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SONETTO XXXVIII.

'Oro

Lo

..e le perle, ei fior vermigli, e bianchi,
Che'l verno dovria far languidi, e fecchi
Son per me acerbi, e velenofi ftecchi,
Ch'io provo per lo petto, e per li fianchi.
Però i di miei fien lagrimofi, e manchi;

Che gran duol rade volte avvien che 'nvecchi.
Ma più ne incolpo i micidiali fpecchi.
Che 'n vagheggiar voi fteffa avete stanchi.
Quefti pofer filenzio al fignor mio,

Che per me vi pregava ond' ei fi tacque,
Veggendo in voi finir voftro defio:
Questi fur fabbricati fovra l'acque

D'abiffo, e tinti nell'eterno obblio;
Onde ' principio di mia morte nacque.

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E perchè naturalmente s'aita

-Contra la morte ogni animal terreno,
Larga' il defio, ch'i'teng'or molto a freno
E mifil per la via quafi fmarrita;
Però che dì, e notte indi m'invita,
Ed io contra fua voglia altronde 1 meno
E' mi condufe vergognofo, e tardo

A riveder gli occhi leggiadri; ond' io,
Per non effer lor grave, affai mi guardo
Vivrommi un tempo omai: ch'al viver mio
Tanta virtute ha fol un voftro, fguardo
E poi morrò, s'ia non credo al defio.

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v. 2. devria. v. 3. al, venenofi. v. 11. defio. v. 12. fopra. v. 18. al. Contr alla. v. 19. difio. v. 23. A, El. v. 28. año.

SONETTO XL.

mai foco per foco non fi fpenfe, Se fiume fu giammai fecco per pioggie Ma fempre l'un per l'altro fimil poggia E fpeffo l'un contrario l'altro accense; Amor, tu ch'i penfier noftri dispense, Al qual un' alma in duo corpi s'appoggia, Perchè fa' in lei con difufata foggia Men per molto voler le voglie intenfe ? Forfe, ficcome 'I Nil d'alto caggendo

Col gran fuono i vicin d'intorno afforda; El Sol abbaglia chi ben fifo il guarda, Cost 'I defio, che feco non s'accorda, Nello sfrenato obbietto vien perdendo; E per troppo fpronar la fuga è tarda.

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Perch' io t'abbia guardata di menzogna

A mio podere, ed onorata affai Ingrata lingua, già però non m'hai Renduto onor ma fatto ira, e vergogna j Che quando più 'l tuo ajuto mi bifogna Per dimandar mercede, allor ti fai Sempre più fredda, e fe parole fai, Sono imperfette, e quafi d'uom che fogna. Lagrime trifte, e voi tutte le notti

M'accompagnate, ov' io vorrei ftar folo Poi fuggite dinanzi alla mia pace. Z voi sì pronti a darmi angofcia, e duolo, Sofpiri, allor traete lenti, e rotti. Sola la vifta mia del cor non tace.

CAN

V. 12. difio, v. 13. al. oggetto. v. 15. guardato di. v. 16. al. mio parere, onorato. v. 17. al. st · però, v. 19. al, tug kita, v. 20. al. domos ndør.

CANZONE IX.

Nella Ragion che1 ciel rapido inchina

Verfo Occidente, e che 'l dì noftro vola
A gente che di là forse l'afpetta;
Veggendofi in lontan paefe fola

La stanca vecchierella pellegrina
Raddoppia i paffì, e più e più s'affretta ;
E poi così foletta

Al fia di fua giornata

Talora è confolata

D'alcun breve ripofo; ond' ella obblia
La noja, e 'l mal della paffata via.
Ma lafo, ogni dolor che 'l dì m'adduce,
Crefce, qualor s' invia

Per partirfi da noi l'eterna luce.
Come 1 Sol valge le 'nfiammate rote,
Per dar luogo alla notte, onde difcende
Dagli altiimi monti maggior l'ombra;
L'avaro zappator l'arme riprende,
E con parole, e con alpestri note
Ogni gravezza dal fuo petto fgombra;
E poi la menfa ingombra

Di povere vivande,

Simili a quelle ghiande

Le qua' fuggendo tutto'l mondo onora.
Ma chi vuol, fi rallegri ad ora ad ora,
Ch'i' pur non ebbi ancor non dirò lieta,
Ma ripofata un'ora,

Nè per volger di ciel, nè di pianeta.
Quando vede 'l pastor calare i raggi

Del gran pianeta al nido ov'egli alberga;
E 'mbrunir le contrade d'Oriente;
Drizzafi in piedi, e con l'ufata verga.
Laffando l'erbe, e le fontane, e i
Move la fchiera fua foavemente:
Poi lontan dalla gente

O cafetta, o fpelunca

D 6

ᎠᎥ

v. 4. al. trovandofi. v. s. al. peregrina. V. 9. al, alquanto. v. 10. ov'ella. v. 17. al. poggi v. 18. zappador. v.20. del . v. 26. al, non vo dir. Və 32, ml, isvafy, v. 23. erba . v, 36, al, Spileneg

Di verdi frondi ingiunca:

Ivi fenza penfier s'adagia, e dorme.
Ahi crudo Amor, ma tu allor più m'informe
Al feguir d'una fera, che mi strugge,
La voce, e i paffi, e l'orme;

E lei non ftringi, che s' appiatta, e fugge. Ei naviganti in qualche chiufa valle

Gettan le membra, poi che 'l Sol s'afconde,
Sul duro legno, e fotto l'afpre gonne.
Ma io, perchè s'attuffi in mezzo l'onde
E laffi fpagna dietro alle fue fpalle,
E Granata, e Marrocco, e le Colonne ;
E gli uomini, e le donne,

E'l mondo, e gli animali
Acquetino i lor mali;

Fine non pongo al mio oftinato affanno
E duolmi, ch'ogni giorno arroge al danno:
Ch'i' fon già pur crefcendo in questa voglia
Ben preffo al decim' anno;

Nè pofs' indovinar chi me ne fcioglia.
E, perchè un poco nel parlar mi sfogo
Veggio la fera i buoi tormare fciolti
Dalle campagne, e da' folcati colli.
I miei fofpiri a me perchè non tolti
Quando che fia? perchè no 'l grave giogo?
Perchè dì, e notte gliocchi miei fon molli?
Mifero me, che volli,

Quando primier sì fifo

Gli tenni nel bel vifo,

Per ifcolpirlo immaginando in parte,
Onde mai nè per forza, nè per arte
Moffo farà; fin ch'i' fia dato in preda
A chi tutto diparte?

Nè fo ben anco, che di lei mi creda..
Canzon, fe l'effer meco

Dal mattino alla fera

T'ha fatto di mia fchiera;

Tu non vorrai moftrarti in ciafcun loco:
E d'altrui loda curerai sì poco,

Ch'

V. I. al. ingionca. v. a. fanza. v. 8. al. Gittan lor. v. 9. al. Sopra, v. 11. lasci Spagna. v. 17. al. arrogo. v. 20, al, immaginar. V, 22. al, ifciolti,

Ch'affai ti fa penfar di poggio in poggio, Come m'ha concio 'l foco

Di quefta viva pierra ov'io m'appoggio.

Poco

SONET TO XLII.

era ad appreffarfi agli occhi miei
La luce, che da lunge gli abbarbaglia:
Che come vide lei cangiar Teffaglia
Così cangiato ogni mia forma avrei :
E s'io non poffo trasformarmi in lei,
Più ch' i' mi fia, non ch'a mercè mi vaglia;
Di qual pietra più rigida s'intaglia
Penfofo nella vita oggi farei ;

O di diamante, o d' un bel marmo bianco
Per la paura forfe, o d'un diaspro

Pregiato poi dal volgo avaro, e fciocco:
E farei fuor dal grave giogo, ed afpro;
Per cui' ho invidia di quel vecchio ftanco,
Che fa con le fue fpalle ombra a Marrocco.

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NON al fuo amante più Diana piacque,

Quando per tal ventura tutta ignuda La vide in mezzo delle gelid' acque ; Ch' a me la paftorella alpeftra, e cruda Pofta a bagnar un leggiadretto velo, Ch'a Laura il vago, e biondo capel chiuda: Tal, che mi fece or quand' egli arde il cielo, Tutto tremar d'un amorofo gielo.

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Pirto gentil, che quelle membra reggi

Un fignor valorofo, accorto, e faggio;
Poi che fe' giunto all'onorata verga,
Con la qual Roma, e fuo' erranti correggi
E la richiami al fuo antico viaggio;

v. 27. al. pellegrinando. v. 30, fuoi,

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