s'adombrano a guisa di tre punti, moventisi d'un giro e d'un girare medesimo. Qui t'appunta, e lascia gracchiare i cornacchioni. Sospira e suda, ec.; è tale l'artificio di questo verso ch'esprime chiaro lo affannarsi coi suoi Ciclopi in Mongibello; alla fucina negra, quel fabbro affumicato. Rinfrescar, rinnovare. L'aspre saette; le folgori, che Dante dice la folgore acuta. Q. 2. Alf. n. di questi versi il primo e'l terzo. Senza onorar più, ec.; senza aver più riguardo al mese di luglio (detto da Giulio Cesare) che di gennaio (nominato così da Giano); volendo accennare che non solo di verno, ma in qualsivoglia stagione, meno al turbare degli elementi soggetta, ha luogo così fatto miracolo. La terra piagne; spiegano gli altri che intenda dello essere la terra dalle cadenti aeque inondata; a me pare che s'abbia con miglior sentimento a intendere dello essere la terra, per lo turbamento del cielo e la privazione della gioconda vista di Laura, fatta trista. Altrove; ha detto in principio dal proprio sito si rimove. T. 1. Alf. not. Riprende.... Saturno e Marte. Il Tassoni crede che il Poeta dica riprende, perchè puossi por un per due; ma tu sai che fassi in virtù della elissi che tace, per brevità, il verbo nella seconda proposizione. Orione; stella il cui nascere e tramontare si fa con tempesta. Armato; di nembi, venti e turbini, e però dice Orazio, nautis infestus Orion. T. 2. Alf. not. si parte, col verso seg. Ordina: Eolo turbato fa sentire a Nettuno ed a Giunone, ed a noi, ec.; a Nettuno, sconvolgendo il suo regno, che è il mare; a Giunone, turbando l'aere; a noi, attristando la terra con vento, acqua e neve. Il bel viso, ec. Duc sconce cose dice qui il Tassoni; l'una che l'aver cominciato in arbore e finire in bel viso dà nel mostro d'Orazio, al che si risponde che chi, leggendo i due primi versi del sonetto, vede l'albero andare attorno, contro la sua natura di star radicato e ficcato nel terreno, dee proprio sul fine del sonetto rappresentarsi peggio che il nostro Oraziano; ma chi, sapendo che sotto il velo della lettera chiudesi altro che quello ch'essa suona, tanto è lontano dal vedere quel mostro, quanto dal credere che il Tassoni criticante sia lo stesso che il Tassoni poetante. L'altra sconcia cosa che dice quell' improntaccio si è che in quest'ultimo verso par che il P. favelli di Laura moribonda e non di Laura vagabonda; inganno strabocchevole, nel quale non sarebbe caduto quel mal accorto critico, se avesse pur pensato che le cose aspettate essendo quelle che desiderate sono, chiaro apparisce che aspettato suona quanto desiderato; per lo che, dimostrando il Poeta che l donna di cui parla, essendo cosa tutta celeste, e però appartenente a quei di lassù, non è da maravigliarsi che cielo, mare e terra si scompagini al suo dipartire dal luogo dal Creatore eletto a farla nascere al mondo, quasi tutti gli altri indegni sieno di ricevere quella divina creatura. E sono certo che il Petrarca volle chiudere in questo verso quello che con tanta grazia e leggiadria dice Dante di Beatrice, nella seconda stanza della canzone che comincia, donne che avete intelletto d'Amore, cioè: Lo cielo che non have altro difetto Che d'aver lei, al suo signor la chiede, SONETTO XXVII Q. 1. Alf. n. Dolce riso umile e piano; intende di Laura, cui qualifica da quella ineffabile letizia, da quel soavissimo splendore di viva luce, che in tuita la persona di lei dolcemente si sparge, armonizzata da ogni movimento, da ogni atto e maniera, e dal ciclo concorde. Nove o nuove, per non essere mai state vedute simiglianti. Indarno move, per la ragione indicata nel primo verso del seguente quadernario. Q. 2. Alf. n. salvo il secondo verso e del seguente : sua sorella. Ch'a Giove, ec. Altrove, nel senso stesso, ma con più forza: 8 Ch'avrebbe a Giove nel maggior furore Tolto l'arme di mano e l'ira morta. Temprate, ec. È verso, grida il Tassoni, che serve di savorra. S'inganna: è verso di rincalzo alla voce arme del precedente. Sua sorella; la sorella di Giove è Giunone, la quale si pone per l'aere, come Giove pel fuoco. Par che si rinnove, ec.; pare che si venga via via Petrarca del Biagioli 5 rasserenando al lucente raggio del sole. A mano a mano, è formula ch'accenna progressivo atto che l'altro disforme o simigliante seconda. T. 1. Alf. not. - Si move un fiato, ec. Odi versi divini, Paradiso xu, sul ritorno di questa aura fecondatrice delle nostre terre : In quella parte ove surge ad aprire Di che si vede Europa rivestire. T. 2. Alf. n. Bel viso innamorato, col verso seg. Noiose; di maligno influsso, come Saturno e Marte. Innamorato; che conforta ad amare, come dice Dante della stella di Venere, spirante o suadente amore. Son già sparte, suppl. da me, e non tanto per la presente lontananza, quanto per tutto quello che ha sofferto finora. SONETTO XXVIII. Q. 1. Alf. n. i due primi. Dice il Tassoni che questo sonetto dovrebbe essere il secondo, e non il terzo; ma s'inganna di molto. Nel primo racconta il Pocta come si turba la terra e il cielo al dipartirsi di Laura del proprio sito; nel secondo, gli effetti contrari che generalmente il ritorno di lei produce. Ecco due viste ch'hanno a starsi a fronte, siccome quelle che, quantunque per vie diverse, tendono a un segno. Ma avvenne una volta, com'ho detto, il contrario di quello che nel secondo sonetto si espone, del quale avvenimento, quasi eccezione di regola generale, se si parlasse prima, sarebbe proprio, come dicesi, porre il carro innanzi a' buoi, la coda prima e poi il capo, l'eccezione prima della regola, ch'è contro la natura delle cose. Avea già nove volte; erano scorsi nove dì, da che Laura s'era partita. Dal balcon sovrano; dal balzo d'oriente, come dice Dante. Per quella; suppl. vedere. Ch'alcun tempo mosse in vano, ec. Ricorditi del triplice mistero di Dafne, di Laura e del lauro. Adunque già nove di aveva Apollo cercato di veder Laura; ma Laura era invisibile anche al sole, perciocchè, ritenuta in casa, nel luogo dov'era andata. per grave malattia di carissimo parenie, non intendeva ad altro che alla cura dell' ammalato e della famiglia, che lasciò poi dolente della morte del padre. Altrui; riferisce lui medesimo, cioè il Petrarca. Q. 2. Alf. nota il terzo e 'l quarto. Poi che, cercando stanco, ec. Il Tassoni : « non pare senza freddura che'l sole, stancatosi in cercar Laura, nè la trovando, incominciasse a dar del capo per le mura, che cosi pare appunto voglia inferire. E quel d'appresso, c di lontano, è detto più secondo la persona del Poeta, che di Febo, a cui nè venti ne trenta miglia in terra fanno distanza alcuna maggiore o minore. " Alla prima di queste critiche si risponde, che non poteva il Poeta immaginare mezzo più convenevole a dimostramento di quello che avvenne contro il solito corso delle cose, cioè che il di medesimo del ritorno di Laura non si lasciasse quella volta il sole vedere; e parmi naturalissima cosa il dire che dopo nove di interi, spesi in vano da Febo in ritrovare la donna sua, si mostrasse a noi qual uomo di tristezza e di lutto ripieno, per disperare del contento del suo maggior desiderio. Forse il Tassoni ha creduto che insano significa pazzo da catena, furibondo, forsennato; ma s'inganna, non avendo altro senso che quello che in più stretto comprendimento gli dà il Poeta, ch'è d'esprimere la tristezza della mente, siccome il Poeta stesso, nella sottoposta parola tristo, lo spiega aperto. La seconda delle accennate critiche non merita risposta, perocchè ognuno sa che quel da presso o di lontano è detto per rispetto del luogo ov'era solita stare la donna. Che molto amata cosa, ec. «Non è ne prosa nè verso, dice il Tassoni, e contraddice a quello che ha detto di sopra, che la sua cara amica vede altrove." Il sentimento di questa parola è naturale, l'espressione graziosa ed elegante, il verso intero notato da Alfieri per bello; tanto basti a confusione del critico. Ombra di contraddizione non è fra questo sentimento e il contrappostogli dal Tassoni; perciocchè s'accenna qui un avvenimento fuori del consueto, ed ivi un fatto nell'ordine costante e regolare compreso. T. 1. E così tristo. ec. « Vorrei sapere, dice Tassoni, s'egli era uscito dello zodiaco, o dove s'era rincantucciato questo pover uomo. " Se il Tassoni avesse avuto una quantunque picciola favilletta di ragione, avrebbe traveduto che, delle cento, le novantanove idce s'esprimono dall'uomo per similitudine di quelle che più sono al senso vicine; oltre quel logico principio che, quando l'effetto è uno, puòssi da una, o da altra cagione derivare similmente; e se natura avesse voluto altrimenti, l'uomo sarebbe stato più bestia che uomo. T. 2. Si n. da Alf. E pietà, ec.; la pietà e il dolore del morto parente avea cangiato lui medesimo cioè il viso di Laura, o sia Laura, i cui begli occhi erano ancora pregni delle lagrime, che così fatto accidente moveva; ed ecco perchè l'aria ritenne il primo stato, cioè ristette cosi torbida, come si fu nella dipartita di Laura del proprio luogo. Ma il Tassoni, trasportato dalla corrente, e però credendo che lui medesimo riferisca il sole, e che i begli occhi sieno quelli del sole, cose si sciocche ch' io non so se s'abbia le traveggole nel vederle così scritte, dice sguaiatamente: e che calde dovevano essere coteste lagrime (in queste sette parole quel fiero critico fa due errori di gramatica), se gocciolavano giù dagli occhi del sole! Nel penultimo verso, ho sostituito che i alla barbara forma ch'e, o ch'e'. SONETTO XXIX. Q. 1. Alf. n. Quel ch'in Tessaglia, cc.; s'accenna Giulio Cesare. Pianse morto, ec. Qui vuolsi rispondere al Tassoni e al Castelvetro. Questi dice: « non posso lodare questa repropaσis di Pompeo in questo luogo che scema la compassione di Cesare, quando la dovrebbe accrescere; perciocchè, che maraviglia è che Cesare piangesse un suo genero? Era da tacere. « Basterà, a ribadire il chiodo, ricordare a chi cadesse nel sentimento del Castelvetro, che quel genero di Cesare, cra suo fierissimo nemico, e che l'odio fra parenti è il maggiore, e tanto maggiore quanto più intima è la parentela. Ed è natura, perciocchè il rimbalzo torna proporzionato all'urto. Di questa verità, oltre mille esempi, abbiamo certa prova in Eteocle e Polinice. E questo che dico al Castelvetro, volgesi a un tempo al Tassoni, il quale ripete lo stesso, salvo il tuono, perciocchè |