A SONETTI DEL SUDDETTO. Nima, dove fei? ch'ad ora ad ora, Perfeguendo ci vai: e del tuo feggio Non lai pur ritrovar la parte ancora. Tu fei pur meco, e non puoi effer fuora Finchè Morte non fa quel che far deggio. Ma dove fei? ch'io non ti fento, o veggio Star dov'è ben che noftra vita onora.. Levati, fconfolata: che riparo Al noftro mal nefun non è, nè modo: Nel MS. del P. Zeno a c. 49. fi legge Stato fols for dentro, allor cieco di forel; in quando la vidi prima, O foffe ftato sì duro 'l mio core, Nira a i cieli, al mondo, ed alla geate, All' abiffo, alla terra, agli animali Poffi venir, cagion di tanti mali, Empio, malvagio, duro, e fconofcente. Ed a te fteffo poi gran fiamma ardente Veggi dal ciel cader fulle tu'ali Charda ate l'arco, la corda, e gli firali Più volte: pofcia par che ti rincreschi : Sche mi toglie in amat legge, e freno; fotto legge, Amor, vivelle quella, Pregherei te, che, non amando io meno, Senza arder mi fcaldaffe tua facella. Ma quefta falfa fera come bella, Si gode, che per lei fedendo peno Averanne pietà, benchè fia tarda:, Laf. LA Allo! com'io fui mal approvvedute Finchè Morte pon fine a i giorni rei tu, dolce fignor, mi mandi ajuto Sai che tal ftrazio a te è difonore : Sotto lo cui richiamo io fon derifo Quefto Sonetto si trova anche ne' frammenti pubblicati dall' Ualdini, ma molto variato. Q Uelia che 'l giovenil mio cor avvinfe Del fu' albergo leggiadro ufcendo fore, Con gran mio duol d'un bel nodo mi scinfe. Nè poi nova bellezza l'alma strinfe: Nè luce circondò che feffe ardore Altro che la memoria del valore, Che con dolci durezze la fofpinfe. Ben volfe quei, che con begli occhi aprilla, Con altre chiavi riprovar fu' ingegno: Ma nova rete vecchio augel non prende. E pur fui in dubbio tra Cariddi, e Scilla : E paffai le Sirene in fordo legno Com' nom che par ch'aleolti, e nulla intende Nel Mr. del P. Zeno a c. 49 e nell'edizion Fiorentina, tra le cofe rifiutate. Uella ghirlanda, che la bella fronte QCingeva di color tra perle e grana, Sennuccio mio, parveti cofa umana, O d'angeliche forme al mondo gionte? Vedeftù l'atto, e quelle chiome conte, Che fpeffo il cor mi morde, e mi rifana ? Vedeftù quel piacer, che m' allontana D'ogni vile penfier, ch' al cor mi monte Udiftul fuon delle dolci parole? Miraftù quell' andar leggiadro, altero Or fai per ch' io ardo, vivo, e fpero, Nel MS. del P. Zeno dopo la Canzone Vergine: bella ec. a carte 69. fi trova il Jeguente Sonetro. Dich' al Fattor dell' univerfo piacque Non è, quanto fi crede, ancor distrutto Quell' aureo tempo, che molti anni giacque j Ma perchè pianta di voftro feme nacque, Che mostrò al mondo già mirabil frutto, Non come legno nel terreno afciutto. Anzi come piantato preffo all' acque E fe di tanti ben fiete radice, Enfra le felve alpestre, e pellegrine Di rame più, che null'altra felice: Statti falda Colonna infino al fine; Come titulizado afferma, e dice Alle dannofe Italiche ruine.. 1 seguenti due Sonetti vengono attribuiti al Petrarca in un Codice MS. della Libreria Ambrosiana; come dice il Q Uando, Donna, da prima io rimirai Rendi l'ufata vifta, e il chiaro lampo M'hanne dal mio cammin si forte volto, Che mi giova feguir quel che mi dole. Gli occhi voftri, è la bocca, e le parole C'hanno del mondo ogni valor raccolto Già mi legaro: or più non andrò fciolto, E conviemmi voler quel ch'altri vuole. Adunque, Amor, più caldi fproni al fianco Non porre a me; bifogna lei ferire; Ch' io fon pur fuo: ella nol penfa, o crede. Benchè del feguitate io fia già flanco; Ma fpero pure al fia per ben fervire Di ritrovare in lei qualche mercede FROT. |