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356 INDICE DELLE CANZONI, ec.

Poichè per mio deftino

Qual più diverfa, e nova

Quando il foave mio fido conforto,
Quel foco ch'i pensai che foffe spento
Quell' antiquo mio dolce empio Signore
Se il penfier che mi frugge,

si è debile il filo a cui s'

attene

103

149

279

89

280

135

74

s'il diffi mai, ch'i' venga in odio a quella 187

Solea dalla fontana di mia vita

o perfs

Spirto gentil, che quelle membra reggi
Standomi un giorno solo alla finestra ;
Tacer non poffo, e temo non adopre
Verdi panni, fanguigni, ofcuri
VERGINE bella, che di fol vestita,
Una donna più bella affi che il fole
Volgendo gli occhi al mio novo colore,

264

87

257

259

68

289

130 93

INDICE

DE'

TRIONFI.

DAppoi che morte trionfo nel volto

326

310

Dappoi che fotto il ciel cofa non vidi z Dell' aureo albergo con l'Aurora innanzi 337

Era si pieno il cor di maraviglie,
Io non fapea da tal vifta levarmi,
La notte che feguì l'orribil cafo
Nel tempo che rinnova i miei fofpiri
Pien d'infinita, e nobil maraviglia
Pofcia che mia fortuna in forza altrui

302

333

321

293

329

307

Quando ad un giogo, ed in un tempo quivi 312

Questa leggiadra, e gloriofa Donna,
Stanco già di mirar, non sazio ancora,

316

297

FRAM

FRAMMENTO D'UN CAPITOLO

DI MESSER

F. PETRARCA,

Che in alcune edizioni fuol collocarsi avanti il Trionfo della Morte.

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Trionfi ornaro il gloriofo colle: Quanti prigion paffar per la Via Sacra Sotto'l monarca, ch' al fuo tempo volle Far il mondo defcriver univerfo :

Che 'l nome di grandezza agli altri tolle:
O fotto quel che non d'argento terfo
Die ber a' fubi, ma d'un rivo fanguigno
Tutti poco, o niente foran verfo

Queft' un ch' io dico e sì candido cigno
Non fu giammai, che non fembraffe un corvo
Prefs' al bel vifo angelico, e benigno.
E così in atto dolcemente torvo

L'onefta vincitrice inver l'occafo
Seguì il lito Tirren fonante, e corvo.
Ove Sorga e Durenza in maggior vafo

Congiungon le lor chiare, e torbide acque ; La mia Accademia un tempo, e 'l mio Parnafo; Ivi, ond' agli occhi miei il bel lume nacque, Che gli volfe a buon porto, fi rattenne Quella, per cui ben far prima mi piacque.

W, 15. Segno.

CA

CAPITOLO

DI MESSER

F. PETRARCA,

Che in alcune edizioni va innanzi al
Trionfa della Fama.

NEl cor pien d'amariffima dolcezza

Rifonavano ancor gli ultimi accenti
Del ragionar, ch' ei fol brama, ed apprezza >
E volea dir: O di miei trifti, e lenti!
E più cofe altre, quand io vidi allegra
Girfene lei fra belle alme lucenti.
Avea già il Sol la benda umida e negra,
Tolta dal duro volto della terra,
Ripolo della gente morral egra;

11 fonno, e quella ch'ancor apre e ferra
Il mio cor laffo, appena eran partiti,
Ch'io vidi incominciar un'altra guerra.
Polimnia, or prego che m'aiti.

Y

E tu, memoria, il mio ftile accompagni
Che prende a ricercar diverfi liti;
Vomini, e fatti gloriofi, e magni

Per le parti di mezzo, e per l'eftreme,
Ove fera, e mattina il Sol fi bagni.
Io vidi molta nobil gente infieme
Sotto la infegna d'una gran reina,
Che ciafcun ama, riverifce, e teme,
Ella a veder parea cofa divina:

2

E da man deftra avea quel gran Romano Che fe' in Germania, e 'n Francia tal ruina. Augufto, e Drufo feco a mano a mano; E i duo folgori veri di battaglia, Il maggior, e 'l minor Scipio Africano, E Papirio Curfor, che tutto fmaglia:

Curio, Fabrizio, e l'un e l'altro Cato: El gran Pompeo, che mal vide Tedaglia.

E Va

V. 10. al. E' fono..

E Valerio Corvino, e quel Torquato
Che per troppa pietate uccife il figlio
E' primo Bruto gli fedea da lato.
Po' il buon villan che fe'l fiume vermiglio
Del fero fangue, e 'l vecchio ch' Annibale
Frenò con tarditate, e con configlio :
Claudio Neron, che 'l capo d'Afdruballe
Prefentò al fratello afpro, e feroce
Sicchè di duol li fe' voltar le fpalle
Muzio, che la fua deftra errante coce
Orazio fol contra Tofcara tutta .
Che nè foco, nè ferro a virtù noce
E chi con fofpizione indegna lutta
Valerio di piacer al popol vago,
Sicchè s'inchina, e fua cafa è diftrutta
E quel che Latin vinfe fopra 'l lago

Regillo, e quel che prima Africa affalta. E i duo, che prima in mar vinfer Cartago : Dico Appio audace, e Catulo, che fmalta. 11 pelago di faugue, e quel Duillo, Che d'aver vinto allor fempre s'efalta. vidi vittoriofo, e gran Cammillo

Sgombrar l'oro, e menar la fpada a cerco
E riportarne il perduto veffillo.

Mentre con gli occhi quinci, e quindi cerco,
vidivi Coffo con le fpoglie oftili,
E 'I dittator Emilio Mamerco:
E parecchi altri di natura umili;
Rutilio con Volumnio, e Gracco
e Fila,
Fatti per virtù d' arme akti, e gentili.
Coftor vid' io fra 'l nobil fangue d'Ilo
Mifto col Roman fangue chiaro, e bello,
Cui non basta nè mio, nè altro ftilo.
Vidi duo. Paoli, e'l buon Marco Marcello
Che 'n fu riva di Pò, preffo a Casteggio
Uccife con fua mano il gran ribello.
E volgendomi indietro ancora veggio
I primi quattro buon, ch' ebbero in Roma.
Primo, fecondo, terzo, e quarto feggio...
E Cincinnato con la inculta chioma,

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E1

V. 10. al. errante deftra. v. 18. E i duo primi

́che 'n. V. 34, al. gran. v. 36. al. rebello..

El gran Rutilian col chiaro fdegno, E Metello orbo con fua nobil foma. Regolo Attilio sì di laude degno,

E vincendo e morendo; ed Appio cieco, Che Pirro fe' di veder Roma indegno: Ed un altro Appio fpron del popol feco : Duo Fulvii, e Manlio Volfco, e quel Flaminio, Che vinfe, e liberò 'I paefe Greco. Ivi fra gli altri tinto era Virginio

Del fangue di fua figlia; onde a que' dieci Tiranni tolto fu l'empio dominio.

E larghi di lor fangue eran tre Deci,

Ei duo gran Scipion, che Spagna oppreffe, E Marzio, che foftenne ambo lor veci. E, come a' fuoi ciafcun par che s' appreffe, L'Afiatico era ivi, e quel perfetto, Ch'ottimo folo il buon Senato elesse. E Lelio a' fuoi Cornelj era ristretto; Non così quel Metello al qual arrife Tanto Fortuna, che Felice è detto: Parean vivendo lor menti divife, Morendo ricongiunte; e feco il padre Era, e 'l fuo feme, che fotterra il mife. Vefpafian poi alle spalle quadre

Riconobbi, ed al vifo d'uom che ponta Con Tito fuo dell'opre alte, e leggiadre. Domizian non v'era, ond'ira, ed onta Avea; ma la famiglia, che per varco D'adozione al grande imperio monta. Trajano, ed Adriano, Antonio, e Marco, Che facea d' adottar ancora il meglio; Alfin Teodofio di ben far non parco. Quefto fu di virtù l'ultimo speglio: In quell' ordine dico; e dopo lui Cominciò il mondo forte a farfi veglio. Poco in difparte accorto ancor mi fui

D' alquanti, in cui regnò virtù non poca; Ma ricoperta fu dall'ombra altrui.

Ivi era quel ch' e' fondamenti loca

D'Alba Lunga in quel monte pellegrino :

Ed

v. 25. Il riconobbi a guifa d'uom che ponta . v. 29. al. fommo. v. 38. dell'.

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