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SONETTO LXXXIII.

L'Afpettata virtù, che 'n voi fioriva

Quando Amor cominciò darvi battaglia.
Produce or frutto, che quel fiore agguaglia,
E che mia fpeme fa venire a riva.
Però mi dice 'I cor, ch' io in carte fcriva
Cofa onde 'I voftro nome in pregio faglia:
Che 'n nulla parte si faldo s' intaglia,
Per far di marmo una perfona viva.
Credete voi, che Cefare, o Marcello,
Paolo, od Affrican foffer cotali

Per incude giammai, nè per martello?
Pandolfo mio, queft' opere fon frali

A lungo andar, ma'l noftro ftudio è quello
Che fa per fama gli uomini immortali.

MAL

CANZONE

XXII.

AI non vo'più cantar, com' io foleva
Ch'altri non m'intendeva ; ond' ebbi scor.
E pucffi in bel foggiorno effer molefto. (no:
Il fempre fofpirar nulla rileva.

Già fu per l'alpi neva d'ogn' intorno.
Ed è già preffo al giorno, ond' io fon defto.
Un atto dolce onefto è gentil cofa:
Ed in donna amorofa ancor m'aggrada,
Che'n vifta vada altera, e difdegnofa,
Non fuperba, e ritrofa.

Amor regge fuo imperio fenza spada. :
Chi fmarrito ha la ftrada, torni indietro:
Chi non ha albergo, pofifi in ful verde :
Chi non ha l'auro, o'l perde,

Spegna la fete fua con un bel vetro.

I' diè in guardia a fan Pietro; or non più, nq:
Intendami chi può, che m' intend' io.
Grave foma è un mal fio a mantenerlo.
Quanto poffo, mi fpetro, e fol mi fto.
Fetonte odo, che in Pò cadde, e morio:
Rime Petrarca.
E già

F

v. 10, foffin. v. 15. al. parlar. v. 32. al. Softenerio.

E già di là dal rio paffato è'l merlo:
~Deh venite a vederlo, or io non voglio.
Non è gioco uno fcoglio in mezzo l'onde
E'ntra le fronde il vifco. Affai mi doglio
Quand' un foverchio orgoglio.

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Molte virtuti in bella, donna afconde.
Alcun è, che rifponde a chi no 'l chiama:
Altri, chi prega, fi dilegua, e fugge
Altri al ghiaccio fi ftrugge

Altri di e notte la fua morte brama.
Proverbio, Ama chi t'ama, è fatto antico.
1' fo ben quel ch' io dico. Or lafa andare,
Che convien, ch'altri impare alle fue fpefe.
Un umil donna grama un dolce amico.
Mal fi conofce il fico. A me pur pare
Senno, a non cominciar tropp'alte imprefe
E per ogni paefe è buona ftanza.
L'infinita fperanza uccide altrui.
Ed anch'io fui alcuna volta in danza.
Quel poco, che m'avanza,

Fia chi no 'I fchifi, s' io 'l vo' dare a lui
I'mi fido in colui, che 'l mondo regge,
E ch'i feguaci fuoi nel bosco albergaj
Che con pietofa verga

Mi meni al pafco omai tra le fue gregge.
Forfe ch'ogni uom, che legge, non s' intende
E la rete tal tende, che non piglia;
E chi troppo affottiglia, fi fcavezza.
Noa fia zoppa la legge, ov'altri attende.
Per bene ftar fi fcende molte miglia.
Tal par gran maraviglia, e poi fi fprezza.
Una chiufa bellezza più foave.
Benedetta la chiave, che s'avvolfe

Al cor, e fciolfe l'alma, e foffa l'ave
Di catena si grave,

E infiniti fofpir del mio fen tolfe.
Là dove più mi dolfe, altri fi dole,
E dolendo, addolcifce il mio dolore.
Ond'io ringrazio Amore,

Che più no ferto; ed è non men che faole In filenzio parole accorte, e fagge;

E

v. 8. al. a chi. v. 25. al. colle fue. v. 28. al. Che.

El fuon, che mi fottragge ogni altra cura;
E la prigion ofcura ov'è'l bel lume:
Le notturne viole per le piagge

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E le fere felvagge entr'alle mura;
E la dolce paura, e il bel coftume;
E di due fonti un fiume in pace volto,
Dov' io bramo, e raccolto ove che fia:
Amor, e gelofia m'hanno il cor tolto:
Ei fegni del bel volto,

Che mi conducon per più piana, via
Alla fperanza mia, al fin degli affanni.
O riposto mio bene, e quel che fegue
Or pace, or guerra, or triegue,

Mai non m' abbandonate in quefti panni.
De' paffati mie'danni piango, e rido,

Perchè molto mi fido in quel ch' i' odo.
Del prefente mi godo, e meglio afpetto;
E vo contando gli anni, e taccio, e grido
E 'n bel ramo m'annido, ed in tal modo,
Ch' to ne ringrazio, e lodo il gran disdetto
Che l'indurato affetto al fine ha vinto,
E nell'alma dipinto, i' fare' udito,

E moftratone a dito, ed hanne elinto.
Tanto innanzi fon pinto,

Ch'il pur dirò: non foftu tanto ardito.
Chi m' ha 'l fianco ferito, e chi 'l rifalda
Per cui nel cor vie più che 'n carta ferivo;
Che mi fa morto e vivo;

Chi in un punto m'agghiaccia, e mi rifcalda.

N

CANZONE XXIII.

Ova angeletta fovra l'ale accorta Scefe dal cielo in fulla frefca riva, Là, ond' io paffava fol per mio destino; Poichè fenza compagna, e fenza fcorta Mi vide; un laccio, che di feta ordiva, Tefe fra l'erba ond'è verde 'l cammino. Allor fui prefo, e non mi fpiacque poi, si dolce lume ufcia degli occhi fuoi.

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v. 6. al. di duo'. v. 7. al. bramol ch'io fia. v. 11. al. anni. v. 29. al. e chi mi afcalda. V. 30. al, angioletta. V. 32, Là 'nd'.

SONET T O LXXXIV.

ON veggio, ove fcampar mi possa omai;

Ch'io temo, laffo, no 'l foverchio affanno Diftrugga 'I cor, che triegua non ha mai. Fuggir vorrei, ma gli amorofi rai,

Che di e notte nella mente fanno, Rifplendon sì, che al quintodecim' anno M'abbaglian più, che 'l primo giorno affai: E l'immagini lor fon si colparte.

Che volger non mi poffo ov' io non veggia O quella, o fimil indi accefa luce. Solo d' un Lauro tal felva verdeggia, Che 'l mio avverfario con mirabil arte Vago fra i rami, ovunque vuol, m'adduce.

SONET TO LXXXV.

Avventurofo più d'altro terreno,

Ov' Amor vidi già fermar le piante,
Ver me volgendo quelle luci fante,
Che fanno intorno a fe l'aere fereno:
Prima poria per tempo venir meno
Un'immagine falda di diamante,

Che l'atto dolce non mi ftia davante,
Del qual ho la memoria, e 'l cor sì pieno :
Nè tante volte ti vedrò giammai,

Ch'i'on m' inchini a ricercar dell'orme, Che 'l bel piè fece in quel cortefe giro. Ma fe'n cor valorofo Amor non dorme; Prega Sennuccio mio, quando 'l vedrai, Di qualche lagrimetta, o d'un fofpiro.

v. 1o. Volver. v. 14. al, ovunche, V. 15. al, ch' altro.

SONETTÓ LXXXVI.

Affo, quante fiate Amor m'affale ;

L'Che' fra latofte, el di fon più di mille;

Torno dov' arder vidi le faville,

Che'l foco del mio cor fanno immortale. Ivi m'acqueto, e fon condotto a tale, Ch'a nona, a vefpro, all' alba, ed alle fquille Le trovo nel penfier tanto tranquille, Che di null' altro mi rimembra o cale. L'aura foave, che dal chiaro vifo

Move col fuon delle parole accorte Per far dolce fereno ovunque fpira; Quafi un fpirto gentil di paradifo

Sempre in quell' aere par che mi conforte; Si che 'l cor laffo altrove non refpira.

SONET TO LXXXVIL

Perfeguendomi Amor al luogo ufato,

Riftretto in guifa d' uom ch'aspetta guerra, Che fi provvede, e i paffi intorno ferra, De'mie' antichi penfier mi ftava armato: Volfimi e vidi un' ombra, che da lato Stampava il fole; e riconobbi in terra Quella che, fe'l giudicio mio non erra, Era più degna d'immortale ftato. I'dicea fra 'l mio cor: perchè paventi ? Ma non fu prima dentro il penfier giunto, Che i raggi, ov' io mi struggo, eran prefenti. Come col balenar tuona in un punto, Così fu' io da' begli occhi lucenti, E d'un dolce faluto infieme aggiunto.

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