres. Per' xô em digué: Si qualsevol branqueta

1 Di questa bella e sensitiva traduzione, arrestatasi malauguratamente alle prime due cantiche, la vedova dell'illustre poeta ha provveduto di recente (Barcellona, 1921) ad una diguitosa pubblicazione.

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I, en tacar-lo la sang que li rajava,
tornà a cridar: Com és que així em laceres?
De compassió, en el cor, no n'hi tens gota?
Homes fórem, i plantes som fets ara:

ta mà més piadosa havia d'ésser,
ni que de serp haguéssim estat ànimes.
Com un tió verdós que, mentre crema

per un dels caps, per l'altre saliveja

i xiula al pas del vent que va sortint-ne;

així d'aquell esqueix eixien juntes

sang i paraules per això jo a terra

el brot llancí, restant com qui s'espanta. Si ell abans d'ara hagués pogut ja creure, — digué mon savio ànima danyada!, ço que només ha vist en els meus versos, en tu la seva mà posat no hauria ;

mes la cosa increïble em mogué a empènye'l a fer l'acció que a mi mateix em reca. Mes digues-li qui fores, perquè avivi,

en esmena del greuge, ta memòria

al món de dalt, on li és permès tornar-se'n.

I el tronc Talmen ton dolç parlar m'amoixa

:

que ja callar no puc; i no us enugi

que a enraonâ una estona m'entretingui.

Io sóc el qui les dues claus féu seves

del cor de Frederic, i el qui tan llises, tancant i obrint aquell, sabé girar-les, que de sa fe quasi tothom vaig treure. Vaig ser fidel a aquell gloriós càrrec: tant, que hi perdí del tot la son i els polsos.

La meretriu que mai d'on habitava

el Cèsar desviava sos ulls lúbrics, de tothom perdició i de les corts vici, contra mi tots els ànims féu encendre;

i, els abrandats, a August tant abrandaren, que les gaies honors dols tristos foren. Per desdenyosa exaltació, el meu ànim,

del desdeny, amb la mort, fugir semblant-li, contra mi, que era just, injust va fer-me. Per les noves arrels d'aquesta soca,

vos jur que mai trenquí la fe jurada al meu senyor, que fou d'amor tan digne! I, si tornés al món cap de vosaltres,

que ma memòria hi alci, encar caiguda de l'àvol cop que li donà l'enveja! Esperà un xic, i aprés digué, el poeta:

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de dir-nos com les ànimes es lliguen

en aquests tronc, i, a més, en cas que puguis, si mai cap es desprèn de semblants membres. Fort bufâ el tronc llavors, i, sense triga, del seu buf van eixi aquestes paraules: - Aviat la resposta us serà feta. Quan abandona, l'ànima enfollida,

el cos, del qual s'ha tret ella mateixa, Minos l'envia a la setena gorja. Cau, en la selva, al lloc on s'ensopega; mes onsevulla que l'atzar la colga, com la llavor d'espelta, allà germina. Plançó es fa, i esdevé planta silvestre. Menjant-se, aprés, ses fulles les Harpies, causent dolor, ia la dolor pas obren. Com les altres, irem per les despulles;

mes sens que cap, per' xò, se' n revesteixi, car no és pas just tenir ço que hom es lleva. Cap ací les durem, i per la trista

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nus i nafrats, fugint amb tant fúria, que a llur pas, dins del bosc, tot ho trinxaven. El del devant cridava: O mort! deslliura'm! L'altre, de qui semblava lent el córrer, deia: Tan llestes no van ésser, Lano, tes cames en les justes d'allà a Toppo! I aprés, potser perquè l'alè perdia, va fer tot un manyoc d'ell i una mata. La selva, a llur darrera, era reblerta de gosses negres que àvides corrien com cans llebrers desfets de la cadena. En aquell aclofat les dents clavaren,

i a esquinços i mossecs el feren trossos: sagnants després sos membres se 'n dugueren. Agafant-me llavors per la mà el guia,

prop la mata em menà, que gemegava

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esteu mirant la repugnant destroça que talment m'ha deixat nu de fullatge! Al peu del pobre tronc apiloneu-lo !

De la ciutat jo sòc que pel Baptista deixà el primer patró: per' xò aquest, sempre, amb la seva art, irà afliccions portant li.

I, si no fos que sobre el pas de l'Arno encara resta d'ell algun vestigi,

els antics ciutadans que la referen damunt les cendres que hi escampà Atila, haurien fet en va tota llur tasca.

Io de ma casa fiu el meu patíbul.

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1 Una redazione latina risale, per lo meno, al secolo XI.

2 Cfr. JUBINAL, La légende latine de S. Brandaine, Paris, 1836; SCHROEDER, Sanct Brandan. Ein lateinischer und drei deutsche Texte. Erlangen, 1871; F. MICHEL, Les voyages merveilleux de Saint Brandan. Paris, 1878; P. VILLARI, Alcune leggende e tradizioni che illustrano la Div. Comm., in Ann. delle Univers. Toscane, t. VIII, Pisa, 1866; WRIGHT, St. Brandan, a medieval Legend of the Sea in englisch Verse and Prosa, London, 1844; BRILL, Van Sinte Brandane, in MOLTZER, Bibliothek van middelnederlandsche letterkunde, Groninga, 1871, ecc.

3 La Navigatio Sancti Brendani in antico veneziano, Bergamo, Istituto ital. d'Arti grafiche, 1892. In-8, pagg LXVIII, 110.

4 Miti, leggende e superstizioni del medio-evo, Torino, Loescher, 1892, vol. I, pag. 97 e segg.

5 Anche per i Miracoli della Vergine, per citare un esempio fra tanti, cosí amati e diffusi nel medioevo, ritroviamo spesso tramutazioni e propaggini varie: di uno di essi, la Storia dello Sclavo Dalmasina,

quasi perduta ogni traccia e invano ricorriamo alla diligente bibliografia delle Tradizioni popolari italiane1 compilata dal Pitré e ne chie diamo ai recenti volumi di folklore. E forse la spiegazione non sarà difficile trovarla qualora si pensi che, per il contenuto, la Leggenda di San Brandano doveva a preferenza diffondersi tra popolazioni marinaresche e che queste, per i troppo vivi e quotidiani contatti che specialmente oggi, esse hanno con altre civiltà, dovevano lasciar cadere lentamente ma continuamente il patrimonio leggendario degli avi per sostituirlo con le odierne produzioni, quasi sempre sciatte e volgari. Per quante ricerche abbia fatto in città e paesi della Riviera di Ponente, soltanto una redazione tutt'altro che schematica e mutila, mi è stata offerta da un vecchissimo pescatore di Loano, il quale, avendo dovuto abbandonare per un infortunio, la vita marinaresca, si era ritirato nella valle del Nimbalto. 2

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illustrato dal BIADENE, sono ancor vive alcune contaminazioni poetiche, ecc. Cosí per le leggende di Sant'Alessio, San Giovanni Boccadoro, San Giuliano, ecc. 1 Torino, Clausen, 1903.

2 Per la storia della leggenda tra le popolazioni liguri, cfr. N. MUSANTE, La leggenda in Liguria: Le streghe. La legg. di S. Brand., in Gazzetta di Genova, luglio agosto 1918.

3 Le navi leggiere, intessute di vimini e coperte di pelli di bue, corrispondono a ricordi storici. Furono usate da S. Colombano (m. 597), ardito navigatore (cfr. DE MONTALEMBERT, Les moines d'Occident, Parigi, 1860-77, vol. III, pag. 237; la Vita maggiore del Santo negli AA. SS., giugno (t. II) e per una esauriente bibliografia lo studio del P. LUGANO, in Nuova Rivista Benedettina, Roma, 1914) e dai suoi monaci che correvano temerariamente l'Oceano, uno di essi, spinto al largo, non tornò che dopo quattordici gior ni. Lo zelo di questi audaci missionari, alimentato dalla speranza di poter piantare la croce in qualche isola incognita o di giungere alla mistica sede del Paradiso Terrestre, ci è testimoniato fin dai secoli IX-XI, e DICUIL nel suo trattato De mensura orbis terrae parla delle loro spedizioni. (Cfr. LETRONNE, Recherches geographiques et critiques sur le livre De mensura orbis terrae, Paris, 1814, pag. 129-46; e anche HUMBOLDT, Examen critique, etc., II, pagg. 160-1).

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