Io per me fon quafi un terreno afciutto Colto da voi, e'l pregio è vostro in tutto Canzon, tu non m'acqueti, anzi m'infiammi A dir di quel ch'a me fteffo m'invóla ; Però fia certa di non effer fola.
Entil mia Donna, i' veggio
Nel mover de' voftri occhi un dolce lume, Che mi mostra la via ch'al ciel conduce; E per lungo coftume
Dentro là dove fol con Amor feggio, Quafi vifibilmente il cor traluce.
Queft'è la vifta ch' a ben far m'induce, E che mi fcorge al gloriofo fine Questa fola dal vulgo m'allontana: Ne giammai lingua umana
Contar poria quel che le due divine Luci fentir mi fanno,
E quando verno fparge le pruine E quando pol ringiovenifce l'anno, Qual era al tempo del mio primo affanno. To penfo: Se la fufo,
Onde 'I Motor eterno delle ftelle
Degnò mostrar del fuo lavoro in terra, Son l'altre opre sì belle;
Aprafi la prigion ov'io fon chiufo,
E che 'l cammino a tal vita mi ferra. Poi mi rivolgo alla mia ufata guerra Ringraziando Natura, el dì che io nacqui, Che refervato m' hanno a tanto bene; E lei ch'a tanta fpene
Alzò'l mio cor; che infin allor io giacqui A me nojofo, e grave:
Da quel di innanzi a me medefmo piacqui Empiendo d'un penfier alto, e foave
Quel core ond' hanno i begli occhi la chiave. Nè mai ftato giojofo
v. 1. al. Io fon per me . v. 2. al. Culto. v. 13. al. a gloriofo. v. 16. al. potria. v. 19. al. ringio vanifie, V. 29. rifervato. v. 35. al, le chiavi.
Amor, o la volubilę Fortuna
Dieder a chi più fur nel mondo amici, Ch'i' nol cangiaffi ad una
Rivolta d'occhi: ond' ogni mio ripofo Vien, com'ogni arbor vien da fue radici. Vaghe faville, angeliche, beatrici
Della mia vita; ove 'l piacer s'accende Che dolcemente mi confuma, è frugge; Come sparifce, e fugge
Ogni altro lume dove 'l voftro fplende, Così dello mio core ›
Quando tanta dolcezza in lui difcende, Ogni altra cofa, ogni penfier va fore, E fol ivi con voi imanfi Amore. Quanta dolcezza unquanco
Fu in cor d'avventurofi amanti accolta, Tutta in un loco, a quel ch'i' fento è nulla; Quando voi alcuna volta
Soavemente tra 'I bel nero, e 'l bianco Volgete il lume in cui Amor fi trastulla: E credo, dalle faíce, e dalla culla Al mio imperfetto, alla fortuna avverfa Quefto rimedio provvedeffe il cielo. Torto mi face il velo,
E la man, che sì fpeffo s'attraverfa Fra 'l mio fommo diletto,
E gli occhi; onde dì, e notte & riverfa Il gran defio, per isfogar il petto, Che forma tien dal variato afpetto. Perch'io veggio Ce mi fpiace)
Che natural mia dote a me non vale, Nè mi fa degno d'un sì caro fguardo; Sforzomi d'effer tale,
Qual all'alta fperanza fi conface, Ed al foco gentil ond' io tutt' ardo. S'al ben veloce, ed al contrario tardo, Difpregiator di quanto 'l mondo brama, Per follicito ftudio pelo farme;
Potrebbe forfe aitarme
Nel benigno giudicio una tal fama Certo il fin de' miei pianti,
v. az. rinverfa. 28. difio. v. 39. al. marme,
Che non altronde il cor dogliofo chiama; Vien da' begli occhi al fin dolce tremanti, Ultima fpeme de' cortefi amanti.
Canzon, l'una forella è poco innanzi ; E l'altra fento in quel medelmo albergo Apparecchiarfi ond'io più carta vergo.
CANZONE XX.
Poichè per mio deftino
A dir mi sforza quell'accefa voglia, Che m'ha sforzato a fofpirar mai fempre; Amor, ch'a ciò m'invoglia,
Sia la mia fcorta, e 'nfegnam'il cammino, E col defio le mie rime contempre: Ma non in guifa, che lo cor fi ftempre Di foverchia dolcezza; com' io temo (gne : Per quel ch'i' fento ov'occhio altrui non giu- Chei dir m' infiamma, e pugne;
Nè per mio ingegno (ond'io pavento,e tremo) Siccome talor fole,
Trovo gran foco della mente fcemo: Anzi mi ftruggo al fuon delle parole
Pur, comio foffi un uom di ghiaccio al Sole. Nel cominciar credia
Trovar parlando al mio ardente defire Qualche breve ripofo, e qualche tregua . Quefta fperanza ardire
Mi pofe a ragionar quel ch'i' fentia: Or m'abbandona al tempo, e fi dilegua Ma pur conven che l'alta imprefa fegua, Continuando l'amorofe note
Si poffente è il voler che mi trasporta: E la ragione è morta,
Che tenea I freno; e contraftar no'l puote. Moftrimi almen, ch' io dica
Amor, in guifa, che fe mai percuote Gli orecchi della dolce mia nemica; Non mia, ma di pietà la faccia amica Se quella etate
Dico, se'not fur gli animi si accefi,
v. „ at. lagrimar. v. 33. al. Mostrandi.
L'induftria d' alquanti uomini s' avvolle Per diverfi paefi,
Poggi, ed onde paffando, e l'onorate Cofe cercando, il più bel fior ne colfe a Poi che Dio, Natura, ed Amor volfe Locar compitamente ogni virtute
In quei be' lumi ond' io giojofo vivo; Quefto e quell' altro rivo
Non conven ch'i' trapaffe, e terra mute: A lor fempre ricorro,
Come a fontana d'ogni mia falute; E quando a morte defiando corro, Sol di lor vifta al mio ftató foccorro. Come a forza di venti
Stanco nocchier di notte alza la tefta A'duo lumi c' ha fempre il nostro polo; Così nella tempefta,
Ch'i' foltengo d' amor, gli occhi lucenti Soro il mio fegno, e 'l mio conforto folo. Laffo, ma troppo è più quel ch' io ne 'nvolo Or quincior quindi, com' Amor m'informa; Che quei che vien da graziofo dono ; E quel poco ch'i' fono,
Mi fa di loro una perpetua norma Poi ch' io li vidi in prima,
Senza lor a ben far non moffi un' orma: Così gli ho di me posti in fu la cima; Che'l mio valor per fe falfo s'estima, I' non poria giammai
Immaginar, non che narrar gli effetti Che nel mio cór gli occhi foavi fanno Tutti gli altri diletti
Di questa vita ho per minori affai; E tutt' altre bellezze indietro vanno. Pace tranquilla fenz' alcun affanno, Simile a quella che nel ciel eterna, Move dal lor innamorato rifo. Così vedefs' io fifo.
Com' Amor dolcemente gli governa, Sol un giorno da preffo,
v. 6. al. compiutamente, v. 18. al. softegno. v. 24. al. fän.
Senza volger giammai rota fuperna Nè penfaffi d'altrui, nè di me fteffo, E'l batter gli occhi miei nou foffe fpeffo. Laffo, che defiando
Vo quel ch' effer non puote in alcun modo; E vivo del defir fuor di fperanza.
Ch' Amor circonda alla mia lingua, quando L'umana vifta il troppo lume avanza, Foffe difciolto; i' prenderei baldanza Di dir parole in quel punto si nove, Che farien lagrimar chi le intendeffe. Ma le ferite impreffe
Volgon per forza il cor piagato altrove. Ond'io divento fmorto,
E'l fangue fi nafconde i'non fo dove; Nè rimango qual era, e fommi accorto ; Che questo è'l colpo di che Amor m'ha morto. Canzone, i' fento già tancar la penna Del lungo e dolce ragionar con lei, Ma non di parlar meco i penfier miei.
SONET TO LIV.
I non fono:
O fon già ftanco di penfar, sì come
E come vita ancor non abbandono, Per fuggir di fofpir sì gravi fome; E come a dir del vifo e delle chiome
E de' begli occhi, ond' io fempre ragiono, Non è mancata omai la lingua, e'l fuono. Di e notte chiamando il voltro nome; E ch'i piè miei non fon fiaccati, e laffi A feguir l'orme voftre in ogni parte, Perdendo inutilmente tanti paffi; Ed onde vien l'inchioftro, onde le carte Ch'i'vo empiendo di voi fe' in ciò fallaffi, Colpa è d'amor, non già difetto d'arte.
v. 12. farian. v. 25. de”. al. più gravi, v. 30. al. Rancati.
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