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CRONACA CRITICA E BIBLIOGRAFICA

H. HAUVETTE. Études sur la « Divine Comédie », la composition du poème et son rayonnement. Paris, Librairie ancienne Honoré Champion, 1922. In-16, di pagg. XV, 238.

Nella Bibliothèque littéraire de la Rénaissance diretta da P. de Nolhac e L. Doréz compare questo volumetto in cui l'H. raccoglie il fiore dei suoi studi danteschi, i quali s' iniziano con alcune note sulla composizione dei sette primi canti dell' Inferno e che col titolo: Io dico seguitando.... furono già pubblicati nella rivista Études italiennes. L' H., che all'opera dantesca consacra da anni le sue energie migliori, ha voluto personalmente approfondire, per quanto era possibile, la genesi della Commedia, che tutti sappiamo quali misteriose sorprese può riservarci e quanto sia periglioso inoltrarci nella selva selvaggia della sua composizione. Ad ogni modo l' H. procede con cautela, si allontana decisamente dalla critica che vorrebbe il Poema composto tra il 1314 e il 1321 (prima del '14 Dante avrebbe disegnato degli episodi e dei frammenti che più tardi avrebbe rigorosamente ordinati e fusi insieme), crede fallace l'ipotesi che il Poeta l'abbia composta dal 1311 al 1321, dopo un periodo decennale (1301-1311) di preparazione scientifica e filosofica, durante il quale egli non avrebbe scritto neppure un verso, compreso soltanto nell' ideare e apportare successivi cambiamenti e modificazioni al suo formidabile monumento. 2 E senz'altro fa sua la ben nota teoria del Parodi, fondata sull'esame delle dottrine politiche contenute nella Commedia per ammettere che l' Inferno è stato terminato prima del 1308, il Purgato

'T. I, 1919, fasc. 2 e 3.

* Vedi a questo proposito, l'articolo di I. DEL Lungo, La preparazione e la dettatura della « Divina Commedia » e per una « Vita di Dante, comparso nella Nuora Antologia, 10 agosto 1918, in cui sostiene animosamente tale teoria avvertendo che nessuno ormai dovrebbe piú parlare di canti cominciati a Firenze prima dell'esilio e riportati a Dante, ospite dei Malaspina, nel 1306.

rio avanti al 1313 e gli ultimi sette od otto anni furono consacrati allo sforzo supremo: al Paradiso. Ma l' H. va ancora più in là e pensa che i primi sette canti dell' Inferno siano il risultato di una primitiva concezione, limitata e ristretta, rispetto all'opera intera quale ci è giunta. Dante inizia il suo Poema con una specie di « inferno fiorentino », come piacque esprimersi al Casini, e a mano a mano che egli procedeva e trovava nuova materia per il suo canto e nuove ispirazioni e visioni per la sua arte, vagheggiava un piano ben più ampio : taluni indizi di successive innovazioni è sembrato all' H. di poter sorprendere e fissare in sostegno della sua tesi. << En d'autres, j'admets cosí avverte que l'imagination de Dante et sa faculté créatrice, constamment en travail, se sont enrichies au fur et à mesure, comme sa pensée politique a évolué sous l'étreinte des événements, et comme son style s'est adapté graduellement à l'expression de concepts et de visions qui dépassent de plus en plus la portée de notre humaine intelligence. De la « Selva oscura » à l'« Amor che muove il sole e l'altre stelle », il y a un progrès qui suppose bien, pour le moins, vingt ans de méditations et d'efforts, le temps qui s'est écoulé entre le « mezzo del cammin di nostra vita » et sa mort, à Ravenne ».

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In un terreno cosí infido e sul quale forse non potremo dir mai una decisiva parola, l' H. espone semplicemente alcune argomentazioui che possono conferire una qualche consistenza al suo modo di vedere lo studioso però prudentemente avverte che egli non pretende darci una rigorosa dimostrazione, ma che enuncia la sua teoria come pura ipotesi, la quale del resto è stata già avvalorata dal Casini in uno scritto pubblicato postumo. « Qui ho bisogno di prendere il mio coraggio a due mani per dir cosa incredibile e vera; che cioè mi sono fermamente convinto dopo meditazioni lunghe e una considerazione assai riposata e attenta del pro e contro che nei primi canti dell' Inferno siano da ricercare traccie non dubbie di una prima redazione del poema d'oltretomba; un poema di proporzioni assai piú ristrette che non fossero poi quelle della Commedia,

una specie di piccolo inferno fiorentino, se mi sia consentita la frase.... ». 1

Certo le congetture dell' H. sono industri e contengono più di un aspetto suggestivo. Ma d'altra parte non è prudente, almeno per il momento, schierarci decisamente con lui, specialmente oggi che il simbolismo dell' Aquila e della Croce su cui s' intesse il meraviglioso edificio della Commedia, si è aperto un varco sicuro, 2 anche tra i più freddi e passionati, e dai nuovi studi a cui attendono il Valli e il Pietrobono lecitamente attendiamo una piú diffusa luce sull' intricata questione.

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Nello scritto successivo À travers le Purgatoire et le Paradis, l' H. riprende il vecchio tema dei pagani destinati da Dante alla beatitudine e perché Virgilio ne sia stato escluso e fa opportune osservazioni sul Cielo di Venere e le gerarchie angeliche, intorno alle quali abbiamo finalmente anche in Italia una traduzione di Dionigi l'Areopagita. In Réalisme et fantasmagorie dans la vision de Dante, l'H. s'intrattiene con vivacità su quest'argomento che ha fornito e fornirà continuamente alle ricerche degli eruditi, e alla sensibilità dei poeti e degli artisti la piú varia e nuova materia. In un breve excursus egli s'intrattiene sulle difficoltà grafiche nel rappresentare le mirabili concezioni dantesche, difficoltà di vario genere, insuperate dai miniaturisti perché agli inizi della scienza prospettica, evitate piú tardi prudentemente da quanti presero, in tutto o in parte, a illustrare il testo dantesco. E se all'H. è sembrato lodevole, benché scarso di efficacia artistica, il sincretismo di I.-A. Koch, il quale tentò tornare, nella prima metà del secolo XIX, alla tradizione quattrocentesca rappresentando in ciascuna tavola vari e successivi momenti o episodi, pur sforzandosi a dare talvolta una veduta d'insieme di un intero serchio, possiamo aggiungere che tra noi un nobilissimo artista, Amos Nattini, che già Gabriele D'Annunzio ebbe a chiamare «< il pittore degli spiriti », attende ora a darci una illustrazione grafica che, a giudicare dalle tavole già compiute, sarà la piú sensitiva e perfetta di quante ne sono state di recente compiute. Certo la fusione del piú accurato realismo con la grandezza titanica e fanta

Per la genesi della terzina e della Commedia dantesca, in Miscellanea di studi storici in onore di Giovanni Sforza, pagg. 689-97. Anche B. CROCE nota che « i primi canti dell' Inferno sono piú gracili; o che appartenessero a un primo abbozzo poi ritoccato e adattato (secondo una tradizione non dispregevole e congetture sufficientemente fondate), o che ritenessero dell' incertezza di tutti i cominciamenti.... ». Cfr. La poesia di Dante, Bari, Laterza, 1921, pag. 73.

* Cfr. L. VALLI, Il simbolo centrale della « Divina Commedia: La Croce e l'Aquila, in Giornale Dantesco, n. 1, gennaio-marzo 1922.

E nella collezione Fiori di letteratura mistica diretta di G. BATTELLI, Firenze, Giannini. Del volumetto, a cura di D. GIULIOTTI, fu data notizia nel 40 quaderno del Giorn. Dant. (1921).

stica dei paesaggi e delle scene immaginate da Dante, attendono ancora il grande che sappia tradurle adeguatamente e che invano i secoli han tentato di produrre. Con quanto pungente desiderio, in fatto di figurazioni dantesche, non ripensiamo all'esemplare della Commedia stampato nel 1484, sui larghi margini del quale Michelangelo aveva disegnato figure ed episodi dei tre regni d'oltretomba e che i flutti irati inghiottirono in un malaugurato viaggio!

In Dante et la pensée moderne, conferenza tenuta alla Sorbona nel febbraio 1921, l' H. riassume in una rapida sintesi l'opera di Dante in relazione al culto tributatogli dai moderni e indaga le cause per cui il Poeta è stato fatto « signacolo in vessillo » di ogni alta e pura idealità: notevoli le pagine sull' Ulisse dantesco. Dante dans la poésie française de la Renaissance e Dante et la France appaiono tra i piú meditati saggi di questo volume, ma se possiamo convenire che per le indagini del Mazzoni e del D' D' Ovidio e soprattutto per l'edizione critica del Parodi, la questione del Fiore, « est-elle aujourd'hui posée sur son véritable terrain », pur nondimeno il poemetto non ha mai traversato fasi piú incerte e perigliose delle odierne. Anche a proposito dell'andata a Parigi, pur di recente sostenuta del Rajna, 1 si possono fare opportune riserve e a proposito del titolo di « Baccelliere » trasportato dalla vita civile e militare della Francia, e unicamente con essa, alle istituzioni scolastiche, si vedano le osservazioni del Torraca. E l' H. crede appunto che Dante poté conoscere molte notizie di Francia attraverso i racconti dei mercanti fiorentini che di continuo si recavano in Fiandra e in Provenza senza che egli vi andasse di persona. Conviene però aggiungere che le argomentazioni del Bassermann relative all'itinerario di Liguria e alle tombe di Arles, hanno piú di un aspetto convincente.

Chiudono il volume un'appendice su Les sources arabes de la « Divine Comédie », garbata rassegna del volume dell'Asín, in cui l' H. giudica spassionatamente il lavoro dell'erudito spagnuolo per concludere: «Tout cela est très captivant, très suggestif, très mysterieux, et nous invite à de longues reflexions. Mais, jusqu'à preuve du contraire, ces analogies n'obligent pas, n'autorisent même pas à dire : ceci est copié de cela. Où est le trait d'union? Le point de contact? », e La Loire dans la « Divine Comédie, in cui l'autore identifica questo fiume con l'Era del C. VI, 59 del Paradiso.

In complesso la fatica dell' H. dimostra l'amore e la diligenza con cui l'autore attende agli studi danteschi le sue osservazioni appaiono ben meditate e sostenute dalle più recenti indagini del Rajna, del Farinelli, del Barbi, del Parodi, ecc.

Cfr. gli Studi Danteschi del BARBI, t. II, 1920. Cfr. Giornale Dantesco, quad. II, 1922, pag. 174.

ZABUGHIN V.

L'oltretomba classico medievale dan

tesco nel Rinascimento. Parte prima. Italia: secoli XIV e XV. Leo S. Olschki, Firenze, 1922. In-8, pagg. 171.

Lo Z. con la diligenza che gli è propria esamina in questo primo fascicolo, cui seguiranno altri riferentisi al sec. XVI, le visioni predantesche e dantesche che si abbarbicano con le loro propaggini nella cultura, nel simbolismo e nella vita dei tempi del Poeta e in quelli successivi. L'autore non ha elencato aridamente le molte notizie in parte note agli studiosi e delle quali egli riassume in postille finali la copiosa bibliografia, ma ha saputo ravvivare la materia con ampi raffronti estendendo le sue indagini e le sue comparazioni all'arte e alla letteratura di paesi stranieri, e in special modo della Scandinavia, della Russia, ecc. Ne risulta quindi un contributo notevolissimo di cui siamo grati allo Z. in quanto possiamo sorprendere i varii aspetti di una tradizione, di una leggenda, di una visione in luoghi diversi, tramutati e irriconoscibili talvolta a prima vista per l'elaborazione spirituale del popolo che se ne impossessò e che li svolse, ma che in fondo, ad un esame rigoroso come quello dello Z., ci dicono spesso la comunità di origine e di svolgimento con più antichi capostipiti che quasi sempre l'autore rintraccia ed illustra con efficacia.

Raccomandiamo quindi la lettura di questo saggio non soltanto a quanti si occupano di letteratura dantesca, ma anche agli studiosi di novellistica, di tradizioni agiografiche, di folk-lore. Acute, tra le altre, le osservazioni su Albertino Mussato, su Cecco d'Ascoli, sulla novella di Nastagio degli Onesti, ecc.

Ecco l'indice del Saggio:

I. L'oltretomba antico e medievale in Dante. II. I primi seguaci e detrattori di Dante: l'anonimo rifacitore italiano del romanzo di Ugo d'Alvernia, Immanuel Romano, Albertino Mussato, Cecco d'Ascoli. III. Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio. IV. Dante e la mentalità umanistica. V. Gli epigoni di Dante fino a Federigo Frezzi. VI. Federigo Frezzi. VII. Visioni letterarie del Quattrocento. VIII. L'oltretomba « estatico » e « teologico» nel Quattrocento.

Indici ventiduennali delle riviste L'ALIGHIERI e IL GIORNALE DANTESCO (1889-1910) a cura di GIUSEPPE Boffito. Firenze, Leo S. Olschki, MCMXVI. In-4, di pagg. 312.

Dell'importanza delle due riviste che tennero « lo campo» negli studi danteschi per lungo volgere di anni, non è il caso di dire qui per ragioni facili a comprendersi. A noi importa segnalare questa di

ligentissima fatica del P. G. Bofito, il quale con pazienza benedettina ha disposto sistematicamente il frutto di tanti anni di lavoro e con la serie degli Indici (alfabetico, bibliografico, analitico, generale e particolare dantesco) agevola allo studioso la consultazione della materia raccolta nelle annate delle due riviste.

Noi vorremmo che il lavoro del B. fosse imitato largamente in Italia, purtroppo, si ha una preconcetta antipatia per quanto si riferisce a cataloghi, indici, bibliografie. Quando si pensa (e potrei citare diecine di casi) che un materiale prezioso, già vagliato e stampato, spesso sfugge allo studioso perché sepolto negli atti decennali di Accademie e di Società culturali, semplicemente perché di tali periodici non esistono degli indici, non possiamo che lo dare l'iniziativa dell'Olschki, lodevolmente condotta a termine dal nostro erudito. In Italia, checché si blateri a destra e a sinistra, si è lavorato molto e spesso con diligenza e amore. Ma chi osa perdere del tempo prezioso per discendere in quelle necropoli del pensiero che sono i nostri periodici e i nostri atti accademici che si pubblicano ininterrottamente da decenni e decenni? Si vuole veramente giovare alla cultura italiana? Basta pubblicare indici sistematici, redatti con diligenza e criteri scientifici. E poi di nuovo indici. E ancora indici.

BERTONI GIULIO. Programma di filologia romanza come scienza idealista. Ginevra, Leo S. Olschki editore, 1923. In-8, di pagg. vIII, 129.

In questo volume il B. si propone di parlare della filologia romanza (che studia lo svolgersi della civiltà dei popoli neo-latini, con particolare riguardo ai prodotti letterari anteriori al Rinascimento) intesa soprattutto come scienza dello spirito, ma pur tenendo conto dei progressi storici e filosofici per cui oggi essa si solleva a ben piú fervide aspirazioni di quelle che ebbero i filologi di quarant'anni or sono. Il volume quindi non interessa soltanto il puro filosofo o il puro glottologo, ma anche quanti, attraverso i piú svariati campi, attingono alle perenni fonti delle lingue e letterature neo-latine. Le osservazioni del Bertoni, lo svolgimento della sua metodologia, i risultati a cui in vario modo giunge con la sua concezione filosofica idealistica, interessano vivamente quanti hanno a cuore la nostra antica letteratura e in special modo lo studioso di Dante. Per questo ci permettiamo di raccomandare con speciale compiacimento la presente fatica del chiaro romanista giacchè ci offre non idee e tentativi empirici ma frutti maturi.

GUIDO VITALETTI.

Giornale dantesco, anno XXVI, quad. II

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NOTIZIE

LE IMMAGINI DANTESCHE DI AMOS NATTINI. Amos Nattini, pittore genovese, non ha che ventinove anni. Datosi, con un totale e felice abbandono d'ogni altra cura e speranza, ad illustrare a suo modo la Divina Commedia, ha finora dipinto solo nove o dieci delle sue cento visioni dantesche, una per canto: quadri alti meno d' un metro, fragili quadri all'acquarello, sulla carta. Eppure avrei gran voglia di dire che, per onorare questi seicento anni dalla morte del Poeta, niente s'è fatto o almeno s'è veduto, che valga quest'opera, il piccolo principio di quest'opera grande. A Firenze, dove il mese scorso i dipinti del Nattini sono apparsi per la prima volta davanti al pubblico, è stata una processione continua di dantisti dottissimi ed arcigni, di vecchi accademici che contavano i muscoli delle cento figure, di giovani artisti reduci da tutte le avventure ed « esperienze », prima dell'arte disarticolata, e poi dell'arte mummificata. E tutti ammiravano chi per un verso, chi per l'altro, tutti ammiravano. Non ho mai trovata, intorno a quadri moderni, un'unanimità cosí piena, soddisfatta e durevole.

Si badi, tutto lí era fuori dalla moda corrente. Ogni quadro osava rappresentare un soggetto, noto, commovente e convincente. La pittura era minuta e delicata, con una pennellata lineare e verticale, minuta come la pennellata d'un miniatore, ma a piú strati, un velo sull'altro, tanto che la visione t'appariva dentro una sua sfera d'aria in continua vibrazione, questa livida e tetra, quella percorsa sotto un cielo basso da pigri riflessi, quell'altra profonda e diafana come l'infinito d'un firmamento. Dentro quell'aria vibrante, le figure nude o ammantate erano fermamente disegnate e atteggiate con un vigore di psicologia e una varietà d'invenzione mai stanca. Tutti i problemi che oggi si agitano nei cervelli, nei libri e piú nei caffè dagli artisti sembravano sorpassati, dimenticati, anzi ignorati da questo giovane. A chi paragonarlo? A quale scuola o maniera legarlo? In quale casella imprigionarlo, accanto a un collega rinomato, vivo o morto, Cézanne o Michelangelo, Matisse o Giotto, per misurarlo su quello e, come s'usa, non pensarci piú? Niente: i punti di confronto mancavano, e la critica, cacciata fuori dal gioco dei confronti, non sapeva che dire. Eppure tutti ammiravano. Novità grande: tutti capivano quel che Amos Nattini voleva dire.

Ci si consolava risalendo ai problemi generali. Dante, lo si può illustrare? Logicamente, bisognerebbe spingere il divieto fino all'assoluto: nessuno scritto si può illustrare, si può cioè tradurre in immagini disegnate, plastiche, definite. La parola e la pittura

in eterno verranno alli due cozzi.

Quando poi la parola è poesia, parola, cioè, più musica, con tutto quello che d'intimo e di fantastico, d'indicibile e d' invisibile, vola, turbina, s'inabissa e risorge nella musica, la contraddizione tra parola e pittura è ancòra piú profonda ed insanabile. Non esiste un' idea, non esiste un'emozione appiccata in cielo piú su delle nostre teste e dei nostri petti, e uno la può vestire di parole e uno la può vestire di colori e uno la può vestire di note, e l'idea o l'emozione resta la stessa come una bella signora vestita ora da casa, ora da ballo, ora da teatro. Esistono gli uomini, non le idee, e l'unica cosa vera al mondo è l'uomo; anzi il mondo è l'uomo, e ciascun uomo è un mondo, un mondo che non si ripete, che non si traduce, che non s'assimila, che non combacia perfettamente con nessun altro mondo: qua Dante e là Giotto; qua Dante e là Botticelli; qua Dante e là Signorelli e Blake e Delacroix e Rossetti e Boecklin e Doré e Rodin, per ricordare i suoi illustratori piú celebrati; qui Dante e là magari Scaramuzza, quel buon parmigiano Scaramuzza che illustrò Dante per le nostre svenevoli nonne e che coi disegni a penna tanto aggraziati morbidi e sfumati della sua Divina Commedia ci descrive adesso tanto bene che cosa erano l'inferno e il paradiso non di Dante ma delle penitenti di Pio nono e magari di quelle di Vittorio Emanuele secondo. E ogni uomo ricomincia l'universo, il suo universo; questo, piccolo quanto un giocattolo; quello, grande quanto la poesia di Dante. Illustrare la Commedia ? Sí, in questo senso è impossibile.

D'altra parte, nessun poema, salvo forse la Bibbia, ha suscitato tanti illustratori quanti la Divina Commedia. Perché? Il mondo di Dante è tanto vasto e compatto che nella sua corsa attraverso i secoli attira e devia tutte le stelle e le nebulose che incontra. Alcune scoppiano come bolle d'aria e non resta niente, come chi dicesse una Lettura dantesca :

altre splendono di riflesso, per poco, finché riescono a tenersi nell'orbita di lui; altre, quelle piú roventi di poesia, sprizzano scintille e fanno luce anche quando lui, il sole, nel suo volo eterno è fuggito

lontano ad illuminare altri mondi, altre anime, altri secoli.

Si guardino i disegni di Sandro Botticelli sul rovescio dei grandi fogli di pergamena dove è scritto

INFERNO. CANTO I

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
chè la diritta via era smarrita.
Ah quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinnova la paura!
Tant'è amara che poco è più morte
ma per trattar del ben ch' io vi trovai.
dirò de l'altre cose ch'io v ho sconte
lo non so ben ridir com'io v'entral.

tant era pieno di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.

Ma poi ch'i' fui al piè d un colle giunto, là dove terminava quella valle

che m'avea di paura il cor compunto. guarda in alto, e vidi le sue spalle vestite giå de raggi del planeta che mena dritto altrui per ogni calle. Allor fu la paura un poco queta che nel lago del cor m'era durata La notte ch 10 passai con tanta pietą. E come quei che con lena affannata

uscito fuor del pelago à la riva. si volge a l'acqua perigliosa e guata. cosi l'animo mio. ch ancor fuggiva.

si volse a rietro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva. Pol ch'el posato un poco il corpo lasso. ripresi via per la piaggia deserta.

si che 'l piè fermo sempre era 'l più basso. Ed ecco, quasi al cominciar de l ́erta.

una lonza leggiera e presta molto. che di pel maculato era coverta:~ e non mi si partia dinanzi al volto. anzi impediva tanto il mio cammino. ch' ' fui per ritornar più volte volto. Temp era dal principio del mattino

el sol montava 'n su con quelle stelle ch' eran con lui quando l'amor divino

mosse di prima quelle cose belle: si cha bene sperar m'era cagione di quella fera a la gaetta pelle l'ora del tempo e la dolce stagione:

.

ma non si che paura non mi desse la vista che m'apparve d'un leone. Questi parea che contra me venesse con la test' alta e con rabbiosa fame si che parea che l'aere ne temesse. Ed una lupa. che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza. e molte genti fè già viver grame. questa mi porse tanto di gravezza

con la paura ch' uscia di sua vista. ch' io perdei la speranza de l'altezza. E qual è quei che volontieri acquista. e giugne 'l tempo che perder lo face. che 'n tutt'i suoi pensier piange e s'attrista: tal mi fece la bestia sanza pace.

che, venendomi incontro, a poco a poco mi ripigneva là dove 'l sol tace. Mentre chi' rovinava in basso loco.

dinanzi ali occhi mi si fu offerto chi per lungo silenzio parea fioco. Quando vidi costui nel gran diserto. 'Miserere di me, gridai a lui,

qual che tu sii. od ombra od omo certol Rispuosemi: Non omo. omo già fui.

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e li parenti miei furon lombardi. mantovani per patria ambedui. Nacqui sub lulio. ancor che fosse tardi. e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto al tempo de li dei falsi e bugiardi. Poeta fui. e cantai di quel giusto figliuol d Anchise che venne da Troia. pot che il superbo llion fu combusto. Ma tu perchè ritorni a tanta noia? perchè non sali il dilettoso monte ch'è principio e cagion di tutta gioia ?.

Testo, su lastra di rame, del nuovo Dante di A. NATTINI.

il Poema. Lieve, grazioso, femmineo, nervoso, in gara con quei disegni dell'estremo oriente che dovettero far stupire per la loro rapida incisiva elegante finezza il quattrocento toscano tutto sagoma e linea, che ci rivela egli di Dante? Niente. Ma una gran dolce cosa ci rivela: sé stesso, Botticelli, e tutto il

fiore dell'anima sua malinconica e primaverile. Sia benedetto Dante anche per questa rivelazione.

Questi traduttori di Dante in disegno e in pittura è vano, insomma, starli a confrontare al testo del Poema per sapere se il Paolo e Francesca di Arnold Boecklin è alle parole di Dante piú fedele

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