la conoscenza chiara, certa, di queso, cioè che quanto nel mondo piace e simigliante a fuggevole sogno. SONETTO II. Q. 1. Alf. n. Leggiadra; è detto con amara ironia, a strazio d'Amore, simigliante al Virgiliano: egregiam vero laudem ec. E potrebbesi pur intendere nel proprio natural sentimento, riflettendo che bella e cara fu pur quella vendetta al Poeta, pel nobile oggetto ch'cbbe la sua passione. Ma se l'intendessi come il Tassoni, che leggiadra si chiama quella vendetta che si fa da beffa a beffa, o da inganno a inganno, o da scherno a scherno, o da inganno a beffa, o da scherno a inganno, ci vorrebbe ad insalarla piena la zucca, e basterebbe appena. Ben mille offese; perchè aveva resistito sin allora a mille assalti amorosi, ch'erano altrettante offese fatte ad Amore. Riprese; ne fa intendere che Amore, disperato quasi della vittoria, già deposto l'arco. Com'uom, ec.; tanto s'era il Petrarca colla ragione e la temperanza fatto forte contro il concupiscevole appetito. La mia virtute. Il Castelvetro intende la temperanza; altri altra cosa; a me pare che della forza, che ha l'uomo in sè, di poter quello che vuole resoluto; Che volontà, se non vuol, non s'ammorza, Se mille volte violenza il forza. DANTE. aveva Q. 2. Alf. n. Era... ristretta; cioè s'era ristretta, raccolta, concentrata, a maggior rimbalzo d'avventato strale. Ivi, cioè nel cuore, siccome quello che è scopo alle amorose saette. Il Tassoni ristringe le sue critiche al presente sonetto, a dire che il verso era la mia virtute, ec., ha contrasto col secondo e terzo della prima terzina del seguente. Col primo di questi luoghi, imperciocchè, dice, se la virtù s'era ristretta in guardia del cuore, e s'era posta in atto di difesa, come ebbe tempo di prender l'armi? E qui per risposta basterà far avvertire a quel critico, che dice il Poeta, due soli versi più su, che Amore fece con lui com'uom ch'a nuocer luogo e tempo aspetta. Che può fare il più armato e avveduto, se, dei tanti luoghi onde lo può fe non rire il traditore, gli avventa la morte da quel solo che non previde? Col secondo degli accennati luoghi: mostra, seguita il critico, che la virtù non fosse ristretta in guardia del cuore, s'egli era disarmato del tutto. Rispondo: in questo sonetto il Pocta manifesta com'egli era continuo in guardia d'Amore, da che propose di non si voler mai fare suo ligio; nel seguente racconta come trovossi quel dì disarmato, e perchè. Onde la contraddizione immaginata dal Tassoni, cade giù a guisa di bolla, cui manca l'acqua sotto qual si feo. negli occhi, per esser la porta, per cui passa colle poderose sue forze Amore. Però Dante, Paradiso xxvi: Agli occhi che fur porte, E Quand'ella entrò col fuoco ond' io sempr'ardo. T. 1 e 2. Alf. n. Dice che, per essere stata si fattamente sorpresa la virtù sua, non ebbe forza nė tempo a difendersi, e che ora è inutile affatto ogni sforzo a ciò. In due modi accenna che si poteva difendere, cioè con prender l'arme, come fassi a nemico assalto, e sostener fermo l'urto dell'assalitore, o vero con avvantaggiarsi del luogo, rifuggendo al monte, come fanno chi, da nemica furia investiti, non potendo contrastare, si ricovrano in alto. Ma l'espressione al poggio, ec., par che abbia altro senso che la lettera suona, e così credo, perocchè, se fosse altrimenti, il Poeta avrebbe detto in poggio, o altro giro, senza 'I segno determinativo dell'articolo. Adunque o intende per questo poggio quello che s'alza ai confini della mortale selva descritta da Dante, o veramente intende della ragione, posta da Platone, come in forte rocca, nella più alta parte dell'uomo, che è il capo. Gli aggiunti faticoso e alto convengono egualmente all'uno e all'altro senso. Turbata, per lo subito sbigottimento. Spazio, di tempo. Che; questa particella riferisce insieme idea di vigore, e idea di tempo. L'arme. Ma quali? Quelle che la indurata volontà, e la libera ragione gli potevano prestare. Del qual ec., finchè l'anima è donna del senso, la virtù sua si può difendere da ogni nemico assalto; ma, se questo diventa signore, non rimane all'uomo altra via a uscir d'impaccio, che quella ch'ebbe a prender Dante a scampare dell'orribile selva. SONETTO III. Q. 1. Alfieri n. tranne il terzo verso. — Era il gior 720, ec. S'accenna con bel poetico colore nei primi due versi il venerdì santo. Scoloraro per scolorarono, come legaro per legarono, sono form. poet. Di questa miracolosa eclissi, Dante, Parad. xxvII : E tale eclissi credo che 'n ciel fue Quando pati la suprema possanza. E nel xxix della stessa canzone, delle ciance predicate a' suoi tempi intorno a quella eclissi : Un dice che la luna si ritorse Nella passion di Cristo, e s'interpose, Da se; però agl' Ispani e agl' Indi, Com' a' Giudei, tale eclissi rispose. Delle tante e si strane questioni insorte fra i critici che, l'anno che il Poeta s'innamorò, il venerdì santo cadde e non cadde il sesto giorno d'aprile, come altrove ne dichiara, parmi che s'abbia a ricevere la soluzione riportata dal Tassoni, che si regolasse il Poeta colla quintadecima luna di marzo, che si sa che fu il giorno nel quale G. C. fu crocifisso; inteso però il giorno all'ebraica, da un vespro all'altro. Essendo dunque, sono parole del Tassoni, la quintadecima luna di marzo, l'anno che s'innamorò il Poeta di Laura, 1327, venuta a cadere nel 6 d'aprile, però con evidente verità nel presente sonetto ci disse che quello era il giorno nel quale si oscurarono i raggi del sole per la morte del suo Fattore, benchè fosse di lunedì. Nè fa ostacolo il sonetto Padre del ciel, dopo i perduti giorni, fatto undici anni dopo, poichè s'ha da credere che quegli parimente fosse dal P. composto nella stessa quintadecima luna di marzo. » —- E non me ne guardai, per la ragione che dice in principio del seg. quadernario. Che i be' vostr'occhi, ec. Dante, degli occhi di Beatrice onde a pigliarmi fece amor la corda. cioè perchè; per lo che. Il dire che gli occhi leghing fa quasi quasi stomaco al Tassoni. Legga per antidoto il sopra citato verso di Dante, Paradiso xxvI. Che, Q. 2. Alf. n. i due primi versi, e del seg. secur senza sospetto. Fidandosi in quel giorno, di sacre tenebre vestito, e consacrato a pensieri santi, gli pave che tanto bastar dovesse, e lasciò, per così dire, da parte le armi della ragione, e ogni guardia a difesa del cuore contro i colpi d'Amore. Al Tassoni sembra ch`esser debba il contrario: Dante lo sganni, che dice, Purg. Iv: Quando per dilettanze ovver per doglie Par ch'a nulla potenzia più intenda. Nel comune dolor; quello che in tutto il mondo cristiano in tal tempo si rinnova; accidente che fa il suo maggiore, e presagisce la fierezza e durata de' suoi guai. E questo comune dolore si distende quanto la settimana santa intera, cominciando dal lunedì. Nol perder di vista. T. 1. Alf. n. i due primi versi. Del tutto disarmato; per la ragione di sopra accennata. Ed aperta, ec. Ordina: e trovò la via che mena al cuore aperta per gli occhi, ec. Che di lagrime ec.; espressione forte, dalla quale l'immenso suo dolore si deduce. Qui il Tassoni pare che non sappia chi sia il Petrarca, che sia verso, che lingua, lasciandosi sfuggir di bocca queste parole proprie: « Parla il P. degli occhi suoi, divcnuti uscio e varco, onde le lagrime in questa sua disgrazia gli uscivano, quasi che prima lagrimasse pe' buchi del naso o per l'orecchie. Però a dir qualche cosa parea da descriverli divenuti fonti o rivi, e non uscio nė varco, essendo che, senza divenire, sempre sono tali." Dico che pare che il Tassoni non sappia chi sia il Petrarca, perchè non pareggia il suo dir basso coll'altezza del Poeta; che sia verso, che lingua, perciocchè si può ben dire in verso gli occhi fatti uscio e varco di lagrime; e poi si ha a por mente che due sono le intenzioni del Poeta in questo dire; la primiera, che sino allora aveva avuto gli occhi asciutti, la seconda, che da quell'ora in poi diventarono due rivi, a disgombrare l'immenso affanno del cuore. T. 2. Alf. n. salvo però al mio parer. Però cc. ; vedi con che bella grazia dice a chi l'ode, ch'egli ama, non riamato. Il fatto poi è proprio uno scorno ad Amore, che non dee chi è valoroso assaltare chi è disarmato, e però senza difesa; ma questo svilimento d'Amore è di gran lode a Laura, mostrandola paurosa al più possente dei numi. Al mio parer, espressione di modesto giudicio. Armata, di pensieri santi, e d'inflessibile proponimento di non sottoporsi ad Amore. Non mostrar pur l'arco. A voler conciliare questa sentenza coll'altra contraria: Quel vincitor, che primo era all'offesa, Da man dritta lo stral, dall'altra l'arco, s'ha a credere che così dice il Poeta, perocchè, vano essendo stato l'effetto del tentativo che fece Amore, vana ancora si può in certo modo giudicare la cagione (1). SONETTO IV. Q. 1. Alf. n. i due primi versi. Ed arte, suppl. infinita. Nel suo mirabil magistero; nella maravigliosa sua opera della creazione. Criò, v. p. creò. Questo ec.; questo emispero e l'opposto. E mansueto ec.; e la stella di Giove naturata a spirar più benigni influssi che quella di Marte; e dice questo a dimostrare che creò Dio non solo l'unità dell'universo, ma le parti e disformità, e proprietà di ciascheduna. Qui, dopo alcune cose di niun valore lasciatesi cascar della penna, intorno al presente sonetto, dice il Muratori: " II primo quadernario non è se non un' amplificazione di questa parola Dio, lecita bensì e lodevole ne' poeti, ma che, nel presente caso, piuttosto serve ad empiere quattro versi, che a fare un convenevole esordio all'argomento che segue. " Dalle quali parole manifestamente (1) In tutte e tre le cdizioni fatte sugli autografi del Petrarca, e quindi anche nel Marsand, leggesi: Ed a voi armata in vece di e a voi come legge la Cominiana seguita dal Biagioli. Forse il secondo suono è più soave; ma qui il Poeta lo voleva appunto aspro e duro per significare la grande perturbazione del suo animo. |