. SONETTO LXXXIII. L'Afpettata virtù, che 'n voi fioriva Quando Amor cominciò darvi battaglia. Per incude giammai, nè per martello? A lungo andar, ma'l noftro ftudio è quello MAL CANZONE XXII. AI non vo'più cantar, com' io foleva Già fu per l'alpi neva d'ogn' intorno. Amor regge fuo imperio fenza spada. : Spegna la fete fua con un bel vetro. I' diè in guardia a fan Pietro; or non più, nq: F v. 10, foffin. v. 15. al. parlar. v. 32. al. Softenerio. E già di là dal rio paffato è'l merlo: Molte virtuti in bella, donna afconde. Altri di e notte la fua morte brama. Fia chi no 'I fchifi, s' io 'l vo' dare a lui Mi meni al pafco omai tra le fue gregge. Al cor, e fciolfe l'alma, e foffa l'ave E infiniti fofpir del mio fen tolfe. Che più no ferto; ed è non men che faole In filenzio parole accorte, e fagge; E v. 8. al. a chi. v. 25. al. colle fue. v. 28. al. Che. El fuon, che mi fottragge ogni altra cura; E le fere felvagge entr'alle mura; Che mi conducon per più piana, via Mai non m' abbandonate in quefti panni. Perchè molto mi fido in quel ch' i' odo. E moftratone a dito, ed hanne elinto. Ch'il pur dirò: non foftu tanto ardito. Chi in un punto m'agghiaccia, e mi rifcalda. N CANZONE XXIII. Ova angeletta fovra l'ale accorta Scefe dal cielo in fulla frefca riva, Là, ond' io paffava fol per mio destino; Poichè fenza compagna, e fenza fcorta Mi vide; un laccio, che di feta ordiva, Tefe fra l'erba ond'è verde 'l cammino. Allor fui prefo, e non mi fpiacque poi, si dolce lume ufcia degli occhi fuoi. v. 6. al. di duo'. v. 7. al. bramol ch'io fia. v. 11. al. anni. v. 29. al. e chi mi afcalda. V. 30. al, angioletta. V. 32, Là 'nd'. SONET T O LXXXIV. ON veggio, ove fcampar mi possa omai; Ch'io temo, laffo, no 'l foverchio affanno Diftrugga 'I cor, che triegua non ha mai. Fuggir vorrei, ma gli amorofi rai, Che di e notte nella mente fanno, Rifplendon sì, che al quintodecim' anno M'abbaglian più, che 'l primo giorno affai: E l'immagini lor fon si colparte. Che volger non mi poffo ov' io non veggia O quella, o fimil indi accefa luce. Solo d' un Lauro tal felva verdeggia, Che 'l mio avverfario con mirabil arte Vago fra i rami, ovunque vuol, m'adduce. SONET TO LXXXV. Avventurofo più d'altro terreno, Ov' Amor vidi già fermar le piante, Che l'atto dolce non mi ftia davante, Ch'i'on m' inchini a ricercar dell'orme, Che 'l bel piè fece in quel cortefe giro. Ma fe'n cor valorofo Amor non dorme; Prega Sennuccio mio, quando 'l vedrai, Di qualche lagrimetta, o d'un fofpiro. v. 1o. Volver. v. 14. al, ovunche, V. 15. al, ch' altro. SONETTÓ LXXXVI. Affo, quante fiate Amor m'affale ; L'Che' fra latofte, el di fon più di mille; Torno dov' arder vidi le faville, Che'l foco del mio cor fanno immortale. Ivi m'acqueto, e fon condotto a tale, Ch'a nona, a vefpro, all' alba, ed alle fquille Le trovo nel penfier tanto tranquille, Che di null' altro mi rimembra o cale. L'aura foave, che dal chiaro vifo Move col fuon delle parole accorte Per far dolce fereno ovunque fpira; Quafi un fpirto gentil di paradifo Sempre in quell' aere par che mi conforte; Si che 'l cor laffo altrove non refpira. SONET TO LXXXVIL Perfeguendomi Amor al luogo ufato, Riftretto in guifa d' uom ch'aspetta guerra, Che fi provvede, e i paffi intorno ferra, De'mie' antichi penfier mi ftava armato: Volfimi e vidi un' ombra, che da lato Stampava il fole; e riconobbi in terra Quella che, fe'l giudicio mio non erra, Era più degna d'immortale ftato. I'dicea fra 'l mio cor: perchè paventi ? Ma non fu prima dentro il penfier giunto, Che i raggi, ov' io mi struggo, eran prefenti. Come col balenar tuona in un punto, Così fu' io da' begli occhi lucenti, E d'un dolce faluto infieme aggiunto. |