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CANZONE

DI DANTE ALIGHIERI

Accennata dal Petrarca nella fua XVII.
a carte 97.

Cost nel mio parlar voglio effer afpro,
Come negli atti questa bella petra,
La qual ognior impetra

Maggior durezza, e più natura cruda ¿
E vefte fua perfona d'un diaspro:
Talche per lui, e perch' ella s'arretra,
Non efce di faretra

Saetta, che giammai la colga ignuda.
Ed ella antide, e non val ch' uom fi chiuda,
Nè fi dilunghi da i colpi mortali ;
che come aveffer ali,

Giungono altrui, e spezzan ciascun' arme:
Perch' io non fo da lei, nè poffo aitarme.
Non trovo fcudo ch' ella non mi spezzi,
Nè loco, che dal viso fuo m' afconda;
Ma, come for di fronda,

Così della mia mente tien la cima.

E tanto del mio mal par che s'apprezzi,
Quanto legno di mar, che non lieva onda,
E'l pefo, che m' affonda,

E tal, che nol potrebbe adequar rima.
Ahi angofciofa, e difpietata lima,
Che fordamente la mia vita fcemi;
Perchè non ti ritemi

Si di roderme'l cor a Scorza, a scorza,
Com' io di dir altrui: Chi ti dà forza?
Che più mi trema'l cor qualor io penfo
Di lei in parte cv' altri gli occhi induca
Per tema non traluca

Lo mio penfier di fuor, ficchè fi scopra:
Ch' io non jo della Morte, ch' ogni fenfo
Con li denti d' Amor gid mi manduca s
Onde ogni penfier bruca

La fua virtù, ficch' io abbandono l'opra.
Ch'ella m'ha mofo in terra, e stammi sopra

Cen

Con quella Spada ond' egli uccife Dido,
Amor: a cui io grido,

Mercè chiamando, e umilemente il priegos E quei d'ogni pietà par mosso al niego. Alza la mano ad or ad ore sfida

La mia debile vita efto perverfa,
Che diftefo, e riverfo

Mi tien in terra d'ogni guizzo fanco.
Allor mi Jurgon nella mente Arida:
Il fangue ch'è per le vene difperfo,
Gorrendo fugge verfo

Lo cor, che'l chiama ; ond' io rimango biance:
E poi mi fede fotto 'l lato manco

Si forte, che 'l dolor nel cor rimbalza.
Allor dico io: Se egli alza

Un'altra volta, Morte m'avrà chiuso
Prima che 'l colpo fia difcefo giufo.
Così vedefs' io lei fender per mezzo
Lo cor di quella, che lo mio fquatra:
Poi non mi farebbe atra

La morte, ov' io per fue bellezze corro.
Mi tanto da nel fol, quanto nel rezzo
Quefta fcherana, micidiale, e latra.
Dimè perchè non latra

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Per me com' io per lei nel caldo borro?
Che tofto diceria, Io ti foccorro :

E fareil volentier, ficcome quegli,
Ch'amor per confumarmi increspa, e 'ndora,
Metterei mano, e piacereile allora.
S'io aveli le belle trecce prefe,

Che fatte fon per me feudifcio, e ferza,
Pigliandole anzi terza,

Con elle pafferei vefpro, e le fquille:
E non vi farei faggio, nè cortefe:
Anzi farei com' orfo, quando scherza.
E' Amor me ne sferze.

Vendetta ne farei di più di mille.
Ancor negli occhi ond' efcon le faville,
Che m'infiammano'l cor, che porto ancifo,
Mirerei preffo, e fifo,

E vengiereimi del fuggir che face:

E poi le renderei con amor pace.
Canzon mia , vanne ritto a quella Donna
Che m' ha ferito 'l cor, è che m'invola

Quel

Quello ond' io ho più gola:

E dalle per lo cor d'una faetta;
Che bello onor s'acquista in far vendetta.

CANZONE

DI M. CINO DA PISTOJA

L4

Accennata a c. 98.

A dolce vifta, e 'l bel guardo foave
De' più begli occhi, che fi vider mai,
Ch'i' ho perduto, mi fa parer grave
La vita sì, ch'io vo traendo guai :
E'n vece di penfier leggiadri e gai
Ch'aver folea d'amore,
Porto defii nel_core

Che fon nati di morte,

Per la partita, che mi duol sì forte.
Qimè deh perchè, Amor, al primo passo
Non mi ferifti sì, ch'io fuffi morto?
Perchè non dipartisti da me laffo
Lo fpirto angofciofo, ch'io diporto?
Amor al mio dolor non è conforto ;
Anzi quanto più guardo

Al fofpirar, più ardo:
Trovandomi partuto

Da que' begli occhi, ov' io t'ho già veduto:
lo t'ho veduto in que' begli occhi, Amore
Tal, che la rimembranza me n'ancides
E fa sì grande fchiera di dolore

Dentro alla mente, che l'anima ftride,
Sol perchè Morte mai non la divide
Da me, com'è divifo

Dalla giojofo vifo,

E d'ogni ftato allegro

Il gran contrario ch'è tra 'l bianco, e'l negro. Quando per gentil atto di falute

Ver bella donna levo gli occhi alquanto,
Sì tutta fi difvia la mia virtute,
Che dentro ritener non posso il pianto,
Membrando di Madonna, a cui son tanto
Lontan di veder lei.

O do

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dolenti occhi miei, Non morite di doglia?

Si per noftro voler, purch' Amor voglia.
Amor, la mia ventura è troppo cruda:

E ciò che 'ncontra agli occhi più m'attrista.
Dunque mercè, che la tua man la chiuda,
Da c'ho perduto l'amorofa vifta:

E quando vita per morte s'acquista,
Gli è giojofo il morire:

Tu fai dove de' gire

Le Spirto mio da poi:

E fai quanta pietà s'havà di noi.
Amor, per effer micidial pietofo
Tenuto in mio tormento;

Secondo ch'i bo talento,

Dammi di morte gioja s

Sicchè le fpirto almen torni a Pifloja.

FINE DELLA GIUNTA
AL PETRARCA.

"IN

INDICE

DELLE RIME

CONTENUTE NELLA GIUNTA

AL

PETRARCA.

Canz. A Mor che 'n cielo, en cor gentile co-

re alberghi,

pag. 392
Son. Anima dove fei? ch' ad ora, ad ora,
366

Canz. Che le fubite lagrime ch' io vidi ec. 391
Conte Ricciardo, quanto più ripenfo

Son.

387

Canz. Così nel mio parlar voglio effer afpro

396

Frott. Di rider ho gran voglia,

371
Canz. Donna mi priega, perch'io voglio dire

394

Canz. Donna mi viene spesso nella mente -

Son.

395

388

El bel occhio dappollo dal chui guardo 389
Canz. 1. Felice ftato aver giufto Signore 39%
Finche la mia man deftra ec.
Ingegno ufato alle queftion profonde
380

Son.

Son.

Son.

In ira a i cieli, al mondo, ed alla gen-

te,

367

Canz. to ho già letto il pianto de i Trojani

Son.

Son.

381

Io non fo ben s'io vedo quel ch' io veg-

gio.

376

To vorrei pur drizzar queste mie piu-

me

386

Son. La bella Aurora nel mio orizzonte, 378
Canz. La dolce vifta, e'l bel guardo Soave

Son.

son.

398

La fanta fama della qual fon prive 375
Laffo com' io fui mal approvveduto

368

Son.

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