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suadenti lusinghe, che più fanno che il fulmine sterminatore, onde armano i mali accorti la mano del Dio di pietà, di misericordia e di pace contro le creature sue più care, non sapendo gli stolti che paura non fa buon servo, si amore; o temperi con men vivi colori le forti tinte, che i profondi arcani di lassù quaggiù rivelano; o aggiri seco l'uditore nei gorghi dell' infinito; ovvero, a dar riposo alla fantasia da troppa luce abbagliata, e disporla e darle lena a più alto volo, discorra tratto tratto le brevi quistioni scientifiche, dal suggetto indivisibili, in quel suo si eletto, e puro e stringato dire, che là, dove non altro che spine e triboli aspettavi, vedi surgere, come per incanto, fiori e frutti di gioconda vista e soave fragranza; o descriva quelle feste folgoreggianti, quei luminosi tripudj, quei vivi splendori, le carole, i trionfi, i giuochi di paradiso, miracoli, stupori, maraviglie... sentesi per tutto la possanza di quel sovrumano, anzi divino ingegno, che sa imprimere nelle parole l'atto stesso e l'aspetto dell' idea da lui scorta prima nell'eterno pensiero. E perchè le parti tutte in perfettissima lega s'assembrino, orino, pare proprio che in questa ultima Cantica abbia saputo armonizzare il verso in sì mirabile tempra e si nuova, che il diletto, che riceve da questa parte chi è disposto a tanto, vince ogni parlare. Spieghi adunque le vele all'aura seconda che l'invita, confortato da speranza di lieto cammino e salutevole porto, chi seguiterà colla sua nave il solco che segna in questo pelago senza fine l'ardita prora del Poeta. Ma legga prima ciascheduno, e si chiuda bene in mente le parole che pone Dante in riguardo a chi ha seguito sin ora il suo canto:

O voi che siete in piccioletta barca,
Desiderosi d'ascoltar, seguiti

Dietro al mio legno che cantando varca,

XIV

PREFAZIONE DEL COMENTATORE.

Tornate a riveder li vostri liti,

Non vi mettete in pelago, che forse,
Perdendo me, rimarreste smarriti.
L'acqua ch' io prendo giammai non si corse;
Minerva spira, e conducemi Apollo,
E nuove muse mi dimostran l'orse.
Voi altri pochi che drizzaste 'l collo
Per tempo al pan degli angeli, del quale
Vivesi qui, ma non sen vien satollo,
Metter potete ben per l'alto sale
Vostro navigio, servando mio solco
Dinanzi all'acqua che ritorna eguale.

PARAD. H

PARADISO

CANTOL

ARGOMΕΝΤΟ.

Volo di Dante con Beatrice, dal terrestre paradiso alla regione del fuoco. Suo stupore del gran lume che lo circonda, e dell'armonia delle celesti ruote and è rapito: suoi dubbi e sua disammirazione al vero che Beatrice gli dimostra.

muove

La gloria di colui che tutto
Per l'universo penetra, e risplende

-3. Alf. not. La grandezza e magnificenza di questo principio premostra tutta quella del soggetto, ch'è la condizione del celeste regno, esaltando insieme l'anima di chi legge, perchè possa andar dietro stretta alle maraviglie ch'è per dispiegargli dinanzi il Poeta. Per l'universo penetra, e risplende, ecc. Dice nella Pistola a Can Grande: Patet ergo, quomodo ratio manifestat, divinum lumen, id est divinam bonitatem, sapientiam, et virtutem resplendere ubique. Similiter etiam, ac scientia facit auctoritas; dicit enim Spiritus Sanctus per Hieremiam: Cœlum et terram ego impleo. Et in psalmo: Quo ibo a spiritu tuo, et quo a facie tua fugiam? Si ascendero in cælum, tu illic ; si descendero in infernum, ades. Et sapientia dicit quod spiritus domini replevit orbem terrarum. Et Ecclesiastici 42, gloria domini plenum est opus ejus. Quod etiam scriptura paganorum contestatur ; nam Lucanus in nono:

es;

Jupiter est quodcumque vides, quocumque moveris. Benè ergo dictum quod dicimus: radius, seu divina gloria per universum penetrat et splendet; penetrat quantum ad essentiam, resplendet quantum ad esse. -Dante, vol. IH.

I.

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