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Canzone Morale di Maeftro Antonio da Ferrara, quando fi diceva che M. F. Petrarca era morto; tratta dalle Rime Antiche in fine della Bella Mano di Giufto de' Conti.

ho già letto il pianto de i Trojani,
Ilsiorno che del buono Ettor fur privi,
Come di lor difefa, e lor conforto.
Ei lor fermon fur difettoft, e vani
Verfo di quei che far devrien li vivi,
Che Speran di virtù giungere al porto,
Sol per la fama di colui che è morto
Novellamente in full' ifola pingue ;
Ove mai non fi ftingue

Foco, nafcendo di Circe l'ardore .
Ahi, che grave dolore

Moftrar nel finimento

Del fuo dur partimento

Alquante donne di femmo valore
Con certe lor feguaci per ciafcuna,
Piangendo ad una ad una

Quel del Petrarca coronato Poeta
Meffer Francefco, e fua vita difcreta!
Gramatica era prima in quefto pianto,
E con lei Prifciano, ed Ugoccione,
Papia gricifmo, e dottrinale:

Dicendo: car figliuol, tu amasti tanto
La mia fcienza fin picciol gazɔne,
Ch'io non trovai a te alcuno eguale.
Chi porà mai Jalir cotante scale

Dove i monte alfin de'fuoi cunabuli?
@hi pord de i vocaboli

Le derivazioni ortografare?

chi porà interpretare

Li tencbroft tefti?

Quali intelletti prefli

Seranno alle mie parti concordare?

Però pianger di te qui più mi giova,

Perchè oggi fi trova

E vedefi per prova

Quafi da me ciafcun partirfi acerbo,

S'ei fa pur concordare il nom' col verbo. La fconfolata, e trifta di Rettorica

Se

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Seguitava nel duolo a paffo piano,
Tenebrofa dal pianto in fua figura.
Tullio dirietro colla fua teorica,
Gualfredi praticando, e il buono Alane,
Che non curavan più della Natura.
Dicean coftor: Chi troverà mifura
In faper circuire

Li tuoi Latini aperti ?

E quai faran gli sperti
In faper colorar perfuadendo ?
Chi ordird teffendo

El fin delle mie carti,

Memoria, e ufo di ciò cemponendo?
Chi farà più nel proferir faconde,
E negli atti giocondo,

Che la ragione, e la materia vuole?
Non fo: però di te tanto mi duole
Colle man giunte, e con pianto angofciofe
Colle facce coperte volte a terra,
Seguia coftei una turba devota:
Prima era Tite Livio delorofo,
Storiografo formo, il qual non erra :
Valerio dreto a così trifla nota
Del qual non obliava un picciol iota.
Sertorio, Fiorio, Perfio, Eutropio:
E tanti che ben pròpio

Qui non faperre' io
Raccontar per memoria:
Che poichè fu la gloria
Del gran Nino poffente,
Per fin qui al prefente,

Sapea coftui ciascuna bella floria.
Però pianger potem, dicon costovo,
Questo noftro teforo,

Che ne fponeva, e che ne concordava,
E il ver teneva e il Soperchio lafsava.
Nuove, e incognite donne ancor trovai,
Battendo il vifo, e fquarciando lor vefte,
E'l lor erin follevando per la daglia:
Correano tutte intorno intorno a lui,
Bafciandol tutto. Or fappi ehi eran queste,
Melpomene, ed Erato, e Polinia,
Terficore, Euterpe, ed Urania,
Talia, Aletto, Calliope, e Clio,

Dicendo: O bello Dio,

Perchè ci hai tolto efto figliuol diletto?

Dove trovarem letto

Per ripofare infieme?

Tanto, che fenza fpeme,

Fuor per felve fard noftro ricetto:
Poi lì d'Aftrologia un messo venne,
E le donne ritenne

A pianger feco; tanto ebber di duolo,
Che fi convenne al poetico fuolo.
Dirietro a tutte folamente onefta
Venia la fconfolata vedovella,

Nel manto four facendo amaro fuono;
E chi mi domandaffe, chi era questa?
Dirò, Filofofia: dico di quella

Per cui si intende alfin fol d'effer buono:
Dicendo: Spofo mio, celefte dono,
In cui Natura, e Dio fece di bene
Ciò che in Angel convene,

Chi pord omai le mie virtù feguire?
Poi vedea venire

Ariftotile, e Plato,

E il Buon Seneca, e Cato,

Ed altri molti, che qui non fo dire
Che ciò che Specolava era del fine
D'opre fante, e divine:

Piagner potea coftei di tutte,

Perch' ella trova ancor poche redutte.
Undici fur, ciascun con fua corona,
Che il portaro al fepolcro di Parnafo
Che è fato chiuso per sè lungo Spazio:
Undici fur, ficcome fi ragiona,
Che bebbero dell' acqua di tal vaso,
Virgilio, Ovidio, Juvenale, e Stazio,
Lucrezio, Perfio, Lucano, e Orazio,

E Gallo, e i duoi, che fan mia mente forda,
Che chi lode s'accorda,

E alcun più di coftui già non fu degno:
Poi da angelico regno

Venne Pallas Minerva,

Che sua corona ferva

E posela dal fuo pineo legno,

Il qual non teme la feita di Giove,
No fecco vento, ò pidve,

Tu

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Tu bai, Limento, a far poco viaggio, to taccio la cagion, perchè la sai ; Mi fo che troverai

Alcun dolerfi teco:

Sol t'ammonifco, e preco,

Che facci leufa di mia trifta vima;
In tema si fublima

Che il tuo fattor non fu di più sapere :
Scufilo il buon volere;

Ma pur fe alcun del nome ti domanda, A): Quel che a ciò ti manda,

È Anton de i Beccar, quel da Ferrara, Che poco fa, ma volentieri impara.

Alla

Alla qual Canzone il Petrarca rispose col So

netto:

Quelle pietofe rime in ch'io m'accorfi, pofto

a carte 133.

Dalla confiderazione del Taffoni (che nell' edizione del Muratori fi legge a c. 23. fopra il VII, Sonetto del Petrarca, pofto in questa noftra a c. 50. che incomincia:

La gola, e'l fonno, e l'oziose piume

È Sonetto morale, fcritto ad un amico, ch' era in penfiero d' abbandonar le belle lettere e gli ftudi della Filofofia, per darfi ad alcun' altra profeffione di più guadagno, moffo dalle vane mormorazioni del volgo, che non vede, e non ode, fe non quello che luce, e fuona. Lelio Lelii fu d'opinione, che 'l Petrarca rifpondeffe al feguente Sonetto del Boccaccio che fi legge in un manufcritto:

Todo
*Anto ciascuno a conquistar teforo

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Che quaß a dito per tutto è moftrato
Chi con virtù feguifce altro lavoro.
Perchè coftantemente infra coftoro
Oggi convienfi nel mondo fviato,
In cui, come tu fe', già fu infiammate
Febo del facro, e gloriofo alloro.
Ma perchè tutto non può la virtute
Ciò che fi vuot, fenza'l divino ajuto.
A te ricorro, e prego mi foftegni
Contra li fati adverfi a mia falute;
E dopo il giusto affanno il mio canute
Capo d'alloro incoronar non fdegni.

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