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Geri, quando talor meco s'adira a c. 173.

GIOVANNI DE' DONDE
A M. F. PETRARCA.

I'nin ben sie be to palpo tuttavia
non fo ben s'io vedo quel ch'io veggio,

"

Se quel ch' io odo, oda: e fa bugia,
O vero ciò ch' io parlo, e ciò ch' io leggio
Si travagliato fon, ch' io non mi reggio,
Ne trovo loco, nè fo s'io mi fia:

E quanto volgo più la fantasia,
Più m' abbarbaglio, nè me ne correggio.
Una Speranza, un configlio, un ritegno
Tu fol mi fei in si alto ftupore:
In te fa la falute, e'l mio conforto.
Tu hai il faper, il poter, e l'ingegno.
Soccorri a me, ficchè tolta da errore
La vaga mia barchetta prenda porto.

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Il mal mi preme, e mi spaventa il
peggio: a c. 210.

SENNUCCIO DEL BENE

BENUCCI

A M. F. PETRARCA.

Lara l'ufato modo fi rigira

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I verde Lauro hai qui, dov' io or feggio,
E più attenta, e com' più la riveggio,
Di qui in qui co' gli occhi filo mira:
E parmi omai-ch'un dolor mifto d'ira
L'affigga tanto, che tacer nol: deggio
Onde dell' atto fuo ivi m'avveggio,
Ch'effo mi ditta che troppo martivă.
B' fignor noftro in defir fempre abbonna:
Di vedervi feder nelli fuoi feanniz
E'n atto, ed in parlar quefto diftinfe.
Me' fondata di lui trovar Colonna

Non potrefli in cinqu' altri fan Giovanni,
La cui vigilia a fcriver mi fofpinfe.

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Signor mio caro, ogni penfier mi
tira: a carte 225.

Sonetto di M. F. Petrarca a Sennuccio, tratto colla rifpofta dalle Rime Antiche pofte in fine della Bella Mano di Giufto de Conti della nuova edizione a carte 124..

Siccome il padre del folle Fetonte,

Quando prima fent la punta d'oro Per quella Dafne, che divenne alloro, Delle cui frondi poi fi ornò la fronte: E come il fommo Giove del bel monte Per Europa fi trasformò in toro;

E com'per Tisbe tinfe il bianco moro
Piramo del fuo fangue innanzi al fonte:
Cosi fon vago della bella Aurora,

Unica del Sol figlia in atto, e in forma,
S'ella feguiffe del fuo padre l'orma.
Ma tutti i miei piacer convien che dorma
Finchè la notte non fi difcolora:

Così perdendo il tempo afpetto l'ora.
Ife innanzi di me tu la vedeti,

Lo ti pregɔ, Sennuccio, che mi desti..

Rifpo

Rifpofta di Sennuccio al Petrarca.

A belia Aurora nel mio orizzonte,

a

ch'ella rimira; ed ogni cosa d'oro
Par che divenga al fuo ufcir del monte
Pur Famattina colle luci pronte
Nel fuo bel vifo di color d'avoro
Vidi sì fatta, ch'ogni altro lavoro ·
Della natura, o d'arte non fur conte.
Onde io gridai a Amore in quella ora,
Per Dio, che l'occhio di colui fi fderma,
Che il Sol levando feco fi conforma.
Non fo fe il grido giunse a voftra norma;
Mai fe venifte Senza far dimora,

Qui pure è giorno, e non s' annotta ancora. Non fogliono effer piè mai tanto prefi. Quanto quei di color da Amor richiesti, Piacciavi farme di quel monte dono,

Ch'io vho furato in quel ch'io vi ragione. GIACOMO COLONΝΑ

A M. F. PETRARCA.

SE le parti del corpo miò distrutte,

E ritornate in atomi, e faville
Per infinita quantità di mille
Foffino lingue, ed in fermon ridutte:
E se le voci vive, e morte tutte,

Che più che Spada d'Ettore, e d' Achille
Tagliaron mai, chi rifonar udille,
Gridaffen come verberate putte;
Quanto lo corpo, e le mie membra foro
Allegre e quanto la mia mente lieta,
Udendo dir, che nel Romano fore
Del novo degno Fiorentin Poeta
Sopra le tempie verdeggiava all'oro;
Non porian contar, né porvi meta.

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Mai non vedranno le mie luci afciutte: a carte 256.

Nell' Edizione fatta in Firenze dagli eredi di Filippo Giunta l'anno 1522. viene attri buito il feguente Sonetto a Giacopo de' Garatori da Imola.

GIACOPO DE' GARATORI DA IMOLA
A M. F. PETRARCA.

Novella Tarper, in cui s'afconde
Quell' eloquente, e lucido teforo
Del trionfal poetico caloro

Ben era corfo per le verdi fronde: Aprite tante, che delle faconde

Tue gioje fi moftrino a coloro

Ch' afpettano; ed anch' io in ciò m2 accoro Più ch'affetato cervo alle chiave onde: E non vogliate afcondere il valove Che vi concede Apollo che fcienza Comunicata fuol multiplicare. Ma 'l filo voftro di alta eloquenza Vogli alquanto il mio certificare, Qual prima fu, o Speranza, od Amore.

Nella

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Nella Raccolta di Rime Antiche di diverfi pofta dopo la Bella Mano di Giufto de' Conti, della nuova edizione a c. 152. fi registra come di Maeftro Antonio da Ferrara; ma è alquanto diverfo.

MAESTRO ANTONIO DA FERRARA

A M. F.

PETRARCA.

Novella Tarper, in cui s'afconde
Quelle eloquenti luci di teforo
Del trionfal poetico lavoro
Peneo corfe per le verdi fronde
Aprimi tanto che delle faconde

Tue luci fr dimoftrino a coloro,
Che alpettano da te; ch'a ciò m'accoro
Più che affetato cervo alle chiare onde
Deb non volere afcondere il valore,
Che ti concede Apollo, che fcienza
Comunicata fuol multiplicare.
Deh apri il bello ftile d'eloquenza ;
E vogli alquanto me certificare,
Quale fa prima, o speranza, o Amore.

RISPOSTA.

Ingegno ufato alle queftion profonde.

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Ceffar non fai da tuo proprio lavoro: Ma perchè non dei ftar anzi un di loro Ove fenza alcun forfe fi rifponde ? Le rime mie fon defviate altronde Dietro a colei per cui mi difcoloro. A' fuoi begli occhi, ed alle trecce d'oro, Ed al dolce parlar, che mi confonde .. Or fappi, che 'n un punto, dentro al core Nafee Amor o Speranza e mai l'un fenza 1' altro non poffon nel principio ftare. Se 'I defviato ben per fua prefenza Quetar può l'alma, ficcome mi pare; Vive Amor folo, e la forella more..

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Can

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