L SONET TO LXXXVIII. A donna, che 'l mio cor nel vifo porta, Là dove fol fra bei penfier d' amore Sedea, m'apparve; ed io per farle onose, Moffi con fronte reverente, e fmorta. Tofto che del mio ftato fuffi accorta, A me fi volfe in si nuovo colore, Ch' avrebbe a Giove nel maggior furose Tolto l'arme di mano, e l'ira morta. I' mi rifcoffi ed ella oltra, parlando Pafsò; che la parola i' non fofferfi Nè'l dolce sfavillar degli occhi fuoi. Or mi ritrovo pien di sì diverfi Piaceri in quel faluto ripenfando; SONET TO LXXXIX. Ennuccio, io vo' che fappi, in qual maniera Trattato fono, e qual vita è la mia. Ardomi, e ftruggo ancor, com' io folia: Laura mi volve, e fon pur quel ch'i' m'e̟ra. Qui tutta umile, e qui la vidi altera; Or afpra or piana, or difpietata, or pia; Or vestir oueltate, or leggiadria; Or manfueta, or difdegnofa, e fera. Qui cantò dolcemente, e qui s'affife: Qui fi rivolfe, e qui trattenne il paffo: Qui co' begli occhi mi trafiffe il core: Qui diffe una parola, e qui forrife: Qui cangiò 'l vifo. In quefti penfier, laffo, Notte, e dì tiemmi il fignor nostro Amore. v. 8. Tofto. v. 15. øl, minera, v. 20, al, dispetata. V. 24. al. ritenne.. SONETTO XC. Quicosive mezzo forero, voi contento) Ui, dove mezzo fon, Sennuccio mio, Venni fuggendo la tempefta, e'l vento, C'hanno fubito fatto il tempo rio. Qui fon fecuro, e vovvi dir, perch' io Non, come foglio, il folgorar pavento; E perchè mitigato, non che fpento Nè mica trovo il mio ardente defio. Tofto che giunto all'amorofa reggia Vidi, onde nacque Laura dolce, e pura, Ch'acqueta l'aere, e mette i tu oni in bando; Amor nell'alma, ov'ella fignoreggia, Raccefe il foco, e fpenfe la paura: Che farei dunque gli occhi fuoi guardando ? SONETTO XGI. Dell'empia Babilonia, ond' è fuggita Ogni vergogna, ond' ogni bene è fuori ; Albergo di dolor, madre d'errori, Son fuggit' io per allungar la vita. Qui mi fto folo; e, come Amor m'invita, Or rime, e verfi, or colgo erbette, e fiori, Seco parlando, ed a' tempi migliori Sempre penfando; e quello fol m' aita. Nè del vulgo mi cal, nè di fortuna, Nè di me molto, nè di cofa vile, Nè dentro fento, nè di fuor gran caldo. Sol due perfone cheggio; e vorrei l'una Col cor ver me pacificato, e umile; L'altra col piè, ficcome mai fu, faldo, V. 27. al. pacifico ed. v. 28. L'altro. IN N mezzo di duo amanti onefta altera Dell' amico più bello, agli occhi miei La gelofia, che 'n fu la prima vifta Un nuvoletto intorno ricoverfe; SONETTO XCIII. Pren di quella ineffabile dolcezza Che dal bel vifo traffer gli occhi miei Nel dì, che volentier chiufi gli avrei Per non mirar giammai minor bellezza; Laffai quel ch'i'più bramo: ed ho sì avvezza La mente a contemplar fola coftei, Ch' altro non vede; e ciò che non è în lei, Già per antica ufanza odia, è difprezza. In una valle chiufa d'ogni intorno Ch'è refrigerio de' fofpir miei laffi, Giunfi fol con Amor penfófo, e tardo: Ivi non donne, ma fontane, e faffi, E l'immagine trovo di quel giorno, Che 1 penfier mio figura ovunqu'io fguardo. v. 13. nuviletto. v. 16. del. traffen. v. 18. al. veder. v. 21, è lei. v. 28. al, ovunch' io. 7 XCIV. SONETTO 'E'I faffo, ond'è più chiusa questa valle, A Roma il vifo, ed a Babel le spalle; Avrien per gire ove lor fpene è viva Com' io m'accorgo, che neffun mai torna; SONET TO XCV. RImani addietro il feftodecim' antio De' miei fofpiri, ed io trapaffo innanzi, Provan, com' io fon pur quel ch'i' mi foglios v. 6. al, avrian. F 5 CAN. UNA CANZONE 1 XXIV. NA donna più bella affai che 'l fole Acerbo ancor mi traffe alla fua fchiera: Sempre innanzi mi fu leggiadra altera: A faticofa imprefa affai per tempo, Viver, quand' altri mi terrà per morto. Sol per aver di me più certa prova, Vederne affai, tutta l'età mia nova Qual io non l'avea vifta infin allora, Mi fi fcoverfe; onde mi nacque un ghiaccio E farà fempre finch'i' le fia in braccio. Per più dolcezza trar degli occhi fuoi; Quanto par fi convenga agli anni tuoi. Ma v. 28. al. Scoperfe, |