A cui esperienza grazia serba. 75 Tu 'l sai che col tuo lume mi levasti. Con l'armonia che temperi e discerni, reco di Glauco, basti a cui la divina grazia serba il farne esperienza. Due cose ha incontrato insino a qui il Poeta, che il parlar nostro non può ritrarre; la presente; e l'addormentarsi che fece per la dolcezza di quel canto, Purg. xxxi. che 73-75. Dante non sa se fosse ivi in corpo e anima, ovvero in anima soltanto. Ordina così: o amore governi l cielo (ch'è Dio), tu, che mi levasti da terra col lume tuo, tu sai se nell'essere di me io era solo quello che creasti novellamente. Essendo sua dut. trina ch'appena nel feto l'articolar del cerebro è per fetto, volgesi Dio a lui, e spiragli l'anima, chiama questa creazione novella, o sia la parte dell'uomo che Dio creò novellamente, a differenza dell'altra parte materiale, tanto innanzi creata. 76-81. Alf. not. salvo la voce desiderato, col v. 78, La ruota, la celeste sfera cosi detta dal rotare o girare. Che tu sempiterni, della quale tu fai sempiterno il girare. Desiderato; suppone esser cagione del girar dei cieli, il desiderio impresso in loro dal Creatore d'avvicinarsi a lui; e dice nella più volte citata Pistola: omne quod movetur, movetur propter aliquid quod non habet, quod est terminus sui motus. — A sè mi fece atteso, mi fece attento a sè. Temperi e discerni; principio e base di ben regolata armonia. Di questa armo nia delle sfere di Pitagora e Platone e molti altri antichi filosofi, dice Varrone : Vidit et ætherio mundum torquerier axe, Parvemi tanto allor del cielo acceso 85 Dalla fiamma del sol, che pioggia o fiume 80 Lago non fece mai tanto disteso. La novità del suono e 'l grande lume Di lor cagion m'accesero un disio Mai non sentito di cotanto acume. Ond'ella, che vedea me sì com' io, Ad acquetarmi l'animo commosso, Pria ch'io a dimandar, la bocca aprio; E cominciò: Tu stesso ti fai grosso Col falso immaginar, sì che non vedi Ciò che vedresti se l'avessi scosso. 90 Finsero ancora gli antichi le celesti sirene, dette poi Muse da Platone; ond' Ennio: Musæ quæ pedibus magnum pulsatis olympum; che fece poi immaginare ad Alessandro Efesio in ciascun pianeta una lira di sette corde. Tanto... del cielo, tanto spazio del cielo. Dante s'è alzato in questo breve intervallo sino alla regione del fuoco, della quale ragioneremo più sotto. Che pioggia o fiume, ecc. Un torrente di fuoco, vasto quanto il cielo, e però maggiore della sua vista, la circonda; e ben l'esprime per questa similitudine. 82-84. Alf. not. Di lor cagione, ecc. Accesero in me un desiderio tale di saper la cagion loro, quale non era mai stato da me sentito si veemente. Acume, può esser sinonimo di forza, considerando gli effetti che dall'acuità, come dalla forza d'un corpo in altro introdotto risultano. 85-87. Vedea me, per entro miei pensieri. Com'io, suppl. vedeva me. Commosso, per l'inquietudine del desiderio detto. Pria ch' io; suppl. aprissi la bocca. 88-90. Ti fai grosso, intendi nell'ingegno tun, e puoi tradurre offuschi la ragion tua. Col falso immaginar; quello di credere ch'egli è ancora in terra. Se l'avessi scosso, se tu avessi da te rimosso il tuo falso immaginare, 95 Tu non se' in terra sì come tu credi; Di grande ammirazion; ma ora ammiro 91-93. Alf. not. Ma folgore, ecc. Dice che il folgore, lasciando il proprio sito, non cascò mai a terra sì veloce, come egli da terra, lassù. Il sito proprio del fulmine si è la regione del fuoco, la quale è, dice il Poeta nel Convito, alla circonferenza di sopra, lungo 1 cielo della luna. E Aristotile: Est enim terra tanquam mundi centrum in medio omnium, quam aqua, circa aquam aer, circa aerem ignis illic purus et non turbidus, lunæ attingens. Ch'ad esso riedi. Questo verbo riedi l'usa in sentimento di vieni, siccome il Petrarca adoperò tornare per andare: O torni giù nell'amorosa selva; considerando l'uno e l'altro Poeta l'azione nel solo riguardo del fine. circa 94-96. Alf. not. S'i fui, sottintendi come fui di fallo. Disvestito, quasi fossegli quel falso immaginare alla mente, quello che l'acqua d'Elsa. Per le sorrise parolette; se traduci questa frase, ne spegni ogni luce; bastiti che per essa ti si ricorda quel desiato riso, onde rimasero abbagliati i più miseri e avventurosi amanti che fosser mai, Inf. v. Irretito, intricato, come l'uccello nella ragna. Nella Fiammetta: nè gli è a cura il compor fittizie parole, le quali lacci sono ad irretire gli uomini di pura fede. 97-99. Alf. not. ora ammiro, col vers. seg. Contento requievi di grande ammirazion; cessata l'una delle cagioni della sua grande ammirazione, rimane per questa parte adagiata la mente. Requievi, è forma del lat. requiescere trapiantata nel sermon nostro. Traduci: già cessò la commozion mia dell'un soggetto del mio ammirare. Come io trascenda, Com' io trascenda questi corpi lievi. Ond'ella, appresso d'un pio sospiro, 100 Gli occhi drizzò ver me con quel sembiante E cominciò: Le cose tutte quante 105 Questi corpi lievi, l'ingombro 100-102. Alf. not. Appresso, suppl. l'atto. Deliro, delirante, fuor di senno. Il Petrarca:... Che del cor mi rade Ogni delira impresa. E tu, lettore, fissa l'occhio un istante a questo guardar di Beatrice qual pietosa madre il figlio deliro. - 103-105. Alf. not. Questo profondo ragionamento di Beatrice tha per iscopo di far cessar l'altra cagione dello ammirare di Dante per trascendere quei lievi corpi. Breve, vuol dire che ogni creato ha un ultimo fine a cui tende; questa nell'uomo è il cielo; adupque è naturale, perche conforme al suo fine, che, dispogliato d'ogni impedimento che a terra il costringa, ei s'alzi al cielo, come fa vivo fuoco. Ma tu, discente, seguita stretto stretto la parola, se vuoi che sia il tuo diletto eguale alla fatica. È forma che, ecc., perchè questo miro ordine ha faccia d'unità. Il sig. can. D. legge, v. 103, tutte e quante, forma irregolare; e, vers. 105, similante per simigliante, parola barbara. 106–108. Qui, nel detto ordine. L'alte creature quelle, vers. 120, ch' hanno intelletto e amore; quelle dell'umana specie, la quale, Inf. 11: eccede ogni contento Da quel ciel ch' ha minor li cerchi sui. L'orma, l'impronta. Dell'eterno valore, della virtù o passanza eterna, di quel Dio il quale è il fine a cui 110 Nell'ordine ch' io dico sono accline Tutte nature, per diverse sorti, Per lo gran mar dell'essere, e ciascuna la toccata norma (l'accennato ordine) fatta, perché universa propter semetipsum operatus est Dominus. 109-111. Accline, , propense, inclinate, spiega Alfieri. Tutte nature, tutti gli enti di qualsivoglia natura. Per diverse sorti, giusta l'essenza loro più o meno nobile. Più al principio loro, ecc. Eccone la ragione nel vi di questa Cantica: Che l'ardor santo ch'ogni cosa raggia, Nella più simigliante è più vivace. 112-114. Si not. da Alf. Onde, per esser nelFordine che ha detto tutte nature accline, ecc. Si muovono tutte nature. 4 diversi porti, comparando l'immensità dell'essere a un mare immenso dice a diversi porti, in luogo di a diversi fini, vale a dire al fine a ogni diversa natura sortito. Con istinto, con quella inchinevole propensione o tendenza al fine dal Creatore trasfusole. Istinto, significa propriamente stimolo dentro o interno, però i materialisti intendono per esso l'aggregamento delle impressioni sentite per mezzo degli organi interni. Ma il Poeta l'adopera nel suo comun senso. A lei, a ogni diversa natura. La porti, questo verbo sta in congiuntivo in virtù di quel vo lere, a cui nulla può far contrasto, ch'è il divino. 115-117. Questi, quest' istinto, dice Alfieri. Nè, dalla terra. Inver la luna. Purg. xvII: Poi, come 'l fuoco muovesi in altura, Là, dove più in sua materia dura, ecc. Ne' cuor mortali è promotore. Intendo, diversamente |