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A

SONETTI DEL SUDDETTO.

Nima, dove fei? ch'ad ora ad ora,

Perfeguendo ci vai: e del tuo feggio Non lai pur ritrovar la parte ancora. Tu fei pur meco, e non puoi effer fuora Finchè Morte non fa quel che far deggio. Ma dove fei? ch'io non ti fento, o veggio Star dov'è ben che noftra vita onora.. Levati, fconfolata: che riparo

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Al noftro mal nefun non è, nè modo:
E non cercar la via di maggior doglia
S'Amor t'incalza, e ftrigne col fuo nodo,
Penfa, che tempo afai più grato, e caro
Poria in parte contentar tua voglia.

Nel MS. del P. Zeno a c. 49. fi legge
con qualche varietà.

Stato fols for dentro, allor cieco di forel; in quando la vidi prima,

O foffe ftato sì duro 'l mio core,
Come diamante in cui non puote lima:
Ovver fofs'io or sì dicente in rima,
Quant'a efprimer baftaffe il mio dolere;
Ch' io la farei o amica d' Amore,
Ovver odiofa al mondo fenza ftima.
O foffe amor ver me benigno, e grato:
E foffe ver, come è giusto, e poffente
Giudice a diffinir il nostro piato:
O morte aveffe le fue orecchie intente
st inverfo me, che l' ultimo fiato
Ponelle fin al mio viver dolente.

Nira a i cieli, al mondo, ed alla geate, All' abiffo, alla terra, agli animali Poffi venir, cagion di tanti mali, Empio, malvagio, duro, e fconofcente. Ed a te fteffo poi gran fiamma ardente Veggi dal ciel cader fulle tu'ali

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Charda ate l'arco, la corda, e gli firali
E tue menzogne al tutto fieno (pente.
Poichè sì fpeffo al tuo vifco m' adefchi.
E con falfi piacer mi leghi, e prendi,
E poi di molto amaro il cor m'invefchi.
Con vaghi fegni mi ti moftri, e rendi

Più volte: pofcia par che ti rincreschi :
E fo ben ch' altri, non che tu m'intendi.

Sche mi toglie in amat legge, e freno;

fotto legge, Amor, vivelle quella,

Pregherei te, che, non amando io meno, Senza arder mi fcaldaffe tua facella. Ma quefta falfa fera come bella,

Si gode, che per lei fedendo peno
E fua vaghezza invefte tal veneno,
Che più fendendo, più fon vago d'ella
Deh, dolce fignor mio ancor riguarda
Se la tua fiamma le puoi far fentire :
E fpegni me, che la fua più non m' arda.
Se per fua colpa mi vedrà morire

Averanne pietà, benchè fia tarda:,
Pur farà mia vendetta I fuo languire.

Laf.

LA

Allo! com'io fui mal approvvedute
L'ora ch' io mi fidai negli occhi miei:
Che trattaron con gli occhi di costei
11 vago inganno, ond'io fon fi traduto
Schiavo fon fatto e ciascun dì tributo
Di profondi fofpiti farò a lei

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Finchè Morte pon fine a i giorni rei tu, dolce fignor, mi mandi ajuto Sai che tal ftrazio a te è difonore :

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Sotto lo cui richiamo io fon derifo
Da quefta difpregiante 1 tuo valore.
Signor, fa vaga lei del fuo bel vifo,
Bappoichè fuor di fe non fente ardore
Rinuuova in lei l' esempio di Narcifo.

Quefto Sonetto si trova anche ne' frammenti pubblicati dall' Ualdini, ma molto variato.

Q

Uelia che 'l giovenil mio cor avvinfe
Nel primo tempo ch'io conobbi Amore

Del fu' albergo leggiadro ufcendo fore,

Con gran mio duol d'un bel nodo mi scinfe. Nè poi nova bellezza l'alma strinfe: Nè luce circondò che feffe ardore Altro che la memoria del valore, Che con dolci durezze la fofpinfe. Ben volfe quei, che con begli occhi aprilla, Con altre chiavi riprovar fu' ingegno: Ma nova rete vecchio augel non prende. E pur fui in dubbio tra Cariddi, e Scilla : E paffai le Sirene in fordo legno

Com' nom che par ch'aleolti, e nulla intende

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Nel Mr. del P. Zeno a c. 49 e nell'edizion Fiorentina, tra le cofe rifiutate.

Uella ghirlanda, che la bella fronte

QCingeva di color tra perle e grana,

Sennuccio mio, parveti cofa umana, O d'angeliche forme al mondo gionte? Vedeftù l'atto, e quelle chiome conte, Che fpeffo il cor mi morde, e mi rifana ? Vedeftù quel piacer, che m' allontana D'ogni vile penfier, ch' al cor mi monte Udiftul fuon delle dolci parole?

Miraftù quell' andar leggiadro, altero
Dietro a chi ho difviati i penfier miei?
Soffrifthguardo invidiofo al Sole?

Or fai per ch' io ardo, vivo, e fpero,
Ma non fo dimandar quel, ch' io vorrei.

Nel MS. del P. Zeno dopo la Canzone Vergine: bella ec. a carte 69. fi trova il Jeguente Sonetro.

Dich' al Fattor dell' univerfo piacque

Non è, quanto fi crede, ancor distrutto Quell' aureo tempo, che molti anni giacque j Ma perchè pianta di voftro feme nacque, Che mostrò al mondo già mirabil frutto, Non come legno nel terreno afciutto. Anzi come piantato preffo all' acque E fe di tanti ben fiete radice,

Enfra le felve alpestre, e pellegrine Di rame più, che null'altra felice: Statti falda Colonna infino al fine; Come titulizado afferma, e dice Alle dannofe Italiche ruine..

1 seguenti due Sonetti vengono attribuiti al Petrarca in un Codice MS. della Libreria Ambrosiana; come dice il

Q

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Uando, Donna, da prima io rimirai
Gli occhi leggiadri alle mie pene intenti,
E fentii l'armonia de' voftri accenti,
D'amorofa beltà prefo infiammai.
s'i' arfi, ed ardo poi, Amor, tu 'l fai;
Che dolc' efca porgefti a' raggi fpenti;
E' provan bene i miei fofpir dolenti,
El volto ove l'immagin dipinto hai.
Ma fe da cor gentil mercè s'attende,

Rendi l'ufata vifta, e il chiaro lampo
All' alma, che s'affretta alla partita..
E fe pietà di me par non ti prende,
Almen con morte trammi d'efto campo,
Dolce a tanti martir vie più, che vita.

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M'hanne dal mio cammin si forte volto, Che mi giova feguir quel che mi dole. Gli occhi voftri, è la bocca, e le parole C'hanno del mondo ogni valor raccolto Già mi legaro: or più non andrò fciolto, E conviemmi voler quel ch'altri vuole. Adunque, Amor, più caldi fproni al fianco Non porre a me; bifogna lei ferire;

Ch' io fon pur fuo: ella nol penfa, o crede. Benchè del feguitate io fia già flanco; Ma fpero pure al fia per ben fervire Di ritrovare in lei qualche mercede

FROT.

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